Giovanni II di Bisanzio
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Giovanni II di Bisanzio, o Giovanni II Comneno, greco Ιωάννης Β' Κομνηνός (Costantinopoli, 13 settembre 1087 - monti Tauro (Cilicia), 8 aprile 1143) fu imperatore bizantino dal 15 agosto 1118 al 5 aprile del 1143. Era conosciuto anche come Kalojannis o Calojanni, ossia Giovanni il bello. Le cronache del tempo lo descrivono però scuro di carnagione, dai lineamenti non belli e con i capelli neri, caratteristiche che gli valsero il soprannome di Moro.
[modifica] Biografia
Fin da bambino ebbe al suo fianco come amico fidato e confidente un bambino turco, più o meno della sua età, Axuch, giunto a Costantinopoli come prigioniero e donato dai crociati a suo padre, Alessio. Il giovane Giovanni godeva dell'amore incondizionato del padre, ma lo stesso non poteva dirsi della madre Irene, né della sorella Anna Comnena, che invece lo disprezzavano e speravano nella sua eliminazione dalla linea ereditaria imperiale, per far posto a Niceforo Briennio, marito di Anna. Alessio I tuttavia si fidava del figlio e in ogni caso non avrebbe mai consentito che la dinastia dei Comneni rinunciasse volontariamente al trono di Bisanzio.
[modifica] L'ascesa al trono
Nell'estate del 1118 Alessio, molto malato, sentiva la morte avvicinarsi e non riusciva più a reggersi in piedi. Per riuscire a respirare era costretto a stare sdraiato, sorretto da un grosso cuscino. Trasportato nel palazzo dei Mangani, nel tardo pomeriggio del 15 agosto del 1118, chiamò il figlio maggiore al suo cospetto. Affidandogli il suo anello imperiale, gli ordinò di farsi consacrare immediatamente basileus dei bizantini. In tutta fretta Giovanni si diresse allora nella basilica di Santa Sofia dove, con una cerimonia assai celere, fu nominato Imperatore bizantino dal patriarca Giovanni IX.
Quando ritornò alla reggia, la guardia privata imperiale dei Variaghi, per ordine della basilissa Irene, gli impedi l'accesso. Alla vista dell'anello imperiale, però, si scusarono e lo fecero passare, inginocchiandosi al suo passaggio.
Irene, ignorando le ultime volontà del marito, chiese di far proclamare imperatore il marito di Anna. Saputo poi che Giovanni era appena stato incoronato, supplicò il marito di proclamare basileus l'altro figlio, Niceforo.
Secondo alcuni storici del tempo, Alessio sorrise e ringraziò Dio perché sua moglie non era venuta in tempo a conoscenza dell'incoronazione di Giovanni. Morì poche ore dopo, sapendo che il figlio avrebbe dato grande stabilità all'Impero bizantino. Fu sepolto nel monastero dedicato a Cristo Filantropo, ma il nuovo basileus non partecipò ai funerali, timoroso di un attentato alla propria vita.
[modifica] Gli attentati di Anna Comnena
Per tutta la vita Anna Comnena, primogenita di Alessio, avrebbe avversato Giovanni. Il suo astio iniziale era nato dal fatto che a cinque anni era stata promessa sposa al figlio di Michele VII di Bisanzio, Costantino ed - in teoria - sarebbe in tal modo diventata la futura basilissa. Costantino, però, morì infante, ed allora fu promessa in sposa a Niceforo Briennio, figlio di quel Niceforo che una ventina di anni prima aveva tentato di impadronirsi del trono di Bisanzio e che nel 1111 fu nominato Cesare da Alessio I.
Anna però non rinunciò mai ad impadronirsi del trono, nemmeno dopo la morte del padre ed infatti il giorno stesso del funerale mandò dei sicari ad assassinare il fratello. Questi però fallirono nel loro intento e furono uccisi dalle guardie variaghe.
Più che mai determinata, organizzò allora un'altra congiura. Il marito, per paura, non vi prese parte, ma lei agì lo stesso in compagnia di altri congiurati. Fallì ancora una volta: le guardie variaghe sventarono nuovamente l'attentato e la imprigionarono.
Nonostante tutto, Giovanni si dimostrò clemente: a Niceforo Briennio non fu comminata alcuna condanna e lui, riconoscente, lo servì lealmente fino alla morte, avvenuta nel 1136. Alla sorella, bandita da corte, furono confiscate tutte le terre ed i beni. Umiliata ed abbandonata da tutti, si fece monaca. Per il resto della sua vita si dedicò alla biografia di suo padre (la celeberrima Alessiade).
[modifica] Gli inizi
Durante il suo regno il basileus ebbe anche un altro soprannome (oltre a il Moro, che durò per poco), che divenne molto più popolare cioè il Bello, non per il suo aspetto, ma per il suo carattere. Giovanni non sopportava le persone poco serie e non poteva nemmeno tollerare il troppo lusso. Per questo la Bisanzio del XII secolo lo amava. Era apprezzato non solo perché distribuiva spesso donativi al popolo, ma anche perché non era ipocrita, perché credeva sinceramente nei valori della religione ortodossa, perché era giudice retto e clemente: doti queste abbastanza rare per un uomo di potere.
Di solito non sceglieva i suoi consiglieri tra i familiari ed il più fidato tra loro era Axuch, l'amico d'infanzia, che venne nominato Gran Domestico (comandante cioè dell'esercito imperiale).
Come era tradizione della sua famiglia, aveva l'animo del soldato. Il bisnonno, il padre e successivamente anche il figlio furono attivi nelle vicende militari, ma mentre suo padre si limitava a mantenere un atteggiamento difensivo, lui ne assunse uno più marcatamente offensivo: il suo sogno era quello di riconquistare tutte le terre dell'Impero bizantino, a quell'epoca ancora in mano ai musulmani, e riportare Bisanzio alla sua antica gloria. I sudditi pensavano che la sua vita fosse solo un'unica prolungata campagna militare: nei suoi ventidue anni d'Impero passò più tempo con l'esercito che a corte, e quando i suoi quattro figli iniziarono a essere autonomi talora li portò con sé trasmettendo loro le tradizioni della famiglia dei Comneni.
Dimostrò ben presto grandi qualità e fu il prototipo dell'imperatore soldato, coraggioso, audace e di una totale integrità morale. Fu considerato dai suoi sudditi come il più grande dei Comneni ed anche come il Marco Aurelio di Bisanzio. Ma le fonti storiche ed in particolare gli scritti degli storici Giovanni Cinnamo e Niceta Coniata, come quelli del poeta Teodoro Prodromo, mancano essenzialmente di obiettività. Gli storici moderni lo considerano con ben maggiore circospezione, considerando i suoi risultati poco efficaci.
[modifica] La guerra contro i peceneghi
Per approfondire, vedi la voce Battaglia di Beroia. |
Giovanni non ricevette particolare minacce dall'Europa cristiana e ciò gli consentì di rafforzare i confini dell'Impero. Infatti un grave pericolo si profilava alle porte: i peceneghi si erano ribellati e avevano devastato la Macedonia e la Tracia. L'imperatore, raccolto l'esercito, li sconfisse abilmente con una guerra lampo - nel 1122 - dalle parti di Stara Zagora. Molti Peceneghi vennero deportati come coloni, ed altri invece vennero inquadrati nell'esercito bizantino.
Pochi anni dopo intervenne contro i serbi di Rascia, che furono sconfitti, insieme a dalmati e croati e e costretti a riconoscere l'autorità bizantina.
Tra il 1124 e il 1128, lottò con successo anche contro gli ungari, nonostante Giovanni avesse preso in moglie una figlia (Piroska, chiamata poi Irene) del re Ladislao.
[modifica] Le ostilità con Venezia
Per approfondire, vedi le voci Repubblica di Venezia e Repubbliche Marinare. |
Nel 1122 la repubblica di Venezia dichiarò guerra all'Impero bizantino. La ragione del conflitto fu il mancato riconoscimento ai veneziani delle concessioni di esenzione dai dazi fatte precedentemente dal padre Alessio I. Quando il doge Domenico Michele chiese la riconferma di tali diritti, Giovanni rispose con un netto diniego.
La guerra fu inevitabile e l'8 agosto del 1022 salparono dal porto di Venezia 71 navi da guerra sotto il comando del doge e dirette a Corfù. La citta fu messa sotto assedio per sei mesi, ma senza apprezzabili risultati. Resisi conto di non riuscire ad espugnarla, si diressero verso le isole del Mar Egeo. Nell'arco di tre anni conquistarono Rodi, Chio, Samo, Lesbo ed Andros. Non soddisfatti, i veneziani puntarono verso Cefalonia, ma Giovanni mandò loro incontro i suoi ambasciatori promettendo il riconoscimento dei loro passati privilegi a patto che restituissero all'Impero bizantino le isole che avevano conquistato. Venezia accettò, e si evitò così la prosecuzione di una guerra costosa e pericolosa.
L'imperatore comunque incoraggiò ed incrementò i commerci con Pisa e Genova al fine di lottare contro il monopolio veneziano.
[modifica] Rapporti con la Chiesa Cattolica
Dopo lo scisma del 1054 dovuto alla scomunica del patriarca greco Michele Cerulario, diversi pontefici cercarono di riallacciare i rapporti con la Chiesa bizantina. Una lettera selenne, scritta dal basileus a Papa Innocenzo II nell'aprile del 1143, dimostra quanto Giovanni II fosse desideroso di conseguire l'unità tra le due Chiese [1].
D'accordo con l’imperatore, pastori e teologi bizantini si mostrarono disposti a riesaminare con la chiesa romana le questioni controverse, in un clima di maggiore apertura e con spirito di riconciliazione. Il dialogo fra le due chiese fu favorito anche dal fatto che Bisanzio, a quei tempi, per la sua felice posizione geografica situata tra Oriente ed Occidente, era diventata il crocevia di commerci e di traffici che interessavano vari stati e regioni d’Europa e vi si potevano facilmente incontrare genti che provvenivano dalla Russia, da Venezia, da Amalfi, ed anche commercianti inglesi, genovesi, francesi.
I fedeli cristiani, sia di rito latino che di rito greco, si incontravano e dialogavano tra loro senza ostilità, anzi con reciproco rispetto e, secondo gli storici, il regno di Giovanni II Comneno fu caratterizzato anche dal sorgere di fondazioni religiose.
La lettera, scritta prima in greco e poi in latino reca la firma autografa dell’imperatore.
[modifica] Le campagne in Asia minore
Gli Stati europei, in quel periodo storico, non rappresentavano una minaccia reale in quanto sovente in lotta tra loro.
Grazie a questa contingenza, l'Imperatore poté concentrare le forze dell'Impero bizantino per lanciarle alla riconquista dell'Asia Minore: nella penisola aveva sotto controllo una piccola striscia di terreno, proprio davanti a Costantinopoli, ma l'Attalia era raggiungibile solo via di mare.
[modifica] I campagna in Asia Minore
Sbarcato in Asia Minore alla testa di un grande esercito, attaccò senza esitazione i turchi selgiuchidi vincendoli ed annetendo poi l'Attalia all'Impero bizantino. A fine autunno, assieme ad Axuch, ritornò trionfante a Costantinopoli.
[modifica] Le campagne successive
Tra il 1130 e il 1135, con un grande esercito sbarcò nuovamente in Asia Minore e condusse cinque successive campagne contro l'emiro turco Ghāzī ibn Danishmend, divenuto signore di buona parte dell' Asia Minore. Tutte le cinque campagne furono vittoriose e per questo, nel 1133, al suo ritorno a Costantinopoli, fu organizzato un trionfo degno dell'antico Impero Romano, salvo il fatto che il carro con i quattro cavalli bianchi che portavano l'Imperatore non era ornato d'oro ma d'argento. Questa scelta fu fatta per motivi economici contingenti, ma gli addobbi esposti nella città si rifacevano alla magnificenza romana: le strade erano un tripudio di tessuti (damascati e broccati) e alle finestre furono esposti preziosi tappeti. Furono montate gradinate per accedere alle mura teodosiane, fino a Santa Sofia, dove sarebbe passato il corteo, e al momento dell'inizio della festa, le gradinate erano ricolme di popolo festante. L'Imperatore avanzò fiero tra le strade della città, tenendo con la mano destra la sacra icona della Vergine, che aveva portato con sé in tutte le sue campagne, mentre con la mano sinistra innalzava una croce.
L'anno dopo tornò in Asia Minore e condusse un'altra campagna vittoriosa, coronata dalla morte dello stesso emiro Ghāzī; nei primi mesi del 1135 tornò poi a Costantinopoli.
In soli cinque anni aveva riconquistato una buona parte dell'Asia Minore, con i territori perduti da Bisanzio da ormai un secolo. Giovanni non aveva più rivali, in Europa la situazione era calma e ai turchi era stata appena inflitta una cocente sconfitta. Poté così prepararsi a riprendere i territori che considerava di diritto bizantini, anche se assoggettati al potere crociato: il regno armeno della Cilicia e il principato normanno di Antiochia, fondato da Boemondo I di Antiochia.
[modifica] Fine della minaccia siciliana
Per approfondire, vedi la voce Regno di Sicilia. |
Nel 1130, la salita al trono di Sicilia di Ruggero II, non fu gradita da Giovanni. Il nuovo re infatti poteva vantare diritti su Antiochia ed essere il futuro re di Gerusalemme.
L'Imperatore sapeva inoltre che Ruggero aveva delle mire sul trono di Bisanzio, così pagò l'Imperatore Lotario III di Germania, perché muovesse guerra ai Siciliani.
Lotario accettò anche perché in tal modo avrebbe avuto l'opportunità di condurre una lucrosa campagna militare contro il regno di Sicilia con i soldi dell'Impero bizantino.
[modifica] La guerra contro gli stati crociati
Venuto meno il potenziale pericolo del regno di Sicilia dall'orizzonte bizantino, la sua attenzione si concentrò sugli stati crociati di Siria-Palestina.
Le operazioni cominciarono nel 1137: Giovanni si diresse verso il regno armeno alla testa di un grande esercito, pronto a muovere battaglia. Questa volta le sue truppe non erano formate solo da soldati professionisti bizantini, ma anche da diversi reparti alleati, tra i quali uno di Peceneghi, uno di turchi ed uno di armeni, tutti ostili alla famiglia dei Ruben.
Leone, re della Piccola Armenia, si ritirò sui monti del Tauro insieme ai suoi due figli, cessando così di essere una minaccia per Bisanzio. L' imperatore iniziò allora l'avanzata, conquistando in breve tempo Isso e poi Alessandretta, arrivando a schierare il suo esercito alle porte di Antiochia e il 29 agosto 1137 i trabucchi bizantini iniziarono a scagliare massi di pietra contro la città assediata.
Raimondo di Poitiers, principe d'Antiochia, mandò un emissario a Giovanni chiedendogli di nominarlo suo vicario imperiale in cambio della sottomissione alla sua autorità. Giovanni non accettò ed impose una resa incondizionata. Raimondo rispose di non poter consegnare la città senza prima aver chiesto il consenso al Re di Gerusalemme Folco del Monferrato il quale - fra lo stupore di quanti non ricordavano (o non volevano ricordare) il giuramento di vassallatico prestato ad Alessio I da Boemondo di Taranto - rispose che Antiochia era storicamente parte dell'Impero bizantino ed il suo Imperatore aveva quindi il diritto di riprendersela.
Antiochia si arrese così a Giovanni; non smentendo il suo carattere, evitò spargimenti di sangue, impedendo ai suoi soldati di fare razzie. Raimondo consegnò le chiavi della città dopo aver ottenuto la promessa di ricevere in vassallagio le città conquistate, nell'eventualità che l'esercito bizantino - con l'aiuto delle forze crociate - fosse riuscito ad espugnare Aleppo, Shayzar, Emesa (l'attuale Homs) ed Hama.
[modifica] La guerra contro i musulmani
Per approfondire, vedi la voce Arabi. |
Dopo questo successo, alla guida del suo esercito, si diresse di nuovo verso la Piccola Armenia, dove in brevissimo tempo imprigionò tutti i principi armeni facendoli poi trasportare nelle prigioni di Costantinopoli.
Non si sentiva ancora pronto ad invadere la Siria ed ordinò ai suoi vassalli crociati di unire i loro eserciti a quello bizantino. Nel marzo del 1138 giunse ad Antiochia, dove stanziavano dei reggimenti di templari, uno comandato da Raimondo ed l' altro da Jocelin di Courtenay, conte di Edessa. Giovanni non nutriva particolare fiducia nei due, vista la scarsa simpatia che essi avevano sempre mostrato nei riguardi di Bisanzio.
[modifica] L'assedio di Shayzar
Dopo aver evitato lo scontro con la città d'Aleppo, in mano zengide, in quel momento difficile da conquistare senza provocare indubbie perdite nelle file del suo esercito, si diresse verso la città-fortezza di Shayzar, che controllava tutta la valle dell'Oronte (attuale Nahr al-ˁAsī), per bloccare l'esercito di Zengi, signore di Aleppo.
Giovanni fece circondare la cittadella e dette l'ordine al suo esercito di iniziare l'assedio, ma mentre infuriava la battaglia, ciò che più temeva si verificò puntualmente: né Raimondo, né Jocelin, vollero combattere con lui per banali motivi di gelosia e di inespresso astio nei suoi confronti.
Quando giunse la notizia che Zengi si stava avvicinando, non restò allora altro da fare che levare le tende e sgomberare il terreno, nel timore fra l'altro di perdere i suoi pesanti trabucchi, così essenziali negli assedi. Fortuna volle che, prima d'impartire l'ordine di ritirata, il signore musulmano di Shayzar (che non sapeva dell'imminente arrivo di Zengi) offrì la pace a Giovanni, rassegnandosi a che la città diventasse tributaria all'Impero bizantino, e garantendo inoltre a Giovanni la restituzione della croce a suo tempo perduta da Romano IV di Bisanzio a Manzicerta. L'imperatore accettò ed immediatamente ripiegò su Antiochia, evitando prudentemente di scontrarsi con l'esercito nemico che si stava avvicinando.
[modifica] Giovanni II ad Antiochia
Entrò trionfante in città, tutta addobbata a festa, e convocò i suoi vassalli latini ai quali proclamò la necessità di continuare la guerra contro gli arabi. Da allora in poi la progettazione di tutte le campagne militari fu fatta ad Antiochia.
Impose a Raimondo di cedere la città all'Impero bizantino e le cronache dell'epoca, anche se non riportano la reazione di Raimondo a tale richiesta, raccontano che Jocelin rassicurò l'Imperatore sull'arrivo in città di tutti i baroni latini, compreso pure Raimondo, per discutere insieme dell'intera questione.
Quando tale incontro si realizzò, Jocelin propose a Raimondo di diffondere in città la (falsa) voce secondo la quale l'imperatore intendeva cacciare via tutti i latini e che per tal motivo bisognava attaccarlo subito per prenderlo alla sprovvista.
In breve esplose la sommossa e Jocelin tornò alla reggia facendo finta di essere scampato per miracolo al linciaggio. Giovanni capì che le cose si mettevano male: il suo esercito era a due chilometri da Antiochia e la sua vita era in pericolo. Si accontentò quindi del rinnovo del giuramento da parte di tutti i baroni latini e tornò a Costantinopoli.
[modifica] La fine
Dopo solo quattro anni, tutte le conquiste fatte in Siria da Giovanni erano state vanificate ed i crociati avevano perso di nuovo il controllo dei territori settentrionali di Outremer, subendo la reazione dei musulmani.
Dovette allora partire nuovamente, nella primavera del 1142, per difendere i territori conquistati, accompagnato dai suoi quattro figli. Arrivato però in Attalia il suo erede al trono, Alessio, morì di una febbre improvvisa.
Ordinò al secondogenito Andronico e al terzogenito Isacco, di portare la salma del fratello a Costantinopoli, per rendergli una degna sepoltura. Durante il viaggio però, anche Andronico morì misteriosamente. Quando la notizia arrivò a Giovanni, il suo dolore fu insopportabile: aveva perso in pochi giorni due figli.
Volle continuare la campagna per il bene di Bisanzio e giunto ad Antiochia, seppe che Raimondo di Poitiers si era ribellato a lui. Gli inviò allora un ultimatum, intimandogli la resa. Raimondo si trovò in una difficile situazione perché se avesse consegnato la città all'Imperatore, la moglie Costanza lo avrebbe detronizzato, mentre l'altra possibilità era la guerra. Nel frattempo sopraggiunse l'inverno e Giovanni decise di tornare in Cilicia per riprendere l'offensiva in primavera.
Nel marzo del 1143, in una banale battuta di caccia, l'imperatore restò ferito da una freccia e sfortunatamente la ferita si infettò. Sentendo la morte vicina, il 5 aprile, domenica di Pasqua, radunò i suoi consiglieri intorno al suo letto e li informò che il suo erede al trono non sarebbe stato il terzogenito Isacco, bensì il suo quartogenito Manuele. Si tolse quindi dal capo la corona e la posò sulla testa di Manuele. Morì tre giorni dopo e Manuele provvide alla sua sepoltura.
Giovanni II era stato un grande imperatore ed aveva ridato forza a Bisanzio in Oriente. La sua inattesa morte ad appena cinquantatrè anni bloccò lo slancio bizantino verso oriente, impedendo che l'Anatolia tornasse sotto la sovranità dell'Impero bizantino.
[modifica] Famiglia
Giovanni II di Bisanzio si sposò con Piroska d'Ungheria, che poi fu chiamata Irene, e divenne santa della chiesa ortodossa. Giovanni ed Irene ebbero otto figli:
- Alessio Comneno, co-Imperatore dal 1122 fino al 1142.
- Maria Comnena, gemella di Alessio, si sposò con Giovanni Ruggero Dalassenos.
- Andronico Comneno morto nel 1142
- Anna Comnena, sposò Stephanos Kontostephanos.
- Isacco Comneno morto nel 1154
- Teodora Comnena, che sposò Manuele Anemas.
- Eudocia Comnena, che sposò Teodoro Vatazes.
- Manuele I Comneno, Imperatore di Bisanzio, morto nel 1180.
[modifica] Voci correlate
- Impero bizantino
- Antiochia
- Comneni
- Manuele I di Bisanzio
- Anna Comnena
- Alessio I di Bisanzio
- Ripristino dell'Impero bizantino sotto i Comneni
- Esercito dei Comneni
[modifica] Note
- ^ Questo sito parla della lettera di Giovanni II Commeno a papa Innocenzo II a riguardo dello Scisma d'Oriente e della necessità di un riavvicinamento tra le due Chiese.
[modifica] Bibliografia
- John Julius Norwich. Bisanzio. Milano, Mondadori, 2000. ISBN 8804481854.
- Ralph-Johannes Lilie. Bisanzio la seconda Roma. Roma, Newton & Compton, 2005. ISBN 88-541-0286-5.
- Georg Ostrogorsky. Storia dell'Impero bizantino. Milano, Einaudi, 2006. ISBN 8806173626.
- paolo Cesaretti. L' impero perduto. Vita di Anna di Bisanzio, una sovrana tra Oriente e Occidente. Milano, Mondadori, 2006. ISBN 8804526726.
- Alexander P Kazhdan. Bisanzio e la sua civiltà. 2a ed. Bari, Laterza, 2004. ISBN 8842046914.
- Silvia Ronchey. Lo stato bizantino. Torino, Einaudi, 2002. ISBN 8806162551.
- Alain Ducellier. Bisanzio (IV-XV secolo). Milano, San Paolo, 2005. ISBN 8821553663.
- Giorgio Ravegnani. I trattati con Bisanzio 992-1198. Venezia , Il Cardo, 1992.
- Giorgio Ravegnani. La storia di Bisanzio. Roma, Jouvence, 2004. ISBN 8878013536.
- Giorgio Ravegnani. Bisanzio e Venezia. Milano, Il Mulino, 2006. ISBN 8815109269.
- Niceta Coniate. Grandezza e catastrofe di Bisanzio. Milano, Mondadori, 1994. ISBN 8804379480.
[modifica] Collegamenti esterni
- Storia di Giovanni II di Bisanzio ad opera dell'Associazione Culturale Bisanzio
- Antologia di fonti sulla corte di Bisanzio
Precedessore: | Imperatore bizantino | Successore: |
Alessio I | Manuele I |
Imperatori dell'Impero Romano d'Oriente in ordine cronologico dal 395, anno della separazione dall'Impero Romano d'Occidente, al 1453, anno della definitiva caduta di Costantinopoli
Arcadio | Teodosio II | Marciano | Leone I | Leone II | Zenone I | Basilisco | Anastasio I | Giustino I | Giustiniano I | Giustino II | Tiberio II Costantino | Maurizio I | Foca | Eraclio I | Costantino III | Eraclio II | Costante II | Costantino IV | Giustiniano II | Leonzio II | Tiberio III | Filippico | Anastasio II | Teodosio III | Leone III | Costantino V | Artabasdus | Leone IV | Costantino VI | Irene | Niceforo I | Stauracio | Michele I | Leone V |Michele II | Teofilo II | Michele III | Basilio I | Leone VI | Alessandro | Costantino VII | Romano I | Romano II | Niceforo II | Giovanni I | Basilio II | Costantino VIII | Romano III | Michele IV | Michele V | Zoë | Costantino IX | Teodora | Michele VI | Isacco I | Costantino X | Romano IV | Michele VII | Niceforo III | Alessio I | Giovanni II | Manuele I | Alessio II | Andronico I | Isacco II | Alessio III | Alessio IV | Isacco II | Alessio V | Teodoro I | Giovanni III | Teodoro II | Giovanni IV | Michele VIII | Andronico II | Michele IX | Andronico III | Giovanni V | Giovanni VI | Andronico IV | Giovanni VII | Manuele II | Giovanni VIII | Costantino XI
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