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Resistenza italiana

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«Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l'arma e il nome.»
(Cesare Pavese, da La terra e la morte 9 novembre 1945)
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Storia d'Italia

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Categoria: Storia d'Italia

Nel corso della seconda guerra mondiale, la Resistenza italiana (chiamata anche Resistenza partigiana) sorse dall'impegno comune di individui, partiti e movimenti che, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e la conseguente invasione dell'Italia da parte della Germania nazista, si opposero - militarmente o anche solo politicamente - agli occupanti e alla Repubblica Sociale Italiana, fondata da Benito Mussolini sul territorio controllato dalle truppe germaniche.

Il movimento resistenziale - inquadrabile storicamente nel più ampio fenomeno europeo della resistenza all'occupazione nazista dell'Europa - fu caratterizzato in Italia dall'impegno unitario di molteplici e talora opposti orientamenti politici (cattolici, comunisti, liberali, socialisti, azionisti, monarchici). I partiti animatori della Resistenza, riuniti nel CLN, avrebbero più tardi costituito insieme i primi governi del dopoguerra.

L'Assemblea costituente, eletta nel 1946 contestualmente allo svolgimento del referendum istituzionale, fu in massima parte composta da esponenti dei partiti del CLN che, in tale veste, elaborarono la Costituzione della Repubblica Italiana, ispirata ai principi della democrazia e dell'antifascismo.

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«Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque é morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì O giovani, col pensiero, perché lì é nata la nostra costituzione.»
(Piero Calamandrei, Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza. Milano, 26 gennaio 1955)

Indice

[modifica] Generalità

Alla Resistenza presero parte gruppi organizzati e spontanei di diverse estrazioni politiche, uniti nel comune intento di opporsi militarmente e politicamente al governo della Repubblica Sociale Italiana (RSI) e degli occupanti nazisti tedeschi. Ne scaturì la "guerra partigiana", conclusasi il 25 aprile 1945, quando l'insurrezione armata partigiana proclamata dal Comitato di liberazione nazionale per l'Alta Italia (CLNAI) consentì di prendere il controllo di quasi tutte le città del nord del paese. Era l'ultima parte di territorio ancora occupata dalle truppe tedesche in ritirata verso la Germania e soggetta all'azione repressiva delle formazioni repubblichine della Repubblica Sociale Italiana cui il movimento partigiano opponeva la propria resistenza. La resa incondizionata dell'esercito tedesco si ebbe il 29 aprile.

Per estensione, viene da taluni chiamato "Resistenza" anche il periodo che va dagli anni trenta (in cui presero vita i primi movimenti) alla fine della guerra, inglobando nel concetto di resistenza ogni forma di opposizione alla dittatura di Benito Mussolini. Si potrebbe affermare addirittura l'esistenza di un movimento resistenziale ante litteram consistente nell'opposizione anche armata all'ascesa del fascismo opposta negli anni venti in particolare dalle forze di sinistra (socialisti, comunisti, anarchici, sindacati di sinistra) alle violenze squadriste.

[modifica] Le opposizioni al regime

Partigiani in festa a Milano
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Partigiani in festa a Milano

Dopo l'omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti (1924) e la decisa assunzione di responsabilità da parte di Mussolini, l'Italia si incammina verso un regime dittatoriale. Il sempre maggiore controllo e le persecuzioni degli oppositori, a rischio di carcerazione e di confino, spinge l'opposizione ad organizzarsi in clandestinità in Italia e all'estero, creando una rudimentale rete di collegamenti e gettando le basi per una struttura operativa potenzialmente armabile.

Le attività clandestine tuttavia non producono risultati di rilievo, restando frammentate in piccoli gruppi non coordinati, incapaci di attaccare o almeno di minacciare il regime se si esclude qualche attentato realizzato in particolare dagli anarchici. La loro attività si limitava al versante ideologico: era copiosa la produzione di scritti, in particolare tra la comunità degli esuli antifascisti, che però di rado raggiungevano le masse. Le uniche forze che mantengono una pur labile struttura clandestina in patria sono quelle legate ai comunisti.

Solo la guerra, e in particolare lo sfascio dello Stato innescato dai fatti dell'estate del 1943, offre ai clandestini l'occasione di entrare in contatto (magari mediato) fra loro, in ciò aiutati talvolta dalle forze angloamericane che ne compresero la strategica importanza per le sorti del conflitto e che provvidero ad armarle e aiutarle anche per gli aspetti logistici. Gli esponenti della Resistenza comprendevano allora i militanti dei partiti di sinistra, i repubblicani e i popolari che erano stati perseguitati dal fascismo all'inizio degli anni venti e altre forze di carattere liberale che erano state defenestrate col consolidamento del regime dittatoriale.

[modifica] Il CLN

Il movimento partigiano, prima raggruppato in bande autonome, fu successivamente organizzato dal Comitato di liberazione nazionale (CLN) in brigate e divisioni, quali le Brigate Garibaldi, costituite su iniziativa del partito comunista, le Brigate Matteotti, legate al partito socialista, le Brigate Giustizia e Libertà, legate al Partito d'Azione, le Brigate Autonome (principalmente ex-militari) prive di rappresentanza politica, ma simpatizzanti per la monarchia, talvolta riportati come badogliani.

Specialmente nel periodo dall'8 settembre 1943 (data dell'armistizio di Cassibile) al 25 aprile 1945 l'italia visse una vera e propria guerra civile. L'azione della Resistenza italiana intendeva essere una guerra patriottica di liberazione dall'occupazione tedesca, ma di fatto ciò implicava anche scatenare una guerra civile contro i fascisti e gli aderenti alla RSI.

[modifica] Il ruolo giocato nella guerra

Ad essere coinvolti in quella che viene anche chiamata guerra partigiana, si calcola siano stati dalle poche migliaia nell'autunno del 1943 fino ai circa 300.000 dell'aprile del 1945 gli uomini armati che, specialmente nelle zone montuose del centro-nord del Paese, svolsero attività di guerriglia e controllo del territorio che via via veniva liberato dai nazifascisti.

Nell'Italia centro-meridionale il movimento partigiano non ebbe altrettanta crucialità militare, sebbene nelle aree restituite al controllo del re (di fatto, degli Alleati) si riunissero i principali esponenti politici che da lontano coordinavano le azioni militari partigiane, anche insieme alle armate alleate. Infatti l'esercito anglo-americano aveva sospinto sulla linea Gustav già dal 12 ottobre 1943 le forze tedesche che risalivano verso il nord.

Con mezza penisola liberata e la restante parte ancora da liberare, con violente tensioni sociali ed importanti scioperi operai che già nella primavera del 1944 avevano paralizzato le maggiori città industriali (Milano, Torino e Genova), le popolazioni del nord Italia si preparavano a trascorrere l'inverno più lungo e più duro, quello del 1945. Sulle montagne della Valsesia, sulle colline delle Langhe e sulle asperità dell'Appennino Ligure le formazioni partigiane erano ormai pronte a combattere.

[modifica] I GAP e le SAP

Nelle città cominciarono a costituirsi nuclei partigiani clandestini denominati GAP (Gruppi di azione patriottica) formati ognuno da pochi elementi pronti a svolgere azioni di sabotaggio e di guerriglia nonché di propaganda politica. Accanto ad essi, nei principali centri urbani sorsero all'interno delle fabbriche le SAP (Squadre di azione patriottica), ampi gruppi di sostegno alle formazioni partigiane belligeranti, con l'obiettivo specifico di rendere più ampia possibile la partecipazione popolare al momento insurrezionale. Attriti sorsero, però, a questo punto su quale sarebbe stato per il movimento partigiano l'interlocutore privilegiato, politico o militare che fosse, italiano oppure alleato.

Bologna festeggia la Liberazione
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Bologna festeggia la Liberazione

Sotto questo aspetto a poco era servita la militarizzazione "ufficiale" dei partigiani, avvenuta nel giugno 1944 con l'istituzione - riconosciuta sia dai comandi militari alleati che dal governo nazionale - del Corpo volontari della libertà (o Corpo italiano di liberazione, CIL). A capo dei circa 200 mila combattenti che formavano il nuovo esercito italiano era stato posto il generale Raffaele Cadorna Jr, con vicecomandanti l'esponente del Partito Comunista Italiano Luigi Longo e quello del Partito d'Azione Ferruccio Parri).

Mentre si cominciava comunque a guardare al futuro, un altro punto di contrasto era costituito, appunto, da quello che sarebbe accaduto nel dopoguerra, che veniva avvertito ormai come prossimo. Se da un lato la guerra di liberazione accomunava diverse forze politiche, sia pure nella clandestinità e nella diversità ideologica, l'obiettivo successivo - la nuova Italia - era fonte di divergenza: i partiti della sinistra - peraltro divisi al loro interno - paventavano particolarmente un ripristino dello stato liberale prefascista; dal canto suo, il Partito d'Azione sosteneva la necessità che alle organizzazioni partigiane venisse attribuito un ruolo di rilievo nell'edificazione di una nuova democrazia in grado di sovvertire il vecchio ordinamento monarchico. La monarchia, del resto, continuava ad essere sostenuta anche dai gruppi partigiani che si riconoscevano nell'ala democratico-cristiana, liberale ed autonoma, oltre che dai soldati dell'esercito che non avevano aderito alla Repubblica Sociale Italiana.

[modifica] Resa incondizionata

La resistenza italiana ebbe formalmente termine, come si è detto, il 29 aprile, con la resa incondizionata dell'esercito tedesco. Ma prima vi era stata la cattura e l'esecuzione di Benito Mussolini: il 27 aprile del 1945, il duce del fascismo, con la divisa di un soldato tedesco, fu catturato a Dongo, in prossimità del confine con la Svizzera, mentre tentava di espatriare assieme all'amante Claretta Petacci. Riconosciuto dai partigiani, fu fatto prigioniero e giustiziato il giorno successivo 28 aprile a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como; il suo cadavere venne esposto impiccato a testa in giù, accanto a quelli della stessa Petacci e di altri gerarchi, in piazzale Loreto a Milano, ove fu lasciato alla disponibilità della folla. In quello stesso luogo otto mesi prima i nazifascisti avevano esposto, quale monito alla Resistenza italiana, i corpi di quindici partigiani uccisi.

Il 30 aprile 1945 il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia ebbe a commentare che "la fucilazione di Mussolini e dei suoi complici è la conclusione necessaria di una fase storica che lascia il nostro paese ancora coperto di macerie materiali e morali".

Il 2 maggio il generale inglese Alexander ordinò la smobilitazione delle forze partigiane, con la con segna delle armi. L'ordine venne in generale eseguito. Una parte delle forze partigiane fu arruolato nella "polizia ausiliaria" ad hoc costituita.

Le armi furono in gran parte consegnate. Esse vennero consegnate in tempi diversi nei vari luoghi in dipendenza dell'avanzata dell'esercito alleato e della liberazione progressiva del territorio nazionale e del conseguente passaggio di poteri al governo italiano.

[modifica] Alcune cifre sulla Resistenza

Secondo diverse fonti il numero di partigiani, partendo dalle poche migliaia dell'autunno del 1943, raggiunse alla fine della guerra una consistenza di circa 300.000 uomini. Molti studiosi pongono però dei dubbi sul reale numero di partigiani attivi alla fine della guerra, riportando cifre ben più modeste relative agli uomini e alle donne impegnati direttamente nella lotta armata, sostenendo che tra i circa 300.000 che si definiranno partigiani dopo il 25 aprile molti siano semplicemente simpatizzanti della resistenza che, pur non partecipando direttamente alle azioni partigiane, avevano fornito (rischiando comunque la vita) supporto e rifugio e che in alcuni casi vennero conteggiati tra i partigiani anche ex-fascisti ed ex-repubblichini saliti sul carro del vincitore grazie a conoscenze, alla corruzione o alla delazione di altri sostenitori della dittatura fascista o sostenitori della Repubblica Sociale Italiana (secondo le loro indicazioni non necessariamente veritiere).

Va ricordato poi che dopo il bando del febbraio 1944, che prevedeva la pena di morte per i renitenti alla leva e ai disertori, seguito nell'aprile dello stesso anno da un altro decreto che estendeva la pena di morte anche a chi aveva dato appoggio o rifugio alle brigate partigiane, e dopo diversi casi di arruolamenti forzati da parte di soldati della RSI, molti giovani preferirono cercare rifugio tra le formazioni partigiane rispetto al partire per una guerra che non condividevano (e che molti ritenevano ormai persa) o al rischiare di essere catturato e giustiziato in città insieme ai propri familiari colpevoli di avergli dato rifugio, pur non condividendo sempre gli orientamenti politici che animavano chi aveva dato vita a queste formazioni.

Alla lotta partigiana in Italia aderirono anche alcuni gruppi di disertori tedeschi, il cui numero è difficile da valutare in quanto, per evitare rappresaglie contro le loro famiglie residenti in Germania, usavano nomi fittizi e spesso venivano considerati dai loro reparti d'origine come dispersi e non disertori per una questione d'immagine.

[modifica] Decine di migliaia di caduti: il tributo di sangue dei partigiani

Lapide ad ignominia

Piero Calamandrei, presso il Comune di Cuneo, 1952
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
Più duro d'ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

Si calcola che i caduti per la Resistenza italiana (in combattimento o uccisi a seguito della cattura) siano stati complessivamente circa 44.700; altri 21.200 rimasero mutilati ed invalidi; tra partigiani e soldati regolari italiani caddero combattendo almeno in 40.000 (10.260 della sola Divisione Acqui impegnata a Cefalonia e a Corfù);

Le donne partigiane combattenti furono 35 mila, mentre 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna; 4.653 di loro furono arrestate e torturate. 2.750 furono deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento; 15 vennero decorate con la medaglia d'oro al valor militare.

Dei circa 40.000 civili deportati, per la maggior parte per motivi politici o razziali, ne torneranno solo 4.000. Gli ebrei deportati nei lager furono più di 10.000; dei 2.000 deportati dal ghetto di Roma il 16 ottobre '43 tornarono vivi solo in quindici.

Tra i soldati italiani che dopo l'8 settembre decisero di combattere contro i nazifascisti sul territorio nazionale continuando a portare la divisa morirono in 45.000 (esercito 34.000, marina 9.000 e aviazione 2.000), ma molti dopo l'armistizio parteciparono alla nascita delle prime formazioni partigiane (che spesso erano comandate da ex ufficiali).

Furono invece 40.000 i soldati che morirono nei lager nazisti, su un totale di circa 650.000 che fu deportato in Germania e Polonia dopo l'8 settembre e che, per la maggior parte (il 90% dei soldati e il 70% di ufficiali), rifiutarono le periodiche richieste di entrare nei reparti della RSI in cambio della liberazione.

Si stima che in Italia nel periodo intercorso tra l'8 settembre 1943 e l'aprile 1945 le forze tedesche (sia la Wehrmacht che le SS) e le forze della Repubblica Sociale Italiana compirono più di 400 stragi (uccisioni con un minimo di 8 vittime), per un totale di circa 15.000 caduti tra partigiani, simpatizzanti per la resistenza, ebrei e cittadini comuni.

[modifica] Processi e copertura ai nazifascisti nel dopoguerra

Per approfondire, vedi la voce CIA: Arruolamento di ex nazifascisti.

Per diversi motivi molti procedimenti giudiziari relativi a queste stragi non furono mai portati avanti: parte della Germania era ora alleata con l'Italia sotto l'ombrello della NATO, per cui non risultava politicamente opportuno dare risalto ad episodi ormai ritenuti parte del passato.

C'era poi il rischio che un processo in cui si chiedeva la consegna dei criminali di guerra tedeschi avrebbe poi obbligato l'Italia a consegnare a stati esteri o a processare internamente i responsabili di crimini di guerra commessi dalle forze italiane durante il ventennio fascista e il periodo della Repubblica Sociale Italiana, sia in territorio nazionale che straniero, molti dei quali dopo la guerra erano stati riassorbiti all'interno dell'esercito o delle pubbliche amministrazioni.

Infine durante gli anni sessanta seicentonovantacinque fascicoli riguardanti le stragi nazifasciste in Italia vennero, per le ragione sopraesposte, "archiviati provvisoriamente" dal procuratore generale militare e i vari procedimenti furono bloccati, garantendo quindi l'impunità per i responsabili ancora in vita.

Solo nel 1994, durante la ricerca di prove a carico di Erich Priebke per la strage delle Fosse Ardeatine, venne scoperta l'esistenza di questi fascicoli (trovati in quello che giornalisticamente è stato definito l' Armadio della Vergogna) e alcuni dei procedimenti furono riaperti, ad esempio quello a carico di Theodor Saewecke, responsabile della strage di Piazzale Loreto a Milano, ove furono fucilati per rappresaglia 15 tra partigiani ed antifascisti. La maggior parte delle indagini e delle denunce contenute nei fascicoli non portarono tuttavia ad un processo, poiché molti degli indagati risultarono essere non perseguibili in quanto già morti o per l'intervenuta prescrizione dei reati loro ascritti.

[modifica] La transizione tra la fine delle guerra e l'elezione del nuovo parlamento

Con l'avanzare del territorio liberato il potere fu preso dai partiti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale CLN, che coordinavano la resistenza, una coalizione di 6 partiti uniti nella Resistenza: azionisti, comunisti, democristiani, demolaburisti, liberali, e socialisti.

Il Comitato esprimeva i governi e attraverso il Comando unificato coordinava la Resistenza. I governi che guidarono l'Italia nel trapasso furono i governi di Ivanoe Bonomi, presidente del Consiglio dal 18 giugno 1944 al 26 aprile 1945 e Ferruccio Parri, presidente dal 21 giugno 1945 al 4 dicembre 1945 preposti dal Comitato di Liberazione Nazionale CLN.

Nell'Italia liberata questi governi ottennero progressivamente il controllo dell'apparato civile e militare dello stato, in aggiunta al controllo delle forze della Resistenza di cui ab origine disponevano, avevano quindi poteri assai vasti, quasi dittatoriali.

Tuttavia nel trapasso tra la guerra e la formazione della repubblica costituzionale, vi furono dei momenti complessi, nei quali essi furono spesso scavalcati dalle singole componenti che li esprimevano.

[modifica] Le esecuzioni post-conflitto e le tensioni in seno alla Resistenza

Diverse fonti stimano nell'ordine delle poche decine di migliaia le vittime di parte fascista delle esecuzioni ordinate dalle formazioni resistenziali (comprese le condanne a morte di esponenti del partito fascista decise dal CLNAI subito dopo la liberazione di Milano) o eseguite da gruppi ed elementi facenti riferimento al movimento partigiano, ma di fatto non si hanno cifre precise su questi fatti.

I governi espressione della Resistenza adottarono una serie di provvedimenti per identificare i responsabili di abusi (o presunti tali) ed efferatezze commesse negli anni di guerra. Furono creati organi di indagine e tribunali specifici per sanzionare tali comportamenti: erano corti d'assise straordinarie sotto la presidenza di un giudice di ruolo nominato dai presidenti delle corti d'appello (anche Oscar Luigi Scalfaro ne fece parte). Essi agirono con prontezza e severità, si ebbero numerose condanne a morte (eseguite) o a lunghe pene detentive.

Uno dei casi in cui i governi dell'Italia liberata furono spesso scavalcati, fu nel comportamento degli ex-partigiani che spesso non volevano smobilitare. Essi gestirono il potere locale autonomamente e spesso in aperto scontro con le direttive del governo espressione del Comitato di Liberazione Nazionale. Talvolta usarono il residuo potere che loro rimaneva dopo la fine della guerra per effettuare una serie di esecuzioni e stragi, che andarono dalla fine della guerra al 1949.

Successivamente alla "normalizzazione" post-bellica, anche un grande numero di partigiani venne sottoposto a processi per presunti "stragi" e "assassinii" compiuti nella Liberazione (il tema della persecuzione dei partigiani da parte della repubblica democratica divenne un motivo tipico di certa propaganda di sinistra, soprattutto per lo stridente contrasto con la completa impunità di cui godettero la maggior parte degli ex gerarchi fascisti).

Le vendette colpirono chi si era reso responsabile (o veniva indicato come tale) dei massacri del periodo squadrista, dell'entrata in guerra del Paese con le tragedie che ne sono conseguite, della deportazione di decine di migliaia di italiani in Germania (circa 650000 militari e 40000 civili, tra cui 7000 ebrei), delle torture e delle persecuzioni anche indiscriminate condotte dagli occupanti nazisti e dai loro alleati "repubblichini". Tuttavia non mancarono violenze di altro tipo.

Le ragioni di questi comportamenti sono molteplici, in alcuni casi si può ritenere che i partigiani temessero da parte dello Stato una punizione poco efficace o peggio una totale impunità verso i gerarchi fascisti che si erano macchiati di efferate azioni contro il popolo italiano, da qui il desiderio di una "giustizia sommaria".

Questi timori risultarono spesso fondati (quasi sempre nel caso degli organi militari e di polizia), in quanto i governi successivi effettuarono una de-fascistizzazione molto blanda soprattutto nella pubblica amministrazione, provocata da necessità politiche di pacificazione nazionale che ebbero il loro culmine nell'amnistia firmata dall'allora ministro della Giustizia Togliatti il 22 giugno 1946 seguita, il 7 febbraio 1948, da un decreto del sottosegretario alla presidenza Andreotti con cui si estinguevano i pochi giudizi ancora in corso dopo l'amnistia.

Si possono citare tra i tanti esempi il caso del fascista commissario-torturatore Gaetano Collotti (capo della famigerata "banda Collotti" attiva nel Nord-Est), premiato dopo la guerra con un'onorificenza militare; il caso del funzionario di polizia che aiutò a stendere gli elenchi per la strage delle fosse Ardeatine che fece carriera dopo la Liberazione; il caso analogo dei funzionari fascisti che collaborarono alla cattura di Giovanni Palatucci (il commissario di polizia che aiutò la fuga di migliaia di ebrei); il caso del comandante della Xª MAS Junio Valerio Borghese, i cui uomini si erano macchianti di numerosi ed efferati crimini durante la repressione della lotta partigiana, che venne condannato a soli dodici anni di carcere per "collaborazionismo" di cui nove furono condonati per interessamento e pressioni dei servizi segreti statunitensi che lo avevano arruolato, permettendo la sua scarcerazione subito dopo il processo e il suo ingresso nella vita politica del paese come presidente onorario del MSI.

Occorre tener presente inoltre che si era creato in diversi casi un confine piuttosto sfumato fra organizzazione armata a scopi politico-militari e criminalità comune in quanto le brigate partigiane talvolta dovettero ricorrere a rapine, ad esempio per potersi finanziare o per procurarsi le armi, senza contare che in taluni casi alle formazioni della Resistenza si univano persone non mosse da intenti politici.

In numerosi casi, le uccisioni furono opera di criminali comuni che, infiltratisi spesso tardivamente tra i partigiani, approfittarono della complessa situazione post-bellica per portare a termine vendette personali che nulla avevano a che vedere con la lotta antifascista o per consumare rapine eliminando scomodi testimoni.

D'altra parte va anche ricordato che numerose bande armate fasciste operanti durante la RSI furono composte a loro volta essenzialmente da efferati criminali e che numerosi effettivi delle forze armate fasciste si fecero strumento dei nazisti, talora al di là degli stessi desideri dei loro padroni, consumando innumerevoli atti di indicibile ferocia.

C'è tuttavia una motivazione più profonda, legata al contesto politico e sociale di quegli anni, di almeno una parte di queste violenze.

[modifica] Le diverse anime della Resistenza

Va sottolineato che la Resistenza fu un fenomeno generale, presente in quasi tutti i paesi controllati dalla Germania e dall'Italia e che la parte finale della guerra vide il convergere sulla Germania dei sovietici da est e degli Alleati da ovest.

Nella fase finale della guerra essi erano ancora alleati ma si vedevano chiare le tensioni per la suddivisione dell'Europa post-bellica in sfere di influenza, sia militare sia economica sia ideologica e di concezione della forma dello Stato. Nei paesi liberati dai sovietici si impose sempre il loro modello, nei paesi liberati dagli angloamericani si impose sempre il loro.

Non sempre la divisione fissata con agli accordi di Yalta era accettata dalle parti in causa. In due paesi liberati dagli Anglo-Americani, la Grecia e l'Italia, le maggiori forze della Resistenza inclinavano verso il modello sovietico, di cui tra l'altro non erano all'epoca noti alcuni aspetti. Sia in Grecia sia in Italia queste aspirazioni dei comunisti e dei socialisti vennero frustrate dall'instaurazione di uno Stato più o meno democratico basato su un'economia di tipo capitalistico.

Viceversa in Jugoslavia l'esercito partigiano guidato da Tito instaurò un regime di tipo comunista nonostante il Paese fosse stato a Yalta parzialmente attribuito al blocco occidentale.

Nella Resistenza italiana vi erano (in forma più o meno esplicitata) due correnti maggiori di pensiero: una che vedeva la Resistenza come braccio armato di un "nuovo Risorgimento" avente lo scopo di espellere dall'Italia i tedeschi e rovesciare i loro alleati fascisti, ripristinando il regime pre-fascista o comunque liberale e democratico, basato su una democrazia parlamentare di tipo occidentale, ed una più decisamente orientata a sinistra, in genere filosovietica, che considerava (pur in contrasto con le indicazioni ufficiali delle direzioni nazionali dei principali partiti di sinistra) la vittoria militare solo un presupposto per un nuovo ordine politico in Italia basato su qualche forma di socialismo o comunismo, come si pensava sarebbe avvenuto nei paesi assegnati a Yalta all'area di influenza sovietica.

In verità, questa ultima interpretazione della Resistenza non era condivisa né dai dirigenti socialisti né da quelli comunisti; questi ultimi, e in particolare Palmiro Togliatti, avevano impresso a partire dal 1944 (e non senza incontrare una certa opposizione di alcuni elementi della base) una forte moderazione della linea politica del PCI arrivando addirittura (con la cosiddetta svolta di Salerno dell'aprile 1944) a dichiarare secondaria la questione repubblica-monarchia che divideva in quel periodo il fronte antifascista.

Era tuttavia diffusa tra i militanti comunisti l'idea dell'"ora X", ossia l'illusione che dietro l'atteggiamento togliattiano di accettazione della democrazia capitalista si nascondesse un'astuta manovra tattica volta a scatenare, al momento opportuno (l'ora X), un'insurrezione comunista.

Questa parte "rivoluzionaria" della Resistenza, in molti casi militarmente maggioritaria, non considerava finita la sua funzione armata con la vittoria dell'aprile 1945. Per questa parte la guerra continuava, assumendo il carattere di lotta rivoluzionaria, eventualmente in forme nuove, con un parziale spostamento dell'identità degli avversari.

Anche da ciò derivò l'elevato numero delle vittime, principalmente fasciste ma anche appartenenti a brigate partigiane di diverso colore politico (fiamme verdi, democristiani, liberali), preti e in molti casi semplici esponenti delle classi sociali a loro presumibilmente non favorevole in caso di scontro aperto (perciò si è anche parlato di una forte componente di lotta di classe all'interno del movimento resistenziale).

Nei mesi seguenti si arrivò quindi a una serie di fatti sanguinosi, che con intensità calante proseguirono per alcuni anni. Talvolta i responsabili o i semplici accusati di questi omicidi nel dopoguerra trovavano rifugio o venivano fatti espatriare in paesi filosovietici come la Cecoslovacchia.

Tuttavia i sovietici, rispettando le spartizioni tra i due blocchi prese a Yalta, non promisero alcun appoggio ad un tentativo di presa armata del potere e il risultato negativo del tentativo rivoluzionario in Grecia smorzò molto il movimento. Si ebbe quindi solo una guerra civile a bassa intensità, che perdurò fino alla elezioni del 18 aprile 1948, quando fu del tutto chiaro che l'Italia era ormai saldamente inserita nel blocco occidentale, contrapposto a quello sovietico nell'ambito della nascente Guerra Fredda.

[modifica] Episodi particolari di scontri all'interno del movimento resistenziale

  • La Strage della Missione Strassera, avvenuta il 26 novembre 1944.
  • Eccidio di Porzûs, avvenuto il 7 febbraio 1945.
  • L'omicidio del comandante Azor[1] [2], cattolico delle Fiamme Verdi, ucciso probabilmente a causa della sua popolarità, quasi certamente qualche giorno prima della liberazione (il corpo venne ritrovato alcuni mesi dopo) e l'agguato subito il 27 gennaio 1946 dal giornalista Giorgio Morelli, che accusò dell'omicidio Azor i comunisti locali. Morelli morì a sua volta qualche tempo dopo a seguito delle ferite riportate nell'attentato del quale era rimasto vittima

[modifica] Episodi particolari di esecuzioni sommarie dopo la fine della guerra

[modifica] Città decorate al Valor Militare per il contributo dato alla Guerra di Liberazione

Per approfondire, vedi la voce Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione.

Alla fine della Guerra di Liberazione la neonata Repubblica ha sentito l’obbligo di segnalare come degni di pubblico onore gli autori di atti di eroismo militare (come riporta il Regio Decreto 4 novembre 1932, n. 1423 e successive modificazioni, oltre che ai singoli combattenti, anche alle istituzioni territoriali, le Città, i Comuni, intere Regioni, Università, con la decorazione al Valor Militare.

[modifica] Letteratura sulla Resistenza

Ampia e variegata è la letteratura sulla Resistenza: romanzi e saggi che analizzano un periodo di intenso coinvolgimento dei letterati. Alcuni testi fondamentali:

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

[modifica] Note

  1. Dettaglio/1
  2. Dettaglio/2

[modifica] Collegamenti esterni

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