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Platone

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«La filosofia è la musica più grande»
(Fedone, 61 A)
Platone
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Platone

Platone (in greco Πλάτων), soprannome di Aristocle (Atene, 427 a.C. - Atene, 347 a.C.), fu un filosofo greco discepolo di Socrate e maestro di Aristotele e continua ad essere uno tra i filosofi più letti, una figura centrale e massimamente influente per il pensiero occidentale. A questo proposito Whitehead ha detto che tutta la storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a margine su Platone.

Indice

[modifica] Biografia

Platone secondo Raffaello
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Platone secondo Raffaello

Nacque da famiglia aristocratica, e fin da giovane età decise di dedicarsi alla vita politica; ma a causa di alcuni gravi avvenimenti tra i quali l'arresto e la condanna a morte di Socrate, suo anziano amico e maestro, il giovane si convinse a rinunciare alla vita politica ed a dedicarsi alla filosofia.

Anche la parentela con il più potente dei Trenta tiranni, Crizia, suo zio, lo obbligò a rimanere lontano dalla politica della città praticamente per tutta la sua lunga vita. Nel 399 a.C., dopo la condanna a morte di Socrate, Platone si rifugiò a Megara.

Nel 396 a.C. iniziò i suoi viaggi che lo portarono in Egitto, in Cirenaica dove conobbe Aristippo ed il matematico Teodoro, ed in Italia dove incontrò Archita di Taranto. A questo periodo probabilmente risalgono le redazioni dei primi dialoghi - i cosiddetti "Primi dialoghi diretti". Questi dialoghi presentavano le discussioni di Socrate relative alla confutazione delle opinioni errate e contestavano l'innovativa cultura dei sofisti.

(Nota: Per il rapporto tra le opere e la vita di Platone, si rimanda alla cronologia dei Dialoghi platonici)

Nel 388 a.C. Platone fece il suo primo viaggio in Sicilia alla corte di Dionisio il Vecchio, dove strinse amicizia col cognato del tiranno, Dione. L'anno successivo tornò ad Atene, dove fondò l'Accademia; a questa fase risalgono i dialoghi pedagogici del Fedro, del Fedone e del Simposio, un metaforico invito a provare la perennità del bello o l'immortalità dell'anima.

Nel 367 a.C. giunse ad Atene Aristotele, che divenne subito un membro attivo dell'Accademia. Nello stesso periodo Platone fece il suo secondo viaggio in Sicilia, chiamato da Dione. Il motivo di questo secondo viaggio era la speranza, sempre coltivata dal filosofo ateniese, di esercitare attraverso la filosofia un'influenza pedagogica sul governo politico della città. Ma Dionigi il Giovane, figlio del vecchio tiranno della città, divenne sospettoso delle reali intenzioni di Dione e lo condannò all'esilio, imprigionando anche Platone.

Liberato dopo molte insistenze da parte del suo amico Archita di Taranto, Platone tornò ad Atene dove si occupò della redazione di varie opere: Parmenide, Teeteto, Sofista, Politico e Filebo.

Nel 361 a.C. Platone compì il suo terzo viaggio in Sicilia, richiamato dal desiderio di Dionigi di dedicarsi nuovamente allo studio della filosofia. Ma anche questo tentativo si ridusse ad un fallimento, e Platone poté lasciare Siracusa solo grazie all'intervento dell'amico Archita, tiranno di Taranto. Con questo insuccesso tramontava definitivamente il sogno platonico del "re filosofo", e la fama di Platone rimaneva legata ormai al prestigio sempre più grande dell'Accademia, all'interno della quale egli si rinchiuse fino alla morte. A quest'ultimo periodo appartengono il Timeo, il Crizia e le Leggi.

Nel 347 a.C. Platone morì e venne sostituito alla guida dell'Accademia dal nipote Speusippo.

[modifica] Opere

[modifica] Dialoghi

Per approfondire, vedi la voce Dialoghi (Platone).

[modifica] Ordinamento in tetralogie

L'ordinamento in tetralogie risale al grammatico Trasillo, del I secolo d.C. Essendo l'ordine più seguito nelle edizioni critiche dell'autore, appare doveroso riportarlo.

La nota (1) indica il mancato consenso generale che l'opera sia effettivamente di Platone, mentre la nota (2) indica il pieno consenso generale che Platone non ne sia affatto l'autore.

Altri testi ci sono giunti sotto il nome di Platone, ma sin dall'antichità furono considerati spurii:

  • Assioco (2), Definizioni (2), Demodoco (2), Epigrammi, Erissia (2), Alcione (2), Sulla Giustizia (2), Sulla Virtù (2), Sisifo (2)

[modifica] La genesi dell'idealismo dal problema della giustizia

Platone e gli allievi. Mosaico romano.
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Platone e gli allievi. Mosaico romano.

Quella che in termini storici possiamo chiamare "filosofia platonica" - ovvero il corpus di idee e di testi che definiscono la tradizione storica del pensiero platonico - è sorta dalla riflessione sulla politica. Come scrive Alexandre Koiré: "tutta la vita filosofica di Platone è stata determinata da un avvenimento eminentemente politico, la condanna a morte di Socrate".
Occorre tuttavia distinguere la "riflessione sulla politica" dall'"attività politica". Non è certo in quest'ultima accezione che dobbiamo intendere la centralità della politica nel pensiero di Platone. Come egli scrisse, in tarda età, nella Lettera VII del suo epistolario, proprio la rinuncia alla politica attiva segna la scelta per la filosofia, intesa però come impegno "civile". La riflessione sulla politica diventa, in altre parole, riflessione sul concetto di giustizia, e dalla riflessione su questo concetto sorge un'idea di filosofia intesa come processo di crescita dell'Uomo come membro della polis.
Fin dalle prime fasi di questa riflessione, appare chiaro che per il filosofo ateniese risolvere il problema della giustizia significa affrontare il problema della conoscenza. Da qui la necessità di intendere la genesi del "mondo delle idee" come frutto di un impegno "politico" più complessivo e profondo.

[modifica] La dottrina della conoscenza

La dottrina della conoscenza messa a punto da Platone in vari dialoghi come il Menone, il Fedone, ed il Teeteto, deve combattere, metaforicamente parlando, contro l’idea che la ricerca della conoscenza sia impossibile. Questa tesi era stata sostenuta dagli eristi, i quali basavano questo loro insegnamento sulla base di due assunti: 1) se non si conosce ciò che si cerca, qualora lo si sia trovato, non lo si riconoscerà come l’obiettivo da raggiungere; 2) se si conosce ciò di cui si è in cerca la ricerca è inutile. Tuttavia, Platone ha ben presente la figura di Socrate, che aveva fatto della ricerca la componente di base della filosofia vera e propria. Per rendere possibile la ricerca socratica, Platone escogita la famosa dottrina della reminiscenza, secondo la quale l’apprendere è un ricordare (anàmnesis). Tale dottrina si rifà alla credenza religiosa propria dell’orfismo e del pitagorismo secondo la quale quando il corpo muore, l’anima si reincarna in un altro corpo, poiché è immortale. Platone “sfrutta” tale mito fondendolo con l’assunto fondamentale che esistano delle Idee che hanno caratteristiche opposte agli enti fenomenici: sono incorruttibili, ingenerate, eterne, non soggette a mutamento. Queste Idee albergano nell’iperuranio, mondo soprasensibile e che è parzialmente visibile alle anime slegate dai loro corpi. Per essere più chiari (come viene spiegato nel Fedro) le anime sono come cocchi alati che procedono in schiere dietro ai carri degli dèi: in questa loro processione riescono, chi più distintamente di altre, a scorgere le Idee che appaiono attraverso uno squarcio tra le nuvole, diaframma obbligato tra il mondo sensibile e quello soprasensibile. Quando queste anime precipitano nei corpi, reincarnandosi, dimenticano la loro visione delle idee e, usando i sensi, identificano la realtà col mondo sensibile. L’opera del filosofo dialettico (la cui anima ha visto e conosciuto le idee meglio delle altre) è quella di riportare all’anima la memoria del mondo delle idee, attraverso il “dare e ricevere discorso”, dialogando con l’anima e persuadendola della verità. Questa idea dell’apprendere come ricordare riconduce immediatamente alla cura dell’anima professata da Socrate: la conoscenza è, di fatto, un conoscere meglio se stessi, riportando alla luce dell’intelletto ciò che l’anima ha dimenticato nel momento della reincarnazione. Questa dottrina è spesso, però, oggetto di fraintendimenti. Di fatto, come Platone stesso suggerisce in numerosi passi, è impossibile recuperare completamente la conoscenza del mondo delle Idee anche per il filosofo. La conoscenza perfetta di queste è propria solo degli dèi, che le osservano sempre. La conoscenza umana, nella sua forma migliore, è sempre filosofia, amore del sapere ed inesausta ricerca della verità. Ciò suggerisce una frattura "sofistica" all’interno del pensiero platonico: per quanto l’uomo si sforzi il raggiungimento della verità è impossibile, perché confinata nel mondo iperuranio e dunque assolutamente inconoscibile. La parola, che è lo strumento utilizzato dal filosofo dialettico per persuadere le anime della verità e dell’esistenza delle idee, non rispecchia che parzialmente la realtà ultrasensibile, che è irriproducibile e non è presentabile. Per fare un esempio, è come se un insegnante, che pure ha presente come è fatto un triangolo, cercasse di spiegarlo ai suoi allievi senza poter loro “esibire” e dunque “far vedere” un triangolo alla lavagna. Può forse persuadere gli alunni di com’è fatto all’incirca un triangolo, ma la conoscenza degli alunni è comunque lontana da coloro che sanno rappresentare correttamente un triangolo. La conoscenza intuitiva, dunque, è inapplicabile al mondo delle idee, e ci si può basare, per conoscere queste in modo “meno confutabile” possibile, sull’uso dei lògoi, ossia dei discorsi che si fanno attorno a queste. L’opera di ricerca filosofica è un persuadere le anime Fedone Platone fa esplicito riferimento alla metafora della seconda navigazione. Con questo termine i greci indicavano la navigazione a remi, più faticosa di quella a vela (prima navigazione) e utilizzata in caso di necessità (come la mancanza di vento). La seconda navigazione è proprio l’uso dei lògoi, che pongono una sostanziale differenza e frattura tra pensiero-parola e realtà. Platone, ben lungi dall’essere il filosofo della scienza forte e dottrinaria che per molti anni gli è stata erroneamente attribuita, ha scoperto, di fatto, l’impossibilità di raggiungere una verità piena ed incontrovertibile.

Riprendendo l'insegnamento di Socrate, Platone compie un duplice passo avanti. Anzitutto egli non si limita a indagare la virtù etico-politica del buon cittadino, ma estende l'ambito della sua ricerca all'insieme dei valori teorici e pratici che sono a fondamento delle diverse tecniche. Non si interroga solo sul bene, la pietà religiosa o la giustizia, ma anche sul bello, sull'utile, sul vero ecc. In secondo luogo, egli offre una risposta decisiva al problema dell'insegnabilità della virtù (aretè): questa può essere oggetto d'apprendimento se coincide con la vera scienza (epistème). L'uomo giusto è, innanzitutto, cultore della vera scienza e della verità di tutte le cose.
In questo senso, ogni tecnica particolare - che è il luogo della praxis - deve essere fondata su una conoscenza teorica fondata universalmente - il luogo della noesis. L'errore contro cui Platone combatte, rappresentato dalla cultura sofista - consiste nel basare la conoscenza sulla sensazione - Teeteto -. Al contrario, solo l'anima, e non i sensi, può conoscere l'aspetto "vero" delle cose.
Il modo in cui l'anima esprime la sua facoltà conoscitiva è la reminiscenza (anamnesis) ['reminiscenza: nella filosofia platonica, la reminiscenza è spec. la teoria per cui la conoscenza consiste nel ricordo delle idee contemplate dall'anima nelliperuranio prima di incarnarsi nel corpo] . Conoscere è ricordare: l'anima possiede in sé i concetti fondamentali che danno forma al sapere - Menone -. La più compiuta teoria della conoscenza (teoria della linea) è quella esposta nel dialogo sulla La Repubblica rappresentabile col seguente schema:

conoscenza sensibile o opinione (δόξα)
immaginazione (εἰκασία) credenza (πίστις)
conoscenza intellegibile o scienza (ἐπιστήμη)
pensiero discorsivo (διάνοια) intellezione (νόησις)

Solo la conoscenza intelligibile assicura un sapere vero e universale; affidarsi a immaginazione e credenza significa confondere la verità con la sua immagine.

[modifica] Il concetto di Eros-philosophos e l'iper-uranio

Platone spiega l'umano desiderio di conoscenza con il mito di Eros. Eros, dio greco dell'amore e della forza, figlio di Poros e Penia, ossia di Ricchezza e Povertà; il filosofo con la stessa forza di amore che lega due esseri umani, tende alla verità.

Si desidera soltanto quello che non si ha, e l'uomo tende ad una conoscenza della quale è in realtà povero. La ricerca di questa verità muove appunto dalla consapevolezza socratica del sapere di non sapere.

Platone aggiunge che l'uomo non desidererebbe con tanta forza questa verità se non l'avesse mai vista, se non fosse certo che esiste. In questo senso, non solo si desidera quella che non si ha, ma di più si può affermare: si desidera soltanto quello che non si ha più, che si è perso.

Per Platone vale il concetto di "calocagathia" (crasi di "calè", "kai", "agathia"), ossia bontà e bellezza. Tutto ciò che è bello ("calos") è anche vero e buono ("agathos"), e viceversa. Perciò, la bellezza delle idee che attira l'amore intellettuale del filosofo, è anche il bene dell'uomo. Il fine della vita umana diventa la visione delle idee e la contemplazione di Dio.

Tale contemplazione non è perfetta nella dimensione degli enti, dominata dalla materia che è non-essere. Perciò, oltre il vero ha valore anche il verisimile, che almeno si avvicina il più possibile alla verità iper-uranica delle cose. Perciò ha valore di conoscenza anche il mito che precede ed è una forma di conoscenza inferiore alla filosofia, perché intuitiva, non necessaria né dimostrata. Pure le scienze sono un sapere inferiore perché anche se necessarie e dimostrate, vivono di ipotesi. Classico esempio è la costruzione dei teoremi di geometria (ipotesi e tesi), che Euclide raccolse e sistematizzò secoli dopo, e che erano parte di una tradizione tramandata oralmente.

Tuttavia, in mancanza di una conoscenza migliore, anche il mito e la scienza hanno una dignità per il filosofo che vuole contemplare le idee. L'unica forma di sapere che il filosofo non può mai accettare è la "doxa", il mondo dell'opinione.

Il non-essere, osserva Platone, esiste solo in senso relativo (relativo agli enti) e quindi può essere superato, ponendosi a vedere le idee al di sopra della dimensione degli enti. Il non-essere "corrode" la bellezza originaria delle idee iper-uraniche calate nella materia per dare forma alle cose, in un sinolo, un'unità di materia e forma, come dirà Aristotele. Anche per Aristotele quest'unione viene sciolta con la morte degli enti.

Da ciò deriva il disprezzo di un filosofo platonico per il corpo: Platone più volte nei dialoghi gioca con l'assonanza di parole "sèma"/"sòma", ossia "cadavere/corpo".

Da questa separazione fra corpo e anima e dal concetto di Eros-Philosophos, Platone elabora il concetto di trasmigrazione dell'anima, che avrebbe visto la verità prima di incarnarsi nel corpo d'uomo e dopo la morte si staccherebbe dal corpo per iniziare a vivere in un'altra persona. La netta separazione fra un corpo finito e mortale, e l'anima eterna, avrà forti conseguenze in filosofia. L'idea della pre-esistenza dell'anima al corpo sarà aspramente criticata da Agostino di Ippona.

Questa verità non è a portata di mano nella dimensione degli enti, ma richiede una seconda navigazione al di là del sensibile. Le idee iperuraniche possono essere colte soltanto dall'intelletto, che opera appunto nel mondo dell'intellegibile, delle idee platoniche.

Platone porta l'esempio delle figure geometriche, dei solidi platonici da lui stesso scoperti e dei triangoli e cerchi. In natura non esiste un cerchio o un quadrato perfetto, che pur ogni individuo conosce, calcolandone area e perimetro. Questa capacità è dovuta al fatto che l'intelletto vede al di là sensibile un'idea di cerchio e quadrato che non è nella realtà fuori di noi.

Iper-uranio in greco significa "al di là del cielo". Con il termine "cielo" s'intendeva quella che al tempo era la frontiera del mondo conosciuto: collocare le idee nell'iper-uranio significava porle in una dimensione diversa da quella del sensibile.

[modifica] La funzione del mito

Platone reintroduce con la sua opera il mito, quale forma di conoscenza tradizionale che, cronologicamente, precede di molto la filosofia. Platone afferma che non tutte le scienze hanno l'esattezza della filosofia e non sempre è possibile una conoscenza necessaria e incontrovertibile delle idee platoniche. Egli ha un atteggiamento diversificato nei confronti del mito che ritiene vada reinterpretato in quanto utile, anzi, necessario. Il mito va infatti inteso come esposizione di un pensiero ancora nella forma di racconto, non quindi come ragionamento puro e rigoroso. Esso ha una funzione allegorica e didascalica, presenta cioè una serie di concetti attraverso immagini che facilitano il significato di un discorso piuttosto complesso, cerca di rendere comprensibili i problemi, creando nel lettore una nuova tensione intellettuale, un atteggiamento positivo nei confronti dello sviluppo della riflessione.

Il mito dunque presenta con un'unità armonica argomenti che non potrebbero essere esposti altrimenti e al contempo diventa strumento di verità. I racconti mitici platonici toccano le questioni fondamentali dell'esistenza umana, come la morte, l'immortalità dell'anima, la conoscenza, l'origine del mondo, e le collegano strettamente ai temi e ai discorsi logico-critici, a cui il filosofo affida il compito di produrre una conoscenza e una rappresentazione vere della realtà. Talvolta i miti appaiono con un approccio alla ricerca effettuato per vie differenti da quelle praticabili con la sola ragione e si sostituiscono ai discorsi razionali, quano questi risultano insufficienti.

I sedici miti che si riscontrano nell'opera platonica sono:

  1. Mito di Epimeteo e Prometeo
  2. Mito di Aristofane o dell'androgino
  3. Mito della nascita dell'amore
  4. Mito del carro e dell'auriga
  5. Mito della reminiscenza
  6. Mito della caverna
  7. Mistero dell'amore
  8. Mito della sentenza finale
  9. Mito della distribuzione delle pene
  10. Mito di Er il Panfilio
  11. Mito del Demiurgo
  12. Mito dei cicli inversi
  13. Mito di Atlantide
  14. Mito di Gige
  15. Mito delle cicale
  16. Mito di Theuth

[modifica] L'ontologia

Esemplificazione delle "idee" platoniche.
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Esemplificazione delle "idee" platoniche.

Su che cosa si fondano, e che rapporto hanno le idee con gli oggetti della conoscenza sensibile? La risposta a questa domanda costituisce la cosiddetta ontologia platonica.
Il testo fondativo di questo aspetto del pensiero platonico è senza dubbio il celebre "mito della caverna" del libro VII de La Repubblica. In esso, il mondo sensibile è dato come immagine evanescente e imperfetta del mondo delle idee, inteso invece come "mondo vero" e fondamento di tutto ciò che è. Platone stesso fornisce l'interpretazione dell'allegoria: lo schiavo che viene liberato dalla caverna rappresenta l'anima, che si libera dai vincoli corporei mediante la conoscenza. Le cose del mondo esterno rappresentano le idee, mentre gli oggetti nella caverna (e le immagini di essi proiettate sulla parete) non sono che le loro copie imperfette. Il sole, che permette di riconoscere l'aspetto vero della realtà, è simbolo dell'idea del bene, l'idea suprema in vista di cui l'intero mondo delle idee è costituito e al quale essa conferisce la sua unità.
Una conferma di tale impostazione ontologica del reale è data nel mito narrato nel dialogo Fedro, attraverso l'immagine della faticosa salita dell'anima al mondo iperuranio delle idee, così descritte: «essenze incolori, informi e intangibili, contemplabili solo dall'intelletto (...) essenze che sono scaturigine della vera scienza».
L'ontologia platonica si presenta dunque come "dualistica", comprensiva cioè di due piani concettuali, quello delle cose (gli enti) e quello delle idee, tra i quali tuttavia esiste una differenza ontologica, cioè incolmabile e costitutiva della loro stessa natura. L'unico rapporto possibile tra il piano delle cose e quello delle idee è quello "mimetico": ogni realtà sensibile (ente) ha il suo modello (eidos) nel mondo intelligibile. L'unico "salto" possibile tra i due livelli è quello che può compiere l'anima, elevandosi attraverso la conoscenza dall'esistenza materiale a quella intellettuale.

[modifica] Ontologia e dialettica

Come conciliare la differenza tra mondo sensibile e intelligibile e tuttavia la loro corrispondenza? Come partecipano tra loro i due piani della realtà? A queste domande è chiamata a rispondere la dialettica.
Il problema è legato storicamente alla presenza nell'Accademia di Aristotele, durante gli anni della tarda maturità platonica. È infatti presumibile che da un certo momento la critica aristotelica all'"ontologia della differenza" abbia costretto il vecchio maestro a rivedere criticamente le sue originali concezioni in funzione di un maggior "realismo" logico della teoria delle idee. In sostanza, la domanda è: se il mondo delle idee e quello empirico si contrappongono - essere e non-essere - che senso ha porre l'idea come causa della realtà apparente? Non sarebbe più coerente concludere che esiste solo il mondo delle idee, riducendo il mondo delle cose a pura illusione?
La prima soluzione che Platone aveva cercato a questa aporia era stata la teoria della partecipazione (mèthexis): le cose particolari parteciperebbero dell'idea corrispondente. In una seconda fase, il filosofo aveva proposto la teoria dell'imitazione (mimesis), secondo la quale le cose sono imitazioni della loro idea. Ma entrambe le risposte mantenevano aperte molte e complesse contraddizioni di carattere logico.
In una terza fase, Platone mette in discussione una delle basi parmenidee della sua ontologia, quella della immobilità dell'essere: il mondo delle idee assume l'aspetto di un sistema complesso, in cui trovano posto i concetti di diversità e molteplicità. Più che di una contrapposizione tra idea e realtà, entra in gioco il principio della divisione (diairesis) del mondo intelligibile, che consente di collegare dialetticamente ogni realtà empirica al suo principio sommo. Ciascuna idea si articola con quelle ad essa subordinate (più particolari) e sovraordinate (più generali), secondo regole dialettiche di somiglianza e comunanza (generi, specie). In questa ipotesi teorica entra in gioco la possibilità dell'errore: esso consiste nella determinazione di connessioni arbitrarie tra generi e specie. Inoltre, viene profondamente modificato il concetto stesso di "non-essere": esso non è più il "nulla", ma viene a costituirsi come il "diverso", un'altra modalità dell'essere. La diairesis non elimina, naturalmente, il carattere trascendente delle idee, ma avvicina maggiormente il metodo dialettico alle possibilità conoscitive del metodo scientifico.
Nel sofista Platone colloca 5 generi sommi (essere, identico, diverso, stasi e movimento) a cui tutte le idee possono essere subordinate, e il conicliare unità molteplicità staticità e movimento è detto rapporto di comunanza (koinonìa)

Un problema piuttosto grande che s’incontra studiando gli ultimi dialoghi di Platone (Parmenide, Sofista, Teeteto) è la definizione di dialettica che Platone non la dà mai. Nella Repubblica Platone ne parla come il metodo più efficace per raggiungere la verità. Nel Fedro si trova che la dialettica è un “processo di unificazione e moltiplicazione”: partendo cioè da un’analisi di certi fenomeni, si tratta di unificarli sotto un unico genere. All’opposto la dialettica si occupa anche di dividere un genere in tutte le specie che comprende sotto di sé. Possiamo forse dire che l’Idea è di fatto una unità del molteplice, che racchiude ed assume in sé la caratteristica principale propria di alcuni esseri (basta pensare all’idea del bello che unifica tutte le varie cose belle). Nel Parmenide Platone dà una dimostrazione di come lavora la dialettica all’interno del discorso: si tratta di trovare tutte le risposte possibili ad una domanda; poi, con un procedimento falsificatorio, si procederà nel confutare ad una ad una le risposte date, sulla base di certi principi; la risposta che non è falsificata dal procedimento è meno confutabile delle atre e dunque è più vera della altre (mai vera in senso assoluto). Si potrebbe obiettare a questo punto che tale applicazione della dialettica non corrisponde alla pseudo-definizione datane da Platone nel Fedro. Tale obiezione si rafforza tenendo conto che nel Filebo, Platone mescola ancora una volta le carte in tavola. Nel dialogo infatti Socrate è impegnato a definire che cosa sia il piacere. Anzitutto i piaceri sono tanti oppure è solo uno? Filebo non sa rispondere, ed allora Socrate pronuncia la famosa frase secondo cui “i molti sono uno e l’uno è molti”. Che cosa significa quest’asserzione? Semplicemente ribadisce un principio proprio delle Idee, ossia quella di essere uniche e perfette, eppure, nel contempo, di riflettersi nella molteplicità del sensibile. La metodologia più coerente dell’applicazione della dialettica è quella esposta nel Sofista: si tratta del metodo dicotomico. All’interno di una domanda si tratta di isolare il concetto che si vuole definire; nell’attribuire questo concetto ad una classe più ampia nella quale siamo certi sia compreso il concetto medesimo; quindi nel suddividere tale classe in due parti, più piccole, per vedere in quale delle due sottoclassi è ancora compreso il concetto da trovare, e così via, suddividendo finché non troviamo più nulla da dividere e, dunque, la definizione trovata è proprio quella del concetto che volevamo spiegare. Pur presentandosi come scienza (epistème), la dialettica, è bene ribadirlo, è solo un procedimento rigoroso, che però non riesce mai ad arrivare alla verità (sempre per il fatto che si serve dei lògoi). Si può dire allora che la scienza presentata da Platone non è certo quella di Aristotele, per mezzo della quale, secondo lo Stagirita, è possibile raggiungere con l’intelletto la realtà dei principi primi.

[modifica] Testi

[modifica] In italiano

[modifica] Bibliografia

Per avere un quadro completo sulla bibliografia realativa a Platone si possono consultare:

  • Harold Cherniss, Plato's bibliography 1950-1957, con annotazioni critiche, Lustrum, Internationale Forschungsberichte aus dem Bereich des klassischen Altertums, 4, 1959, pp. 5-308 e 5, 1960 pp. 321-648 (Ristampa Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1960, con un supplemento di H.J. Mette)
  • Richard D. McKirahan, Plato and Socrates. A comprehensive bibliography (1958-1973), New York, Garland, 1978
  • Luc Brisson, Plato's bibliography 1958-1975 Lustrum 20, 1977, pp. 5-304
  • Luc Brisson - Hélène Ioannidi, Plato's bibliography 1975-1980, Lustrum 25, 1983, pp. 31-320 (e Corrigenda à Platon 1975-1980, Lustrum 26, 1984, pp. 205-206)
  • Luc Brisson - Hélène Ioannidi, Plato's bibliography 1980-1985, Lustrum 30, 1988, pp. 11-294 (e Corrigenda à Platon 1980-1985, Lustrum 31, 1989, pp. 270-271)
  • Luc Brisson - Hélène Ioannidi, Plato's bibliography 1985-1990, Lustrum 34, 1992,
  • Luc Brisson - Frédéric Plin, Platon: 1990-1995. Bibliographie, Paris, Vrin 1999 (bibliografia annotata, 416 pages)
  • Luc Brisson, Plato bibliography (1992-2001), disponibile online a questo indirizzo

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

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