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Maometto - Wikipedia

Maometto

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

La nascita di Muhàmmad. Il tendenziale aniconismo islamico porta a velare assai spesso il volto del Profeta dell'Islam. In questo caso lo zelo del miniaturista ha coinvolto però tutti i raffigurati, salvo (curiosamente) gli angeli.
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La nascita di Muhàmmad.
Il tendenziale aniconismo islamico porta a velare assai spesso il volto del Profeta dell'Islam. In questo caso lo zelo del miniaturista ha coinvolto però tutti i raffigurati, salvo (curiosamente) gli angeli.

Muhàmmad (arabo محمد), considerato dai musulmani l'ultimo "Messaggero" di Dio (Allāh), incaricato di divulgare fra gli uomini il Suo Libro Sacro del Corano, è reso in italiano col nome Maometto, in base a un'antica volgarizzazione risalente al Medioevo. Una parte del mondo musulmano, in Italia come pure nel resto del mondo, pretenderebbe solo l'uso dell'originale nome Muhàmmad e considera 'Maometto' e adattamenti similari come distorsioni da evitare. Essi tuttavia non tengono conto che in varie realtà islamiche non arabofone - come ad esempio, fin dall'età ottomana, il mondo turcofono - si è adattata l'onomastica araba alle specifiche realtà linguistiche del mondo islamico non arabofono, ricorrendo normalmente al nome Mehmet, senza che questo abbia mai sollevato, per lunghi secoli, alcuna perplessità nei "dotti" musulmani di tutto il mondo islamico.
Muhammad nacque, secondo alcune fonti, il 20 aprile dell'anno 570 a Mecca, nella regione peninsulare araba del Ḥijāz, e morì il lunedì 13 rabīʿ I dell'anno 11 dell'Egira (equivalente all'8 giugno del 632) a Medina e ivi fu sepolto, all'interno della casa in cui viveva.

Indice

[modifica] La vita fino alla Rivelazione

Appartenente a un importante clan di mercanti, quello degli Banū Hāshim, componente della più vasta tribù dei Banū Quraysh di Mecca, Muhammad era l'unico figlio di ʿAbd Allāh ibn ʿAbd al-Muttalib ibn Hāshim e di Āmina bint Wahb, figlia del sayyid del clan dei Banū Zuhra, anch'esso appartenente ai B. Quraysh.
Orfano fin dalla nascita del padre (morto a Yathrib al termine d'un viaggio di commercio che l'aveva portato nella palestinese Ghaza), Muhammad rimase precocemente orfano anche di sua madre che, nei suoi primissimi anni, l'aveva dato a balia a Halīma bint ʿAbd Allāh, della tribù dei Banu Saʿd, che effettuava piccolo nomadismo intorno a Yathrib.
A Mecca - dove, alla morte della madre, fu portato dal suo primo tutore, il nonno paterno ʿAbd al-Muttalib ibn Hāshim, e dove poi rimase anche col secondo suo tutore, lo zio paterno Abū Tālib - Muhammad ebbe occasione di entrare in contatto sin dalla più tenera età con le comunità ebraiche e con le sia pur scarse presenze cristiane.
Oltre alla madre e alla nutrice, due altre donne si presero cura di lui da bambino: Umm Ayman e Fātima bint ʿAbd al-Muttalib, sua zia paterna. La prima era la schiava nera della madre e che lo aveva allevato dopo il periodo in cui era stato con Halīma, rimanendo con lui fino a che Muhammad ne propiziò il matrimonio con il figlio adottivo del Profeta, Zayd ibn Hāritha. Nella tradizione islamica Umm Ayman, che generò Usāma ibn Zayd, fa parte della Gente della Casa (Ahl al-Bayt) e il Profeta nutrì sempre per lei un vivo affetto, anche per essere stata una delle prime donne a credere al messaggio coranico da lui rivelato. Altrettanto pronta a credergli fu la sua affettuosa e presente zia Fātima bint ʿAbd al-Muttalib, che Muhammad amava per il suo carattere dolce, tanto da mettere il suo nome a una delle proprie figlie e per la quale il futuro profeta pregò spesso dopo la sua morte.

I numerosi viaggi intrapresi per via dell'attività mercantile familiare dettero a Muhammad occasione di ampliare in maniera significativa le sue conoscenze in campo religioso e sociale finché, sposata nel 595 la ricca e colta vedova Khadīja bint Khuwaylid, egli poté dedicarsi alle sue riflessioni spirituali in modo più assiduo e, anzi, pressoché esclusivo. Khadījia fu il primo essere umano a credere nella Rivelazione di cui Muhammad era portatore e lo sostenne con forte convinzione fino alla sua morte avvenuta nel 619. A lui, in una felice vita di coppia, dette quattro figlie, Ruqayya, Umm Khulthūm, Zaynab e Fātima, oltre a due figli maschi (Qāsim e ʿAbd Allāh) che morirono tuttavia in tenera età.

[modifica] La Rivelazione

L'arcangelo Gabriele porta la Rivelazione di Dio a Muhammad (antica miniatura). Il volto del profeta non è tratteggiato per il tradizionale (ma non obbligatorio) aniconismo che condiziona la raffigurazione in particolare di Muhammad
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L'arcangelo Gabriele porta la Rivelazione di Dio a Muhammad (antica miniatura). Il volto del profeta non è tratteggiato per il tradizionale (ma non obbligatorio) aniconismo che condiziona la raffigurazione in particolare di Muhammad

Nel 610 Muhammad, in base a una Rivelazione ricevuta, cominciò a predicare una religione monoteista basata sul culto esclusivo di Allah. In effetti il concetto di monoteismo era diffuso in Arabia da tempi più antichi e il nome Allāh (che in lingua araba deriva dalla radice <'-l-h> significa semplicemente "Iddio". Gli abitanti dell'Arabia peninsulare e di Mecca erano dediti a culti politeistici e un gran numero di idoli (si dice 360) erano stati collocati nel santuario urbano meccano della Kaʿba e ad essi gli arabi si rivolgevano in preghiera in occasione del loro arrivo in città in occasione del pellegrinaggio panarabo, detto ḥajj, che si svolgeva nel mese lunare di dhū l-ḥijja ("Quello del Pellegrinaggio") e che avveniva poco fuori la città, nella zona di Mina, Muzdalifa e e di ˁArafa, come pure del pellegrinaggio urbano (ˁumra) del mese di rajab in onore del dio tribale Hubal e delle altre divinità panarabe, graziosamente ospitate dai Quraysh all'interno del santuario meccano della Kaˁba.
Muhammad, secondo la tradizione, era solito talora ritirarsi a meditare in una grotta sul monte Hira vicino Mecca. Una notte, intorno all'anno 610, durante il mese di Ramadān, all'età di circa quarant'anni, gli apparve l'arcangelo Gabriele (in arabo Gibrīl o Giabrāʾīl, ossia "potenza di Dio": da "jabr", potenza, e "Allāh", Dio) che lo esortò a diventare Messaggero (rasūl) di Allāh con le seguenti parole:

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«Leggi, in nome del tuo Signore che ha creato, che ha creato l'uomo da un grumo di sangue.
Leggi nel nome del tuo Signore il più generoso, che ha insegnato per mezzo del calamo, che ha insegnato all'uomo quello che non sapeva[1]»

Egli stesso, terrorizzato da un'esperienza così anomala, credette di essere stato soggiogato dai jinn e quindi impazzito (majnūn, "impazzito", significa letteralmente "catturato dai jinn"), fu scosso da violenti tremori e cadde preda di un intenso sentimento di terrore.
Secondo la tradizione islamica Muhammad poté in quella sua prima esperienza teopatica sentire le rocce e gli alberi che gli parlavano e quando, preso dal panico, scese a precipizio dalla caverna in direzione della propria abitazione, si girò guardando alle proprie spalle e vide Gabriele sovrastare con le sue ali immense l'intero orizzonte, per quel "gigantismo" che caratterizza le "realtà angeliche", anche in contesti diversi da quello islamico.

Non gli fu facile accettare l'idea di essere stato prescelto come profeta da Dio ma ad accettare quella sua esperienza teopatica lo convinse innanzi tutti la moglie e, in seconda battuta, il cugino di lei Waraqa ibn Nawfal, che alcuni indicano come cristiano ma che, più verosimilmente, era uno di quei monoteisti arabi ( ḥanīf ) che non si riferivano tuttavia a una specifica struttura religiosa organizzata.
Dopo un lungo e angosciante periodo in cui le sue esperienze non ebbero seguito (fatra), Gabriele tornò di nuovo a parlargli per trasmettergli altri versetti e questo proseguì per 23 anni, fino alla morte nel 632 di Muhammad.

Al contrario di una "utile" tradizione che vorrebbe Muhammad "analfabeta" (così da rendere del tutto impossibile l'accusa che il Corano fosse una sua personale elaborazione poetica), il profeta dell'Islam era uomo tutt'altro che ignorante, vuoi per la sua professione di commerciante che l'aveva portato in contatto con altre lingue e altre culture, vuoi per alcuni episodi della sua stessa vita (come la sua firma nel Trattato di Hudaybiyya). L'equivoco deriva dall'espressione a lui riferita di al-Nabī al-ummī che può voler dire in effetti "il profeta ignorante" ma anche, e più verosimilmente, "il profeta della comunità (araba)". Per altro a Istanbul, presso l'antica residenza dei sultani ottomani del Topkapı è conservato (ed è tuttora oggetto di venerazione) una lettera autografa attribuitagli nella quale intima ai cristiani copti di aderire alla sua professione di fede.

Muhammad cominciò dunque a predicare la Rivelazione che gli trasmetteva Gibrīl, ma i convertiti nella sua città natale furono pochissimi per i numerosi anni che egli ancora trascorse a Mecca. Fra essi il suo amico intimo e coetaneo Abū Bakr (destinato a succedergli come califfo, guida della comunità islamica che si fondò dapprima con lenta progressione) e un gruppetto assai ristretto di persone che sarebbero stati i suoi più validi collaboratori: i cosiddetti "Dieci Benedetti" (al-ˁashara mubashara).
La sua Rivelazione dunque - che sarebbe stata raccolta dopo la sua morte nel Corano, il libro sacro dell'Islam - dimostrò la validità del detto per cui "nessuno è profeta in casa sua". Maometto ripeté per ben due volte per intero il Corano nei suoi ultimi due anni di vita e molti musulmani lo memorizzarono per intero ma fu solo il terzo califfo ʿUthmān b. ʿAffān a farlo mettere per iscritto da una commissione coordinata da Zayd ibn Thābit, segretario del Profeta. Così il testo accettato del Corano poté diffondersi nel mondo al seguito delle prime conquiste che portarono gli eserciti di Medina in Africa, Asia ed Europa, rimanendo inalterato fino ad oggi, malgrado lo Sciismo vi aggiunga un capitolo (Sura) e alcuni brevi versetti (ayāt).
Nel 619, l'"anno del dolore", morirono tanto suo zio Abū Tālib, che gli aveva garantito affetto e protezione malgrado non si fosse convertito alla religione del nipote, quanto l'amata Khadīja. Fu solo dopo ripetute insistenze che Muhammad contrasse nuove nozze, tra cui quelle con ʿĀʾisha bint Abī Bakr, figlia del suo più intimo amico e collaboratore, Abū Bakr.
L'ostilità dei suoi concittadini tentò di esprimersi con un prolungato boicottaggio nei confronti di Muhammad e del suo clan, con il divieto di intrattenere con loro rapporti di tipo economico commerciale ma i troppi vincoli parentali creatisi fra i clan della stessa tribù fece fallire il progetto di ridurre a più miti consigli Muhammad.
Nel 622 il crescente malumore di Quraysh di veder danneggiati i propri interessi - a causa dell'inevitabile conflitto ideologico e spirituale che si sarebbe radicato con gli altri arabi politeisti (che con loro proficuamente commerciavano e che annualmente partecipavano ai riti della ‘umra del mese di rajab) - lo indusse a rifugiarsi con la sua settantina di correligionari, a Yathrib, duecento miglia più a nord di Mecca, che mutò presto il proprio nome in al-Madīnat al-Nabī, "la Città del Profeta". Il 622 divenne poi sotto il califfo ʿUmar ibn al-Khattāb l'anno dell'Egira (emigrazione) e segnò l'inizio del calendario islamico.

[modifica] La nascita della Umma

Inizialmente Muhammad si ritenne un profeta inserito nel solco profetico antico-testamentario, ma la comunità ebraica di Medina non lo accettò come tale. Nonostante ciò, Muhammad predicò a Medina per otto anni e qui, fin dal suo primo anno di permanenza, formulò un Patto (Rescritto o Statuto o Carta, in arabo Ṣaḥīfa) che fu accettato da tutte le componenti della città-oasi e che vide la nascita della Umma, la prima Comunità politica di credenti.

Muhammad in marcia alla volta di Khaybar (dal Majmaʿ al-tawārīkh di Rashīd al-Dīn)
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Muhammad in marcia alla volta di Khaybar (dal Majmaʿ al-tawārīkh di Rashīd al-Dīn)

Nello stesso tempo, con i suoi seguaci, portò attacchi ai traffici dei Meccani pagani e respinse i loro contrattacchi che tendevano a metter fine una volta per tutte alle azioni ostili che i musulmani portavano contro le loro carovane. Muhammad, nel corso di quel confronto armato che portò alla prima vittoria di Badr, alla disfatta di Uhud e alla finale vittoria strategica di Medina (Battaglia del Fossato) contro i pagani di Mecca e i loro alleati, espulse o permise che fossero trucidati tutti gli ebrei di Medina, resisi colpevoli agli occhi della Umma di violazione del Patto di Medina e di tradimento dei musulmani di quella città. All'espulsione soggiacquero — in occasione dei due primi fatti d'armi — i Banu Qaynuqāʾ e i Banū Nadīr, mentre nell'ultimo caso, dopo la vittoria del Fossato (yawm khandaq), furono uccisi i maschi adulti dei Banū Qurayza, laddove donne e bambini furono resi schiavi e venduti sui mercati d'uomini di Siria, dove vennero quasi tutti riscattati dai loro correligionari di Khaybar, Fadak e di altre oasi arabe higiazene.
Nel 630 Muhammad era ormai abbastanza forte per marciare su Mecca e conquistarla, pur tornando poi a vivere a Medina.
Da qui volle ampliare la sua azione politica e religiosa a tutto il resto del Hijāz e, dopo la sua vittoria nel 630 a Hunayn contro l'alleanza che s'imperniava sulla tribù dei Banū Hawāzin, con una serie di operazioni militari nel cosiddetto Wādī al-qurā, a 150 chilometri a settentrione di Medina, conquistò o semplicemente assoggettò vari centri abitati (spesso oasi), come Khaybar e Fadak, sia per ragioni economiche sia per motivi strategici.

Due anni dopo Muhammad morì a Medina, senza indicare esplicitamente chi dovesse succedergli alla guida politica della Umma. Lasciava nove vedove - tra cui ʿĀʾisha bint Abī Bakr - e una sola figlia vivente, Fātima, andata sposa al cugino del profeta, ʿAlī ibn Abī Tālib, madre dei suoi nipoti al-Hasan b. ʿAlī e al-Husayn b. ʿAlī. Fātima, piegata dal dolore della perdita del padre e logorata da una vita di sofferenze e fatiche, morì sei mesi più tardi, diventando in breve una delle figure più rappresentative e venerate della religione islamica.

[modifica] Maometto secondo i cristiani

Secondo la visione del Cristianesimo, Maometto non è un profeta ed il Corano non gli fu divinamente dettato; alcuni ritengono che esso sia stato composto mettendo insieme tradizioni arabe preislamiche (come il culto della Pietra Nera della Mecca) con tradizioni cristiane siriache ed ebraiche.

Nell'Occidente medievale Maometto venne a lungo considerato un eretico (in questi termini Dante Alighieri lo cita nella Divina Commedia assieme ad ʿAlī ibn Abī Ṭālib), colpevole di aver creato un gravissimo scisma, senza considerarlo il fondatore di una nuova religione. Nella Basilica di San Petronio a Bologna, in un celebre affresco, Maometto è raffigurato all'inferno.

[modifica] La Famiglia

Muhammad sposò nove mogli, tra cui ricordiamo Sawda, ˁĀʾisha, Hafsa (sorella di ˁUmar b. al-Khattāb), Zaynab bt. Khuzayma e Hind (o Ramla) bt. Abī Umayya.
Fra queste ˁĀʾisha, figlia di Abū Bakr, gli fu promessa ancora bambina quando egli aveva 52 anni diventò presto la moglie prediletta del profeta, nelle cui braccia più tardi morirà. La consumazione del matrimonio avvenne allorché ˁĀʾisha raggiunse, a poco meno di 10 anni di età, la maturità sessuale. L'episodio non era straordinario perché questo era un diffusissimo costume (non solo arabo preislamico), motivato dall'età media particolarmente bassa dell'ambiente peninsulare arabo.
La tradizionale poliginia preislamica fu peraltro mitigata dal Corano, che impose un limite massimo di 4 mogli legittime, anche se mantenne la possibilità di avere un indefinito numero di concubine (dhāt al-yamīn, "quelle della destra") .

A Muhammad fu consentito da Dio di superare questo limite, ma occorre ricordare che alcuni dei suoi matrimoni furono contratti quasi per obbligo politico, onde sanzionare secondo la consuetudine del tempo alleanze o conversioni di gruppi arabi pagani che pretendevano si contraesse un vincolo coniugale fra le parti che rafforzasse l'accordo da raggiungere.
Muhammad ebbe anche sedici concubine ma solo da una sua schiava, la copta Mārya, ebbe un figlio: Ibrāhīm, morto però ancora assai piccolo, con grande dolore dello stesso Muhammad che poco tempo dopo lo raggiunse nella tomba.

[modifica] Bibliografia

  • Karl Ahrens, Muhammed als Religionsstifter, Leipzig, Deutsche Morgenländische Gesellschaft (Abhandlungen für die Kunde des Morgenlandes, Bd. 19, n° 4), 1935.
  • Tor Andrae, Die Person Muhammeds, Stockholm, Kungl, 1917. Boktryckeriet. P.A. Norstedt & Söner, 1917 (trad. ted. Mohammed, sein Leben und sein Glaube, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1932; trad. ital. Maometto. La sua vita e la sua fede, a cura di F. Gabrieli, Bari, Laterza, 1934 [anast. 1981]).
  • Il Corano, introd., trad. e commento di Alessandro Bausani, Firenze, Sansoni, 1961 (e successive ediz., l'ultima delle quali della Rizzoli di Milano).
  • Il Corano, traduz. e note di Martino Mario Moreno, Torino, UTET, 1967 (rist. 2005).
  • Frants Buhl, Muhammeds Liv, København, 1903 (trad. ted. Das Leben Muhammeds, Leipzig, Quelle & Meyer, 1930).
  • Emile Dermenghem, La vie de Mahomet, Paris, Plon, 1929 (trad. italiana, Milano, dall'Oglio).
  • Emile Dermenghem, Mahomet et la tradition islamique, Paris, Ed. du Seuil, 1955.
  • Claudio Lo Jacono, "L’Arabia preislamica e Muhammad", in: Giovanni Filoramo (a cura di), Islam, su Storia delle religioni, vol. III, Roma-Bari, Laterza”, 1999, pp. 3-76.
  • Claudio Lo Jacono, Maometto l’Inviato di Dio, Roma, Ed. Lavoro, 1995.
  • Ibn Hishām (Abu Muhammad ʿAbd al-Malik), al-Sīrat al-nabawiyya (La vita del Profeta), Mustafà al-Saqqā, Ibrāhīm al-Abyārī e ʿAbd al-Hafīz Šiblī (edd.), Il Cairo, Mustafà al-Bābī l-Halabī, 2 voll., II ed., 1955 (trad. inglese The Life of Muhammad, a cura di A. Guillaume, Oxford University Press, 1955).
  • Martin Lings, Muhammad, His Life Based on the Earliest Sources, Londra, The Islamic Texts Society – George Allen & Unwin, 1983 (trad. ital. Il Profeta Muhammad, Trieste, Società Italiana Testi Islamici, 1988).
  • William Montgomery Watt, Muhammad at Mecca, Oxford at the Clarendon Press, 1953.
  • William Montgomery Watt, Muhammad at Medina, Oxford at the Clarendon Press, 1956.
  • William Montgomery Watt, Muhammad prophet and Statesman, Oxford, Oxford University Press, 1961.
  • William Muir, The Life of Mohammad, from original sources, Edinburgh, John Grant, 1923.
  • Carlo Alfonso Nallino, Vita di Maometto, Roma, Istituto per l'Oriente, 1946.
  • Sergio Noja, Maometto profeta dell’Islàm, Fossano (Cn), Editrice Esperienze, 1974.
  • Maxime Rodinson, Mahomet, Paris, Editions du Seuil, 1967 (trad. ital. Maometto, Torino, Einaudi, 1973).
  • Arent Jan Wensinck, Mohammed en de Joden te Medina, Leyde, E.J. Brill, 1908.

[modifica] Note

  1. Sura 96:1-5. Salvo l'imperativo iniziale, si è seguita la versione de Il Corano, introd., trad. e commento di Alessandro Bausani, Firenze, Sansoni, 1961 e succ. ediz. La traduzione bausaniana riporta "Grida", malgrado iqrāʾ significhi più propriamente "recita salmodiando" pur essendo logico che per poter recitare si debba preliminarmente leggere, non essendo noto il contenuto del brano da recitare)

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