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Divina Commedia - Wikipedia

Divina Commedia

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Prima pagina di un manoscritto della Divina Commedia
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Prima pagina di un manoscritto della Divina Commedia
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«Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita.»

La Divina Commedia, o Commedìa originalmente, è un poema di Dante Alighieri (diminutivo di Durante Alighieri), opera capolavoro del poeta fiorentino, considerata la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale e una delle più grandi opere della letteratura universale.

Diviso in tre cantiche (cantiche perché in epoca medievale nella corrente del "Dolce stil novo", di cui proprio Dante ne è il massimo scrittore, i sonetti era uso che venissero cantati come intrattenimento nelle corti medievali): Inferno, Purgatorio, Paradiso; il poeta immagina di compiervi un viaggio ultraterreno.

Il poema, pur continuando i modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, fine morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, ben lontana dalla spiritualità tipica del Medioevo, tesa a cristallizzare la visione del reale.

Indice

[modifica] Genesi e storia

Dante immagina di compiere il proprio viaggio ultramondano durante la settimana santa del 1300: l'anno del primo giubileo.

[modifica] Storia e significato del titolo

Forse il titolo originale dell'opera è Comedìa: così Dante stesso chiama la sua opera in Inf. XVI, 128 e in Inf. XXI, 2; inoltre, il nome di Commedia appare usato nell'Epistola XIII, indirizzata a Cangrande della Scala, a cui il poeta dedica il Paradiso. Purtroppo, si discute ancora sulla paternità della lettera. In essa, comunque, vengono addotti due motivi per spiegare il titolo conferito: un motivo di carattere letterario, secondo cui per commedìa era usanza definire un genere letterario che da un inizio difficoltoso per il protagonista si concludeva con un lieto fine; e un motivo di carattere stilistico, giacché la parola commedìa indicava opere scritte in un basso linguaggio (Dante scrive in volgare). Questo si pensa sia stato forse un atto di modestia da parte dell'autore.

Il titolo Divina Commedia è stato per la prima volta usato da Giovanni Boccaccio più di 70 anni dopo dell'anno di ambientazione del testo (1300), nel 1373 nella sua biografia dantesca "Trattatello in laude di Dante", ma non divenne d'uso comune fino a che fu adottato da Ludovico Dolce nella sua edizione a stampa del poema nel 1554.

[modifica] Struttura

L'intera opera consta di 14233 versi totali: superiore dunque in lunghezza sia all'Eneide virgiliana (9.896 esametri), sia all'Odissea omerica (12.100 esametri).

La Commedia è anche una drammatizzazione della teologia cristiana medievale, arricchita da una straordinaria creatività immaginativa.
Occorre distinguere tra:

  • struttura cosmologica
  • struttura dottrinale
  • struttura formale

[modifica] Struttura cosmologica

La struttura testuale della Commedia coincide esattamente con la rappresentazione cosmologica dell'immaginario medievale. Il viaggio all'Inferno e sul monte del Purgatorio rappresentano infatti l'attraversamento dell'intero pianeta, concepito come una sfera, dalle sue profondità alle regioni più elevate; mentre il Paradiso è una rappresentazione simbolico-visuale del cosmo tolemaico.

L'Inferno era rappresentato all'epoca di Dante come una cavità di forma conica interna alla Terra, allora concepita come divisa in due emisferi, uno di terre e l'altro di acque. La caverna infernale era nata dal ritrarsi delle terre inorridite al contatto con il corpo maledetto di Lucifero e delle sue schiere, cadute dal cielo dopo la ribellione a Dio. La voragine infernale aveva il suo ingresso esattamente sotto Gerusalemme, collocata a 90° rispetto al semicerchio di 180° formato dalle terre emerse.

La metà marina della Terra si estendeva invece su tutta la semisfera opposta al continente euroasiatico. Agli antipodi di Gerusalemme, e quindi al 90° della semisfera acquea, si ergeva l'isola montagnosa del Purgatorio, composta appunto dalle terre fuoriuscite dal cuore del mondo all'epoca della ribellione degli angeli. In cima al Purgatorio, che peraltro era una creazione recente dell'immaginario cristiano legata alla necessità di giustificare la dottrina delle indulgenze, Dante colloca il Paradiso terrestre del racconto biblico, il luogo terrestre più vicino al cielo.

Il Paradiso è strutturato secondo la rappresentazione cosmologica nata all'epoca ellenistica con gli scritti di Tolemeo, e risistemata dai teologici cristiani secondo le esigenze della nuova religione. Nel suo rapimento celeste dietro l'anima di Beatrice, Dante attraversa dunque i nove cieli del cosmo astronomico-teologico, al di sopra dei quali si distende il Pleroma infinito - Empireo - in cui ha sede la Rosa dei Beati, posti a diretto contatto con la visione di Dio.

Ai nove cieli corrispondono nell'Empireo i nove cori angelici che, col loro movimento circolare intorno all'immagine di Dio, provocano il relativo movimento rotatorio del cielo a cui ciascuno di essi è preposto - questo secondo la dottrina dell'Atto Puro o Primo Mobile desunta dalla Metafisica di Aristotele.

La struttura cosmologica della Commedia è strettamente connessa alla struttura dottrinale del poema, per cui la collocazione dei tre regni, e, al loro interno, l'ordine delle anime - ovvero delle pene e delle grazie-, corrisponde a precisi intendimenti di ordine morale e teologico.

Dante e Virgilio nell'Inferno, dipinto di William-Adolphe Bouguereau (1850)
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Dante e Virgilio nell'Inferno, dipinto di William-Adolphe Bouguereau (1850)

In particolare, la topografia dell'Inferno comprende i seguenti luoghi:
un ampio vestibolo o Antiferno, dove vengono puniti coloro che nessuno vuole, né Dio né il demonio: gli ignavi.

Il fiume Acheronte, che separa il vestibolo dall'inferno vero e proprio.
Una prima sezione costituita dal Limbo, immerso in una tenebra perenne.
Una serie di cerchi meno scoscesi in cui patiscono i peccatori incontinenti.
La città infuocata di Dite, le cui mura circondano la voragine finale.
Il cerchio dei violenti in cui scorre il fiume sanguigno del Flegetonte.
Un burrone scosceso, che dà all'ottavo cerchio, chiamato Malebolge: il cerchio dei fraudolenti.
Il pozzo dei Giganti.
Il lago ghiacciato di Cocito, dove sono immersi i traditori.

La topografia del Purgatorio è invece così strutturata: un Antipurgatorio, costituito da una spiaggia su cui vengono traghettate le anime dall'angelo nocchiero che le preleva alla foce del Tevere. Specularmente all'Inferno, in esso subiscono la loro purificazione i negligenti, i tardi cioè a pentirsi.
Ai piedi del monte, ancora parte dell'Antipurgatorio, c’è una valletta fiorita in cui espiano i loro peccati i principi negligenti.
Il purgatorio vero e proprio è un monte scosceso, formato da ampi dirupi e cerchi rocciosi, a ciascuno dei quali è preposto un angelo guardiano.
Sulla cima del monte c’è il Paradiso terrestre, che ha l'aspetto di una foresta rigogliosa, popolata di figure allegoriche.

I nove cieli del Paradiso sono i sette del sistema tolemaico – Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno – più il cielo delle Stelle fisse e del primo mobile.

[modifica] Struttura dottrinale

La struttura dottrinale coincide con l'impianto teologico-filosofico proprio della poetica di Dante. La complessità degli schemi adottati dal poeta richiede che la materia venga trattata in apposite voci di approfondimento.

[modifica] Cronologia

Le date in cui Dante fa svolgere l'azione della Commedia si ricavano dalle indicazioni disseminate in diversi passi del poema.

Il riferimento principale è Inf. XXI, 112-114: in quel momento sono le sette del mattino del sabato santo del 1300, 9 aprile. L'anno è confermato da Purg. II, 98-99, che fa riferimento al Giubileo in corso. Tenendo questo punto fermo, in base agli altri riferimenti si ottiene che:

  • alla mattina dell'8 aprile, venerdì santo, Dante esce dalla "selva oscura" e inizia la salita del colle, ma viene messo in fuga dalle tre fiere e incontra Virgilio.
  • al tramonto, Dante e Virgilio iniziano la visita dell'Inferno, che dura esattamente 24 ore e termina quindi al tramonto del 9 aprile. Nel superare il centro della Terra, però, i due poeti passano al "fuso orario" del Purgatorio (12 ore di differenza da Gerusalemme e 9 ore dall'Italia), per cui è mattina quando essi intraprendono la risalita, che occupa tutto il giorno successivo.
  • all'alba del 10 aprile, domenica di Pasqua (oppure del lunedì 11 aprile, a seconda che le 12 ore di fuso orario si contino in avanti o all'indietro), Dante e Virgilio iniziano la visita del Purgatorio, che dura tre giorni e tre notti: all'alba del quarto giorno, 13 o 14 aprile, Dante entra nel Paradiso Terrestre e vi trascorre la mattina, durante la quale lo raggiunge Beatrice.
  • a mezzogiorno, Dante e Beatrice salgono in cielo. Da qui in avanti non vi sono più indicazioni di tempo, salvo che nel cielo delle stelle fisse trascorrono circa sei ore (Par. XXVII, 79-81). Considerando un tempo simile anche per gli altri cieli, si ottiene che la visita del Paradiso duri due-tre giorni. L'azione terminerebbe quindi il 15 o 16 aprile.

[modifica] Tematiche e contenuti

Il viaggio ultramondano è compiuto fra l'8 ed il 15 aprile (Settimana Santa) del 1300 (primo Giubileo). personale universale (redenzione dell'umanità)

  • Autobiografico: redenzione dell'anima del poeta dopo il periodo di traviamento (selva oscura)
  • Redenzione politica: l'umanità con la guida della ragione (Virgilio) e dell'impero raggiunge la felicità naturale (Paradiso Terrestre = giustizia e pace)
  • Redenzione religiosa: la guida della fede (Beatrice), porta alla felicità soprannaturale (Paradiso)

Dante rappresenta cielo e terra, ma la terra trova nel poema una rappresentazione nuova, una profonda comprensione della realtà umana. In Dante è presente un modo nuovo e disincantato di percepire la storia, il racconto storico abbraccia il corso dei secoli con la storia dell'impero romano e cristiano, delle lotte fiorentine tra Bianchi e Neri, una larga considerazione prospettica della storia della Chiesa e della storia contemporanea del Papato.

L'osservazione della natura è accurata e armoniosa, accentuata nel suo valore prospettico, ricca e determinata. Le note geografiche e visive si succedono.

Il paragone è lo strumento con cui il poeta ritrae il reale mediante un intreccio di notazioni varie e reali. La natura dantesca scaturisce sempre da un riferimento personale ed è, non di rado, attratta nell'orbita drammatica della rappresentazione. Tutto in Dante ha un valore soggettivo, il poema non è solo la storia dell'anima cristiana che si volge a Dio, ma anche la vicenda personale di Dante, inestricabilmente intrecciata agli avvenimenti che narra. Dante è sempre attore e giudice.

Il carattere autobiografico prevale nella poesia rende Dante, la profezia religiosa e politica, si sviluppa su un terreno di esperienze personali, dichiaratamente espresse, e di aspirazioni precise. Dante sovrappone la profezia ai fatti concreti e non li dimentica, né insegue sogni vaghi e irrealizzabili di rinnovamento come i profeti medievali, infatti il suo vagheggiamento di un rinnovamento religioso, morale e politico ha obiettivi ben precisi: una ritrovata moralità della Chiesa, la restaurazione dell'Impero, la fine delle lotte civili nelle città.

L'allegoria è il fondamento del poema ed è il segno più scoperto del suo medievalismo; il mondo è raffigurato suddiviso: da un lato la realtà storica e concreta, dall'altro il sopramondo, ossia il significato della realtà storica trasferita sul piano morale e su quello ultraterreno. Il costante riferimento al sopramondo attesta, la subordinazione medievale di ogni realtà a un fine morale e religioso.
Siffatta subordinazione è rigida e imperante e nell'assoluto valore dell'allegoria, nella fedeltà ai modi e allo stile ereditati dalla letteratura precedente è il medievalismo di Dante.

[modifica] Modelli e fonti

[modifica] Lingua e stile

Dante non si può scindere dalla tradizione poetica provenzale, come dalla poesia provenzale non si può separare lo Stil Nuovo di cui Dante fu insigne rappresentante. Stile e linguaggio danteschi derivano da modi caratteristici della letteratura latina medievale: la giustapposizione sintattica (brevi elementi successivi) cesure, stacchi, uno stile che non conosce la fluidità e il modo mediato e legato dei moderni. Dante ama l'espressione concentrata, il rilievo visivo e rifugge dai legami logici, il suo linguaggio è essenziale.A differenza di Petrarca che utilizzava un linguaggio puro e semplice caratterizato da un ristrettissimo numero di parole, un unilinguismo.

[modifica] Studi e Fonti

Sull'istruzione di Dante la ricerca è tuttora aperta; quasi sicuramente non frequentò regolarmente un'istituzione di studi superiori, e tuttavia la sua opera dimostra perfetta conoscenza delle discipline delle Arti, insegnate come base comune a tutte le facoltà universitarie. È stata avanzata l'ipotesi di suoi contatti con un gruppo di filosofi averroisti bolognesi. Quasi sicuramente studiò la poesia toscana, nel momento in cui la Scuola poetica siciliana, un gruppo culturale originario della Sicilia, stava cominciando ad essere conosciuta in Toscana. I suoi interessi lo portarono a scoprire i menestrelli ed i poeti provenzali e la cultura latina.

Evidente è la sua devozione per Virgilio (Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,/ tu se' solo colui da cu'io tolsi/ lo bello stilo che m'ha fatto onore, Inferno v. 79 canto I)) anche se la Divina Commedia mette in gioco una complessa tradizione classica e cristiana esaltando la cultura del Nostro; volendo ricordare alcune fonti si può iniziare dal verso 32 dell'Inferno "Io non Enea, io non Paulo sono" in cui sono presentati i due testi chiave sui quali si basa la sua opera: l'Eneide, (in particolare il canto VI) e la seconda Lettera ai Corinzi di s.Paolo, là dove racconta del suo rapimento estatico.

Numerosi altri testi agiscono sulla fantasia di Dante, dal Commentario di Macrobio al Somnium Scipionis (su una parte del libro VI della Repubblica di Cicerone), in cui viene narrata la visione delle sfere celesti e la dimora delle grandi anime, all'Apocalisse di S. Giovanni, come la meno nota Apocalisse apocrifa di s.Paolo (condannata da S.Agostino, ma molto diffusa nel basso Medioevo) che contiene alcune descrizioni delle pene infernali e la prima generica definizione dell'esistenza del Purgatorio. Il tema della visione ebbe grande fortuna nel Medioevo, e molti di questi racconti d'esperienze mistiche erano note a Dante, come la Navigatio sancti Brendani, la Visio Tungdali e i Dialoghi di s.Gregorio Magno. Anche la coeva escatologia ebraica sembra essere stata presente a Dante: in particolare, si pensa abbia potuto leggere le opere di Hillel da Verona, che trascorse gli ultimi anni della sua vita a Forlì, morendovi poco prima dell'arrivo di Dante in quella città.

Molto spesso è Dante, presentandoci i vari autori nella sua opera, a lasciarci una visione superficiale della sua biblioteca, ad esempio, nel cielo del Sole (canti X e XII) del Paradiso incontra due corone di spiriti sapienti, e tra questi mistici, teologi, canonisti, filosofi troviamo Ugo di San Vittore, Graziano, Pietro Lombardo, Gioacchino da Fiore, ecc.

Altre fonti più recenti e di più superficiale incidenza nella Divina vanno considerati i rozzi poemetti di Giacomino da Verona (De Ierusalem coelesti e De Babilonia civitate infernali) il Libro delle tre scritture di Bonvesin de la Riva, con la descrizione dei regni dell'al di là.

Sulla biblioteca classica di Dante dobbiamo per la gran parte accontentarci di deduzioni interne ai suoi testi, delle citazioni dirette e indirette che essi contengono; possiamo affermare che accanto al nome di Virgilio compaiono Ovidio, Stazio e Lucano, cui seguono i nomi di Tito Livio, Plinio, Frontino, Paolo Orosio, che già erano presenti, con l'aggiunta di Orazio e l'esclusione di Stazio, nella Vita Nuova (XXV, 9-10), così ci accorgiamo che questi erano i poeti più diffusi e più letti nelle scholae medievali lasciando aperta l'ipotesi di una loro frequentazione da parte di Dante.

[modifica] Questioni teologiche

[modifica] Cattolicesimo

Molti teologi e critici letterari nel corso dei secoli hanno ipotizzato l'ispirazione divina della Divina Commedia e la realisticità del viaggio oltremondano. Da notare, secondo storici novecenteschi, l'attinenza tra l'Inferno dantesco e quello che sarebbe stato visto dai pastorelli dell'Apparizione di Fatima. In prospettiva più larga, si è notevolmente discusso, nel Novecento, sulla possibilità che Dante considerasse se stesso un profeta, e ritenesse di aver veramente ricevuto una visione del mondo oltremondano. A favore dell'ipotesi, si sono pronunziati, tra gli altri, Etienne Gilson, Bruno Nardi e Raffaello Morghen; contro, permane ancora l'autorità di Michele Barbi.

[modifica] Le "fonti islamiche"

Un capitolo a sé merita quella che a suo tempo è stata una dibattutissima questione riguardante un'ipotetica ispirazione tratta da Dante dai vari "Libri della Scala" (ossia "della Scalata [al Cielo]") di elaborazione islamica. Nel suo viaggio mistico notturno (isrā') narrato nel Corano, Maometto avrebbe avuto l'opportunità di vedere dapprima le pene inflitte ai dannati, raggruppati in "gironi" infernali e sottoposti a una pena logicamente connessa in qualche misura, seppure a contrario, con il delitto o il peccato commesso. A tale esperienza sarebbe poi seguita la sua ascesa (mi'rāj) attraverso i sette cieli fino ad arrivare al cospetto di Dio. Questi isra e miraj produssero un enorme interesse nel mondo islamico e un vasto quantitativo di libri sull'argomento. Dalle originali redazioni in lingua araba si ebbero presto le prime versioni nei volgari della lingue romanze derivate dal latino.
Dante potrebbe aver avuto conoscenza diretta di questi libri, ed è quindi possibile che ne sia rimasto in qualche modo influenzato, senza nulla levare alla grandezza della sua poesia e all'ispirazione schiettamente cristiana del suo capolavoro in versi. L'ipotesi - inizialmente avanzata dal grande studioso Miguel Asín Palacios - suscitò ovviamente acceso scandalo fra i dantisti, ma, nell'immediato secondo dopoguerra, accorse in aiuto dell'ipotesi tanto osteggiata la dottrina di Enrico Cerulli, il massimo esperto di cultura etipoistica nell'Italia dell'epoca e uno dei massimi studiosi dell'Islam. Cerulli riuscì a rintracciare i tramiti fra le versioni in volgare castigliano e le versioni in volgare toscano del XIII secolo, identificando nel notaio Bonaventura da Siena l'autore della traduzione toscana, forse nota al Sommo Poeta. L'ipotesi ha ricevuto però dure critiche, in particolare da parte di Bruno Nardi.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

[modifica] Collegamenti esterni

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