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Chiesa di San Domenico Maggiore (Napoli) - Wikipedia

Chiesa di San Domenico Maggiore (Napoli)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Esterno dell'abside di San Domenico Maggiore
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Esterno dell'abside di San Domenico Maggiore

La Chiesa di San Domenico Maggiore è una chiesa di Napoli, tra le più interessanti dal punto di vista storico ed artistico.

Voluta da Carlo II d'Angiò ed eretta, inizialmente in stile gotico, tra il 1283 e il 1324, divenne la casa madre dei Domenicani nel regno di Napoli.

Fa parte di un complesso conventuale che si trova nel centro antico della città nei pressi di una delle più belle piazze napoletane, Piazza San Domenico Maggiore appunto.

Indice

[modifica] La Chiesa

[modifica] Storia

Nel 1231 i Domenicani, con a capo Tommaso Agni da Lentini, giunsero a Napoli, e non disponendo di una sede propria, si stabilirono nell'antico monastero della chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa, gestita dai padri benedettini prendendone possesso.

Carlo V soggiornò in San Domenico Maggiore nel 1536
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Carlo V soggiornò in San Domenico Maggiore nel 1536

La consacrazione della chiesa a San Domenico avvenne nel 1255 per volere di Papa Alessandro IV, come attestato da una lapide posta alla destra dell'ingresso principale.

La costruzione della chiesa fu voluta da Re Carlo, per un voto fatto alla Maddalena durante la prigionia patita nel periodo dei vespri siciliani, e la prima pietra fu posta il 6 gennaio del 1283, con i lavori che si protrassero sino al 1324, seguiti nella fase definitva dagli architetti francesi Pierre de Chaul e Pierre d'Angicourt.

La chiesa, fu eretta secondo i classici canoni del gotico, con tre navate, cappelle laterali, ampio transetto e abside poligonale e, fu realizzata in senso opposto alla chiesa preesistente, vale a dire con l'abside rivolto verso la piazza, alle cui spalle fu aperto, in periodo aragonese, un ingresso secondario.

Numerosi interventi succedutisi nei secoli ne hanno alterato la struttura e le originarie forme gotiche: nel periodo rinascimentale terremoti e incendi avviarono i primi rifacimenti (malgrado ciò nel 1536 Carlo V fu accolto nel tempio), mentre ancora più incisivi furono i rifacimenti barocchi del seicento, tra i quali spiccano la sostituzione del pavimento (poi completato nel secolo XVIII) con quello progettato da Domenico Antonio Vaccaro.

Con l'avvento a Napoli di Gioacchino Murat, il complesso fu destinato ad opera pubblica (1806-1815) e ciò provocò danni alla biblioteca che al patrimonio artistico., mentre un tentativo di ripristino fu messo in atto con i restauri ottocenteschi di Federico Travaglini che tuttavia portarono ad un complessivo snaturamento dell'originale spazialità della chiesa.

Ulteriori danni furono subito dal complesso durante il periodo della soppressione degli ordini religiosi, quando i padri Domenicani dovettero nuovamente abbandonare il convento (1865-1885), a causa di alcuni adattamenti discutibili che si intese dare alle strutture (palestre, istituti scolastici, ricovero per mendicanti e sede tribunalizia).

I restauri del 1953 eliminarono i segni dei bombardamenti del 1943, ripristinando il soffitto a cassettoni, i tetti le balaustre delle cappelle, la pavimentazione e l'organo settecentesco e riportando alla luce anche gli affreschi del Cavallini, mentre interventi piu recenti (1991) vi sono stati sulla scala in piperno che conduce all'abside e sulla porta marmorea.

[modifica] L'ingresso

Sulla piazza che dalla chiesa prende il nome, non si apre l'ingresso principale, ma un piccolo ingresso sottostante l'abside e rinforzato da pilastri, con le originarie finestre ad arco acuto deturpate da una serie di artefatti architettonici che si sono susseguiti nei secoli.

L'ingresso principale è rivolto a nord e vi si accede, attraverso un ampio cortile, dal vicolo San Domenico mediante un portale con numerosi elementi gotici; sulla parte alta esterna dell'arcata vi è un affresco raffigurante La Vergine che offre lo scapolare domenicano al beato Reginaldo della scuola di Pompeo Landulfo (pittore vissuto nella seconda metà del XV secolo).

Il lato interno del portale presenta una iscrizione che testimonia la munificenza di Carlo II d'Angiò nei confronti dei frati; lo stesso sovrano è raffigurato in una statuetta di marmo posta in una nicchia.

L'ingresso della basilica è attraverso il pronao settecentesco mentre tra il portale marmoreo gotico (ad arco acuto) e la porta lignea.

[modifica] L'interno

L'interno della chiesa è ricco di operte d'arte sia scultoree che pittoriche, nonostante i numerosi furti che si sono susseguiti nel corso del tempo.

Un quadro raffigurante San Domenico è esposto sulla controfacciata, opera di Tommaso De Vivo, mentre il soffitto a capriate originario fu sostituito da quello di epoca barocca (1670).

All'ingresso vi sono due cappelle laterali, quella dei Muscettola e quella dei Carafa, in cui sono conservate alcune opere interessanti.

San Tommaso d'Aquino studiò ed insegnò in San Domenico Maggiore
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San Tommaso d'Aquino studiò ed insegnò in San Domenico Maggiore

Nella cappella a sinistra, è visibile una copia della * Madonna col Bambino, S. Giovannino e Santa Elisabetta dipinta da Fra' Bartolomeo della Porta nel 1516 e sottratta ed inoltre un dipinto del Redentore di scuola leonardesca, mentre in quella a destra (dedicata a San Martino) si trovano la Tomba di Galeotto Carafa di Romolo Balsimelli e la Tomba di Filippo Saluzzo di Giuseppe Vaccà, oltre le quattro grandi tele del De Vivo di inizio Ottocento e, sull'altare una tela attribuita al pittore fiammingo Cornelius Smet.

Lungo la navata destra vi è la cappella dedicata alla Maddalena che presenta tracce di un affresco, coevo alla costruzione della chiesa, raffigurante la Madonna col Bambino attribuito alla scuola pittorica della fine del XIV secolo , la Tomba di Tommaso Brancaccio e la tela di Francesco Solimena Madonna col Bambino e santi domenicani (1730).

Di grande rilievo, per la qualità dei colori e l'impianto architettonico, sono senza dubbio gli affreschi della Cappella Brancaccio ad opera di Pietro Cavallini che operò a Napoli nel periodo in cui fu ospite remunerato di re Carlo II; gli affreschi, commissionati dal cardinale Landolfo Brancaccio nel 1309 raffigurano: Storie di San Giovanni Evangelista, Crocifissione, Storie della Maddalena e gli Apostoli Pietro, Paolo e Andrea.

Nella Cappella di S. Antonio Abate, oltre alla tela che raffigura il santo (attribuita per un certo tempo erroneamente a Giotto), vi è, alle pareti laterali, un Battesimo di Cristo del senese Marco Pino della seconda metà del Cinquecento con evidenti influssi michelangioleschi e una Ascensione del fiammingo Teodoro d'Errico (Dirk Hendricksz, 1577-1604).

Vi è poi il Cappellone del Cocifisso, con affreschi di Michele Regolia sulla volta e, all'interno diversi sepolcri fra cui quello di Ferdinando Carafa (morto nel 1593), mentre l'altare settecentesco vi è una riproduzione del Crocifisso della metà del secolo XIII (ora conservato in deposito) che, secondo la tradizione avrebbe parlato a San Tommaso d'Aquino, apostrofandolo con le seguenti parole: «Tommaso tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?» alle quali il santo replicò «Nient'altro che te, Signore».

Sul lato sinistro del Cappellone vi è la Cappella dei Carafa di Ruvo, decorata in marmo dal Malvito ed, a seguire la Cappella del Doce di epoca rinascimentale e all'interno della quale era collocata la Madonna del Pesce di Raffaello, ora al Museo del Prado di Madrid.

[modifica] La Sagrestia

La Sagrestia è un salone rettangolare decorato in stile barocco (secolo XVIII) con le pareti in legno di noce intagliate e finemente decorate e l'affresco Trionfo della Fede nell'Ordine Domenicano di Francesco Solimena che decora la volta, restaurato di recente e forse tra i più imponenti dell'artista.

Sul pavimento vi è la lapide sepolcrale di Richard Luke Concanen che fu il primo vescovo cattolico di New York e che morì a Napoli nel 1810, mentre sulle altre porte vi sono un altro affresco del Solimena (S. Filippo Neri) e un bassorilievo di epoca trecentesca raffigurante la Maddalena.

L'ambiente è celebre anche per la presenza, su un ballatoio che sovrasta gli stigli delle pareti di una serie di 45 feretri di reali, la maggior parte dei quali contenenti cadaveri imbalsamati di personaggi nobili. I cadaveri attribuibili con certezza sono i seguenti:

Le arche dei sovrani aragonesi nella sagrestia
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Le arche dei sovrani aragonesi nella sagrestia

Le spoglie di re Alfonso d'Aragona erano anch'esse ospitate in una delle casse, ora vuota e sormontata da un ritratto del re del secolo XVII.

[modifica] Alcune opere non più presenti

  • Madonna col Bambino, S. Giovannino e Santa Elisabetta di Fra' Bartolomeo della Porta, (1516)
  • Madonna col Bambino di Andrea Sabatini
  • due tele di Santi di Guido Reni
  • San Giuseppe di Luca Giordano, (1680-1685)
  • Epifania di Luca da Loida
  • Maddalena di ignoto del Quattrocento (posta nella cappella della Maddalena, trafugata nel 1968

[modifica] La piazza

Piazza San Domenico Maggiore, voluta da Alfonso I d'Aragona , e su cui si apre l'abside della chiesa, è dominata al centro dalla Guglia di San Domenico.

Il monumento, alla cui sommità svetta la statua del santo, fu eretta per volontà popolare subito dopo la peste del 1656, su disegno di Francesco Antonio Picchiatti, e fu completata nel 1737 dal Vaccaro.

Importanti palazzi ne delimitano gli altri lati:

  • Palazzo di Sangro di Casacalenda: iniziato nel 1766 e completato da Luigi Vanvitelli, presenta una galleria con affreschi di Fedele Fischetti e uno scenografico cortile interno con colonne doriche sullo sfondo.
  • Palazzo Petrucci: di epoca quattrocentesca, di cui restano visibili il portale marmoreo, l'arco ribassato nell'atrio e i loggiati, fu ricostruito dopo il terremoto del 1688
  • Palazzo Saluzzo di Corigliano: attribuito a Giovan Francesco Mormando, fu iniziato nel primo cinquecento e ristrutturato dopo il terremoto del 1688 e dopo il 1850, presenta un interno rococò in ottimo stato di conservazione ed una aula magna con resti di strutture di epoca greca e romana.
  • Palazzo di Sangro: è della prima metà del XVI secolo e presenta un portale disegnato da Bartolomeo Picchiatti del 1621 e bassorilievi in stucco nell'androne del 1758.
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