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Marco Tullio Cicerone - Wikipedia

Marco Tullio Cicerone

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Cicerone
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Cicerone
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(Marco Tullio Cicerone, prima Catilinaria)
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«(IT) Catilina, fino a quando abuserai della nostra pazienza?»

Marco Tullio Cicerone (in latino Marcus Tullius Cicero) (Arpino, 3 gennaio 106 a.C. - Formia, 7 dicembre 43 a.C.), esponente di una agiata famiglia dell'ordine equestre, fu un celebre scrittore e filosofo latino, nonché uomo politico dell'ultimo periodo della Repubblica Romana.

Indice

[modifica] Biografia

Il padre Marco Tullio Cicerone il Vecchio, auspicando per i figli Marco e Quinto una carriera forense e politica, li condusse a Roma dove Marco venne introdotto nel circolo dei migliori oratori del suo tempo, Licinio Crasso e Marco Antonio, e dove poté formarsi contemporaneamente nella giurisprudenza, grazie alla guida di Quinto Mucio Scevola. A 17 anni dovette interrompere gli studi per compiere il servizio militare, che svolse agli ordini dapprima del console Gneo Pompeo Strabone e poi di Lucio Cornelio Silla.

Riprese gli studi interrotti e nell'87 a.C. conobbe il maestro di retorica Apollonio Molone, ascoltò le lezioni degli epicurei Fedro e Zenone, e dell'accademico Filone di Larissa che esercitò in lui un'influenza profonda.

L'ingresso di Cicerone nella carriera forense avvenne ufficialmente nel 81 a.C. con la sua prima orazione pubblica, la Pro Quinctio, per una causa in cui ebbe come avversario Quinto Ortensio Ortalo. Ma il suo vero esordio nell'oratoria a carattere politico si ebbe con la Pro Roscio Amerino, molto concitata ed a tratti enfatica, che conserva molto di scolastico nello stile patetico ed esuberante.

Tra il 79 ed il 77 a.C. Cicerone viaggiò in Grecia ed in Asia Minore, seguendo ad Atene le lezioni di filosofia di Antioco di Ascalona; a Rodi ebbe la possibilità di conoscere lo storico Posidonio. Tornato a Roma dopo la morte di Silla e la reazione alla sua politica, iniziò la sua vera e propria carriera politica in un ambiente sostanzialmente favorevole: nel 76 a.C. si presentò come candidato alla questura. Eletto alla carica, svolse il lavoro con scrupolo ed onestà tanto che cinque anni dopo i siciliani gli affidarono la causa contro il propretore Verre, reo di aver dissanguato l'isola nel triennio 73-71 a.C.. Cicerone raccolse con zelo le prove della colpevolezza, pronunciò due orazioni preliminari e l'ex governatore, oberato da prove schiaccianti, scelse l'esilio volontario. Le cinque orazioni preparate per le successive fasi del processo furono pubblicate più tardi e costituiscono una importante prova del malgoverno che l'oligarchia senatoria esercitava a seguito delle riforme di Silla. Attaccando Verre, Cicerone attaccò la prepotenza della nobiltà corrotta ma non l'istituzione senatoria, anzi fece proprio appello alla dignità di tale ordine perché estromettesse i membri indegni.

Il successo ottenuto da quelle che vengono poi chiamate Verrine, anticipatrici dei principi di un governo umano ed ispirato ad onestà e filantropia, portò Cicerone in primo piano sulla scena politica: nel 69 a.C. venne eletto alla carica di edile, nel 66 a.C. diventò pretore con una elezione all'unanimità. Nello stesso anno pronunciò il suo primo discorso politico, Pro lege Manilia de imperio Cn. Pompei, in favore del conferimento dei pieni poteri a Pompeo per la guerra mitridiatrica. In questa occasione Pompeo era appoggiato dai cavalieri, interessati alla rapida risoluzione della guerra in Asia, mentre gli era contraria la maggioranza del senato. Il motivo dell'impegno di Cicerone in una causa ostile all'alta aristocrazia sta nell'importanza che essa aveva per i pubblicani e gli affaristi, minacciati nei loro interessi da Mitridate.

Nel 64 a.C. Cicerone presentò la candidatura al consolato per l'anno successivo, la sua posizione venne illustrata dal fratello Quinto in un'opera, Commentariolum petitionis, per cosigliarlo nella campagna elettorale. Per un gioco delle classi, Cicerone risultò eletto con il voto di tutte le centurie. La fiducia in lui riposta venne ripagata già all'inizio del consolato con la pronuncia di quattro orazioni De lege agraria contro la proposta di legge del tribuno Servilio Rullo.

Più tardi si adoperò per far fallire una nuova candidatura al consolato di Catilina, che aveva allarmato i ceti possidenti per il suo progetto di remissione dei debiti. Cicerone alimentò voci di una congiura contro lo stato da parte di Catilina - che preparò poi un'azione rivoluzionaria sventata sempre dal console riconfermato e che costrinse lui a fuggire da Roma, mentre i capi del complotto rivoluzionario furono arrestati. In queste circostanze il console pronunciò le quattro famose Catilinarie che rappresentano uno dei culmini dell'oratoria ciceroniana, in cui Cicerone si presenta come il salvatore della patria contro la minaccia rivoluzionaria.

A seguito del riemergere dei contrasti tra senatori e pubblicani, e dell'accordo tra Cesare e Pompeo ai danni dell'oligarchia senatoria, Cicerone scivolò da parte. L'ultimo tentativo di rientrare nel gioco politico gli fu offerta nel 60 a.C. dai tre più potenti uomini del momento, ovvero Pompeo, Cesare e Crasso, alla conclusione dell'accordo per il primo triumvirato: essi chiesero a Cicerone di appoggiare la legge agraria a favore dei veterani di Pompeo e della plebe meno abbiente. Cicerone, tuttavia, rifiutò non solo per non apparire un traditore dell'aristocrazia, ma anche per l'attaccamento all'ordine legale e sociale di cui gli ottimati si proclamavano difensori.

Dopo questo rifiuto e la costituzione del primo triumvirato, Cicerone si tenne fuori dalla politica ma questo non bastò a salvarlo dalle vendette dei populares: all'inizio del 58 a.C. il tribuno della plebe Clodio Pulcro, nemico di Cicerone per un precedente processo per sacrilegio, fece approvare una legge che condannava all'esilio chiunque avesse mandato a morte un cittadino romano senza l'appello al popolo. Costretto all'esilio, Cicerone non si diede pace, implorando le sue conoscenze per il suo ritorno. Nel 57 a.C. la situazione a Roma migliorò, allorché i nobili e Pompeo posero un freno alle iniziative di Clodio Pulcro, permettendo a Cicerone di tornare e ricominciare la sua lotta contro il tribuno del popolo.

Nel 56 a.C. Cicerone pronunciò l'orazione Pro Sestio in cui allargava il suo precedente ideale politico: l'alleanza tra cavalieri e senatori a suo avviso non era più sufficiente per stabilizzare la situazione politica. Occorreva quindi un fronte comune di tutti i possidenti per opporsi alla sovversione tentata dai populares. Possidenti e plebe si scontravano con l'uso di bande armate, e in uno di questi scontri Milone, organizzatore delle bande dei possidenti, uccise il tribuno Clodio. Al processo per omicidio, Cicerone difese Milone, ma, non riuscendo a pronunciare il suo discorso per il clamore della folla, Milone venne condannato all'esilio (una versione della Pro Milone venne pubblicata solo successivamente, dando modo di verificare come fosse una orazione tra le più abili e sottili sul piano giuridico).

Nel 51 a.C. come proconsole si recò in Cilicia, proprio mentre i rapporti tra Cesare e Pompeo si inasprivano. Durante il soggiorno lontano da Roma, i pensieri dell'oratore furono rivolti alla minaccia della guerra civile. Tornato in patria, non cessò di invitare le parti alla moderazione alla conciliazione, ma i suoi inviti caddero nel vuoto anche a causa del fanatismo che spingeva Pompeo all'intransigenza nei confronti delle richieste di Cesare. Dopo lo scoppio della guerra, cercò di fare ancora da moderatore, ma lasciando infine l'Italia e seguendo i pompeiani (poi abbandonati dopo la battaglia di Farsalo, nella speranza di un perdono del vincitore Cesare, che gli giunge nel 47 a.C.).

La speranza di Cicerone di collaborare al governo di Cesare venne frustrata dalla piega assolutistica e monarchica che prese il governo. L'oratore si ritirò, iniziando la stesura di opere di carattere filosofico. A questo si aggiunse il divorzio dalla moglie Terenzia e la morte della figlia Tullia, seguita dalla separazione dalla seconda moglie Publilia. Dopo la morte di Cesare, durante la stagione delle speranze di restaurazione repubblicana, Cicerone riprese l'attività politica attaccando Marco Antonio con veemenza, pronunciando 14 orazioni dette Filippiche, in analogia a quelle di Demostene contro Filippo II di Macedonia.

Nel tentativo di salvare la Repubblica, proprio Cicerone fu uno di quelli che nutrivano le maggiori speranze sul giovane Ottaviano, il quale, dopo aver battuto Antonio a Modena, scese con lui a patti, gettando le basi per il secondo triumvirato, a seguito del quale vennero compilate lunghe liste di proscrizione. Nonostante Ottaviano non fosse d'accordo, Antonio impose la presenza su di esse anche del nome di Cicerone, che venne ucciso dai sicari presso la sua villa di Formia, il 7 dicembre 43 a.C..

[modifica] Cicerone politico

Busto di Cicerone
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Busto di Cicerone

Come politico, Cicerone è sempre stato bersaglio della critica di antichi e moderni. Le accuse mossegli vanno dall'incoerenza alla vanità, alla poca lungimiranza. Ma la sua conduzione oggettivamente può essere giustificata se la si contestualizza nella politica del tempo, fatta in un mobile gioco di accordi e conflitti tra gruppi di potere e famiglie nobili, che sfruttavano le etichette di partito per mire personali.

Ad un giudizio strettamente politico, Cicerone non comprese l'inevitabilità dei processi in atto che conducevano alla fine del potere monopolistico dell'oligarchia nobiliare, ma anche al principato ed all'ascesa di nuovi ceti. Questa limitatezza di vedute è connessa alla fedeltà, alla conservazione dell'antica costituzione repubblicana, al rispetto della legalità, alla difesa della libertà.

Preoccupazione costante di Cicerone fu la difesa della pace sociale e del diritto di proprietà. Per ottenere questo, egli riteneva che si dovesse allargare il più possibile il fronte comune degli ottimati, secondo una formula che in buona sostanza signifacava sicurezza e tranquillità (otium) per tutti i possidenti, ed il potere (dignitas) conservato nelle mani di una classe dirigente d'élite. Il suo desiderio che questa élite fosse per merito e non per nascita rimase un'astrazione teorica, più che altro per l'assenza di una vera modifica nel tessuto politico e sociale della Roma del periodo.

[modifica] Le opere

Cicerone è considerato il più importante esponente dell'eccletticismo filosofico dell'antichità. I suoi pensieri racchiudono elementi tanto dello stoicismo quanto dell'epicureismo.

[modifica] Orazioni

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«(LA) In principiis dicendi tota mente atque artubus contremisco.»
(Marco Tullio Cicerone)
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«(IT) All'inizio di un discorso mi tremano le gambe, le braccia e la mente.»

Cicerone è certamente il più celebre oratore dell'antica Roma. Nel Brutus egli ritiene completato con sé stesso (non senza un certo fine autocelebrativo) lo sviluppo dell'arte oratoria latina, e già da Quintiliano la fama di Cicerone quale modello classico dell'oratore è ormai incontrastata. Cicerone ha pubblicato da sé la maggior parte dei suoi discorsi; 58 orazioni (alcune parzialmente lacunose) le abbiamo ricevute nella versione originale, circa 100 sono conosciute per il titolo o per alcuni frammenti. I testi si possono dividere grossomodo tra orazioni pronunciate di fronte al Senato o al popolo e tra le arringhe pronunciate in qualità di -utilizzando termini moderni- avvocato difensore o pubblica accusa, nonostante anche quest'ultimi abbiano spesso un forte substrato politico, come nel celeberrimo caso contro Gaio Verre, unica volta in cui Cicerone compare come accusatore in un processo penale. Il suo successo è dovuto alla sua abilità argomentatoria e stilistica, che si sa adattare perfettamente all'oggetto dell'orazione e al pubblico (cfr. le dichiarazioni programmatiche nell'opera Orator), soprattutto alla sua tattica astuta, che si adatta di volta in volta al particolare uditorio, appoggiando appropriatamente diverse scuole filosofiche o politiche, al fine di convincere il pubblico contrario e raggiungere il proprio scopo.

Panoramica alfabetica di tutte le orazioni

  • De domo sua ad pontifices ("Sulla propria casa, al collegio pontificale", 57 a.C.): arringa pronunciata per uno scopo particolare: durante l'esilio di Cicerone il suo avversario Clodio aveva consacrato una parte della proprietà di Cicerone sul Palatino alla dea Libertas; Cicerone dichiara questa consacrazione invalida, per ottenere una restituzione.
  • De haruspicum responso ("Sul responso degli aruspici", 56 a.C.): Clodio redige un passo sulla profanazione di alcune reliquie durante una perizia degli aruspici sul terreno di Cicerone sul Palatino e chiede la demolizione di una casa di Cicerone ivi in costruzione. Contro questa ed altre accuse Cicerone si rivolge con un appello al Senato, nel quale spiega, che la maggior parte delle accuse di Clodio si basano su indagini dolosamente carenti.
  • De imperio Cn. Pompei (De lege Manilia) ("Sul comando di Gneo Pompeo (sulla legge Manilia)", 66 a.C.), orazione di carattere politico pronunciata di fronte al popolo.
  • De lege agraria (Contra Rullum) I–III ("Sulla legge agraria (contro Rullo)", 63 a.C.): orazione pronunciata durante l'anno di consolato, tenuta in Senato (I) e davanti al popolo (II/III); un quarto dell'orazione è stato perduto.
  • De provinciis consularibus ("Sulle province consolari", 56 a.C.), orazione pronunciata in senato sulla province consolari romane.
  • Divinatio in Caecilium ("Dibattito contro Cecilio", 70 a.C.), dibattito riguardo l'assunzione del ruolo di accusatore nel processo contro Verre. Q. Cecilio Nigro fu sotto Verre questore in Sicilia e presentò la propria candidatura nel ruolo di accusatore. Per Cicerone egli era infatti invischiato nelle macchinazioni di Verre.
  • In L. Calpurnium Pisonem ("Contro Lucio Calpurnio Pisone", 55 a.C.), orazione d'accusa politica contro L.Calpurnio Pisone.
  • In Catilinam I–IV ("Contro Catilina I-IV", 63 a.C.), orazioni contro Lucio Sergio Catilina: i discorsi del 7 e dell'8 novembre 63 a.C. pronunciati di fronte al Senato (I) e al popolo (II); i discorsi della scoperta e della condanna dei seguaci di Catilina, del 3 dicembre di fronte al popolo (III) e del 5 dicembre di fronte al Senato (IV)
  • In P. Vatinium ("Contro Publio Vatinio", 56 a.C.), orazione accusatoria contro P.Vatinio riguardo l'interrogatorio nel processo contro P.Sestio.
  • In Verrem actio prima ("Prima accusa contro Verre", 70 a.C.), orazione accusatoria nel processo contro Verre, accusato di concussione (crimen pecuniarum repetundarum)
  • In Verrem actio secunda I–V ("Seconda accusa contro Verre I–V", 70 a.C.), questi cinque discorsi non sono mai stati pronunciati a causa dell'esilio volontario di Verre, ma vennero comunque pubblicati in forma scritta.
  • Oratio cum populo gratias egit ("Ringraziamento al popolo", 57 a.C.), ringraziamento a tutti coloro che hanno appoggiato il ritorno di Cicerone dall'esilio, e gli hanno permesso il rientro nella vita politica.
  • Oratio cum senatui gratias egit ("Ringraziamento al senato", 57 a.C.), ringraziamento a tutti coloro che in Senato hanno appoggiato il ritorno di Cicerone dall'esilio, e gli hanno permesso il rientro nella vita politica.
  • Philippicae orationes I–XIV ("Le filippiche", 44 a.C./43 a.C.), orazioni contro Marco Antonio.
  • Pro Aemilio Scauro ("A favore di Emilio Scauro", 54 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro T. Annio Milone ("A favore di Tito Annio Milone", 52 a.C.), orazione difensiva, che tuttavia non è tenuta nella consueta perfezione; contiene tra l'altro la celebre citazione "Inter arma enim silent leges"
  • Pro Archia ("A favore di Archia", 62 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro A. Caecina ("A favore di A.Cecina", 69 a.C./ca. 71 a.C.), orazione tenuta per il querelante in un processo civile per un'azione di rivendicazione. Il fondamento giuridico è l'interdetto de vi armata (rimedio del possessore contro lo spossessamento violento). Sostenitore della parte avversa è C.Calpurnio Pisone; entrambe le parti fanno ricorso manifestamente all'autorevolezza del giurista Gaio Aquilio Gallo.
  • Pro M. Caelio ("A favore di M.Celio", 57 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro A. Cluentio Habito ("A favore di A.Cluenzio Abito", 66 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro L. Cornelio Balbo ("A favore di L.Cornelio Balbo", 56 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro P. Cornelio Sulla ("A favore di P.Cornelio Sulla", 62 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro M. Fonteio ("A favore di Marco Fonteio", 69 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro Q. Ligario ("A favore di Q.Ligario" 46 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore di Q.Ligario, indirizzata a Cesare in quanto dittatore.
  • Pro M. Marcello ("A favore di M.Marcello", 46 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore di M.Marcello, indirizzata a Cesare in quanto dittatore.
  • Pro Murena ("A favore di Murena", 63 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro Cn. Plancio ("A favore di Gneo Plancio", 54 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro P. Quinctio ("A favore di Publio Quinto“, 81 a.C.), il più antico discorso giuridico tradizionale di Cicerone a favore del querelante in un processo civile. Oggetto del contendere è la legittimità dell'azione di sequestro preventivo del eseguita dal convenuto S.Nevio contro il cliente di Cicerone P.Quinto. Difensore della parte avversa è Q.Ortensio Ortalo, giudice è C.Aquilio Gallo.
  • Pro C. Rabirio perduellionis reo ("A favore di C.Rabirio, colpevole di alto tradimento", 63 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro Rabirio Postumo ("A favore di Rabirio Postumo"), 54 a.C./53 a.C. oppure 53 a.C./52 a.C.), orazione difensiva pronunciata nella fase pregiudiziale del processo contro A.Gabinio a causa di concussione nelle province. Verte attorno alla presenza di "bustarelle" in connessione con la reintegrazione al trono d'Egitto di Tolomeo XII Aulete.
  • Pro rege Deiotaro ("A favore del re Deiotaro", 45 a.C.), orazione in difesa del Re Deiotaro, rivolta a Cesare
  • Pro Sex. Roscio Amerino ("A favore di Sesto Roscio da Ameria", 80 a.C.), orazione di difesa, è la prima arringa di Cicerone in un processo per omicidio. Sesto Roscio era accusato di parricidio. Durante la guerra civile un parente si era impossessato del patrimonio del padre di Roscio e ora cercava di assicurarsi il maltolto, il quale apparteneva ai legittimi eredi del deceduto. Cicerone ottenne l'assoluzione.
  • Pro Q. Roscio Comoedo ("A favore dell'attore Q.Roscio", ca. 77 a.C. o 66 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro P. Sestio ("A favore di P.Sestio", 56 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro M. Tullio ("A favore di M.Tullio", 72 a.C./71 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.
  • Pro L. Valerio Flacco ("A favore di Lucio Valerio Flacco", 59 a.C.), orazione pronunciata nel ruolo di difensore.

[modifica] Scritti filosofici

  • Academica priora (prima stesura dei libri sulla dottrina della conoscenza dell'accademia platonica)
    • Catulus (Dialogo), la prima parte dell'Academica priora, perduto
    • Lucullus (Dialogo), la seconda parte dell'Academica priora, conservato
  • Academici libri oppure Academica posteriora (versione tarda del trattato sulla dottrina della conoscenza dell'accademia platonica, in quattro libri)
  • Cato maior de senectute ("Catone il censore, sull'anzianità")
  • De divinatione ("Sulle profezie")
  • De finibus bonorum et malorum ("Sui confini del bene e del male")
  • De legibus ("Sulle leggi")
  • De natura deorum ("Sull'essenza degli dei")
  • De officiis ("Sulle cariche pubbliche")
  • De re publica ("Sullo Stato"), ne rimangono solo frammenti, in particolare:
    • Somnium Scipionis ("Il sogno di Scipione"), ultima parte dell'opera, consegnataci separatamente grazie ai commentari di Macrobio.
  • Laelius de amicitia ("Lelio sull'amicizia")
  • Paradoxa Stoicorum (Teoremi di spiegazione dei paradossi etici della scuola degli stoici)
  • Topica
  • Tusculanae disputationes ("Conversazioni a Tusculum")

[modifica] Scritti di retorica

Così come per Cicerone è difficile distinguere tra vita ed opere, così in particolare differenziare tra scritti filosofici e retorici è sì pratico e chiaro, ma tuttavia non rappresenta pienamente la concezione e l'opinione di Cicerone. Già nella sua prima opera conservata (De inventione I 1-5) chiarisce che la sapienza, l'eloquenza e l'arte del governare hanno sviluppato un legame naturale, che indubbiamente ha contribuito allo sviluppo della cultura degli uomini e che dev'essere ristabilito (cfr. Büchner, Cicero (1964) 50-62). Egli ha in mente quest'unità come modello ideale sia negli scritti teoretici sia anche nella sua propria vita activa al servizio della Repubblica - o almeno è così che egli ha voluto idealizzare e vedere la propria realtà.

Perciò non è affatto sorprendente, se Cicerone ha sviluppato i suoi scritti filosofici con i mezzi della retorica e strutturato le sue teorie della retorica su principi filosofici. La separazione tra sapienza ed eloquenza Cicerone l'addossa alla "rottura tra linguaggio e intelletto" compiuta dalla filosofia socratica (De oratore III 61) e tenta attraverso i suoi scritti di "risanare" questa frattura; e quindi per una migliore attuazione la filosofia e la retorica secondo lui devono essere dipendenti l'una dall'altra (v. p.e. De oratore III 54-143); Cicerone stesso dichiara che "io sono diventato un oratore [...] non nelle scuole dei retori ma nei saloni dell'Accademia": con ciò allude alla sua formazione sulle dottrine della Nuova Accademia di Carneade e Filone di Larissa, suo maestro.

Le opere conservate sulla retorica, in ordine alfabetico:

  • Brutus: il libro dedicato a Marco Giunio Bruto venne scritto all'inizio del 46 a.C. e tratta nella forma di un dialogo tra Cicerone, Bruto ed Attico la storia dell'arte retorica romana fino a Cicerone stesso. Dopo un'introduzione (1-9) Cicerone inizia un confronto con la retorica greca (25-31) e sottolinea che l'arte oratoria poiché è la più complessa di tutte le arti solo tardi giunse alla perfezione. Mentre ritiene gli antichi oratori romani appena mediocri, parla di Catone come base della propria esperienza; Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio Oratore, entrambi protagonisti del De oratore, sono dettagliatamente confrontati (139 e ss.). Dopo un'escursione sull'importanza del giudizio del pubblico (183-200) e una riflessione sull'oratore Ortensio (201-283), Cicerone respinge fermamente il modello dell'Atticismo (284-300). L'opera culmina in confronto tra l'arte oratoria di Ortensio e di Cicerone stesso, non senza una grossa dose di autocelebrazione (301-328), egli infatti presenta sé stesso come il punto d'arrivo di un processo di sviluppo dell'arte oratoria. Punto principale dell'opera è la critica alla diffusione dello stile neoattico, a cui anche il giovane Bruto appartiene, difendendo il suo stile, assai più ricco e magniloquente, dalla critica di essere un esempio dello stile asiano.
  • De inventione: ("Sul ritrovamento"): sviluppata tra l'85 a.C. e l'80 a.C. questo è il primo di due libri di una descrizione globale della retorica mai completata. Cicerone rinunciò nel completarla a favore di una più accattivante rappresentazione nel de oratore, e tuttavia l'opera servì, nonostante il carattere frammentario, come testo d'insegnamento fino al medioevo. La parte completata tratta nel primo libro dei concetti principali della retorica (I 5-9), la dottrina dell'insegnamento della retorica in riferimento ad Ermagora di Temnos (I 10-19) nonché il ruolo dell'oratore (I 19-109); il secondo libro tratta delle tecniche d'argomentazione, soprattutto nelle arringhe giuridiche (II 11-154) nonché brevemente sulle orazioni di fronte al popolo (II 157-176) e in occasione di celebrazioni (II 177-178). Le dichiarazioni di Cicerone per quanto riguarda il contenuto dell'opera presentano molte somiglianze con l'opera "La Retorica" di Erennio, ma per lungo tempo erratamente ritenuta sua, cosa che ha portato a numerose discussioni tra gli studiosi riguardo al rapporto tra le due opere. Entrambi gli scritti sono comunque all'incirca dello stesso periodo e si basano direttamente o indirettamente sulla medesima o su affini fonti greche. Inoltre c'è un'incredibile somiglianza letterale in alcuni periodi, cosa che suggerisce probabilmente anche una comune fonte latina, forse originaria da un comune insegnante o dottrinario che ha mediato il preponderante contenuto di origine greca.
  • De optimo genere oratorum ("Sulla miglior arte dell'oratoria"): questa breve opera, scritta probabilmente nel 46 a.C. o, secondo altri pareri, già nel 50 a.C., è un'introduzione alla traduzione delle orazioni di Demostene ed Eschine, per e contro Ctesifonte. L'introduzione verte soprattutto sugli atticisti romani, all'incirca con le stesse argomentazioni dell'Orator. La traduzione comunque non ci è pervenuta, e non è chiaro se Cicerone l'abbia mai effettivamente completata. L'autenticità dell'opera è stata più volte messa in discussione, ma oggi è per lo più accettata.
  • De oratore (Sull'oratore): la più importante opera sulla retorica di Cicerone non dev'essere confusa con l'opera quasi ononima Orator. È un'opera composta nel 55 a.C. in forma di dialogo, così come per il Brutus. I protagonisti stavolta sono Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio, esempi, secondo Cicerone, dei più grandi oratori della generazione precedente. Nel I libro è Crasso (portavoce di Cicerone) ad esporre la tesi principale dell'opera ossia che il buon oratore deve avere un'approfondita conoscenza dell'argomento di cui vuole trattare, osteggiando la concezione di alcuni retori greci che ritenevano sufficiente una formazione basta su regole, tecnicismi ed esercizi per affrontare qualsiasi discorso. Il II libro tratta invece delle "parti" in cui si suddivide la retorica, cioè l'inventio, la dispositio e la memoria; nel III libro si parla dello stile, cioè l' elocutio, e dell' actio, cioè il modo in cui l'oratore deve comportarsi durante l'orazione. Il de oratore è considerata l'opera di Cicerone scritta con più cura formale ed è per questo motivo che è sempre stata utilizzata e studiata come modello primo dello stile ciceroniano.
  • Orator ("L'oratore"): Venne scritta nell'estate del 46 a.C. ed è anche questa un'opera dedicata a Marco Giunio Bruto che descrive un modello ideale del perfetto oratore, riprendendo molti dei temi già trattati nel De oratore. Contrariamente alla disputa di quel tempo tra gli atticisti, che -come Bruto- pretendono dall'oratore uno stile sobrio e preciso, e gli asiani, che prediligono uno stile molto ricercato e magniloquente, Cicerone ritiene che il perfetto oratore, come Demostene, deve dominare tutti gli stili e saper passare da uno all'altro con naturalezza. Per questo motivo bisogna dedicarsi soprattutto alla formazione filosofica: solo così potrà svolgere i tre compiti dell'oratore: probare, delectare, flectere (dimostrare, divertire, convincere), i quali vengono ben ordinati e descritti (76-99). Cicerone parla anche qui brevemente dell' inventio (44-49), della dispositio (50) ma tratta soprattutto dell'elocutio (51-236), soffermandosi sulla figure retoriche e sulla costruzione ritmica del periodo.
  • Partitiones oratoriae ("Partizione dell'arte oratorio"): Quest'opera venne scritta nel 54 a.C., quando il figlio di Cicerone, Marco, stava studiando la retorica, ed è ideata come una sorta di 'Catechismo', trattando la teoria della retorica, soprattutto con divisioni schematiche, nella forma di domanda e risposta tra padre e figlio. L'originalità di Cicerone in quest'opera spicca molto meno, a causa dello stile molto semplice e delle poche novità introdotte.

[modifica] Opere tarde

Tra le opere tardive di Cicerone si possono annoverare scritti consolatori, contributi alla storiografia, poesie (alcune anche sul suo periodo di consolato e traduzioni. Queste opere sono per la maggior parte perdute. Delle poesie ci rimangono comunque svariate citazioni anche in altri lavori dello stesso Cicerone. Questi frammenti dimostrano l'influenza di uno dei più importanti poeti latini, Catullo e di altri neoterici. Tra le traduzioni sono rimasti vasti frammenti del lavoro compiuto sul Timaios di Platone, che Cicerone presumibilmente non ha mai pubblicato, preparando semplicemente abbozzi di traduzione. Inoltre possediamo la maggior parte dei frammenti di una libera traduzione, citata come Aratea, del Fenomeno celeste del poeta ellenico Aratos, che fu uno dei più influenti autori della sua epoca.

[modifica] Epistole

Le epistole di Cicerone furono riscoperte tra il 1345 e il 1389 da Petrarca e dal cancelliere e umanista Coluccio Salutati. Complessivamente furono ritrovate più di 900 lettere, cosa che inizialmente provocò un grosso entusiasmo, temperato dal fatto che l'immagine che traspariva di Cicerone non era quella dello strenuo eroe difensore della Repubblica, come si era sempre dipinto nelle sue opere e nelle sue orazioni, ma una versione molto più umana, con le sue debolezze e i suoi aspetti meno retorici, ma certamente affascinanti nella loro genuinità.

Le epistole furono raccolte e archiviate dal segretario di Cicerone, Tirone, fra il 48 e il 43 a.C. Si dividono in 4 categorie:

[modifica] Considerazioni

Cicerone si scaglia contro Catilina (Affresco, XIX sec.)
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Cicerone si scaglia contro Catilina (Affresco, XIX sec.)

Lo stile della prosa ciceroniana lo contraddistingue indubbiamente come il Maestro della lingua latina. Le sue opere trasmisero al pubblico colto romano la filosofia greca, soprattutto dei maestri stoici e della cosiddetta Nuova Accademia. I suoi scritti politici ci hanno tramandato importanti immagini dei tumulti che contraddistinsero l'epoca della tarda repubblica, e della posizione che prese Cicerone. Diventò celebre anche per le orazioni contro Verre, contro Catilina e contro Marco Antonio.

Le sue orazioni sono il fondamento -assieme alle opere di Cesare- dell'odierno latino scolastico. Non meno importanti sono anche i suoi scritti teorici sullo Stato e sul Diritto. Dal concetto ciceroniano di humanitas, che si trova nei suoi discorsi sul diritto, si formò successivamente il concetto di studia humanitatis e quindi di humanista, come si definirono i sapienti italiani del Rinascimento.

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Predecessore:
Lucio Giulio Cesare
Gaio Marcio Figulo
Console della Repubblica Romana
con Gaio Antonio

63 a.C.
Successore:
Decimo Giunio Silano
Lucio Licinio Murena


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