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Nazionale di calcio dell'Italia - Wikipedia

Nazionale di calcio dell'Italia

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Italia

Divise Ufficiali

Manica sinistra Maglia ufficiale Manica destra
Calzoncini da gara
Calzettoni da gara
 
Casa
Manica sinistra Maglia ufficiale Manica destra
Calzoncini da gara
Calzettoni da gara
 
Trasferta
Associazione FIGC
Soprannome: Azzurri
Selezionatore Roberto Donadoni
Record presenze Paolo Maldini (126)
Capocannoniere Luigi Riva (35)
Esordio internazionale
Italia 6 - 2 Francia
Milano, Italia; 15 maggio, 1910
Migliore vittoria
Italia 9 - 0 Stati Uniti
Brentford, Inghilterra; 2 agosto, 1948
Peggiore sconfitta
Ungheria 7 - 1 Italia
Budapest, Ungheria; 6 aprile, 1924
Mondiali
Partecipazioni 16 (Prima nel 1934)
Miglior risultato Campioni nel 1934, 1938, 1982, 2006
Europei
Partecipazioni 6 (Prima nel 1968)
Miglior risultato Campioni nel 1968

Nazionale di calcio italiana, in senso generale una qualsiasi delle selezioni nazionali calcistiche della Federazione Italiana Giuoco Calcio che rappresentano l'Italia nelle varie competizioni ufficiali o amichevoli riservate a squadre nazionali e, più diffusamente sebbene impropriamente, la selezione maggiore maschile, il cui nome ufficiale è altresì Nazionale A.

Oltre alla citata selezione nazionale, l’ordinamento della FIGC ne prevede varie altre, divise per fascia d’età dei propri giocatori: la Nazionale maschile Under 21, che partecipa alle competizioni continentali con i propri pari categoria; tale selezione - con l’eventuale aggiunta di un massimo di tre calciatori fuori quota d’età - rappresenta altresì l’Italia nei tornei olimpici di calcio, con il nome di Nazionale Olimpica; le Nazionali Under 20, Under 19, Under 18, Under 17, Under 16-15. Rappresentano ufficialmente l’Italia sempre sotto il coordinamento della FIGC la Nazionale femminile, la Nazionale Femminile Under-19 e quella Under-17; la Nazionale Universitaria (che rappresenta l’Italia nel torneo calcistico delle Universiadi), composta da calciatori dilettanti o professionisti della Serie C che frequentino l’Università; la Nazionale Militare, riservata formalmente a qualsiasi militare tesserato come calciatore della FIGC in qualsiasi categoria, ma di fatto, almeno fino all’abolizione del servizio militare obbligatorio, composta dai giovani calciatori professionisti che stessero assolvendo l’obbligo di leva; tale selezione rappresenta l’Italia durante i Giochi Militari; la Rappresentativa dei Giochi del Mediterraneo, che rappresenta l’Italia nei Giochi omonimi e può essere formata indistintamente da giocatori professionisti o dilettanti di qualsiasi categoria; infine, la Nazionale di calcio a cinque.

Per approfondire, vedi la voce Nazionale italiana Under-21.

Nazionali italiane che sono esistite in passato ma che - a seguito di ristrutturazioni sia decise per norme federali che per esigenze legate ai requisiti di partecipazione ai varî tornei internazionali - oggi sono sparite furono la Nazionale B (in genere l’anticamera della Nazionale A, costituita dalle seconde scelte di campionato o di giocatori sotto osservazione in vista di un eventuale impiego per la selezione maggiore, e il cui ruolo spesso si è sovrapposto con quello della, scomparsa anch’essa, Nazionale Sperimentale) e la Nazionale Under 23, superata dalla citata Under 21.La Nazionale A (peraltro l’unica esistente all’epoca, essendo le varie suddivisioni sopraggiunte nel dopoguerra) ha vinto quattro edizioni del campionato del mondo (1934, 1938, 1982 e 2006), la massima competizione calcistica per squadre nazionali maschili, classificandosi in altre due occasioni seconda (1970 e 1994); un campionato d’Europa per nazioni (1968), classificandosi in altre due occasioni seconda (2000) e quarta (1980); due Coppe Internazionali (torneo disputato dal 1930 al 1960, antesignano del campionato d’Europa, tuttavia mai riconosciuto ufficialmente dall’UEFA); infine, ha vinto una medaglia d’oro olimpica a Berlino nel 1936, conseguendo anche quella di bronzo ad Amsterdam nel 1928, in un periodo in cui l’ordinamento olimpico non aveva ancora uniformato secondo criteri d’età massima dei giocatori la composizione delle squadre.

La Nazionale Under 21 vanta invece la vittoria in cinque edizioni del campionato europeo di calcio Under-21 (1992, 1994, 1996, 2000 e 2004), la massima competizione ufficiale per squadre di tale categoria. Storicamente, la Under 21 - e prima di essa, la Under 23 - hanno sempre costituito il laboratorio di prova e il serbatoio di giocatori che in seguito sarebbero stati utilizzati per la Nazionale A (a titolo esemplificativo ma non esaustivo, Pietro Vierchowod, Gianluca Vialli, Roberto Baggio, Andrea Pirlo, Alessandro Del Piero, Francesco Totti e più recentemente Daniele De Rossi e Alberto Gilardino ). Come Nazionale Olimpica, la Under 21 ha conseguito la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atene 2004.

Infine, la Nazionale Universitaria ha vinto il torneo calcistico delle Universiadi svoltesi in Sicilia nel 1997.

Indice



[modifica] Storia della Nazionale A

Per quanto riguarda le vicende più importanti della Nazionale di calcio italiana, esse sono legate alla Nazionale A che, almeno fino alla differenziazione delle varie categorie di selezione, era la nazionale unica, che assumeva varie fisionomie a seconda del torneo al quale essa partecipava. Per fare un esempio, se è pacifico che nel corso dei tornei maggiori quali Coppa Internazionale o Campionato del Mondo venisse schierata la formazione più competitiva possibile, nel corso del torneo olimpico si dava spazio a professionisti di seconda fascia, in genere giovani universitari, come coloro che vinsero il torneo calcistico delle Olimpiadi di Berlino nel 1936. Nel dopoguerra vennero via via inserite categorizzazioni più precise soprattutto per inserire criteri oggettivi e uguali per tutti di selezione dei giocatori, sia per via della progressiva istituzione di tornei giovanili, sia per dare un quadro di riferimento chiaro al torneo olimpico di calcio: il regolamento olimpico prevede infatti che la partecipazione sia riservata solo ad atleti il cui status sia formalmente di dilettante. Ma questo faceva sì che molte federazioni che ammettevano il professionismo fossero costrette a mandare i loro giocatori di seconda, se non terza fascia (secondo una formula empirica di compromesso via via variata nel tempo, i professionisti meno in vista e meno pagati e, successivamente, quelli che non avessero mai partecipato alle fasi finali di un campionato continentale o di quello mondiale), mentre federazioni i cui atleti avevano lo status di dilettante (ad esempio l’URSS e in generale tutte quelle del blocco dell’Est Europeo) potevano mandare in pratica la propria nazionale maggiore. Non a caso per lunghissimo tempo nel dopoguerra il torneo olimpico di calcio fu appannaggio di squadre come la stessa Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Germania Est e Ungheria, fino a che dall’edizione olimpica del 1988 a Seul fu deciso che le squadre di calcio olimpiche fossero, per tutti i partecipanti, le loro selezioni Under 21.

[modifica] Nascita e inizi

La Federazione Italiana Giuoco Calcio nacque nel 1898, quando il calcio in Italia era ancora a un livello pionieristico. I vari tentativi di dar vita a una selezione nazionale, sulla falsariga di quelle già esistenti nelle Isole Britanniche e, per stare più vicino a noi, della Francia, si concretizzarono nel 1910, quando finalmente, e proprio contro la stessa Francia, il 15 maggio all'Arena Civica di Milano la Nazionale italiana giocò il primo incontro della sua storia. Per la cronaca, l’Italia vinse 6-2 (capitano Francesco “Franz” Calì) e il primo goal italiano fu segnato da Pietro Lana che, nell’occasione, realizzò una tripletta.

Pochi giorni dopo l’esordio, l’Italia andò a far visita all’Ungheria che all’epoca, insieme all’Austria, rappresentava quanto di meglio si potesse trovare sulla scena del calcio mondiale (la cosiddetta Scuola Danubiana, in auge fino a tutto il primo dopoguerra e poi decaduta). Non stupisce quindi la pesante sconfitta che gli Azzurri rimediarono a opera dei Magiari. Nell’occasione, quella fu la seconda e ultima volta che la Nazionale utilizzò maglie bianche con lo stemma di Casa Savoia. Fu deciso che dall’incontro successivo (per combinazione, sempre contro gli Ungheresi, il 6 gennaio 1911 a Milano) il colore da utilizzare, proprio in onore dei Savoia, fosse l’azzurro della loro bandiera, al centro della quale v’era lo Scudo Sabaudo rosso con una croce bianca all’interno. Le foto dell’epoca ci mostrano un colore slavato tendente al celeste e in effetti le sfumature cromatiche della maglia cambiarono notevolmente nel corso degli anni, passando da un bluastro-indaco fino a un azzurro scuro, non essendo mai stata chiarita con precisione la tonalità dell’azzurro da usare. Comunque, il colore fece subito presa e fin da allora i giocatori della Nazionale vennero chiamati Azzurri. Azzurri si chiamano anche oggi, per estensione, tutti gli atleti che, dopo i calciatori, si trovarono a rappresentare l’Italia nelle varie discipline sportive.

Gli esordi della Nazionale videro una squadra piena di carattere e di buona volontà ancorché tatticamente sprovveduta. A dispetto del fatto che l’ossatura fosse basata sui giocatori della Pro Vercelli, ovvero la miglior squadra italiana del momento, i risultati tardarono ad arrivare e alla prima uscita ufficiale, il torneo calcistico dei Giochi Olimpici di Stoccolma nel 1912, l’Italia, guidata per la prima volta da Vittorio Pozzo fu eliminata al 1° turno.

Si dovette attendere il 1920 e la fine della Grande Guerra per rivedere l’Italia in un torneo ufficiale, ancora i Giochi Olimpici, quelli di Anversa. Progressi se ne videro, giacché gli Azzurri giunsero ai quarti di finale. Stesso risultato quattro anni dopo a Parigi.

Nel 1928, dopo l’esordio nella neonata Coppa internazionale, l’Italia si presentò con fondate speranze di far bene al torneo calcistico dei Giochi Olimpici di Amsterdam. In effetti gli azzurri, dopo aver superato il girone di qualificazione, sconfissero la Francia negli ottavi di finale (4-3, rimontando da 0-2) e la Spagna nella ripetizione dei quarti dopo aver pareggiato il primo incontro (1-1 la prima partita, addirittura 7-1 la ripetizione) qualificandosi così alle semifinali dove si dovettero fermare di fronte ai campioni olimpici uscenti dell’Uruguay, che vinsero 3-2. Considerando che l’Uruguay all’epoca era una delle potenze mondiali del calcio (avrebbe vinto il primo mondiale di calcio due anni dopo), il risultato dell’Italia fu più che lusinghiero. A completare l’ottimo torneo, arrivò la medaglia di bronzo conquistata battendo l’Egitto per 11-3, tuttora l’incontro degli Azzurri con il maggior numero di reti segnate.

[modifica] Le vittorie degli anni trenta

Per iniziativa di Jules Rimet, l’allora presidente della FIFA, nacque il Campionato del mondo di calcio, competizione riservata alle squadre nazionali. Fu decisa la cadenza quadriennale - sulla falsariga delle Olimpiadi - e si stabilì che il torneo si sarebbe giocato negli anni pari non olimpici. La prima nazione a ospitare il campionato fu l’Uruguay, nel luglio del 1930. Ma l’Italia non partecipò a tale edizione del campionato per via del lungo viaggio transoceanico da affrontare - e anche per via di un certo snobismo delle nazioni europee nei confronti di tale torneo, in particolare dell’Inghilterra che fino al 1950 non parteciperà al mondiale. Ciononostante, in quel decennio l’Italia si fece conoscere come una delle nazionali più forti del mondo, facendosi valere dovunque e vincendo in sequenza il campionato del mondo del 1934, il torneo di calcio olimpico del 1936 e, di nuovo, il campionato del mondo del 1938, a spese di nazionali prestigiose come Ungheria, Austria, Cecoslovacchia, Francia e perfino Brasile. Il giocatore di maggior spessore di quella squadra era senza dubbio il milanese Giuseppe Meazza, fuoriclasse assoluto con la palla tra i piedi e antesignano del bon-vivant e donnaiolo fuori dal campo. A guidare la squadra un vecchio tenente degli Alpini, il monarchico Vittorio Pozzo, piemontese tutto d’un pezzo con l’etica del lavoro e del sacrificio, che da Commissario Unico riuscì a far primeggiare la Nazionale dovunque.

Lo spirito dei giocatori, in omaggio alla visione cameratesca che Pozzo aveva della squadra, era quella del reciproco aiuto. Ad esempio, il trio arretrato della Juventus, Combi-Rosetta-Caligaris, era impenetrabile proprio per via della solida amicizia e collaborazione che univa i tre compagni di reparto.

Superato agevolmente l’incontro di qualificazione a Milano contro la Grecia (battuta 4-0), l’Italia affrontò il mondiale casalingo vero e proprio a partire dagli Stati Uniti, facilmente battuti 7-1. In quell’occasione Rosetta giocò la sua ultima partita in Nazionale, e peggio andò a Caligaris, rimasto a quota 59 incontri e rimpiazzato da Allemandi. A Firenze vi fu dura battaglia contro la Spagna, la cui porta era difesa dal leggendario Ricardo Zamora, colui al quale Meazza non riuscì mai a segnare. Infatti, tra ruvidezze, entrate al limite del regolamento - e forse oltre - e scambi di cortesie vari, toccò a Ferrari pareggiare il goal iniziale degli Spagnoli. La ripetizione il giorno dopo non vide in campo molti protagonisti della battaglia precedente, tra cui lo stesso Zamora, e infatti fu Meazza a segnare il goal che dava all’Italia la semifinale. Battuta anche l’Austria, il 10 giugno 1934 allo stadio PNF (odierno Stadio Flaminio) di Roma, Raimundo Orsi pareggiò il gol cecoslovacco a 9 minuti dalla fine e nei supplementari il centravanti bolognese Angelo Schiavio, nella sua ultima apparizione azzurra, segnò la rete che valse il titolo mondiale.

Nazionale Italiana - Coppa del Mondo “Jules Rimet” 1934

Allemandi | Arcari | Bertolini | Borel | Caligaris | Castellazzi | Cavanna | Combi | Demaria | Ferrari | Ferraris IV | Guaita | Guarisi | Masetti | Meazza | Monti | Monzeglio | Orsi | Pizziolo | Rosetta | Schiavio | Varglien |
Commissario Tecnico: Pozzo


A quel tempo, come detto, gli Inglesi, che si ritenevano i maestri del calcio, non partecipavano neppure al campionato del mondo, giudicato una rassegna di rango inferiore alle loro ambizioni. Al massimo la nazionale campione del mondo poteva guadagnarsi il diritto di andare a sfidare gli Albionici a casa loro, come un esame di laurea, e così fu: la prima uscita degli Azzurri dopo il mondiale (14 novembre 1934) li vide affrontare a Londra proprio la nazionale inglese, nello stadio di Highbury, il tempio dell’Arsenal. Quella partita passò alla storia come la Battaglia di Highbury: come costume di quell’epoca, l’incontro non risparmiò durezze e scontri, tanto che dopo pochi minuti di gioco il centrosostegno azzurro Luisito Monti dovette uscire con un piede fratturato (e fu solo il primo di una lunga serie di infortunati). Gli Inglesi dominarono nei primi minuti e al quarto d’ora già erano avanti di tre goal. A quel punto, gli Azzurri in dieci reagirono e Meazza realizzò una doppietta. Pur sconfitta per 3-2, l’Italia uscì dal campo guadagnandosi il rispetto degli Inglesi.

Due anni dopo la vittoria nel campionato del mondo, l’Italia si impose anche nel torneo Olimpico di Berlino, schierando una squadra formata da soli studenti per protesta contro le accuse di professionismo mosse da altre nazioni. A Berlino la stella indiscussa fu l’ala destra dell’Ambrosiana, Annibale Frossi, passato alla storia per i suoi occhiali e i 7 gol in 4 partite di quella edizione dei Giochi Olimpici. La finale con l’Austria fu decisa ai tempi supplementari proprio da un suo goal.

Quando gli Azzurri si presentarono all’esordio della terza Coppa del mondo, in programma nel 1938 in Francia come campioni mondiali e olimpici uscenti, essi vantavano anche il non indifferente record di imbattibilità che durava dal 1935 (e alla fine saranno 30 incontri fino al 1939). Infortunatosi alla vigilia il portiere titolare Ceresoli, i pali furono affidati ad Aldo Olivieri, che fu fra i protagonisti della vittoria azzurra, insieme a Meazza, a Giovanni Ferrari, a Gino Colaussi e a Silvio Piola: eliminata la Norvegia in quello che fu forse l’incontro più difficile per l’Italia in quel mondiale, gli Azzurri volarono a Parigi a eliminare i padroni di casa Francesi, per poi far fuori il Brasile a Marsiglia per 2-1, con Meazza che batté un rigore mentre si allacciava i pantaloncini. La finale, allo stadio di Colombes, a Parigi, fu tutto sommato una formalità: mai in discussione il risultato, il 19 giugno l’Italia batté l’Ungheria con due doppiette, di Piola e di Colaussi.

Nazionale Italiana - Coppa del Mondo “Jules Rimet” 1938

Andreolo | Bertoni | Biavati | Ceresoli | Chizzo | Colaussi | Donati | Ferrari | Ferraris II | Foni | Genta | Locatelli | Masetti | Meazza | Monzeglio | Olivieri | Olmi | Pasinati | Perazzolo | Piola | Rava | Serantoni |
Commissario Tecnico: Pozzo


Pochi anni dopo il calcio tornò a fermarsi per la Seconda Guerra Mondiale. Nonostante il regolare svolgimento del campionato italiano, tra alti e bassi, fino al 1943, la Nazionale giocò solo tre incontri fra il 1940 e il 1942 prima della Liberazione.

[modifica] Dopoguerra

Dopo le devastazioni della guerra e le lacerazioni interne dovute alla guerra civile tra partigiani e repubblichini, si avvertì in tutto il Paese il bisogno di riconciliazione, e di riunirsi attorno a simboli che non potessero essere interpretati come appannaggio di una sola parte politica o di una classe sociale. I grandi sport di massa ben svolsero questa funzione, e infatti gli Italiani, non importa di quale colore politico, non importa di quale censo, tornarono a sorridere grazie al ciclismo con i nostri Bartali e Coppi a dominar corse, Giri e Tour de France, e soprattutto grazie al calcio, che in quegli anni si declinava in un solo colore, quello granata: infatti la squadra più forte in circolazione era il Torino, che dava dieci uomini alla Nazionale, e aveva vinto tutti gli scudetti dal 1946 al 1948. Quando l’aereo che, il 4 maggio 1949, stava riportando il Grande Torino a casa da un’amichevole in Portogallo contro il Benfica si schiantò contro la collina di Superga, fu un lutto per tutta l’Italia - non solo quella sportiva - che faticosamente si stava lasciando alle spalle le lacrime del conflitto mondiale. Al Torino fu assegnato lo scudetto del 1949 per volontà di tutte le altre squadre del campionato.

[modifica] Gli anni bui (da Superga alla Corea)

Battaglia di Santiago (1962)Uno dei tanti episodi violenti dell’incontro tra Italia e Cile
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Battaglia di Santiago (1962)
Uno dei tanti episodi violenti dell’incontro tra Italia e Cile

Dal punto di vista sportivo, la scomparsa di quel Torino fu un vero colpo per la Nazionale: privata degli elementi migliori, non vi fu modo di mettere in piedi una squadra competitiva per i campionati brasiliani del 1950. La Svezia ebbe gioco facile a battere l’Italia e a eliminarla dal torneo già dalla prima partita. Iniziò così un periodo buio per la nazionale italiana: eliminata al primo turno ai mondiali del 1954 in Svizzera, addirittura non si qualificò per quelli in Svezia del 1958, avendo perso in fase eliminatoria contro l’Irlanda del Nord.

La crisi - dovuta a carenze strutturali del nostro Paese, nonché a fatti incidentali come la citata tragedia di Superga - iniziata negli anni ’50 non fu completamente superata nel decennio successivo, ma si posero le basi per una ripresa del movimento calcistico italiano a livello internazionale (aiutate anche dalle vittorie delle squadre di club nelle competizioni europee, in particolare la Fiorentina nella Coppa delle Coppe del 1961 e il Milan nella Coppa dei Campioni 1963).

Italia campione d'Europa 1968In alto: Salvadore, Zoff, Riva, Rosato, Guarneri, Facchetti. Accovacciati: Anastasi, de Sisti, Domenghini, Mazzola, Burgnich
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Italia campione d'Europa 1968
In alto: Salvadore, Zoff, Riva, Rosato, Guarneri, Facchetti. Accovacciati: Anastasi, de Sisti, Domenghini, Mazzola, Burgnich

In effetti, una volta riguadagnata competitività sul piano tecnico, il problema della Federazione era quello di mostrarsi unita ed efficiente, cosa che spesso non succedeva per via di lotte intestine e dissidii al vertice. Comunque, gli Azzurri si qualificarono per il sesto campionato del mondo, in programma nel 1962 in Cile. Purtroppo fu una spedizione mal gestita, che iniziò sotto le peggiori premesse e finì, se possibile, anche peggio di come si paventava. Un’incauta stampa italiana fece pesanti apprezzamenti sulla situazione cilena e sul degrado di molte realtà sociali di quel Paese, cosa questa che indispettì i Cileni. A complicar le cose, un sorteggio che mise l’Italia di fronte a Svizzera, Germania Ovest e lo stesso Cile: mentre gli azzurri pareggiarono 0-0 con i tedeschi, il Cile batté gli elvetici 3-1, rendendo la partita successiva, Italia-Cile, un autentico spareggio: la partita fu infiammata nei giorni antecedenti da questioni politiche e sociali. L’incontro tra italiani e sudamericani si contraddistinse per violenza e incompetenza arbitrale (la famosa Battaglia di Santiago). L’Italia finì la partita in nove uomini e perse 2-0, mentre a nulla valse la vittoria successiva sulla Svizzera.

La squadra che andò ad affrontare il settimo campionato del mondo nel 1966 in Inghilterra era forse la più forte degli ultimi anni, ma se quattro anni prima si poté invocare ad attenuante per l’eliminazione il brutto clima creato a seguito delle improvvide dichiarazioni della stampa italiana, in Inghilterra si dovette fare il mea culpa per scelte sbagliate e ambigui rapporti di potere in seno alla Federazione. Inserita probabilmente nel girone più facile con Unione Sovietica, Cile e Corea del Nord, l’Italia vinse 2-0 nell’esordio-rivincita contro i sudamericani, ma perse 1-0 dai sovietici. La partita con la Corea del Nord divenne determinante ma, nonostante la squadra asiatica fosse nettamente sfavorita, il dilettante Pak Doo Ik segnò un goal che gli italiani non seppero rimontare, condannando così la squadra azzurra alla più cocente umiliazione sportiva della sua storia.

[modifica] Gli anni della ripresa (1968-1978)

Nel 1960 vide la luce il primo campionato d’Europa per nazioni, organizzato dall’UEFA. L’Italia ne ospitò la terza edizione, quella del 1968, che vide nella fase finale a quattro anche l’Inghilterra, la Jugoslavia, e l'URSS. Proprio contro i sovietici fu la partita di semifinale, a Napoli, che finì 0-0 ma che, non esistendo ancora lo spareggio tramite calci di rigore, vide l’Italia prevalere grazie al lancio della monetina. Gli Azzurri dovettero così affrontare due volte la Jugoslavia di Dragan Dzajić allo Stadio Olimpico di Roma prima di averne ragione: la prima finale fu infatti un sofferto pareggio per 1-1 (con goal dello stesso Dzajić e di Domenghini), la ripetizione fu invece un rotondo 2-0 (grazie a Riva e Anastasi) che diede all’Italia il suo primo e, per ora, unico trofeo continentale.



[modifica] Il mito dell’“Azteca”

L’ottavo campionato del mondo, che si svolse in Messico nel 1970, fu quello che, nonostante la mancata vittoria, segnò il ritorno più o meno in pianta stabile dell’Italia ai vertici del calcio mondiale. È tuttora noto per la semifinale Italia - Germania Ovest, che molti ribattezzarono la “Partita del Secolo”: in effetti, viste le premesse, non era certo preventivabile una partita così spettacolare. L’Italia veniva da un gruppo tutto sommato facile, avendo incontrato Uruguay, Svezia e Israele e passando ai quarti senza strafare. Considerabile nella norma anche il 4-1 con cui avevano regolato i modesti padroni di casa messicani. Tutt’altro affare per la Germania Ovest che nei quarti aveva dovuto battere 3-2 l’Inghilterra campione uscente rimontando uno 0-2. La semifinale tra Italiani e Tedeschi (per la cronaca, giocatasi allo Stadio “Azteca” di Città del Messico il 17 giugno 1970), che si stava avviando a uno stanco 1-0 azzurro, venne ravvivata dall’1-1 segnato da Schnellinger proprio all’ultimo minuto. A emozionare gli spettatori fu l’altalena di goal nei tempi supplementari che vide andare alternativamente in vantaggio prima i Tedeschi, poi gli Italiani, poi di nuovo gli Italiani dopo il momentaneo pareggio tedesco, per un 4-3 finale che deliziò gli spettatori. Ma lo sforzo sostenuto a 2000 metri d’altezza fu pagato nella finale, nel corso della quale l’Italia riuscì a tener testa al Brasile di Pelé per circa un’ora, pareggiando con Boninsegna il goal dello stesso Pelè, ma tre goal negli ultimi venti minuti (Gérson, Jairzinho e Carlos Alberto) sancirono la superiorità dei sudamericani che si portarono definitivamente a casa la Coppa Rimet. Comunque l'Italia si confermò la miglior nazionale europea e fece un’ottima impressione nonostante l'invenzione della “staffetta” tra Mazzola e Rivera ad opera del CT Ferruccio Valcareggi e i soli sei minuti giocati dallo stesso Rivera, entrato all’84’ di una partita ormai ampiamente compromessa.

Per approfondire, vedi la voce Mondiali di calcio Messico 1970.

[modifica] Azzurro Tenebra

La nazionale che aveva ben figurato al mondiale necessitava di ricambio generazionale in alcuni settori fondamentali di gioco, ma Valcareggi rimase fedele ai calciatori che erano arrivati in finale, così l’Italia non fu in grado di difendere il suo titolo continentale, venendo eliminata ai quarti di finale del campionato d’Europa 1970-72 dal Belgio capitanato da Van Himst (0-0 in casa e 2-1 belga nel doppio confronto). Moderate aspettative per il campionato del mondo 1974, in programma in Germania: era pur vero che la nazionale era praticamente quella messicana con quattro anni in più sulle spalle e Zoff al posto di Albertosi a difendere i pali, ma a confortare gli Italiani c’erano la lunga imbattibilità del portiere friulano (che durava dal 20 settembre 1972) e soprattutto la prima storica vittoria azzurra a Wembley nel 1973 contro l’Inghilterra (goal di Capello a circa dieci minuti dalla fine). Invece fu poco meno di una Waterloo: vittoria poco convincente contro Haiti per 3-1, dopo che Sanon aveva addirittura portato in vantaggio i caraibici (interrompendo l’imbattibilità di Zoff e fissandola a 1143 minuti); 1-1 contro l’Argentina (Houseman e autogoal dell’argentino-piemontese Perfumo), e sconfitta 2-1 contro la Polonia, cui peraltro sarebbe bastato un pareggio. Argentina e Polonia al turno successivo e Italia a casa tra le polemiche. Su tale sfortunatissima - e malissimo gestita - spedizione lo scrittore Giovanni Arpino scrisse nel 1977 un libro dall’eloquente titolo Azzurro Tenebra (Einaudi). In pratica, l’episodio più significativo di tutto il Mondiale azzurro fu la celebre parolaccia lanciata da Chinaglia e ripresa in diretta TV all’indirizzo di Valcareggi al momento di essere sostituito da Pietro Anastasi (che peraltro segnò) nella partita contro Haiti. L’episodio, oltre a rendere bene il clima che si respirava nello spogliatoio, diviso per clan, costituì in pratica anche l’atto di morte della carriera azzurra del centravanti laziale.

La fallimentare avventura mise finalmente in chiaro che era l’ora di chiudere con una generazione che non aveva più nulla da dare, e la Nazionale fu affidata nel luglio 1974 a Fulvio Bernardini, che si scelse come secondo Enzo Bearzot, già buon mediano di Inter e Torino. Bernardini iniziò a svecchiare la rosa e impiegò numerosi giovani promettenti che il campionato proponeva, come Antognoni, Pulici, Bettega, Causio (portato in Germania da Valcareggi ma pochissimo utilizzato), Gentile, Scirea e Tardelli, insieme a giocatori di sicuro affidamento come Bellugi e Benetti. La squadra, largamente in fase di formazione, fallì la qualificazione agli Europei di Jugoslavia del 1976, ma si intravedeva già un’ossatura solida che permise alla Nazionale di staccare il biglietto per il decimo campionato del mondo (Argentina 1978) in un girone europeo di qualificazione che vedeva come avversaria più pericolosa l’Inghilterra, regolata per 2-0 a Roma ed eliminata per la peggior differenza reti rispetto all’Italia. Nel frattempo Bernardini aveva lasciato la Nazionale e quindi tutta la responsabilità tecnica ricadeva sulle spalle di Bearzot.

[modifica] Tango italiano

Il mondiale argentino mise in luce un’Italia capace di fare un gioco divertente, concreto e affatto diverso da quello cui gli italiani erano abituati: una difesa molto attenta basata sul blocco-Juventus (Zoff, Gentile, l’esordiente Cabrini, Scirea, ect.), un centrocampo dinamico ma robusto con Tardelli, Benetti e Antognoni, e soprattutto un attacco in cui il funambolico Causio poteva scambiarsi di posto all’ala destra con Paolo Rossi, all’epoca ancora non infortunato al menisco e quindi abile e arruolato come centravanti-tuttofare. A chiudere il tridente d’attacco Bettega. Superata in scioltezza la prima fase a punteggio pieno (2-1 alla Francia di Michel Platini, 3-1 all’Ungheria e addirittura 1-0 all’Argentina padrona di casa), gli Azzurri mostrarono un calo nella seconda fase: solo 0-0 contro una Germania Ovest non certo al suo meglio, e 1-0 all’Austria che stava ben figurando fin lì. Fu l’Olanda a mettere fine ai sogni di vittoria azzurri, battendo l’Italia per 2-1 con due goal da lontano che Zoff riuscì a farsi perdonare solo quattro anni dopo. Comunque, nonostante la sconfitta, l’Italia guadagnò il diritto a giocare la finale per il terzo posto, contro il Brasile. Il fatto che gli Azzurri persero 2-1 non inficiò quanto di buono avevano comunque mostrato: dopo anni di assoluto oblìo la nazionale totalizzava un secondo e un quarto posto mondiale in otto anni e tutti ora sapevano che per la vittoria finale in un campionato del mondo c’era un contendente in più, ritornato finalmente alla ribalta.

Per approfondire, vedi la voce Mondiali di calcio Argentina 1978.

[modifica] Gli anni Ottanta: il ritorno definitivo

[modifica] Lo scandalo-scommesse e gli Europei 1980

Subito dopo il quarto posto mondiale, l’Italia non dovette affrontare impegni di rilievo in quanto aveva ottenuto dall’UEFA l’organizzazione del sesto campionato europeo di calcio che, proprio dall’edizione 1980 era stato allargato a otto squadre e prevedeva l’ammissione d’ufficio alla fase finale della federazione ospitante. La squadra di Bearzot si presentava con fondate speranze di fare il bis del campionato di dodici anni prima. Ma a seguito di un grosso scandalo esploso nella primavera del 1980, originato dalla denuncia di uno scommettitore clandestino della Capitale, vi fu un terremoto nell’ambiente del calcio professionistico italiano: dall’indagine e dal processo federale che ne seguì, vi furono pene dure per alcuni giocatori di primo piano, tra cui Giordano, Manfredonia e soprattutto Paolo Rossi, squalificato per due anni. Tutte le squalifiche irrogate decorrevano dal 1° maggio 1980.

Ciò privò la Nazionale del suo elemento migliore proprio alla vigilia del campionato europeo. La cosa pesò oltremisura perché la squadra perdeva il terminale naturale del gioco, e non bastò un volenteroso Altobelli a rimpiazzare Rossi nello schema predisposto da Bearzot. A uno scialbo pareggio per 0-0 ottenuto a Milano contro la Spagna fece seguito una vittoria a Torino contro l’Inghilterra per 1-0 con goal di Tardelli (dopo che Kennedy aveva preso un palo dalla lunga distanza). La partita decisiva, da giocarsi all’Olimpico contro un Belgio iperdifensivista che vantava rispetto all’Italia una miglior differenza-reti, venne addormentata dalla formazione di Guy Thys che portò via lo 0-0 che gli serviva per fare la finale contro i Tedeschi. La Coppa andò in Germania, all’Italia la finale di consolazione contro la Cecoslovacchia campione uscente. Nell’occasione l’Italia inaugurò la sua negativa tradizione ventennale con i calci di rigore, perdendo 9-8 dopo aver pareggiato 1-1 (Jurkemik, Graziani), i 90’ regolamentari e saltando i tempi supplementari, cui si rinunciò di comune accordo per motivi economici legati alla trasmissione via satellite.

[modifica] Campioni dopo 44 anni

Italia campione del Mondo Zoff, Causio e Bearzot giocano a scopone col Presidente Pertini dopo la conquista della Coppa
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Italia campione del Mondo
Zoff, Causio e Bearzot giocano a scopone col Presidente Pertini dopo la conquista della Coppa

Anche Bearzot, come ogni CT prima di lui, con l’eccezione forse di Pozzo, iniziò a ricevere critiche per via dei giocatori che sceglieva o, meglio, non sceglieva. Forti furono le pressioni dalle piazze mediatiche con i più vasti bacini d’utenza, in particolare quella milanese che spingeva per l’interista Beccalossi e quella romana che premeva per Pruzzo; furono pressioni alle quali Bearzot resistette nonostante interrogazioni parlamentari (respinte) presentate da deputati in cerca di notorietà che cercavano di far passare l’equazione “mancata convocazione di alcuni giocatori” = “lesione di interessi nazionali preminenti”. Indipendentemente da tali fenomeni di colore, da un sondaggio effettuato poco prima dei mondiali emerse che solo l’1% degli italiani intervistati credeva si potesse vincere il campionato.

La qualificazione al campionato non costituì un problema, perché quattro vittorie iniziali per 2-0, contro Grecia, Danimarca, Lussemburgo e Jugoslavia avevano messo l’Italia al riparo da rovesci, che infatti giunsero sotto forma di un 3-1 incassato dai Danesi al ritorno a Copenaghen. A essere criticato fu semmai il gioco non spettacolare della Nazionale. In verità il gioco non era molto diverso da quello espresso da precedenti Nazionali che ottennero risultati anche inferiori, ma la stampa trasse da ciò spunto per perorare con ancor maggiore enfasi la causa dei giocatori preferiti dei propri lettori: di conseguenza, bersagliare di critiche Bearzot era diventata ormai l’occupazione principale di quasi tutti i giornalisti sportivi.

Badando al concreto bisogna comunque dire che quella Nazionale si qualificò con un turno d’anticipo e ben prima di squadre che all’epoca godevano di credito maggiore (Inghilterra, Francia, Germania, che dovettero tutte attendere l’ultima partita per avere il visto per la Spagna). E dopo di essa, solo la Nazionale di Lippi sarebbe riuscita, ventiquattro anni dopo, a qualificarsi in anticipo.

Per approfondire, vedi la voce Mondiali di calcio Spagna 1982.

L’Italia andò, quindi, in Spagna per giocare il dodicesimo campionato del mondo. Un sorteggio apparentemente favorevole (gli Azzurri erano stati sorteggiati in un girone che comprendeva Polonia, Perù e Camerun) rischiò di trasformarsi in una trappola: dopo aver pareggiato un brutto incontro per 0-0 contro i Polacchi, infatti, l’Italia non andò oltre un altrettanto brutto 1-1 contro il Perù. Ci volle un ulteriore pareggio per 1-1 contro i pari classifica del Camerun per passare il turno grazie al maggior numero di reti segnate a parità di differenza-reti rispetto alla Nazionale africana. Quando poi l’Italia, nella seconda fase a gironi, venne affiancata a Brasile e Argentina, molti pensarono che l’eliminazione azzurra era stata solo ritardata di due partite. Invece, nel primo incontro contro l’Argentina, l’Italia sfoggiò una prestazione di tutto rispetto, riuscendo anche a neutralizzare l’avversario più pericoloso, Maradona: dopo un primo tempo equilibrato e chiuso sullo 0-0, furono prima Tardelli e poi Cabrini a prendere in contropiede la velleitaria formazione sudamericana che, nonostante un goal di Passarella nel finale, non poté evitare la sconfitta. Non evitò la sconfitta neppure contro il Brasile (3-1), sicché l’ultimo incontro, tra Brasile e Italia, divenne decisivo. Quello fu il capolavoro tattico di Bearzot che comprese in largo anticipo che i brasiliani, sia pur in vantaggio nel girone per differenza reti, non si sarebbero accontentati di passare alle semifinali con un pareggio, ma avrebbero strafatto pur di cercare la vittoria. E su questa presunzione brasiliana Bearzot costruì una gara fatta di difesa chiusa e contropiede: l’aver segnato quasi subito il goal dell’1-0 costrinse i sudamericani a uscire: nemmeno il pareggio di Sócrates fece loro capire che la partita andava addormentata. Il 2-1 italiano fu opera di un allegro quanto sciagurato passaggio orizzontale nella difesa brasiliana. Ancora una volta, il Brasile non mise giudizio neppure dopo il 2-2 di Falcão, e l’Italia segnò il 3-2 che mandava a casa il Brasile e tutta la pattuglia sudamericana in blocco. A nulla valse l’assedio finale dei verde-oro, che si trovarono di fronte uno Zoff che chiuse la porta e si fece perdonare gli errori sui tiri da lontano di quattro anni prima in Argentina. Sugli scudi Paolo Rossi, autore di una tripletta, che il 30 aprile precedente aveva finito di scontare la squalifica biennale ed era stato subito richiamato da Bearzot in quanto pedina imprescindibile del suo gioco. La semifinale contro la Polonia priva di Boniek fu poco più che una formalità (due goal di Rossi e azzurri in finale), dopodiché, dodici anni dopo l’Azteca, Italia e Germania Ovest si incrociavano di nuovo in un incontro a eliminazione. L’Italia era più fresca, ma quando Cabrini sbagliò un rigore nel primo tempo molti sudarono freddo. Ma la Germania Ovest non poteva più reggere, e nel secondo tempo crollò sotto i colpi di Rossi (57’), Tardelli (69’), Altobelli (81’), prima che lo studioso marxista Breitner vedesse premiata la sua buona volontà e realizzasse il punto dell’onore tedesco. 3-1 per l’Italia e quella sera dell’11 luglio 1982, nello stadio Santiago Bernabéu di Madrid, di fronte all’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, gli Azzurri diventarono campioni del mondo dopo 44 anni dal trionfo di Parigi. Visti i pronostici dei giornalisti clamorosamente smentiti, da quel giorno in avanti - e fino ai giorni nostri - nessuno osò più vaticinare sventura sulle sorti azzurre pena il rischio di pubblico svergognamento.


[modifica] Il declino della generazione mondiale

Interlocutorio il quadriennio successivo: così come Valcareggi dieci anni prima, Bearzot non seppe liberarsi dal vincolo di riconoscenza con la generazione che aveva vinto il campionato del mondo. Il girone di qualificazione al settimo campionato europeo in programma in Francia nel 1984, che comprendeva Romania, Cecoslovacchia, Svezia e Cipro si risolse in un calvario al termine del quale l’Italia racimolò la miseria di cinque punti, frutto di una vittoria (per 3-1 contro Cipro, peraltro nell’ultima partita del girone), tre pareggi e quattro sconfitte.

Unico motivo di soddisfazione di quel periodo, l’assegnazione, nel maggio 1984, all’Italia del quattordicesimo campionato del mondo che si sarebbe tenuto nel 1990. In quell’occasione si fecero valere l’abilità diplomatica di Franco Carraro e Antonio Matarrese, molto bravi a curare le pubbliche relazioni - non è dato di sapere con quali mezzi - con i delegati presso la FIFA di nazioni calcisticamente ai margini, che al momento opportuno appoggiarono la candidatura italiana quando si trattò di scegliere il Paese organizzatore.

Qualificati d’ufficio al campionato 1986 in Messico (che ospitò il torneo in sostituzione della Colombia, sconvolta da un terremoto nel settembre 1985) gli Azzurri, che si presentavano con alcuni nuovi innesti tutti da verificare e ancora non ben amalgamati (tra gli altri, Di Gennaro e De Napoli), non brillarono, fin dalla partita inaugurale a loro riservata come campioni uscenti, contro la Bulgaria: finì 1-1 e 1-1 finì pure l’incontro che vide l’Italia contrapporsi all’Argentina. Una movimentata vittoria per 3-2 contro la Corea del Sud diede all’Italia il passaggio agli ottavi di finale contro una tonica Francia: il mondiale azzurro finì contro i goal di Platini e Stopyra, e lì finì anche la carriera di Commissario Tecnico di Enzo Bearzot.

[modifica] Da Italia ’90 a Rotterdam 2000

[modifica] Vicini

Gli Anni ’90 della Nazionale italiana iniziarono in verità qualche anno prima, quando Bearzot lasciò il posto ad Azeglio Vicini, il quale da C.T. della Nazionale Under-21 era riuscito a giungere alla finale del campionato europeo di categoria 1986, perdendo poi contro la Spagna ai calci di rigore (non sapendo che quella sarebbe diventata una sinistra tradizione degli Azzurri).

Vicini cambiò radicalmente la squadra e si affidò a molti dei ragazzi che aveva cresciuto nell’Under 21, a cominciare da Zenga, Baggio, Vialli, Giannini e cercando di valorizzare un talento come Mancini, che nella Sampdoria era indiscusso, ma in Nazionale non riusciva a esprimersi in maniera consona alla sua classe. La nazionale si qualificò per l’ottavo campionato europeo (Germania 1988) comportandosi peraltro benissimo nella prima fase a gironi, nella quale si trovò a dover fronteggiare proprio la squadra padrona di casa. Nella semifinale, un’ancora inesperta Nazionale si dovette arrendere al ritmo dell’Unione Sovietica che tra il 60’ e il 62’ piazzò due colpi di classe (Litovchenko e Protasov) e si conquistò la finale. Ma tutti elogiarono Vicini per il bel gioco espresso dalla Nazionale italiana che, quindi, si avviava fiduciosa verso il campionato del mondo del 1990.

Inserita in un girone non impossibile, la squadra batté in sequenza Austria (1-0), Stati Uniti (1-0) e Cecoslovacchia (2-0). Sugli scudi Schillaci e Baggio (strepitoso il suo gol alla Cecoslovacchia): la vittima sacrificale degli ottavi fu l’Uruguay anche se occorse più di un’ora al solito Schillaci per averne ragione; Aldo Serena poi arrotondò il punteggio a 2-0. Sempre Schillaci realizzò il goal-partita col quale l’Italia eliminò ai quarti di finale l’Irlanda. Ancora Schillaci portò in vantaggio l’Italia contro l’Argentina di Maradona, che tuttavia grazie a una chiamata difensiva errata tra Zenga e Riccardo Ferri pareggiò con Caniggia e, dopo due tempi supplementari sterili, inflisse all’Italia una pesante delusione battendola ai calci di rigore. Agli azzurri non rimase che la finale di Bari per il terzo posto, vinta battendo l’Inghilterra.

Fallita la grande occasione di vincere il campionato del mondo con una squadra bene attrezzata e un ambiente favorevole, l’Italia smarrì la strada e non riuscì a trovare la qualificazione al nono campionato europeo, in programma in Svezia nel 1992. Fu di nuovo l’URSS a frustrare le ambizioni azzurre. A qualificazione compromessa, Vicini fu esonerato e, con due gare ancora da giocare, venne chiamato sulla panchina azzurra Arrigo Sacchi, già tecnico del Milan e propugnatore di un nuovo tipo di calcio offensivo, le cui teorie avevano un equanime numero di accesi sostenitori e altrettanto accesi detrattori.

[modifica] Sacchi

Guadagnata la qualificazione al quattordicesimo campionato del mondo (USA 1994) non senza difficoltà (pareggio stentato all’esordio a Cagliari contro la Svizzera, qualificazione all’ultima partita contro il Portogallo), l’Italia capitò in un girone non impossibile, ma pieno di insidie, nel quale avrebbe dovuto incontrare nell’ordine Irlanda, Norvegia e Messico. Nonostante il caldo opprimente e l’umidità, l’esordio a New York gelò gli azzurri: un goal di Houghton diede la vittoria agli Irlandesi, rendendo così decisivo già l’incontro successivo, contro la Norvegia. Gli scandinavi si rivelarono subito fisici a dispetto del caldo asfissiante e su un contropiede norvegese Pagliuca uscì di mano fuori area procurandosi l’espulsione. Sacchi rinunciò allora a Roberto Baggio, al cui posto entrò il secondo portiere Luca Marchegiani. A segnare ci pensò l’altro Baggio, Dino. Contro il Messico, aprì Massaro e chiuse Bernal. In totale, quattro punti e Italia che passò il turno come la peggiore tra le ripescate. Dagli ottavi di finale in poi fu Roberto Baggio a tenere a galla il CT azzurro: di fronte alla Nigeria l’Italia si espresse largamente al di sotto del suo standard e giocò tutta la partita in svantaggio per 0-1 finché il fantasista vicentino riuscì a pareggiare all’89’, dopo che l'espulsione di Zola, decretata dall'arbitro messicano Brizio Carter, sembrava aver definitivamente spento le speranze di rimonta azzurre. Un rigore nei supplementari diede i quarti all’Italia. Lì gli Azzurri trovarono la Spagna, regolata per 2-1 dalla coppia Roberto Baggio - Dino Baggio al termine di una gara molto difficile e spigolosa durante la quale Mauro Tassotti rifilò una gomitata a Luis Enrique, non visto dall’arbitro ungherese Puhl (sarebbe stato rigore per gli Spagnoli: la prova TV valse in seguito otto turni di squalifica al difensore italiano). Ancora Roberto Baggio realizzò la doppietta con la quale l’Italia vinse la semifinale contro la Bulgaria per 2-1 (punto della bandiera bulgara di Stoichkov). La finale fu un classico del calcio mondiale, Brasile-Italia - all’epoca tre mondiali vinti a testa - sebbene nell’insolita cornice del Rose Bowl di Pasadena (California). Con una formazione largamente in emergenza, piena di assenti e, laddove presenti, inabili (Roberto Baggio), l’Italia riuscì a chiudere 0-0 sia al 90’ che al 120’. Ma così come quattro anni prima fu sconfitta ai rigori e il Brasile vinse il suo quarto titolo del mondo, il secondo consecutivo in una finale contro l’Italia.

Praticamente da dimenticare l’esperienza azzurra al decimo campionato europeo, che si tenne in Inghilterra nel 1996: dopo aver battuto la Russia 2-1, Sacchi sovvertì la squadra contro la Repubblica Ceca in base alla sua convinzione che lo schema prescinde dagli uomini che devono realizzarlo. L’esperimento fallì e l’Italia perse 2-1. Decisivo fu l’incontro con la Germania: nonostante la grande chance di passare in vantaggio su rigore, Zola lo fallì e lo 0-0 che ne seguì condannò l’Italia all’eliminazione al primo turno. Prevedibili le polemiche al ritorno in patria anche se, va detto, alla fine Germania e Repubblica Ceca furono le due finaliste.

Arrigo Sacchi si dimise nel dicembre del 1996 richiamato dal Milan, e la Nazionale fu affidata a Cesare Maldini, già allenatore dell’Under 21 e vice di Bearzot in Spagna nel 1982.

[modifica] Cesare Maldini

Nella squadra allenata da Cesare Maldini il capitano era figlio Paolo, figlio del ct e già punto fermo della nazionale sin dai tempi di Vicini. L’Italia, inserita in un girone di qualificazione per il campionato del 1998 con l’Inghilterra, compì nel febbraio 1997 un exploit andando a vincere a Wembley contro i bianchi d’Albione per la seconda volta nella sua storia, con un goal del più inglese dei calciatori italiani, il cavaliere dell’Impero Britannico Gianfranco Zola. Classificatasi seconda, dovette disputare il match di spareggio per l’ammissione contro la Russia nel novembre di quello stesso anno. Sotto la neve a Mosca l’Italia ipotecò la qualificazione pareggiando 1-1 e chiuse il discorso nel ritorno giocato a Napoli, quando, in condizioni climatiche decisamente migliori, vinse per 1-0 (gol di Casiraghi). L’Italia era quindi qualificata per il sedicesimo campionato del mondo, che si sarebbe tenuto in Francia. Il sorteggio mise gli azzurri di fronte a Cile, Camerun e Austria, tutte più o meno vecchie conoscenze dell’Italia. Per Roberto Baggio era l’ultimo mondiale, per il giovane Alessandro Del Piero doveva essere la consacrazione a livello di nazionale dopo aver vinto tutto con la Juventus. Finì che Del Piero, dopo una stagione conclusasi con 30 goal ufficiali tra campionato e coppe, e una finale di Champions League, andò incontro a un calo fisico conseguenza di un infortunio nel finale di stagione, e non rese secondo le aspettative, e Baggio regalò gli ultimi acuti della sua carriera azzurra. Dopo un avvio incerto contro il Cile (2-2, Vieri, doppietta di Salas e rigore di Baggio), le cose si misero per il meglio contro il Camerun (Di Biagio e doppietta di Vieri) e l’Austria 2-1 (di nuovo Vieri e Baggio), anche se la vittoria fu pagata con la perdita di Nesta per infortunio. Gli ottavi videro l’Italia di fronte a un’altra vecchia conoscenza: fu per l’ennesima volta Vieri a dare all’Italia il punto con cui la Norvegia fu eliminata al Velodrome di Marsiglia. Nei quarti a Parigi l’incontro più voluto e temuto, quello contro i padroni di casa della Francia: probabilmente Maldini pagò un’impostazione troppo difensivistica e poco coraggiosa, non approfittando del fatto che anche i francesi temevano l’Italia. Nemmeno i supplementari servirono a smuovere il risultato, che fu deciso ai rigori. E per la terza volta in tre edizioni consecutive, gli Azzurri persero. Tragico eroe di giornata fu Luigi Di Biagio che vide il suo tiro stamparsi sulla traversa mentre il portiere francese Barthez esultava. La rinuncia a un centrocampo più tecnico per dar fiducia a degli onesti lavoratori senza fantasia fu un altro motivo di critica verso Maldini, che comunque dopo il campionato si dimise dall’incarico.

[modifica] Zoff

L’esperienza del pluridecorato Dino Zoff alla guida della Nazionale italiana fu breve ma intensa. Scelto per sostituire Maldini, Zoff vantava già come allenatore notevoli risultati, il più significativo dei quali, almeno a livello di nazionale, era quello di aver qualificato l’Italia alle Olimpiadi dopo quarant’anni (nel 1960 l’Italia era padrona di casa, e nel 1984 a Los Angeles si qualificò causa boicottaggio dei Paesi dell’Est). Zoff diede spazio a giovani di sicuro talento come il romanista Francesco Totti e Filippo Inzaghi, confermò l’assetto difensivo già collaudato da Maldini, e irrobustì il centrocampo con inserimenti di elementi affidabili come Gianluca Zambrotta, Stefano Fiore e Gianluca Pessotto. La squadra si qualificò al campionato europeo senza brillare, pareggiando fuori casa l’ultima partita contro la modesta Bielorussia. Comunque, ai nastri di partenza dell’undicesimo campionato europeo Belgio-Paesi Bassi 2000 l’Italia era tra le pretendenti al titolo e capitò in un girone che le mise via via davanti la Turchia (battuta 2-1, gol di Conte e Inzaghi su rigore), il Belgio padrone di casa (battuto 2-0, Totti e Fiore) la Svezia (regolata per 2-1 con le riserve in campo, gol di Di Biagio e Del Piero). Solo in Italia nel 1990 e in Argentina nel 1978 gli azzurri avevano vinto un girone a punteggio pieno. Contro la Romania, ai quarti di finale, Totti e Inzaghi segnarono i due gol che mandarono l’Italia in semifinale. All'Amsterdam Arena, in un clima ostile, la compagine di Zoff sfidò l'Olanda padrona di casa che puntava alla finale doi Rotterdam. La gara iniziò male per l'Italia: perso Zambrotta per doppia ammonizione a causa di due falli su Zenden (che sulla fascia stava mettendo in seria difficoltà lo juventino), gli azzurri rischiarono di capitolare. I Tulipani, tuttavia, sbagliarono due rigori: nel primo tempo con Frank De Boer (tiro parato da Toldo) e nel secondo con Kluivert (palo). L'assedio olandese alla porta italiana, durato 120 minuti, non produsse risultati, così la partita proseguì, per l’ennesima volta nella storia della nazionale, con i calci di rigore. Tra campionato europeo e campionato del mondo i quattro precedenti erano stati tutti fallimentari per gli azzurri. In quell'occasione, invece, i giocatori di Rijkaard furono molto imprecisi: dei tre rigori sbagliati, due furono parati da Toldo, che in totale ne neutralizzò tre in un solo incontro. Per la prima volta l’Italia vinse uno spareggio dagli undici metri.

In quell'occasione nacque il famoso cucchiaio, un rigore battuto di eleganza e senza forza, a spiazzare il portiere, che Totti aveva preannunciato di voler utilizzare al suo concittadino e rivale di derby Alessandro Nesta. Si tratta di un gesto tecnico molto rischioso, che richiede tranquillità e sicurezza dei propri mezzi, nonché, qualora effettuata durante uno spareggio ai calci di rigore, una buona dose di coraggio.

La finale a Rotterdam fu la riedizione dell'incontro di due anni prima contro la Francia, nel frattempo divenuta campione del mondo 1998. L'Italia giocò con ben altro ritmo rispetto all'incontro di Parigi e nel complesso espresse un gioco migliore rispetto agli avversari, ma ciò non fu sufficiente a vincere. Nel secondo tempo gli azzurri passarono in vantaggio con Delvecchio. Il francese Wiltord, però, trovò un gol incredibile al terzo minuto di recupero grazie a uno dei pochi svarioni difensivi di Cannavaro e nei tempi supplementari Trézéguet trovò il golden gol che diede alla Francia il suo secondo titolo di campione d’Europa.

L'allora leader dell'opposizione Silvio Berlusconi criticò pubblicamente il tecnico friulano, addebitando la causa della sconfitta italiana alla mancata marcatura di Zidane. Il 5 luglio Zoff si dimise irrevocabilmente attribuendo la causa del suo abbandono alle dichiarazioni di Berlusconi e perdendo così la chance di guidare l’Italia ai primi mondiali asiatici della storia.

[modifica] Il XXI Secolo

[modifica] Trapattoni

La nazionale italiana in tenuta da trasferta (2003)
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La nazionale italiana in tenuta da trasferta (2003)

A succedere a Dino Zoff sulla panchina azzurra venne chiamato Giovanni Trapattoni, allenatore vincente, che aveva già collezionato scudetti e coppe tra Juventus, Inter e Bayern Monaco. Affrontato senza problemi il girone di qualificazione ai mondiali, nel 2002 era pronto a guidare l’Italia nell’avventura del diciassettesimo campionato del mondo nella esotica cornice asiatica della Corea del Sud e del Giappone. La spedizione però, analogamente a quanto avvenne per il mondiale tedesco del 1974, fu un disastro. Così come allora, una Nazionale composta secondo criteri geopolitici e male assortita batté per 2-0 l’Ecuador prima di impantanarsi con la Croazia e perdere 2-1. Il successivo pari per 1-1 contro il Messico incise poco sulla qualificazione, dovuta solo all’Ecuador che batté la Croazia nell’ultima partita. L’ottavo di finale contro la Corea del Sud non fece altro che mettere in luce tutte le contraddizioni della nazionale azzurra: passata in vantaggio, non seppe chiudere il discorso in più di un’occasione, e non basta un arbitraggio chiaramente scadente, come quello di Byron Moreno a giustificare la prova insufficiente della squadra che subì il pareggio quasi in chiusura di partita e, infine, il golden goal ai supplementari.

Nonostante l’eliminazione venne riconfermata la fiducia a Trapattoni. In effetti, la squadra reagì bene e si qualificò al dodicesimo campionato europeo, in programma in Portogallo nel 2004. Ma una volta nel torneo, non seppe mostrare che a sprazzi ciò di cui era capace. Pareggio 0-0 all’esordio contro la Danimarca, pareggio per 1-1 contro la Svezia con un incredibile colpo di tacco di Ibrahimović e vittoria per 2-1 contro la Bulgaria. Cinque punti sarebbero potuti bastare, ma il pareggio per 2-2 tra Svezia e Danimarca (accompagnato da sospetti di combine), che finirono a pari punti dell’Italia, qualificò le due squadre scandinave in ragione del maggior numero di goal segnati a parità di differenza reti. Risultato, Italia eliminata e Trapattoni che lasciò l’incarico.

[modifica] Lippi e l’Italia di nuovo campione

Riscaldamento degli azzurri a Dublino prima dell’amichevole Irlanda-Italia dell’agosto 2005
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Riscaldamento degli azzurri a Dublino prima dell’amichevole Irlanda-Italia dell’agosto 2005

Il biennio 2004-2006, gestito da Marcello Lippi, è stato quello più ricco di soddisfazioni dai tempi di Bearzot. Giunto a rimpiazzare Trapattoni, Lippi esordì il 18 agosto 2004 perdendo 2-0 in amichevole a Reykjavík contro l’Islanda. Condotto con autorevolezza il girone di qualificazione al campionato del mondo, concluso con la qualificazione raggiunta con una gara d’anticipo, il sorteggio per la composizione dei gironi del diciottesimo campionato del mondo (Germania 2006) mise gli Azzurri di fronte a Ghana, Stati Uniti e Repubblica Ceca.

Le difficoltà che il gruppo azzurro dovette affrontare nella spedizione tedesca (domiciliata a Duisburg) furono principalmente di carattere extratecnico. Lo scandalo scoppiato a fine aprile 2006 riguardante numerose società di calcio di prima fila (Juventus, Milan, Fiorentina e Lazio) toccava di riflesso molti giocatori della nazionale, che da tali società provenivano. Lo stesso Lippi, con un figlio procuratore al soldo di una società rimasta implicata nello scandalo, non fu esente da critiche, ma rimase al suo posto per tutta la durata del torneo. L’esordio contro il Ghana fu positivo: un 2-0 ottenuto grazie a Pirlo e Iaquinta, senza brillare ma senza neppure correre rischi. Il successivo 1-1 contro gli Stati Uniti (Gilardino e autorete di Zaccardo) attenuò l'entusiasmo suscitato dalla partita precedente, ma bastò battere la Repubblica Ceca 2-0 (Materazzi e F. Inzaghi) per guadagnare la qualificazione alla seconda fase del torneo. Negli ottavi di finale l’Italia trovò l’Australia. Al termine di una gara molto combattuta fu un rigore di Totti al 95’ a sbloccare il risultato e a dare i quarti di finale all’Italia.

Per approfondire, vedi la voce Nazionale di calcio dell'Italia ai Mondiali 2006.

Mentre negli altri quarti Germania e Argentina da un lato del tabellone, e Francia e Brasile dall’altro procedevano a eliminarsi tra di loro, l’Italia regolava l’Ucraina nonostante la classe di Shevchenko: Zambrotta e una doppietta di Toni fissarono il risultato sul 3-0, che mandò gli Azzurri in semifinale contro uno degli avversari di sempre, la Germania. A Dortmund ci vollero ben 119’ per scongiurare il rischio dei calci di rigore - che gli italiani evidentemente volevano evitare con tutte le loro forze - con un gol del difensore Grosso. Il 2-0 firmato da Del Piero un minuto e mezzo dopo suggellò la supremazia tattica italiana sul campo. Di nuovo i nemici-amici della Francia in finale a Berlino, a regolar conti che duravano da sei anni. Il campo disse 1-1 dopo 120’ (rigore di Zidane, pareggio di Materazzi poco dopo) di partita equanimamante dominata, a sprazzi, da entrambe le parti. Zidane scelse proprio contro l’Italia di terminare una grande carriera nel peggior modo possibile, colpendo in petto Materazzi con una testata e facendosi espellere. La sequenza dei rigori merita di essere ricordata perché mai la Nazionale italiana aveva realizzato una serie completa senza errori: Pirlo, Materazzi, De Rossi, Del Piero e Grosso furono nell’ordine i cinque battitori. Per i Francesi, Wiltord, Abidal e Sagnol segnarono, mentre Trézéguet prese la traversa come Di Biagio otto anni prima a Parigi. Cancellato il ricordo del Mondiale 1998 e dell’Europeo 2000, l’Italia tornava campione del mondo per la quarta volta a 24 anni di distanza dall’ultima vittoria, e nello stesso stadio dove settant’anni prima aveva vinto la finale olimpica del 1936.

Per approfondire, vedi la voce Mondiali di calcio Germania 2006.

Lippi trasformò in forza quella che era un’apparente debolezza, cioè la mancanza di elementi di spicco nel gruppo. Questo fece sì che tutti i giocatori si sentissero responsabilizzati in egual misura. Non sorprende che il C.T., a parte i due portieri di riserva, avesse usato tutti i giocatori a sua disposizione e che ben 10 giocatori diversi fossero arrivati al gol con le soluzioni di gioco più disparate (cross in area per i giocatori alti, palla a terra, tiro da fuori e contropiede).

Lippi non aveva, comunque, dimenticato le polemiche della vigilia e, durante la prima conferenza stampa ufficiale al rientro in Italia, il 12 luglio 2006, rassegnò le sue dimissioni.

Il 14 luglio 2006 a ricordo della vittoria mondiale il governo italiano ha comunicato la realizzazione di un francobollo commemorativo dell’evento a cura di Poste Italiane.

[modifica] Il presente: Donadoni

Dal 13 luglio 2006 il commissario tecnico della nazionale è Roberto Donadoni, già calciatore di Atalanta e Milan e allenatore del Livorno fino al febbraio 2006. La prima partita diretta da Donadoni è stata un’amichevole giocata proprio allo Stadio "Armando Picchi" di Livorno, contro la Croazia, finita 2-0 per la squadra ospite. Nell’occasione è stata schierata una formazione largamente sperimentale, totalmente priva degli elementi che hanno vinto il campionato del mondo. Prima di Donadoni, gli altri ct italiani che avevano perso all'esordio in panchina erano stati Pozzo, Bearzot e Lippi, cioè i ct che hanno vinto i quattro titoli mondiali della nazionale italiana.

È del 2 settembre 2006 il primo incontro ufficiale della nazionale diretta da Donadoni (a Napoli): Italia - Lituania 1-1. Dopo un pesante rovescio contro la Francia il (6 settembre 2006 a Parigi) per 3-1, sono giunte le prime vittorie contro Ucraina (Roma, 7 ottobre) e Georgia (Tiblisi, 11 ottobre 2006), rispettivamente per 2-0 e 3-1. Tutte le citate partite sono valide per la qualificazione al campionato d’Europa del 2008.

[modifica] Colori e simboli

[modifica] Gli stemmi

Detto in altra sezione dell'origine dell'azzurro quale colore della rappresentativa nazionale (esteso poi alle altre discipline), bisogna aggiungere altresì che durante il fascismo sulle maglie era visibile un fascio littorio ricamato in oro che caricava lo stemma sabaudo già presente dal 1910. Questa fu tra l'altro la tenuta con cui l'Italia vinse i mondiali del 1934 e del 1938 nonché il titolo olimpico di Berlino nel 1936. Non era raro vedere usata, in quegli anni, una tenuta da gara completamente nera quale seconda uniforme di gioco.

Nel secondo dopoguerra, caduto il fascismo e abrogata la monarchia, la croce sabauda lasciò il posto a un tricolore originariamente raccolto in uno scudetto (di forma analoga a quello delle squadre campioni d'Italia di qualsiasi disciplina). Nel corso degli anni il tricolore sulle maglie ha cambiato varie volte forma (quadrangolare, trapezioidale, rotondo) e posizione, dal lato sinistro fino al centro dov'è attualmente.

Nel 1983, per celebrare la vittoria nel campionato del mondo dell’anno prima, tre stelle dorate sostituirono la scritta ITALIA sopra il tricolore; successivamente, il tutto fu rimpiazzato da un nuovo stemma tondo incorporante le tre stelle, la scritta ITALIA e il tricolore. Dal 1994 al 1999 lo stemma adottato fu una controversa e criticata “i” corsiva con tanto di puntino laterale blu, contenente i soliti elementi (stelle e tricolore) più la scritta Federazione Italiana Giuoco Calcio. Tale stemma ricordava vagamente il logo dello sponsor istituzionale dell’epoca (la Italiana Petroli). Nel 1999 si tornava al tradizionale scudo tricolore, ristilizzato poi per motivi di marketing nel 2005, adottato dalla FIGC come nuovo logo: uno scudetto dai bordi squadrati con all’interno le tre stelle dei mondiali vinti (quattro dal luglio 2006). Le stelle compaiono su autorizzazione della FIFA, che dalla metà degli anni '90 permise alle federazioni di portare sulla maglia tante stelle quanti sono i campionati del mondo vinti.

La forma attuale è tornata a ricordare lo scudetto originario seppur rivisto alla luce dell'evoluzione del design, anche se non mancano i nostalgici per la vecchia maglia con un semplice scudetto tricolore e la scritta sovrastante ITALIA in maiuscolo.


[modifica] L’uniforme

Le maglie delle nazionali, almeno fino agli anni '70, erano anonime e spartane. A partire dalla metà dei Settanta fecero ingresso massiccio gli sponsor tecnici, che si accreditarono come fornitori unici di tutto l'equipaggiamento della nazionale (a eccezione delle scarpe, che ogni calciatore sceglieva e tuttora sceglie a seconda della propria comodità).

Fino al 2000 gli accordi di fornitura tra la FIGC e i vari fornitori tecnici che si sono alternati negli anni vietavano a questi ultimi di marchiare con stemmi o elementi estranei la divisa ufficiale della Nazionale, caso raro al Mondo. Oggi tali marchi sono perfettamente visibili. I vari sponsor tecnici che negli ultimi trent'anni si sono avvicendati nella fornitura di equipaggiamenti alla Nazionale italiana sono stati l'Adidas (1974-1978), Le Coq Sportif (1979-1984), Diadora (1985-1994), Nike (1995-1999), Kappa (2000-2002) e attualmente Puma (2003-2014).

Da quando la FIGC ha raggruppato sotto il proprio coordinamento tutto il calcio giocato in Italia, anche la situazione-uniformi è stata normalizzata, per cui tutte le nazionali maschili e femminili di qualsiasi categoria e specialità vestono lo stesso marchio e usano lo stesso equipaggiamento dello sponsor tecnico del momento.

Per quanto riguarda invece la foggia delle maglie, essa non ha avuto grossi cambiamenti nel tempo, adeguandosi se del caso più o meno blandamente alla moda del momento, almeno a partire dagli anni ottanta: se infatti fino ad allora la tenuta era sostanzialmente rimasta alla maglia girocollo e pantaloncini bianchi (con alcune variazioni tipo i calzettoni neri degli anni sessanta, poi anch'essi azzurri), nel corso dei mondiali del 1982 troviamo un collo a V ornato da bordini tricolori, nel 1994 da minuscoli triangolini tricolori, a partire dagli europei del 2000 nel caso del modello Kombat di Kappa, la nazionale adottò un modello molto attillato e elasticizzato, che fece moda per un certo periodo. Fatto curioso riguarda le divise Nike del periodo 1996-1998, caratterizzate da delle inspiegabili orlature inferiori di color marrone e una scritta "ITALIA" che creò molto disappunto, dato che andava a cadere proprio sulle natiche dei calciatori. Dal 2002 i numeri della divisa sono passati da bianchi a color oro. Nel 2006 sono comparse delle vistose sfumature blu scuro sui bordi, mentre sulla maglia bianca vi è un triangolino azzurro che parte dal collo.

[modifica] Galleria delle uniformi

[modifica] Record individuali

Tabella aggiornata al 12 ottobre 2006. L'asterisco indica giocatori ancora in attività, le statistiche dei quali possono cambiare in futuro prossimo. I giocatori con due asterischi sono giocatori in attività ma che hanno annunciato il ritiro dalla nazionale.

Record presenze

# Giocatore Periodo Presenze

1

Paolo Maldini** 1988-2002 126

2

Dino Zoff 1968-1983 112

3

Fabio Cannavaro* 1997-2006 105

4

Giacinto Facchetti 1963-1977 94

5

Franco Baresi 1982-1994 81

5

Giuseppe Bergomi 1982-1998 81

5

Marco Tardelli 1976-1985 81

8

Alessandro Del Piero* 1995-2006 80

9

Demetrio Albertini 1991-2002 79

10

Gaetano Scirea 1975-1986 78

Record gol

# Giocatore Gol

1

Gigi Riva 35

2

Giuseppe Meazza 33

3

Silvio Piola 30

4

Roberto Baggio 27

4

Alessandro Del Piero* 27

6

Adolfo Baloncieri 25

6

Alessandro Altobelli 25

8

Francesco Graziani 23

8

Christian Vieri* 23

8

Filippo Inzaghi* 23

[modifica] Lista dei commissari tecnici

La nazionale italiana è stata guidata da 27 commissioni tecniche (inizialmente formate solitamente da arbitri, poi anche da allenatori) e da 15 commissari tecnici (tra cui Pozzo, che è stato il primo e che è tornato in panchina altre due volte).

[modifica] Calciatori celebri

[modifica] Passato

Lista di giocatori importanti che hanno vestito la maglia della nazionale e ormai ritirati dal calcio giocato.

   

[modifica] Presente

Quella che segue è una lista di calciatori tuttora in attività tra i più convocati in Nazionale. Quelli con l’asterisco - pur attivi - hanno di fatto smesso la loro collaborazione con la maglia azzurra.

[modifica] Palmarès

Mondiali

Anno Risultato
1930 Non presente
1934 Campione
1938 Campione
1950 Primo turno
1954 Primo turno
1958 Non qualificata
1962 Primo turno
1966 Primo turno
1970 Secondo posto
1974 Primo turno
1978 Quarto posto
1982 Campione
1986 Ottavi di finale
1990 Terzo posto
1994 Secondo posto
1998 Quarti di finale
2002 Ottavi di finale
2006 Campione

Europei

Anno Risultato
1960 Non presente
1964 Non qualificata
1968 Campione
1972 Non qualificata
1976 Non qualificata
1980 Quarto posto
1984 Non qualificata
1988 Semifinalista
1992 Non qualificata
1996 Primo turno
2000 Secondo posto
2004 Primo turno
Olimpiadi

1928
1936
2004

Bronzo
Oro
Bronzo

Legenda:
Grassetto: Risultato migliore
Corsivo: Mancate partecipazioni
: Vittoria

Europei Under-21

Anno Risultato
1978 Quarti di finale
1980 Quarti di finale
1982 Quarti di finale
1984 Semifinale
1986 Secondo posto
1988 Quarti di finale
1990 Semifinale
1992 Campione
1994 Campione
1996 Campione
1998 non qualificata
2000 Campione
2002 Semifinali
2004 Campione
2006 Primo turno

Coppa internazionale

Anno Risultato
1927-30 Campione
1931-32 Secondo posto
1933-35 Campione
1948-53 Quarto posto
1954-60 Quinto posto

[modifica] Partite storiche

Nella storia della nazionale di calcio ci sono alcuni incontri che rimangono negli annali, sia per il risultato, sia per il pathos che hanno generato nei tifosi, anche a distanza di anni.

[modifica] Staff

Lo staff della nazionale si compone del Presidente federale, che ha fra i suoi compiti quello di seguire la nazionale, il commissario tecnico, che allena, convoca e schiera in campo gli atleti ed è assistito da due vice-allenatori. Ad aiutare gli allenatori, ci sono i dirigenti accompagnatori e il capo delegazione, i medici e gli osservatori, che assistono ai match degli avversari.

[modifica] Curiosità

  • I Tedeschi hanno - se così si può dire - ricambiato l’ospitalità concessa a suo tempo dagli Italiani: nel 1980 e nel 1990 essi vinsero rispettivamente il campionato d’Europa e quello del mondo entrambi organizzati in Italia, anche se in entrambi i casi le due nazionali non si incontrarono; per vincere il campionato del mondo 2006 organizzato dai Tedeschi, invece, gli Azzurri li hanno eliminati battendoli dove non avevano mai perso, a Dortmund.
  • Più in generale Tedeschi e Italiani si sono dimostrati molto ospitali negli ultimi trent’anni: nessuno dei tornei organizzati nei due Paesi è stato vinto dalla squadra di casa (Euro 1980 e Italia ’90; Euro 1988 e Germania 2006); sia Italia che Germania hanno tuttavia vinto i loro due ultimi tornei fuori casa.
  • Per la prima volta dopo 24 anni (e per la quarta volta in assoluto), tutte e quattro le semifinaliste del campionato del mondo 2006 erano europee, e nelle tre occasioni su quattro in cui l’Italia ha fatto parte del gruppo, alla fine ha vinto il torneo. Nel 1982 tre su quattro semifinaliste erano le stesse dell'edizione 2006, con il Portogallo nel torneo più recente (24 anni prima era stata la Polonia a raggiungere le semifinali). Le altre due edizioni in cui il campionato del mondo si trasformò in europeo furono quella del 1966 (Inghilterra, Germania, Portogallo e Unione Sovietica) e del 1934 (Italia, Cecoslovacchia, Germania, Austria).
  • Anche nel campionato 1982 l’Italia segnò 12 goal in 7 incontri.
  • Altra analogia con il citato campionato 1982 è la presenza di una squadra oceanica: allora fu la Nuova Zelanda, nel 2006 l’Australia.
  • L’Udinese vanta due campioni del mondo italiani: nel 1982 fu Franco Causio, nel 2006 è stato Vincenzo Iaquinta. La curiosità è che entrambi vestivano la maglia numero 15 nel corso dei rispettivi campionati mondiali.
  • A partire dal 1970 l’Italia arriva in finale ogni dodici anni, alternando sconfitta e vittoria.
  • L’Italia ha giocato sei finali del campionato del mondo. Ne ha vinte quattro e le due sconfitte sono venute entrambe dal Brasile, che vinse anche la finale del terzo posto in Argentina (1978). Quando l’Italia ha affrontato il Brasile in un qualsiasi turno eliminatorio diverso dalla finale, lo ha sempre sconfitto e ha poi vinto il campionato (Francia 1938, semifinale, Italia - Brasile 2-1; Spagna 1982, seconda fase, Italia - Brasile 3-2).
  • L’Italia vanta anche un altra singolarità: quando ancora non erano stati introdotti gli spareggi ai calci di rigore, essa fu la prima nazionale a vincere una semifinale per sorteggio (Italia - URSS 0-0 a Napoli, semifinale di Euro 1968) e, successivamente, la prima e l’unica a giocare una doppia finale per ripetizione (Italia - Jugoslavia 1-1 e 2-0, torneo citato).
  • Nell’era dei calci di rigore, invece, le uniche due finali mondiali risolte con tale metodo di spareggio hanno visto protagonista l’Italia, la prima volta con esito negativo per gli Azzurri (USA 1994, Brasile - Italia 3-2 (0-0)), la seconda positivo (Germania 2006, Italia - Francia 5-3 (1-1)).
  • L’Italia scelse di non prender parte sia al primo campionato del mondo che al primo campionato d’Europa.
  • L’Italia non prese parte (per mancata qualificazione) ai due tornei organizzati dalla Svezia, il Mondiale 1958 ed Euro 1992. In totale, a parte i due casi summenzionati, l’Italia ha mancato in totale la fase finale di un campionato del mondo (il citato torneo svedese) e di cinque campionati d’Europa (il citato, più quello del 1964 in Spagna, del 1972 in Belgio, del 1976 in Jugoslavia e del 1984 in Francia).
  • La bestia nera dell’Italia a livello ufficiale fu l’Unione Sovietica. In cinque incontri i sovietici non persero mai, vincendo tre volte e pareggiando due: qualificazione a Euro 1964 (0-2, 1-1); primo turno al Mondiale 1966 (0-1); semifinale di Euro 1988 (0-2). Il pareggio per 0-0 nella semifinale di Euro 1968 divenne la citata vittoria al lancio della monetina.
  • Esclusa la Corea del Nord, mai più incontrata dal 1966, la nazionale che vanta la più lunga imbattibilità contro l’Italia è quella della Francia: l’ultima vittoria ai tempi regolamentari o supplementari risale al 2 giugno 1978, primo turno del Mondiale d’Argentina, Italia - Francia 2-1 (Lacombe, Rossi e Zaccarelli) l'imbattibilità della Francia si è conclusa a Berlino il 9 Luglio 2006 dove l'Italia battendo la Francia ha conquistato il suo 4° titolo mondiale.
  • In tema di spareggio ai calci di rigore in tornei ufficiali, la nazionale A attualmente vanta un bilancio di 2 vittorie (Euro 2000, semifinale; Mondiale 2006, finale) e 4 sconfitte (Euro 1980, finale per il terzo posto; Mondiale 1990, semifinale; Mondiale 1994, finale; Mondiale 1998, quarti di finale).
  • Per quanto riguarda le curiosità non strettamente calcistiche, le ultime due finali mondiali vittoriose sono state giocate a Berlino e a Madrid. Entrambe le città hanno un orso nello stemma civico.

[modifica] Voci correlate

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