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Tommaso d'Aquino - Wikipedia

Tommaso d'Aquino

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«Tu non possiedi la Verità, ma è la Verità che possiede te.»
(Tommaso d'Aquino, De veritate)
San Tommaso d'Aquino
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San Tommaso d'Aquino

Tommaso d'Aquino (Aquino/Roccasecca, 1224/1225 - Fossanova, 1274), filosofo scolastico e teologo, detto "Doctor Angelicus" o "Doctor Universalis" dai contemporanei, è uno dei principali pilastri teologici della Chiesa cattolica, che lo venera come santo, lo considera Dottore della Chiesa e lo festeggia il 28 gennaio. Egli è anche il punto di raccordo fra la cristianità e la filosofia classica, che ha i suoi fondamenti e maestri in Aristotele, Platone e Socrate, poi passati attraverso il periodo ellenistico della tarda grecità.

Indice

[modifica] Biografia

Tommaso d'Aquino nacque a Roccasecca, nel feudo dei conti d'Aquino (Frosinone) nel 1224/1225 e morì nel convento di Fossanova nel 1274. La sua tomba si trova presso il convento "des Jacobins" a Tolosa, in Francia.

[modifica] Gli studi e la filosofia

Figlio di Landolfo, nobile di origine longobarda, e Teodora, il piccolo Tommaso, a soli cinque anni, fu inviato nella vicina Abbazia di Monte Cassino per ricevere l'educazione religiosa.

A quattordici anni si trasferì a Napoli, dove si dedicò allo studio delle arti all'Università, presso il convento di San Domenico Maggiore. È così che, pur fortemente ostacolato dalla famiglia, fece richiesta nel 1244 di essere ammesso all'Ordine domenicano.

I suoi superiori, avendone intuito il precoce talento, e per consentirgli il completamento degli studi, lo inviarono a Parigi, ma il giovane, prima che potesse giungervi, fu catturato dai suoi familiari e ricondotto al castello paterno di Monte San Giovanni. Il periodo di prigionia, che durò un anno, fu caratterizzato dalle pressioni della famiglia che voleva fargli rinunciare all'abito domenicano, e si concluse, per intercessione di papa Innocenzo IV, con la liberazione (o, secondo alcuni biografi, con la fuga) di Tommaso.

Dopo brevi soggiorni, prima a Napoli e poi a Roma, nel 1248 giunse a Colonia per seguire le lezioni di Alberto Magno, filosofo e teologo tedesco che cercò di conciliare il Cristianesimo con l'Aristotelismo. In seguito, Tommaso volle essere l'esecutore del progetto del suo maestro. Dal 1252 insegnò all'Università di Parigi, iniziando come baccalarius biblis, e dopo 4 anni poté tenere la sua prima lezione in cattedra.

Nel frattempo, Tommaso combatté contro gli averroisti (seguaci del filosofo arabo Averroè, che aveva dato una particolare interpretazione del "De anima" di Aristotele, secondo la quale l'anima umana singolarmente presa è immortale), che ritenevano la fede inconciliabile con la ragione: "La fede è per le anime semplici, la filosofia per le persone colte". Tommaso si batté anche contro gli agostiniani, che ritenevano inconciliabile l'Aristotelismo con la fede.

Secondo il pensiero di Tommaso:

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«Pensiero e ragione si possono conciliare, anzi, la ragione serve a pianificare alcuni enigmi della fede, anche se l'intelletto umano è limitato. Lo scopo della fede e della ragione è lo stesso, se poi la ragione si trova in contrasto con la fede deve cedere a questa.»

Il fatto che Dio esista ci è dato dalla fede, ma, mentre Anselmo d'Aosta procedeva a priori nella sua prova ontologica dell'esistenza di Dio, Tommaso procede sia a priori che a posteriori. Le sue prove dell'esistenza di Dio sono cinque:

  • "Ex Motu" (cioè "dal moto": tutto ciò che si muove esige una causa prima perché, come insegna Aristotele, "Non si può andare all'infinito nella ricerca delle cause")
  • "Ex Causa" (cioè "dalla causa": ogni effetto ha bisogno di una causa; necessità di una causa prima incausata)
  • "Ex Contingentia" (cioè "dalla contingenza": poiché tutte le cose esistono, ma potrebbero non esistere, non hanno in sé la ragione della loro esistenza e, quindi, rimandano ad un essere necessario)
  • "Ex Gradu" (cioè "dal grado": le cose hanno diversi gradi di perfezione, ma solo un grado massimo di perfezione rende possibile gli stadi intermedi)
  • "Ex Fine" (cioè "dal fine": tutte le cose nell'universo sono ordinate secondo uno scopo, quindi, ci deve essere un'intelligenza che le ordina così)

Tommaso, che riteneva la conoscenza acquisibile solo attraverso la sensibilità, rifiuta la visione della conoscenza di Agostino, che pensava che questa avvenisse tramite l'illuminazione divina. La conoscenza degli universali, però, appartiene solo alle intelligenze angeliche; noi, invece, conosciamo gli universali post-rem, ossia li ricaviamo dalla realtà sensibile. Soltanto Dio conosce ante-rem. La conoscenza è, quindi, un adeguamento dell'anima o dell'intelletto alla cosa, espresso nella formula " Veritas est adequatio rei at intellectus" ("La verità sta nell'adeguarsi dell'intelletto alla cosa").

Nel 1259 tornò in Italia: strinse amicizia con Guglielmo di Moerbecke (grande traduttore di Aristotele) e collaborò ad alcuni scritti con papa Urbano IV, presso il convento di Orvieto, dove il pontefice si era temporaneamente stabilito. Su incarico di Urbano IV, compose l'Ufficio e gli inni per la festa del Corpus Domini appena istituita (8 settembre 1264), tra cui spicca il canto del Tantum ergo, che la liturgia cattolica ancor oggi eleva alla benedizione col Santissimo Sacramento.

Successivamente, si recò a Roma, per organizzare i corsi dello Studio di santa Sabina e, nel 1267, il papa Clemente IV lo chiamò con sé a Viterbo, dove predicò spesso dal pulpito della chiesa di Santa Maria Nuova. È proprio durante gli anni trascorsi in Italia che compose numerose opere come la "Summa contra gentiles", il "De regimine principium", il "De unitate intellectus contra Averroistas" e buona parte del suo capolavoro, la "Summa Theologiae", fonte d'ispirazione della teologia cattolica fino ai nostri giorni.

Nel 1269 fu richiamato a Parigi dai suoi superiori ed iniziò, attraverso una strenua difesa teologica degli Ordini mendicanti, la sua opera di confutazione del Neoplatonismo agostiniano (in contrapposizione al suo Aristotelismo) ed agli errori dottrinari avveroisti. Nel 1272, chiamato da Carlo I d'Angiò, fu nuovamente a Napoli e si occupò della riorganizzazione degli studi teologici presso il convento di San Domenico, presso cui era annessa la locale Università. Fu in questo periodo che Tommaso fece sì che la sua "Summa Theologiae" restasse incompiuta (l'ultimo trattato è il "De Poenitentia"), confidando, secondo la leggenda, all'amico Reginaldo: Non posso più; tutto ciò ho scritto mi sembra paglia.

Nel gennaio del 1274 papa Gregorio X gli ordinò di presenziare al Concilio di Lione II, per verificare in cosa consistessero le divergenze tra la Chiesa latina e quella greca, e se fosse possibile appianarle; Tommaso, anche se non in buone condizioni di salute, si mise in viaggio. Durante il tragitto si fermò presso il castello di Maenza, da una nipote, ma il suo male si aggravò. Dal momento che desiderava finire i suoi giorni in un monastero, e non essendo in condizione di raggiungere una casa dei Domenicani, fu portato all'abbazia cistercense di Fossa Nuova (oggi Fossanova), a poca distanza da Priverno (in provincia di Latina), dove, al termine di una malattia durata qualche settimana, morì il 7 marzo 1274.

Le spoglie di Tommaso d'Aquino sono conservate nel convento dei Giacobini a Tolosa.

[modifica] Ipotesi sulla morte di Tommaso

Dante Alighieri, nella Commedia (Purgatorio, canto XX, v. 69) sostiene che il teologo sia stato avvelenato per ordine di Carlo d'Angiò; il Villani (Cronache IX, 218) riprende questa credenza, mentre l'Anonimo Fiorentino descrive il crimine e le sue motivazioni. Il Muratori, al contrario, riproducendo il resoconto di uno degli amici del teologo, non fa accenni ad eventuali congiure.

[modifica] Importanza ed eredità

San Tommaso fu uno dei pensatori più eminenti della filosofia Scolastica, che verso la metà del XIII secolo aveva raggiunto il suo apogeo. Egli indirizzò diversi aspetti della filosofia del tempo: la questione del rapporto tra fede e ragione, le tesi sull'anima (in contrapposizione ad Averroé), le questioni sull'autorità della religione e della teologia, che subordina ogni campo della conoscenza. Tali punti fermi del suo pensiero furono difesi da diversi suoi seguaci successivi, tra cui Reginaldo di Piperno, Tolomeo da Lucca, Giovanni di Napoli, il domenicano francese Giovanni Capreolus e Antonino di Firenze. Infine, però, con la lenta dissoluzione della Scolastica, si ebbe, parallelamente, anche la dissoluzione del Tomismo.

Oggigiorno, tuttavia, il pensiero di Tommaso d'Aquino trova ampio consenso anche in ambienti non cattolici (studiosi protestanti statunitensi, ad esempio) e perfino non cristiani, a causa del suo metodo di lavoro, fortemente razionale ed aperto a fonti e contributi di ogni genere: la sua indagine intellettuale procedeva dalla "Bibbia" agli autori pagani, dagli ebrei ai musulmani, senza alcun pregiudizio, ma tenendo sempre il suo centro nella Rivelazione cristiana, alla quale ogni cultura, dottrina o autore antico faceva capo.

Il suo operato culmina nella "Summa Theologiae" (cioè "Il complesso di teologia"), in cui tratta in maniera sistematica il rapporto fede-ragione ed altre grandi questioni teologiche.

Agostino vedeva il rapporto fede-ragione come un circolo ermeneutico (dal greco "ermeneuo", cioè "interpreto") in cui "credo ut intelligam et intelligo ut credam" (ossia "credo per comprendere e comprendo per credere"). Tommaso porta la fede su un piano superiore alla ragione, affermando che dove la ragione e la filosofia non possono proseguire inizia il campo della fede ed il lavoro della teologia. Dunque, fede e ragione sono certamente in circolo ermeneutico e crescono insieme sia in filosofia che in teologia; ma, mentre la filosofia parte da dati dell'esperienza sensibile o razionale, la teologia inizia il circolo con i dati della fede, su cui ragiona per credere con maggiore consapevolezza e conoscenza dei misteri rivelati. La ragione, ammettendo di non poterli dimostrare, riconosce che essi, pur essendo al di sopra di sé, non sono mai assurdi o contro la ragione stessa: fede e ragione, sono entrambe dono di Dio, e non possono contraddirsi. Questa posizione, ovviamente, esalta la ricerca umana: ogni verità che io posso scoprire non minaccerà mai la Rivelazione; anzi, rafforzerà la mia conoscenza complessiva dell'opera di Dio e della Parola di Cristo. Si vede qui un esempio tipico della fiducia che nel Medioevo si riponeva nella ragione umana. Nel XIV secolo queste certezze andranno in crisi, coinvolgendo l'intero impianto culturale del periodo precedente.

La teologia, in ambito puramente speculativo, rispetto alla tradizione classica, è considerata una forma inferiore di sapere, poiché usa le armi della filosofia senza partire da qualcosa che abbia la forza della necessità filosofica, ma Tommaso fa notare, citando Aristotele, che non si può mai dimostrare tutto (sarebbe necessario un processo all'infinito), ed anche che si possono distinguere due tipi di scienze: quelle che esaminano i propri principi e quelle che ricevono i principi da altre scienze, costruendo sopra di essi come su dati validi. La teologia, rivalutata, si costruisce le basi della sua "substantia". L'ideale, per uno spirito concreto come Tommaso, sarebbe superare la fede e raggiungere la conoscenza, ma, sui misteri fondamentali della Rivelazione, questo non è possibile nella vita del corpo. Avverrà nella vita eterna dello Spirito.

Il sapere teologico è più elevato per l'importanza assoluta e fondamentale delle sue "ipotesi", da cui parte poi a ragionare e sulle quali cresce il suo essere; esso è un moto a spirale della conoscenza che muove da un'ipotesi, cioè un atto di fede, guardando Dio e l'eternità. Per l'uomo è più importante dei ragionamenti necessari che un filosofo è riuscito a dimostrare. La filosofia è dunque "ancilla theologiae" e "regina scientiarum", primo fra i saperi delle scienze. Il primato del sapere teologico non è nel metodo, ma nei contenuti divini che affronta, per i quali è sacrificabile anche la necessità filosofica.

Il punto di discrimine fra filosofia e teologia è la dimostrazione dell'esistenza di Dio; dei due misteri fondamentali della Fede (Trinitario e Cristologico), la ragione può dimostrare solamente l'esistenza di Dio e che questo Dio non può che essere Trinitario, il paradosso razionale, che la ragione non può spiegare: un Dio Uno e Trino. Il maggior servizio che la ragione può fare alla fede è che dimostrare l'esistenza di un Dio non Trinitario è altrettanto irrazionale quanto la sua affermazione, perché i motivi per non credere al Dio che emerge dal Nuovo Testamento non sono maggiori di quelli che si hanno per credere ad un'altra divinità o per essere atei. La ragione fornisce un secondo aiuto alla fede: mostrare che da questo mistero scaturiscono conseguenze non contraddittorie fra loro (il mistero stesso è l'ipotesi-premessa razionale). La ragione non può entrare nella parte storica dei misteri religiosi, può mostrare solo prove storiche che tal "profeta" è esistito, ma non che era Dio, e il senso della Sua missione, che è appunto un dato, un fatto a cui si può credere o meno.

Il primato della teologia sarà fortemente discusso nei secoli successivi, ma sarà anche lo studio praticato da tutti i filosofi cristiani nel Medioevo e oltre, tant'è che Pascal fece la sua famosa "scommessa" ancora nel XVII secolo. La teologia era questione sentita dal popolo nelle sacre rappresentazioni, era il mondo dei medioevali e degli zelanti studenti che attraversavano a piedi le paludi di Francia per ascoltare le "lectiones" dell'Aquinate nella prestigiosa Università "Sorbonne" di Parigi, incontrandosi da tutta Europa.

[modifica] Tomismo

Il suo pensiero filosofico, da molti considerato il più significativo dell'età medievale, viene definito Tomismo.

[modifica] Il metodo della metafisica

La metafisica studia la realtà tutta secondo l’orizzonte più ampio possibile e non si occupa delle singole determinazioni del reale, che sono oggetto delle scienze particolari, ma la studia in quanto tale.

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«"La scienza filosofica riguarda l’ente in quanto ente, cioè considera l’ente dal punto di vista della ratio universale di ente, e non dal punto di vista della ratio specifica di qualche ente particolare" In Met. XI, l.3 n.1»

La realtà colta nella sua assolutezza ci rivela la sua struttura e i suoi principi che sono così evidenti da abbagliarci, tanto che se è impossibile coglierne in modo completo la verità, è altrettanto impossibile non coglierla in modo assoluto.

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«"Come gli occhi della nottola sono abbagliati dalla luce del sole che non riescono a vedere, ma vedono bene le cose poco illuminate, così si comporta l’intelletto umano di fronte ai primi principi, che sono tra tutte le cose, per natura, le più manifeste" In Met. II, l.1 n.10»

Ecco perché lo studio della metafisica è facile e difficile allo stesso tempo. Facile perché i principi di cui tratta sono ovvi e di per sé noti a tutti tanto da essere impliciti in ogni discorso umano. Difficile perché, per quanto siano ovvi, questi principi non sono banali e non li si coglie mai in tutta la loro profondità.

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«In Symbolum, proemium: "...la nostra conoscenza è talmente debole che nessun filosofo ha mai potuto investigare in modo esaustivo la natura di una singola mosca..."»

[modifica] I principi della metafisica

La verità dei principi non si afferma da sola, ed è sempre colta in modo umano, ossia imperfetto; per questo al filosofo è chiesta un’umile disposizione d’animo per accoglierla. Per invenire questa verità nascosta non si può partire da principi, perché sono proprio quelli che si stanno indagando, ma si deve fare un’analisi fenomenologica della realtà e dell’esperienza dell’uomo per far venire a galla il non detto del detto, ossia ciò che necessariamente si deve ammettere, anche solo implicitamente, perché quello che si dice sia un dire sensato.

Così come un illetterato può parlare correttamente la sua lingua pur non conoscendo le regole della grammatica, e solo studiando la sintassi si rende conto delle regole che ordinano il suo parlare; regole che peraltro anche ignorandole venivano da lui usate anche prima di conoscerle. Così tutti gli uomini nel loro pensiero e nel loro parlare usano correttamente i principi della metafisica, almeno implicitamente, e il compito del filosofo è condurre alla luce della ragione questi principi.

La grande forza della filosofia aristotelico - tomista è mettere in evidenza quei principi così innati nella ragione che, essendo verissimi, è persino impossibile pensare di negarli, perché nel momento in cui li si nega ne si fa surrettizio uso, e quindi li si riafferma.

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«Contra Gentiles I, c.7 n.2: "I principi innati nella ragione si dimostrano verissimi: al punto che non è neppure possibile pensare che siano falsi."»

[modifica] Il metodo elenchico

È da questa osservazione che nasce il famoso metodo confutativo (o elenchico), che confronta diverse tesi poste nell’agone della dialettica per scartare quelle che si mostrano contraddittorie, o quelle che risultano estranee all’esperienza.

I percorsi per invalidare una tesi metafisica sono, infatti, due: nel primo si mostra l’intrinseca contraddittorietà di quegli assunti che implicano la negazione e l’affermazione della stessa cosa nel medesimo tempo e sotto il medesimo aspetto; nel secondo si evidenzia l’insostenibilità di tesi che non hanno riscontro nell’esperienza comune e che quindi, non rientrando nell’indagine razionale, sono catalogabili come opinione o fede.

Il metodo confutativo procede per negazioni: scartando le dottrine contraddittorie e insostenibili fa emergere, come una statua da un blocco di marmo, la verità, e perché la figura che viene mano a mano emergendo sia ben definita, bisogna ricercare tutte le tesi possibili per vagliarle e ottenere, per negazione, una verità sempre più profonda.

In questa incessante ricerca non esiste un oggetto d’indagine perché chi ricerca si ritrova a studiare anche se stesso, il suo pensiero e il suo linguaggio. È più corretto dire allora che la metafisica abbia un tema, un tema che è come un orizzonte unico e ampio fino a comprendere tutto, la realtà e chi la indaga.

In proposito è bene ricordare che non è possibile separare acriticamente l’oggetto dal soggetto conoscente giacché:

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«"uno e identico è l’atto del sentito e del senziente" (De Anima III, l.2 n.9)»

per cui l’oggettività della cosa conosciuta, l’oggettività dell’oggetto, si risolve tutta nell’essere conosciuto ossia presente, e la soggettività del soggetto si risolve tutta nella presenza dell’oggetto. Soggetto e oggetto sono due concetti distinti ma non separabili, in quanto l’uno è tale grazie alla presenza dell’altro.

[modifica] L'essere, il pensiero e il linguaggio

L’essere, il pensiero e il linguaggio sono i poli del tema della metafisica, sono diversi modi di un’unica realtà, e questo non perché si stabilisce arbitrariamente che il pensiero dell’uomo sia rivelatore della realtà, bensì perché non è possibile che sia altrimenti. Il pensiero è sempre pensiero dell’essere, e l’essere è sempre colto nel pensiero. Ipotizzare una dimensione alternativa, come per esempio l’esistenza di una realtà che fugga di per sé la nostra conoscenza, è agli occhi del filosofo una tesi acritica e insostenibile in sede filosofica, essa può al massimo essere considerata come opinione o fede.

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«De Veritate, q.11 a.1 - co: "Se invero uno propone ad un altro cose che non sono incluse nei principi per sé noti, o che non appaiono chiaramente incluse, non produrrà in lui sapere, ma forse opinione o fede"»

L’unità intenzionale di essere e pensiero è l’esperienza stessa, intesa come insieme di conoscenze, sentimenti, cultura, vita e storia. L’esperienza è per questo un tema onnicomprensivo, circoscrivente e non circoscritto, tale da escludere assolutamente che ci si possa porre al di fuori di essa.

Nello studio della metafisica non esiste un inizio privilegiato, proprio perché essa non ha un oggetto isolato di indagine, ma un tema (e come tale non è possibile vederlo dal di fuori), non è possibile partire da principi e dedurre conclusioni, come si usa invece fare con le scienze esatte. Ogni esperienza non ci si presenta mai in modo di per sé concluso, ma la si coglie solo nel suo riferimento organico con tutte le altre esperienze.

L’identità di una singola cosa la si vede nella differenza dalle altre, e la differenza tra le cose la si vede nell’identità dei singoli; identità e differenza si intendono solo dialetticamente e si semantizzano reciprocamente (In Met. X, l.4 nn.33-34). Tutte le singole cose si relazionano a tutto, ogni entità viene intesa nella relazione con tutte le altre, e all’uomo non è possibile esaurire la verità su di una cosa, perché questa coinvolge il tutto. Se, per esempio, volessimo capire tutta la verità della Divina Commedia, non potremo esimerci dallo studiare l’autore e il suo pensiero, e così ancora dovremo studiare il suo tempo e la mentalità della sua gente. Quindi si dovrebbe recuperare tutta la storia precedente per capire come è potuto nascere un tale poeta, e la storia successiva per vedere come ha influenzato la società, e così ogni nuovo elemento ne richiede un altro, in una continua correlazione.

[modifica] Un sistema filosofico

Ma quando anche fossimo riusciti ad esaurire tutte le possibili relazioni della realtà, cosa impossibile vista la nostra finitezza, e fossimo in grado di costruire un enorme e straordinario puzzle dove ogni pezzo si incastra perfettamente con gli altri, e l’insieme ci si rivelasse come un grandioso disegno di cui allora capiremmo, forse, il senso, avremo allora finito le nostre domande? Potremmo dichiarare chiuso il problema della filosofia? Assolutamente no. Perché quando anche potessimo vedere l’insieme del puzzle, che ripeto è cosa ineseguibile essendo noi stessi una tessera di quel puzzle, avremo risposto a tutte le domande del come, ma rimarrebbero insolute quelle del perché. Perché questo disegno e non un altro? Perché questa realtà e non un’altra? Cosa giustifica questa realtà, cosa le dà ragione di essere se non può darsela da sola in modo esaustivo?

Queste domande arrivano per ultime nell’indagine filosofica, ma sono di per se le prime, in quanto riguardano il fondamento stesso della realtà. Dallo studio della realtà (in senso generico, la fisica), si arriva allo studio del suo fondamento che sta oltre la realtà: la metafisica. Per condurre un discorso metafisico si può partire da qualunque esperienza, ma se vogliamo insegnare la metafisica a qualcuno dovremo partire da esperienze che il discente possa personalmente verificare. Come già visto la conoscenza dei principi è naturalmente insita nell’uomo, e ogni nuovo apprendimento viene allora da una conoscenza già acquisita anche se non pienamente in atto.

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«De Veritate, q.11 a.1 - co: "I primi concetti dell'intelletto preesistono in noi come semi di scienza, questi sono conosciuti immediatamente dalla luce dell'intelletto agente dall'astrazione delle specie sensibili...in questi principi universali sono compresi, come germi di ragione, tutte le successive cognizioni."»

Uno dei migliori inizi per il discorso metafisico è quello che descrive un’esperienza accessibile e verificabile a tutti: il processo di conoscenza e la sua espressione nel linguaggio. Non ci si aspetti però un discorso che parte da principi e giunge a conclusioni, questo è il metodo delle scienze particolari, il filosofo deve invece partire nell'esposizione da esperienze facilmente verificabili per introdurre una visione d'insieme della realtà che non può essere dedotta ma intuita. Colui che ascolta, se vuole capire, deve inizialmente accettare come valide alcune categorie di pensiero e alcune dimostrazioni, anche se la giustificazione è data in un secondo tempo. Questo perché è più importante intendere, intuendo, l’insieme del discorso che capire ogni singola dimostrazione, la quale dipende per la sua comprensione proprio dall’intero del sistema.

Lo sviluppo del sistema filosofico è sempre più dettagliato grazie all’esplorazione sempre più profonda della realtà, e tutti i discorsi in questo sistema si legano tra loro con un’infinita serie di relazioni, quindi si può sostenere che la validità del sistema è che sia rispondente all’esperienza e che tutto si tenga, ossia che non si contraddica internamente.

[modifica] Le cinque vie di Tommaso e la metafisica

Tommaso propone dunque 5 vie[1] per dimostrare l'esistenza di Dio. Per rendere valide le argomentazioni, Tommaso ricorre (in ordine) alle categorie aristoteliche di "potenza" e di "atto", alla nozione di "essere necessario" e di "essere contingente" (desunta da Avicenna), ai gradi di perfezione (di stampo platonico) e alla presenza di finalità negli esseri privi di conoscenza.

  • Prima via: "Ex motu":
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«[...] tutto ciò che si muove è mosso da un altro. [...] Perché muovere significa trarre qualcosa dalla potenza all'atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all'atto se non mediante un essere che è già in atto. [...] È dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto, una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova sé stessa. [...] Ora, non si può procedere all'infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore [...]. Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio.»
  • Seconda via: "Ex causa":
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«[...] in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa dell'intermedia e l'intermedia è causa dell'ultima [...] ora, eliminata la causa è tolto anche l'effetto: se dunque nell'ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe neanche l'ultima, né l'intermedia. Ma procedere all'infinito nelle cause efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente [...]. Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio.»
  • Terza via: "Ex contingentia":
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«[...] alcune cose nascono e finiscono, il che vuol dire che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che cose di tal natura siano sempre state [...]. Se dunque tutte le cose [...] possono non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualcosa che è. [...] Dunque, non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario. [...] negli enti necessari che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere all'infinito [...]. Dunque, bisogna concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio.»
  • Quarta via: "Ex gradu":
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«[...] il grado maggiore o minore si attribuisce alle diverse cose secondo che si accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di assoluto; [...] come dice Aristotele, ciò che è massimo in quanto è vero, è tale anche in quanto ente. Ora, ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere [...]. Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio.»
  • Quinta via: "Ex fine":
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«[...] alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine [...]. Ora, ciò che è privo d'intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo ed intelligente, come la freccia dell'arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio.»
(Tommaso d'Aquino. Summa theologiae, I, questione 2, articolo 3)

Tommaso fornisce queste 5 prove dell'esistenza di Dio al culmine della metafisica, la disciplina nata nell'antichità con l'intento di partire dalla "physis" (natura) per raggiungere induttivamente e per caratterizzare il mondo immateriale ed invisibile. Forte è l'interesse di Tommaso per il mondo dei fenomeni e per le scienze (notiamo, che ebbe anche fama di alchimista di valore: secondo alcuni, avrebbe potuto disporre, grazie al maestro Alberto Magno, della pietra filosofale, ma si tratta di un accertato falso storico).

Però, ci avverte di non dare mai per assolutamente certe le teorie scientifiche, perché può sempre accadere che gli uomini pensino a qualche nuova teoria, da nessuno elaborata prima. Si noterà, qui, la fiducia critica nella ragione umana, che contraddistingue l'Aquinate: libertà di indagine, ma cautela nelle conclusioni.

Aristotele era giunto a concepire l'essere come pensiero di pensiero; essere che si pone pensando sé stesso, superando il politeismo antico verso un monoteismo più vicino al nostro. Tommaso inizia una trattazione teologica dell'essere, ritenendo questo compito un'opera che la ragione non può assolvere compiutamente. Si apre qui lo spazio per l'esame di quanto la fede ci propone, come sussidio ed integrazione del lavoro puramente razionale: Tommaso pensa che, in linea di principio, ragione e fede, provenienti entrambe da Dio, non possano mai essere in contrasto tra loro.

Kant dimostrerà che le cinque vie sono riconducibili alla prova ontologica di Anselmo d'Aosta, prova che lo stesso Kant confuterà.


San Tommaso d'Aquino scrive ispirato dagli angeli
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San Tommaso d'Aquino scrive ispirato dagli angeli

[modifica] La Trinità ed i misteri della fede

Il Dio cristiano è "Uno e Trino", ossia una e tre persone (Padre, Figlio e Spirito Santo). Tommaso nota come il Padre esca continuamente fuori di se in estasi, in un'incontenibile esplosione di amore, rendendo il Figlio partecipe di tutto ciò che Dio ha creato; lo Spirito Santo è la relazione di amore che lega il Padre al Figlio. Come l'Uno ineffabile di Plotino (Neoplatonismo), il Padre uscendo fuori di sé diventa Uno-che-è, l'essere di pensiero che non avendo il bene fuori di se (l'Uno è ineffabile e nemmeno l'essere può vederlo o parlarne) pensa sé stesso, divenendo pensiero di essere e infine (come diceva Aristotele) pensiero di pensiero. Queste operazioni avvengono nell'eterno, dove non esiste tempo, dove non è differenza fra il prima e il poi, e perciò non si deve confondere una priorità logico - ontologica con una temporale.

[modifica] L'essere e gli enti

La proprietà dell'essere è l'identità di unità - verità - bontà. Da ciò deriva che vi sono due cose che nemmeno Dio può fare: Dio non può fare il male (è buono) e un altro Dio (è uno, ergo non possono esservene due). Importante è anche che Dio non può mentire perché è vero (verità): a questo argomento ricorrerà Cartesio con i suoi studi scolastici per dimostrare che il mondo davanti a noi è reale e non un'illusione, in quanto creazione di un Dio che è verità e non può illuderci o mentirci. Gli enti creati (fra cui l'uomo) sono in qualche modo lontani dall'essere con infiniti gradi di perfezione(partendo dal più basso), non solo "sono meno" nelle singole attribuzioni, ma con infinite gradazioni viene anche a mancare la relazione d'identità esatta fra verità, bontà, unità. Ci sono persone veramente malvagie, unitamente (senza incoerenze interne) buone, ma non vere, ma per opportunismi, etc.

[modifica] Causalità e Creazione

Se due enti hanno qualcosa in comune, esiste allora un ente che è loro causa. L'ente-causa ha poco o nulla in comune con gli altri due enti che si ritengono un suo effetto. I nessi causa-effetto non sono costruiti considerando un solo effetto e una sola causa (fra due enti), ma fra tre: due "enti-effetto" e un terzo "ente-causa". La ragione procede così a costruire non delle semplici catene causa-effetto, ma un albero ramificato in cui ogni nodo è causa dei due enti sottostanti, suoi effetti. La causa non è un ente completamente distinto dai suoi effetti, con gli effetti e fra loro anche la causa ha qualcosa in comune con i due effetti: due enti qualunque (anche di coordinate temporali e/o spaziali diverse), anche se non hanno niente in comune, hanno quanto meno in comune di essere nella stessa dimensione spaziale e temporale. In particolare, anche due enti di spazi ed epoche diverse a cui pensa un essere cosciente sono, comunque, nello stesso spazio-tempo, sebbene solo nella sua mente; quando nessuno li pensa, non sono proprio. Intuitivamente, se un ente è uguale a quello visibile, un istante dopo si pensa che si tratta dello stesso ente; quanto maggiore è la diversità tanto più è ipotizzabile che quello che si manifesta per primo sia la causa di quello successivo. La causa non è più definita dal precedere sempre un dato ente: diciamo che "A" causa l'ente "B", se prima di "B" vediamo sempre manifestarsi "A"; si aggiunge una seconda condizione per definire un ente come causa, che esso non ha poco o nulla in comune con gli altri due; e un'altra che si potrebbe raggruppare con la precedente, nota come pensavano la "causa" gli antichi Greci, che la causa si da se due enti hanno qualcosa in comune (la causa è di due effetti). Un ente è causa d'altri quanto meno ha in comune con gli effetti. Poiché l'essere è comune a tutti gli enti, non esiste un ente che sia causa dell'essere; la domanda "perché?" dell'essere non può avere risposta, ossia non si può dire perché il mondo è così e non altrimenti.

Essendo l'essere comune a tutti gli enti, esso se deriva da qualcosa, non può che derivare da un non-ente, ovvero dal nulla (che da Platone in poi è stato inteso in senso relativo anche dai filosofi che storicamente non poterono accedere ai suoi scritti). L'alternativa, come pensava Aristotele, è ipotizzare che l'essere non abbia proprio una causa e che il mondo esista da sempre.

Tommaso sostiene l'idea della Creazione per un motivo di fede (il racconto della "Genesi"), ma anche per un motivo filosofico che è una prova a sostegno del dato di fede ed una forte convinzione personale: l'esistenza delle cause seconde. Causa-effetto sono sinonimi di potenza-atto; parlare di cause seconde significa articolare la distinzione aristotelica di potenza ed atto in potenza di una potenza, potenza di un atto, atto di una potenza, atto di un atto. La potenza, come la definiva Aristotele, sarebbe potenza di un atto; quello che era chiamato "atto" è con maggior precisione "atto di una potenza". La prima e l'ultima di queste, sono categorie ignorate dalla filosofia antica; Tommaso estende la nozione di potenza ed atto in una che include le due categorie aristoteliche e va oltre (aggiungendone altre due); propriamente non si dovrebbero più usare le parole "potenza" ed "atto", ma una delle 4 categorie proposte. Il passaggio non è un vuoto cambio di parole, ma introduce due concetti che sono sostanzialmente diversi da quelli di potenza ed atto aristotelici.

La Creazione è avvenuta una sola volta; soltanto Dio può creare; Dio può agire nel mondo soltanto creando; ovvero il Creato non è dato una volta per tutte, ma la Creazione è continua, nel senso che in alcuni momenti (non in ogni causa-effetto), Dio vi interviene creando.

In particolare, lo stato che precede la Creazione è potenza di potenza, non potenza come la definiva Aristotele; in tale modo, col poter essere, è definibile una potenza che non è materia, e che può essere informe, essendo la materia indissolubilmente legata alla forma per Aristotele come per Tommaso.

Da notare è che il concetto di causa seconda che fonda l'idea di un mondo che evolve in modo indipendente (e libero, nel caso dell'uomo) dalla causa prima che è Dio, è lo stesso che fonda la potenza di potenza e la dipendenza del mondo da un Dio Creatore.

[modifica] L'antropologia di San Tommaso

Ogni ente che si muove è mosso da altro, e nella natura non si ha un movimento senza fine; al contrario, anche in fisica ogni movimento è descritto da un vettore che ha intensità, direzione e verso e dunque pare avere un qualche fine. Anche le traiettorie di comete ed astri, pur essendo ellittiche (senza verso, o meglio con una sua inversione periodica), mantengono una direzione calcolabile e avranno una fine del loro movimento (prima o poi si scaglieranno contro qualche corpo dell'universo). Anche alla luce di scoperte astronomiche posteriori a Tommaso si è confermata l'impossibilità teorica e pratica del moto perpetuo.

Il fine è per l'uomo qualcosa di unico (l'uomo tende a porsi un solo obiettivo per volta) e di vero, almeno in potenza, e completamente vero quando sarà atto raggiunto (poiché la ragione non ha senso che si dia obiettivi velleitari e non raggiungibili). Dall'identità ampiamente dimostrata di uno, vero e buono, segue che il fine che è unico e vero (in quanto raggiungibile) è anche il bene dell'uomo. Dunque, darsi degli obiettivi è una regola etica; il problema del contenuto si limita alla scelta di obiettivi raggiungibili che siano veri. I mezzi che ogni io impiega per raggiungere questo fine sono proporzionali a tale obiettivo e dunque l'"io" è un essere proporzionato al suo bene: il bene è il fine che cerca di raggiungere e, l'"io" è in quanto agisce. L'"io" è un agire (come più tardi diranno gli idealisti) ed è in vita solo mentre agisce e si muove per qualche cosa; Dio, come il nostro Io che è a sua immagine e somiglianza, è un agire. Senza la Provvidenza diviene inconcepibile l'esistenza stessa di Dio. Per una sorta di unità dei contrari, l'identità di unità, verità e bontà, che fondano le 5 vie per dimostrare l'esistenza di un Dio trascendente, coimplica anche la continua azione di questo Dio nel mondo e nella vita di ogni Io.

Nell'atto creativo la divinità è passata da uno stato di non-mosso e non-movente ad uno stato di movente non-mosso. Nel Creato vale che "omne quod movetur ab alio movetur" ed ogni ente è in uno stato di "mosso" (mosso non-movente o mosso-movente).

Per Tommaso questo movimento non può essere eterno e tende ad uno stato di non-mosso che, a seconda del grado di unità, verità e bontà della creatura, sarà uno stato di non-mosso e non-movente (fine di ogni movimento) oppure il ritorno alla causa prima del movimento nello stato di movente non-mosso, ossia una creatura fuori dallo spazio-tempo, fisicamente non più in grado di muoversi, ma comunque libera di muovere parte del mondo.

Questo movimento non è un vagare senza senso eterno, con una fine qualunque, ma ha una fine determinata (non infinite possibili) che, essendo unica, è anche il suo fine. Dunque, la fine è il fine.

[modifica] Etica

[modifica] La natura dell'uomo

Per Tommaso l'etica non è il pieno raggiungimento del fine ultimo dell'uomo, ma è solo un orientamento per la condotta umana che ha lo scopo di indirizzare l'uomo al suo proprio fine. Tale fine ultimo, come per Aristotele, è la felicità, cioè la beatitudine. Per Aristotele il bene era ciò che perfezionava l'uomo e portava a compimento la sua natura, ma Tommaso va oltre, e dice che è il sommo bene che realizza davvero e al massimo grado la natura umana. Poiché l'unica parte della natura umana che tende alla felicità è quella intellettuale, allora, per Tommaso, l'unica "azione" possibile per raggiungere la beatitudine è di genere intellettuale; tuttavia, al contrario di Aristotele, che poneva l'uomo stesso come oggetto di tale contemplazione intellettuale, Tommaso pone invece Dio come oggetto primo ed ultimo della contemplazione. La beatitudine, per Tommaso, è infatti la visione dell'essenza di Dio, che è nient'altro che l'operazione più nobile e più alta dell'uomo. In ogni uomo, infatti, vi è naturale desiderio di conoscenza, poiché ciascuno, vedendo un effetto, vuole conoscerne la causa; questo vale per le cose superficiali e terrene, e tanto più vale per le cose spirituali e divine. Se l'uomo non si sforza di soddisfare tale desiderio andando oltre il mondo fisico, rimarrà in eterno insoddisfatto; tale, dunque, sarebbe la vera condanna eterna, cioè l'esser privati della visione di Dio.

[modifica] Il libero arbitrio e la morale

L'etica di Tommaso si fonda sulla libertà dell'uomo, poiché, come egli dice, solo l'uomo possiede il libero arbitrio, inteso nel senso originale di "libertà di giudizio", in quanto solo l'uomo è padrone del giudizio, in quanto egli solo può giudicare attraverso la ragione il suo stesso giudizio. Inoltre, il libero arbitrio, per Tommaso, non è affatto in contrasto con la Provvidenza divina che ordina le vicende del mondo, perché essa è al di sopra d'ogni giudizio e libertà umana, e nel Suo agire già ne tiene conto; il libero arbitrio non è in contraddizione nemmeno con la predestinazione alla salvezza, per Tommaso, poiché la libertà umana e l'azione divina di Grazia (che è la conseguenza della predestinazione) tendono ad unico fine, ed hanno una medesima causa, cioè Dio. Per quanto riguarda la morale, Tommaso, come Bonaventura da Bagnoregio, dice che l'uomo ha sinderesi, ovvero la naturale disposizione e tendenza al bene e alla conoscenza di tale bene. Tuttavia, egli necessita di opportuni mezzi, per valutare ogni caso di comportamento che gli si presenti. Tali mezzi sono:

  1. La coscienza, intesa come capacità di ragionamento pratico e dunque di applicazione dei principi morali universali alle situazioni concrete particolari;
  2. La prudenza, cioè la virtù pratica che consente di valutare rettamente in ogni caso particolare;
  3. La volontà, che è il mezzo per decidere se tendere ad un bene per sé stesso, oppure per tendere ad un altro comportamento, moralmente sbagliato;
  4. La virtù, ovvero l'agire secondo natura e secondo ragione. Tuttavia, la virtù è un "habitus", un abito consolidato nella natura.

Tommaso riprende da Aristotele le 4 virtù cardinali (ovvero giustizia, temperanza, prudenza e fortezza) ma introduce, in più, le 3 virtù teologali cristiane (fede, speranza e carità), che occorrono al conseguimento della beatitudine eterna.

[modifica] La posizione sulla donna

Sul rapporto uomo-donna Tommaso ripercorre la tradizione dei primi padri della Chiesa, che ponevano la donna come essere secondario ed inferiore all'uomo:

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«[...] La donna è un errore della natura, [...] con la sua eccessiva secrezione di liquidi e la sua bassa temperatura essa è fisicamente e spiritualmente inferiore, [...] è una specie di uomo mutilato, fallito e mal riuscito, [...] la piena realizzazione della specie umana è costituita solo dall'uomo. [...]»

Per Tommaso, l'anima delle donne si svilupperebbe dopo quella degli uomini ed, inoltre, proprio l'inferiorità qualitativa di un seme sarebbe la causa del sesso femminile rispetto al sesso maschile:

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«[...] Un feto maschile diviene un essere umano dopo 40 giorni, uno femminile dopo 80 giorni. Le femmine nascono a causa di un seme guasto o di venti umidi. [...]»

Nella "Summa Theologiae", inoltre, scrive:

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«[...] Il Signore ha creato l'uomo, poi ha voluto creare la donna per dargli un aiuto simile a lui ("audiutorium sibi simile"). [...]»

Questo è nient'altro che è una riesposizione del testo biblico. Ma poi Tommaso prosegue dicendo che:

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«[...] L'aiuto non è per qualsiasi altra opera, come alcuni hanno detto. [...]»

Si tratta qui di altri autori della Scolastica, cosa che indica dunque la presenza, all'epoca, di un dibattito sul tema della sessualità.

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«[...] Infatti, per qualsiasi altra opera un maschio potrebbe essere aiutato più opportunamente da un altro maschio che da una femmina. L'aiuto quindi è per la generazione. [...]»

Per Tommaso, dunque, la donna non avrebbe doveri pari a quelli degli uomini, ma il suo unico dovere sarebbe la generazione, cosa che nessun uomo potrebbe fare. Il testo prosegue poi con una breve esposizione della differenza tra riproduzione asessuata e riproduzione sessuale, per chiarire il punto di vista: evidentemente, quello biologico. Tommaso, tuttavia, mantiene il legame con la tradizione del pensiero cristiano medioevale del secolo precedente (definito da alcuni storici il "secolo delle donne"), senza lasciarsi totalmente trascinare dal richiamo ai pregiudizi del mondo antico.
Pertanto, scrive anche:

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«[...] Il mondo sarebbe imperfetto senza la presenza della donna. [...]»

Dalla teologia di Tommaso, attenta ai fenomeni naturali, la Chiesa deriva dunque la concezione della sessualità come complementarità soprattutto spirituale (in ogni caso antropologica), oltre che biologica, dove la donna non è solo un mezzo necessario per la generazione (che tale sarebbe la sua funzione biologica), ma è anche la parte mancante senza la quale l'uomo sarebbe monco, e lo stesso mondo, inteso come ordine, sarebbe incompleto, cioè privo di ordine. Per Tommaso, in sostanza, a livello biologico la donna è inferiore all'uomo, ma in ogni livello (compreso quello biologico) è l'armonico che completa la disarmonia (cioè l'uomo).

Il trionfo di san Tommaso su Averroè
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Il trionfo di san Tommaso su Averroè

[modifica] La legge e la politica

Tommaso studiò a fondo il diritto e la giustizia, considerandoli i pilastri della società e differenziandone le fonti. Infatti, la prima fonte della giustizia, per Tommaso, è la ragione divina, insondabile e inconoscibile per l'intelletto umano, e che pure dev'essere accettata dagli uomini con umiltà. Tale giustizia concerne la legge divina, che è guida dell'uomo verso la beatitudine eterna. Altra fonte di giustizia è poi la legge naturale, che è ben conosciuta dalla ragione ed è formata da principi universali che sono comuni a tutti gli uomini (come ad esempio la generazione). Dunque, la legge umana ha come suo fondamento sia la legge divina che quella naturale, ma serve in realtà solamente a guidare ed a frenare in certi limiti il comportamento degli uomini che non si sottomettono alla legge divina e che, dunque, sono malvagi per definizione. Il teologo fa, anche, una precisa differenza tra diritto e giustizia: per Tommaso il diritto è "la proporzione tra il profitto che il mio atto produce ad un altro e la prestazione che questi mi deve in cambio"; la giustizia, invece, è "la perpetua e costante volontà di riconoscere e attribuire a ciascuno il suo diritto". Per quanto concerne lo Stato e la politica, Tommaso afferma che la migliore forma di governo è la monarchia, non solo come trasposizione nell'umano della monarchia divina, ma anche in quanto il re non è il tiranno, ma è bensì colui al quale il popolo ha delegato la propria libertà e sovranità in nome della pace, dell'unità e del buon governo (ovvero il bene comune). Comunque, anche se riconosce la positività dello Stato (monarchico), Tommaso pone dei solidi limiti all'azione della società e della politica quando afferma che l'uomo "nel suo essere, nel suo potere e nel suo avere deve essere ordinato a Dio" e non alla società politica. In sostanza, afferma che, al di là dei diritti e dei doveri sociali e politici, l'uomo deve tendere interamente a Dio, poiché il suo governo spirituale è affidato ad un solo re, cioè Cristo. Tale però non è affatto una visione teocratica, come hanno detto alcuni, ma è la distinzione tra la sfera visibile e la sfera invisibile dell'uomo: esteriormente egli deve obbedire ad un re terreno, ma interiormente deve obbedire solo a Cristo Re, e può (anzi, deve) disobbedire al re terreno solo se egli viene in contrasto col re interiore Gesù Cristo.

[modifica] Le posizioni economiche della Scolastica

La Scolastica condannò con durezza il prestito di denaro contro interesse, come usura, qualunque fosse il tasso d'interesse applicato. Tommaso fece un'apertura, dichiarando legittimo il pagamento di un interesse per la disponibilità (immobilizzo) di denaro del creditore, considerando che fino alla restituzione del debito il creditore è privato delle sue finanze.

La Scolastica sosteneva il valore convenzionale della moneta, per il quale la moneta vale soltanto se le persone che la usano le riconoscono un valore, usandola come mezzo di scambio. Tale condizione è necessaria, ma non sufficiente. Le monete non acquistano valore perché le persone lo riconoscono usandole; devono avere un valore intrinseco. La Scolastica univa valore intrinseco e valore convenzionale della moneta, che sono spesso contrapposti. Nell'Alto Medioevo cominciavano a circolare note-da-banco (poi chiamate banconote) di sola carta che erano utilizzate nei pagamenti e valevano quanto le monete d'oro: ciò provava che la moneta può avere un valore per il semplice fatto che le persone lo riconoscono (valore convenzionale come condizione sufficiente della moneta).

Secondo i filosofi scolastici la moneta era una merce come le altre che serve ad acquistare altre merci. La moneta-merce si compra contro un'altra merce che può essere un'altra moneta oppure oro; perché chi detiene moneta possa incassare oro è necessario che la moneta possegga un valore tale da giustificare il prezzo pagato. Tale valore non è la capacità di acquistare beni di importo equivalente che garantisce la moneta (valore della moneta, ma non intrinseco), ma è un valore intrinseco che avrebbe anche senza essere usata come mezzo di scambio; ad esempio l'oro con cui è coniata. In questo modo, chi compra monete compra l'oro di cui sono fatte, o l'oro che è depositato in garanzia della nota-da-banco. Il valore intrinseco implica un valore convenzionale, mentre non dovrebbe valere il contrario (anche se il valore convenzionale, cioè la sicurezza che altri accetteranno in pagamento il denaro, è un valore della moneta).

Noi diremmo che la moneta è un prodotto (della zecca) e, come avviene per definizione di prodotto, pagamento e fruizione sono contemporanei; anche per la Scolastica, la relazione fra chi acquista moneta e chi riceve in cambio oro, altra moneta o una merce si esaurirebbe con lo scambio. Non ci sono rapporti successivi che giustificherebbero il pagamento d'interessi. Un'apertura al mondo del credito avviene considerando che chi presta denaro se ne priva per un certo periodo, immobilizza delle somme che da al debitore; il pagamento di interessi secondo Tommaso è un legittimo risarcimento del denaro che il creditore tiene a disposizione del debitore.

Altrimenti chi emette moneta priva di valore intrinseco dovrebbe pagare quanti la accettano come mezzo di pagamento, che sono gli stessi che la acquistano. All'atto d'emissione una moneta non legittima alcun tipo di interessi e, se è priva di valore intrinseco, nemmeno il pagamento di un prezzo (deve essere emessa gratuitamente). Una moneta già esistente e prestata legittima un pagamento d'interessi per il tempo per il quale la sua disponibilità è stata sottratta al creditore.

[modifica] Opere

Una pagina della Summa theologiae
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Una pagina della Summa theologiae
  • Ad Bernardum (A Bernardo)
  • Aurora Consurgens (Il sorgere dell'aurora)
  • Compendium theologiae (Compendio di teologia)
  • Contra errores Graecorum (Contro gli errori dei Greci)
  • Contra impugnantes Dei cultum (Contro coloro che avversano il culto di Dio)
  • Contra retrahentes (Contro coloro che distolgono)
  • De aeternitate mundi (L'eternità del mondo)
  • De alchemia (L'alchimia)
  • De anima (L'anima; dalle Quaestiones disputatae)
  • De articulis Fidei (Gli articoli della Fede)
  • De ente et essentia (L'ente e l'essenza)
  • De forme absolutionis (La forma dell'assoluzione)
  • De lapide philosophico (La pietra filosofale)
  • De malo (Il male; dalle Quaestiones disputatae)
  • De motu cordis (Il moto del cuore)
  • De operationibus occultis (Le operazioni nascoste)
  • De perfectione (La perfezione)
  • De potentia (La potenza"; dalle Quaestiones disputatae)
  • De principiis naturae (I principi della natura)
  • De rationibus Fidei (Le ragioni della Fede)
  • De regimine principum (Il governo dei principi; scritto politico incompiuto)
  • De spiritualibus creaturis (Le creature spirituali)
  • De substantiis separatis (Le sostanze separate)
  • De unione Verbi Incarnati (L'unione del Verbo Incarnato)
  • De unitate intellectus contra Averroistas (L'unità dell'intelletto contro gli Averroisti)
  • De veritate (La verità; dalle Quaestiones disputatae)
  • De virtutibus, (Le virtù; dalle Quaestiones disputatae)
  • Summa contra Gentiles (Il complesso contro i Gentili; rivolta contro i Gentili, cioè i Musulmani, per sostenere la superiorità della religione cristiana)
  • Summa theologiae (Il complesso della teologia; incompiuta)

[modifica] Note

  1. Tommaso evita opportunamente di parlare di dimostrazioni: le sue argomentazioni non sono teoremi matematicamente o logicamente dimostrati, ma cammini che permettono di intravedere con la ragione l'esistenza di Dio.

[modifica] Bibliografia

  • Alfonso Tisi, San Tommaso d'Aquino e Salerno, Grafica Jannone-Salerno, Salerno, 1974
  • Battista Mondin, Dizionario enciclopedico del pensiero di San Tommaso d'Aquino, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1992
  • Cornelio Fabro, Introduzione a San Tommaso. La metafora tomista e il pensiero moderno, Ares, Milano, 1997
  • Fulvio di Blasi, Dio e la legge naturale; una rilettura di Tommaso d'Aquino, ETS, Pisa, 1999
  • Giacomo Samek Lodovici, La felicità del bene. Una rilettura di Tommaso d'Aquino, Edizioni Vita e Pensiero, 2002
  • Inos Biffi. La teologia e un teologo. San Tommaso d'Aquino, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL), 1984
  • James Weisheipl, Tommaso d'Aquino. Vita, pensiero, opere, Jaca Book, Milano, 2003
  • Raimondo Spiazzi, San Tommaso d'Aquino: biografia documentata, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1997
  • Ralph Mcinerny, L'analogia in Tommaso d'Aquino, Armando, Roma, 1999
  • Rolf Schönberger, Tommaso d'Aquino, Il Mulino, Bologna, 2002
  • Sofia Vanni Rovighi, Introduzione a Tommaso d'Aquino, Laterza, Bari, 2002
  • Tomas Tyn, Metafisica della sostanza, ESD, Bologna, 1991
  • Vittorio Possenti, Filosofia e rivelazione, Città Nuova, Roma, 1999
  • AA. VV., Le Ragioni del Tomismo, Ares, Milano, 1979
  • Maria Cristina Bartolomei, Tomismo e Principio di non contraddizione, Cedam, Padova, 1973
  • Gilbert Keith Chesterton, Tommaso d'Aquino, Guida Editori, Napoli, 1992
  • Marco D'Avenia, La Conoscenza per Connaturalità, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1992
  • Marco Forlivesi, Conoscenza e Affettività. L'Incontro con l'essere secondo Giovanni di San Tommaso, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1993
  • Dietrich Loren, I Fondamenti dell'Ontologia Tomista, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1992
  • Juan José Sanguineti, La Filosofia del Cosmo in Tommaso d'Aquino, Ares, Milano, 1986
  • Fausto Sbaffoni, San Tommaso d'Aquino e l'Influsso degli Angeli, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1993
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  • Marie-Dominique Chenu, Introduzione allo studio di S. Tommaso d'Aquino, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1953
  • Réginald Garrigou-Lagrange, La Sintesi Tomistica, Queriniana, Brescia, 1953
  • Étienne Gilson, Saint Thomas Moraliste, J. Vrin, Parigi, 1974
  • Étienne Gilson, Realisme Thomiste et Critique de la Connaissance, J. Vrin, Parigi, 1947
  • Étienne Gilson, Le Thomisme. Introduction a la Philosophie de Saint Thomas d'Aquin, J. Vrin, Parigi, 1986
  • Amato Masnovo, S. Agostino e S. Tomaso, Vita e Pensiero, Milano, 1950
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