Dhimmi
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Dhimmī, secondo la legge musulmana è ogni israelita, cristiano, zorastriano o sabeo cui è di norma concesso di vivere la propria fede religiosa in un paese governato secondo i principi dell'Islam, pur assoggettati ad alcune limitazioni.
Il concetto deriva dal Corano (Sura IX, 29):
"Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo, e che non ritengono illecito quel che Dio e il Suo messaggero han dichiarato illecito, e coloro, fra quelli cui fu data la Scrittura, che non s'attengono alla Religione della Verità. Combatteteli finché non paghino il tributo, uno per uno, umiliati". (trad. di A. Bausani)
La sottomissione e il tributo all'autorità islamica permettono a queste minoranze d'invocare lo status di "persone protette". Ogni scuola giuridica musulmana ( madhhab ) ha in passato elaborato le norme giurisprudenziali cui si sarebbero dovuti attenere i dhimmī: divieto di indossare il medesimo abbigliamento dei musulmani, obbligo di indossare una cintura ( zunnār ), per lo più di colore giallo, divieto di edificare case o tombe che sovrastassero quelle islamiche, e, addirittura, quello di parlare a voce più alta di un musulmano.
Va detto che tutto questo dispositivo discriminatorio non ha quasi mai trovato pratica attuazione. Fu solo in ben delimitati periodi storici (sotto il califfato di ‘Umar II o in periodo almohade) che si ebbe una rigida applicazione dello "statuto della dhimma", col divieto ad esempio per il dhimmī di usare i cavalli come mezzo di locomozione, ovvero l'obbligo di lasciare il lato più in ombra di una via ai musulmani.
Oggi tutto ciò non trova più alcuna applicazione, né teorica né pratica, nella massima parte dei paesi islamici. Nel caso dell'Arabia Saudita è interdetto a chiunque non sia musulmano l'accesso alle Città Sante di Mecca e Medina in forza tuttavia di una decisione che non deriva né dal Corano, né dalle tradizioni riferibili al profeta Muhammad, ma dal disposto del secondo califfo ˁUmar ibn al-Khattāb. Permangono invece le limitazioni alla propaganda religiosa diversa da quella islamica, del proselitismo e dell'uso delle campane per scandire i momenti liturgici della giornata cristiana o di altri strumenti ancora che servano a radunare ostentatamente fedeli di religioni diverse da quella islamica.
Tutto ciò, che non trova giustificazione nel Corano e nella Sunna ma solo nella ufficiale volontà di salvaguardia dell'ordine sociale, rappresenta nondimeno una qualche discriminazione che, in ogni caso, non attiene stricto sensu alla libertà di praticare il proprio credo religioso ma alla libertà di ampliare la cifra numerica dei propri correligionari.
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