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Storia dell'Islam - Wikipedia

Storia dell'Islam

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'Islam (letteralmente assoggettamento o abbandono [a Dio] ) appare nel VII secolo d. C. nella penisola araba e, più specificatamente nella regione nord-occidentale del Hijāz.

Il suo profeta è Muhammad (Maometto), il cui nome completo arabo era "Muhammad ibn ‘Abd Allah ibn ‘Abd al-Muttalib", un mercante del clan dei Banū Hāshim, della tribù meccana dei Banū Quraysh.

Indice

[modifica] Dottrina islamica

Secondo l'Islàm, Muhammad non è stato l'unico profeta dell'Islam ma l'ultimo. Senz'altro il più importante perché destinato da Dio a riferire una volta per tutte all'umanità la Sua volontà, trascritta testualmente nel Corano. Muhammad cioè s'iscrive in una lunghissima teoria profetologica che annovera tutti i profeti vetero-testamentari (e molti altri ancora, sconosciuti a qualsiasi tradizione) e Gesù: tutti instancabilmente mandati da Dio per richiamare l'umanità all'ubbidienza, fin da quando la prima volontà divina fu rivelata ad Adamo, considerato dall'Islàm primo uomo e primo Profeta.

La malizia umana e il trascorrere rovinoso del tempo hanno fatto disperdere e alterare tale Messaggio. A Muhammad quindi fu dato da Dio per l'ultima volta l'incarico di ricordare nella sua pienezza il volere celeste. Per questo Muhammad è chiamato "Sigillo dei Profeti" e chiunque in ambito islamico dichiari nuovamente aperto il ciclo profetico è da considerare eretico e fuori dall'Islam.

L'Islam è una religione rigidamente monoteistica, che crede in un Dio Uno e Unico. Crede in un Aldilà in cui i buoni saranno premiati in un Giorno del Giudizio col Paradiso dalle eterne delizie e i malvagi puniti con un Inferno della cui eternità è dato dubitare e che, per i musulmani, avrà comunque certamente un termine.
Per definire ciò che è islamico e ciò che non lo è non esiste un clero o una classe sacerdotale, vista la ripugnanza dell'Islam ad ammettere che possa esistere un intermediario fra Dio e le Sue creature (ma la cosa andrebbe alquanto sfumata nel caso dello sciismo, vista la figura dominante dell'Imam). A decidere su cosa sia ortodosso e cosa sia eterodosso varrà quindi il parere espresso dalla maggioranza dei dotti ( ‘ulamā' ) riconosciuti dall'opinione comune come i più validi studiosi delle cosiddette "scienze religiose" ( ‘ulūm dīniyya ). Il parere di detta maggioranza potrà quindi - almeno teoricamente - mutare ma non c'è dubbio che l'assenza di una "Chiesa docente" rende assai difficile mutare certi orientamenti relativi alla fede, alla teologia, alla liturgia e alla stessa etica comportamentale. Si veda il caso del cosiddetto "martire" islamico ( šāhid ) dopo che l'organizzazione terroristica di matrice islamica al-Qā'ida s'è fatta conoscere in Occidente, già prima dell'11 settembre.

L'Islam non è, peraltro, una religione nel senso che in Occidente si tende ad attribuire al termine. Non è costituito cioè solo da un puro credo accompagnato da un insieme più o meno cogente di momenti liturgici ma indica invece – accanto alla fede in un Dio Uno e Unico, nella missione profetica di Muhammad, nella Rivelazione trascritta nel Corano (ritenuto dal Sunnismo non creato, in quanto "parola di Dio", kalimat Allah ghayr makhlūq, in una vita oltre la morte e in un precise ritualità devozionali e penitenziali definite "pilastri dell'Islam", arkān al-Islām) – anche un preciso modello comportamentale da esprimere concretamente nella vita terrena. Insomma, un modo di operare, una precisa regola di vita, eticamente qualificata dal credo islamico così come esso si è sviluppato nelle società storiche che all'Islam si riferiscono.

Non ha quindi alcun senso logico usare l'espressione "Islam integralista" perché - al di là del fatto che il concetto di "integralismo" ben si adatta alle realtà cristiane statunitensi del XIX secolo - nel caso in esame si tratterebbe di una pura e semplice tautologia, dal momento che l'Islam è già di per sé strutturalmente orientato a una visione "integrale", sia del mondo terreno sia di quello ultraterreno, additando al credente precisi e inderogabili obblighi "politici" ma anche spirituali. Il tutto, nella dottrina islamica, viene riassunto nell'espressione dīn wa dunya: religione e mondo transeunte.

L'insieme degli aspetti relativi al culto – dai quali non è assolutamente possibile derogare se non in casi previsti con grande precisione – è riassumibile dunque nel dovere di osservanza dei seguenti arkān al-Islām:

  • shahāda (testimonianza di fede nell'esistenza di un Dio Uno e Unico e nella missione profetica di Muhammad);
  • salāt (preghiera canonica da eseguire 5 volte ogni giornata, composta di notte e dì);
  • zakāt (elemosina legale obbligatoria, al fine di sovvenire alle necessità dei più bisognosi e per render pura e legittimamente fruibile la propria ricchezza, da cui è evidentemente esonerato l'indigente);
  • Sawm Ramadān (totale digiuno da effettuare nel mese lunare di Ramadān, dall'alba al tramonto, che prevede però alcune eccezioni);
  • hajj (pellegrinaggio canonico a Mecca e dintorni da effettuare una volta almeno nel corso della vita se non lo impediscano particolari situazioni e condizioni).

Alcuni aggiungono anche il jihād, inteso, tuttavia, come sforzo personale per migliorare se stessi e per difendere l'Islam in caso di aggressione.

L'insieme degli aspetti etici riguarda, invece, la solidarietà fra credenti, la fiducia in Dio e nei Suoi comandamenti, la difesa dell'Islam, l'onestà di comportamento, la temperanza di costumi.

Limitato è invece l'assetto dogmatico, l'unico in grado di distinguere il musulmano dal non musulmano, che riguarda l'escatologia e, quindi, l'Aldilà: "tormento della tomba" (‘adhāb al-qabr), messo in atto dagli angeli Munkar e Nakīr che, interrogato il defunto (opportunamente resuscitato per la bisogna) per appurarne la retta fede, irrogheranno un tormento fisico e spirituale al morto fino al giorno del Giudizio finale in caso di suo difetto; "bilancia" (mīzān) per pesare le buone e le cattive azioni da parte di angeli (malā'ika) appositamente incaricati, "strada" (sirāt)che corre su un "ponte" (jisr) che conduce i beati verso il Paradiso (Janna, Firdaws) ma che precipiterà i dannati in un Inferno dai tormenti fisici oltre che spirituali ), "bacino" (hawd) cui si disseterà per tutta l'eternità il beato.

[modifica] Islam politico

Proprio per la caratteristiche tipiche dell'Islam di essere una religione che guarda all'Oltre ma che impone una coerente conduzione della propria vita nella società umana, l'azione di Muhammad fu quella al contempo di un profeta e di un capo di una Comunità (Umma) che, per quanto di fedeli, ebbe precise valenze politiche.
Costretto con l'Egira ad abbandonare la natia Mecca nel 622 d.C., Muhammad conquistò il potere in tutta la regione del Hijàz grazie a una serie di battaglie, di accordi politici e di conversioni.

Le conquiste dell'Islam (632.750 d.C)
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Le conquiste dell'Islam (632.750 d.C)

Alla sua morte (632) fu creato l'istituto del califfato che, tra il 632 e il 661, annoverò quattro successori politici di Muhammad (non essendo ereditabile ovviamente il suo carisma profetico) e che, per la sua strutturazione tradizionale è ancor oggi chiamato "ortodosso" (rāshid ). Nel corso di quest'epoca furono realizzate le prime conquiste della Siria-Palestina, dell'Egitto, della Mesopotamia e di parte della Persia.
Dal 661 al 750 il califfato fu gestito invece dal clan omayyade della tribù meccana dei Quraysh e, dal 750 al 1258 il califfato fu appannaggio del clan hascemita degli Abbasidi, più strettamente imparentato del precedente al Profeta.

Già dal IX secolo però il califfato si disintegrò per le amplissime dimensioni raggiunte e per le pressioni regionalistiche. Nacque una lunga serie di Stati dinastici che, se pure possono suggerire l'idea di una decadenza istituzionale, furono in realtà estremamente vivaci da un punto di vista sociale, economico e culturale.
In Egitto si affermò perciò il sultanato tulunide e, dopo un'effimera riconquista del potere degli Abbasidi che si avvalsero della dinastia ikhshidide, venne il turno degli ismailiti Fatimidi che, già nel X secolo, s'erano impadroniti dell'Ifrīqiya strappandola agli Aghlabidi, fedele longa manus degli Abbasidi e organizzatori della conquista della Sicilia.

In Persia, nelle regioni più orientali del Khorasan il potere fu delegato dai califfi abbasidi ai Tahiridi, ai quali per conto loro rispondevano inizialmente i Samanidi che reggevano le regioni ancor più a oriente della Transoxiana. Nelle aree del Sīstān (o, per i geografi arabi, Sigistān) emerse invece la dinastia dei Saffaridi che rimasero fino al XIII secolo del tutto autonomi nelle regioni iraniche del SE.
Nel momento di massimo declino politico e militare del califfato, erano giunti nell'XI secolo, i turchi Selgiuchidi che imposero la loro "tutela" al califfo che, nelle epoche immediatamente precedenti, s'era dovuto piegare alla "protezione" degli sciiti Buwayidi (o Buyidi) daylamiti.

La Siria fu così contesa da Selgiuchidi a Nord e dai Fatimidi a Sud. Questo quadro del tutto lacerato sotto un profilo istituzionale, ma anche sociale ed economico, agevolò in maniera determinante l'affermazione dei Crociati venuti dall'Europa continentale e fu solo a fatica che le forze locali (assai più di quelle selgiuchidi e fatimidi, interessate a che gli uni non si avvantaggiassero ai danni degli altri) riuscirono a fatica a riconquistare le regioni della Terra Santa.
Gli Zengidi di Norandino - cui va innanzi tutti riconosciuto il merito della "rivincita" islamica - cedettero il posto agli Ayyubidi di Saladino (che di Norandino era stato fedele generale) e, alla fine della parabola ayyubide, fu il momento dei Mamelucchi turchi e poi circassi.

In Nordafrica, crollato il potere fatimide (già esautorato in queste zone dagli Ziridi), si affermarono in successione le potenti dinastie berbere degli Almoravidi e degli Almohadi, entrambe attrici protagoniste delle vicende di al-Andalus nel tentativo d'impedire la Reconquista cristiana che, invece, progredì implacabilmente, realizzandosi appieno nel 1492 con la caduta dell'ultimo lembo di territorio iberico in mano islamica: il Sultanato di Granada.

L'Impero almohade si frantumò in una serie di potentati minori: da quello più importante degli Hafsidi in Ifrīqiya a quello dei Merinidi in Marocco e dagli Abdelwadidi (o Ziyanidi) in Algeria.

Una parziale unificazione di molte aree sunnite del Vicino Oriente fu conseguita, a partire dal XVI secolo, dal sunnita Sultanato turco ottomano che, col Sultano Selim I Yavuz sconfisse i Mamelucchi, lasciandoli però sul posto come suoi feudatari, mentre nell'Iràn la dinastia sciita safavide avviò un rinascimento culturale e politico che riuscì a reggere ai colpi degli eserciti ottomani e ai loro tentativi di assoggettamento.

L'Impero Ottomano — che da un certo momento in poi si definì nuovo califfato e come tale fu riconosciuto dopo il Trattato di Küçük Qainargè — si sfaldò al termine del I conflitto mondiale, essendosi alleato con la Germania e l'Austria-Ungheria.

La Repubblica turca, sorta grazie al gen. Mustafa Kemal, poi chiamato Atatürk ("padre dei Turchi"), dichiarò conclusa l'esperienza califfale nel 1924, in un'apposita assise svoltasi ad Ankara, mentre i Paesi arabi cadevano sotto l'amministrazione mandataria britannica e francese fino al conseguimento della loro piena indipendenza negli anni successivi al II conflitto mondiale.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

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