Inferno - Canto terzo
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[modifica] Incipit
Canto terzo, nel quale tratta de la porta e de l'entrata de l'inferno e del fiume d'Acheronte, de la pena di coloro che vissero sanza opere di fama degne, e come il demonio Caron li trae in sua nave e come elli parlò a l'autore; e tocca qui questo vizio ne la persona di papa Celestino.
[modifica] Sintesi
Dante giunge davanti alla porta dell'inferno, ed al sommo dell'arco che fa da porta all' antinferno nota delle parole incise sulla pietra che egli non comprende. Nell'aria voci lamentose, piene di ira e colme di pianti, fanno nascere nel poeta sentimenti di paura ed angoscia. Qui, in questo luogo che non è ancora inferno, sono puniti gli ignavi, anime che in vita non operarono nè il bene nè il male per loro scelta ed adesso, per contrappasso, sono condannate per l'eternità a correre nudi, tormentati da insetti che rigano di sangue il loro corpo, ed ai loro piedi un tappeto di vermi che si nutrono del loro sangue colato a terra. Oltre agli uomini ignavi sono puniti qui anche gli angeli che, al tempo della rivolta di Lucifero, non presero nè la parte di Lucifero nè quella di Dio, ma si ritirarono in disparte estraniandosi dai fatti della rivolta. Queste anime non sono salve e neanche dannate, rinnegate sia da Dio che da Satana, disprezzate da Dante per la loro vita terrena e per la loro condizione ultraterrena. Si nota tra le anime "colui che per viltade fece il gran rifiuto": questa persona potrebbe essere identificata come Celestino V, o Esaù, o Ponzio Pilato. Dante non lo nomina, ma lo riconosce spontaneamenmte, quindi è facile che si tratti di un suo contemporaneo. Inoltre quando egli cita persone senza nominarle spesso è perché erano così famose da essere sufficiente un'allusione a inquadrarle. Infatti tutti i commentatori antichi indicano Celestino V come artefice del "gran rifiuto". Le argomentazioni contro questa teoria stanno nel fatto che Celestino è un santo, beatificato quando Dante era ancora in vita (1313). Nonostante ciò Dante forse aveva voluto sottolineare comunque il suo giudizio negativo contro Celestino, in spiccato contrasto con Papa Clemente V che l'aveva beatificato, verso il quale non nutriva particolari simpatie, lasciando comunque l'indeterminatezza del nome mancante.
Oltre, sulla riva nera e scura dell' Acheronte, le anime aspettano di essere traghettate nel luogo in cui sconteranno la pena. Caronte traghettatore di anime, violentemente le carica sulla barca, e le percuote perché non indugino troppo sulla loro condizione. Accortosi della presenza di Dante, si rifiuta di traghettarlo oltre il fiume, allora la terra trema e sbuffi di vapore fuoriescono da crepe eterne come quel luogo. Dante sviene, e le immagini si fanno via via sempre meno nitide, come una visione lenta che svanisce nell'aria.
Grazie alla tecnica del contrappasso, Dante riesce a creare immagini reali, e rende al lettore i sentimenti che affiorano lente fra le righe dell'opera. Interessante notare come questi peccatori siano disprezzati sia da Virgilio, che dice a Dante di passare senza degnarli di uno sguardo, e dai diavoli che non li accettano neanche nel vero e proprio inferno. Questo peccato è disdegnato da entrambi, perché chi non seppe scegliere in vita, e quindi schierarsi da una parte o dall'altra, nella morte resterà un paria costretto a rincorrere un bandiera che non appartiene a nessun ideale.
[modifica] Temi e contenuti
- La porta dell'inferno - versi 1-21
- Gli ignavi - vv. 22-69
- Il fiume Acheronte e Caronte - vv. 70-129
- Terremoto e svenimento di Dante - vv.130-136
[modifica] Voci correlate
- Ignavi
- Non ragioniam di lor, ma guarda e passa
- Senza infamia e senza lode
- Vuolsi così colà dove si puote
[modifica] Altri progetti
- Wikisource contiene il testo completo del Canto terzo dell'Inferno
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