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Liberalismo - Wikipedia

Liberalismo

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John Locke, filosofo inglese, uno dei fondatori del liberalismo
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John Locke, filosofo inglese, uno dei fondatori del liberalismo

Indice

I termini liberalismo e liberale vengono usati sia nel linguaggio comune che nella teoria politica con significati diversi. Qui ci occupiamo esclusivamente del liberalismo come dottrina politica. Nel linguaggio comune liberalismo può essere usato come sinonimo di magnanimità e larghezza di vedute. La parola deriva dal francese libéral.

A poco a poco verso l'inizio del XIX secolo liberale cominciò a divenire equivalente di "favorevole al riconoscimento delle libertà individuali e politiche". La prima citazione in lingua inglese con questo significato risale al 1801. In senso moderno si ritiene che il termine liberalismo sia stato usato per la prima volta nel 1812 in Spagna nel parlamento regionale (Cortes) di Cadice. Le radici del liberalismo sono tuttavia molto più antiche. Possono essere trovate nelle dottrine giusnaturalistiche di John Locke, nelle teorie dei filosofi scozzesi David Hume (Edimburgo, 1711-1776) e Adam Smith (17231790) e nell'Illuminismo francese.

Storicamente il liberalismo nasce come ideale che si affianca all'azione della borghesia nel momento in cui essa combatte contro le monarchie assolute e i privilegi dell'aristocrazia a partire dalla fine del XVIII secolo. L'esito di questo scontro tra le due classi porta alla costituzione dello Stato liberale.

Il liberalismo è, probabilmente, insieme alla democrazia e al socialismo, la dottrina che ha più influenzato la concezione moderna dello Stato e del suo rapporto con la società. Si può dire che abbia contribuito a definire quasi tutte le altre dottrine socio-politiche: si parla infatti di liberaldemocrazia in modo generico per indicare una moderna democrazia liberale, ma si parla anche di liberaldemocrazia in modo specifico per indicare la frangia più progressista del movimento liberale, ancora si parla di socialismo liberale (o liberalsocialismo), di cattolicesimo liberale e perfino di anarchismo liberale. Proprio per questo però, definire l'identità del liberalismo in quanto tale è difficile, anche se esistono pensatori che si definiscono liberali senza altre accezioni anche ai nostri giorni.
A proposito del liberalismo come concepito dai suoi fondatori, che ha invece un'identità piuttosto chiara, parleremo di liberalismo classico (o puro).

Si può dire ad ogni modo che ciò che contraddistingue il liberalismo politico in ogni epoca storica è la credenza nell' esistenza di diritti fondamentali e inviolabili facenti capo all'individuo e l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (eguaglianza formale).
Il punto di vista dell'individuo e il godimento della libertà individuale è considerato il parametro valido per giudicare la bontà di un ordinamento politico/sociale. In quest'ottica i poteri dello Stato devono incontrare limiti ben precisi per non ledere i diritti e le libertà dei cittadini. Ne deriva il rifiuto di volta in volta dell'assolutismo monarchico, del clericalismo, del totalitarismo e in generale di ogni dottrina che proclama il sacrificio dell'individuo in nome di fini esterni a esso.

Il risvolto del liberalismo in materia religiosa è il laicismo e la separazione tra Stato e Chiesa: nelle parole di Camillo Cavour "Libera Chiesa in libero Stato". Ma il liberalismo è laico anche perché chiede allo Stato di non interferire nelle scelte morali individuali: "Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo (come cioè egli si immagina il benessere degli altri uomini), ma ognuno può ricercare la felicità per la via che a lui sembra buona, purché non rechi pregiudizio alla libertà degli altri di tendere allo stesso scopo." (Immanuel Kant).

È necessario infine ricordare che negli Stati Uniti il termine liberal ha una sfumatura di significato diversa: potrebbe essere tradotto con progressista o socialdemocratico piuttosto che con liberale. Sembra che l'uso della parola liberal per definire sé stessi da parte degli ex-sostenitori del New Deal negli USA sia stato dovuto al fatto che il maccartismo aveva reso la parola socialista segno di sospette simpatie sovietiche.

[modifica] Liberalismo/Liberismo

Il filosofo scozzese Adam Smith è considerato il padre della dottrina liberista
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Il filosofo scozzese Adam Smith è considerato il padre della dottrina liberista

La lingua italiana pone una distinzione tra liberalismo e liberismo: mentre il primo è una teorizzazione politica, il secondo è una dottrina economica che teorizza il disimpegno dello Stato dall'economia: perciò un'economia liberista pura è un'economia di mercato non temperata da interventi esterni.

La lingua francese parla di libéralisme politique e libéralisme économique (quest'ultimo chiamato anche laissez-faire, lett. lasciate fare), lo spagnolo di liberalismo social e liberalismo económico. La lingua inglese parla di free trade (libero commercio) ma usa il termine liberalism anche per riferirsi al liberismo economico. Neo-liberalism (in italiano neoliberismo) è il termine usato per indicare una dottrina iper-liberista di destra sostenuta tra gli altri da Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Sebbene i neoliberisti si proclamino talvolta i veri eredi del liberalismo classico molti hanno contestato questa pretesa e ritengono che i neoliberisti possano piuttosto essere collocati tra i conservatori (al Partito Conservatore inglese apparteneva infatti la Thatcher).

La formulazione della dottrina liberista si deve ad Adam Smith e al suo saggio La Ricchezza delle Nazioni. Le idee di Smith furono entusiasticamente accolte dai primi liberali. Il liberalismo classico era espressione di una elite borghese legata al mondo del commercio e degli affari che si opponeva al protezionismo e al mercantilismo imposti dalle monarchie dell'epoca. Secondo questi pensatori i compiti dello Stato sarebbero dovuti venire ridotti al minimo indispensabile (funzione giurisdizionale, difesa, ordine pubblico).

Il filosofo ed economista inglese John Stuart Mill fu tra i primi a ritenere che esistesse una distinzione tra le due dottrine e considerò le proprie posizioni liberiste non il frutto di una posizione di principio ma della convinzione pragmatica che quel sistema economico fosse più efficiente e produttivo. Se tuttavia ciò fosse stato nell'interesse degli individui che compongono la società, lo Stato avrebbe avuto ogni diritto di intervenire nell'economia. A differenza di John Locke Mill non considerava la proprietà privata un diritto naturale ma, influenzato dai suoi contemporanei socialisti riteneva che essa fosse storicamente frutto di un "furto". Il punto di vista di Mill fu condiviso da economisti come John Maynard Keynes (che criticò il laissez-faire considerandolo un'eredità di tempi passati ma continuò a definirsi liberale) e da filosofi come Benedetto Croce.

La tesi della non-coincidenza tra liberalismo e liberismo trova un'ulteriore giustificazione nel fatto che nella prassi politica del XX secolo ci sono stati regimi liberisti da un punto di vista economico ma tutt'altro che liberali da un punto di vista politico (es. Cile di Augusto Pinochet) mentre alcuni movimenti (come l'eurocomunismo) hanno sostenuto una visione economica collettivistica pur schierandosi per la salvaguardia dei diritti liberali.

Tuttavia anche nel XX secolo alcuni pensatori liberali hanno continuato a sostenere il liberismo come parte irrinunciabile della loro dottrina (possiamo citare gli economisti e filosofi Luigi Einaudi e Friedrich von Hayek tra gli altri).

La frattura tra i liberali che continuano a rifiutare l'intervento dello Stato nell'economia e quelli che adottano una posizione neutrale o addirittura lo auspicano si collega alla differente reazione alla crisi del liberalismo e alla definizione che si sceglie di dare di libertà: se è intesa solo come non-interferenza di un potere esterno (libertà negativa) o se in senso più ampio è libertà di fare determinate cose (libertà positiva).

Nonostante queste ambiguità residue, qui ci occupiamo soltanto di liberalismo in senso politico.

[modifica] Liberalismo/Democrazia

Il liberalismo classico è essenzialmente una dottrina dei limiti del potere politico. Il problema di chi debba avere questo potere nelle proprie mani è invece l'oggetto della riflessione della democrazia: la democrazia nel suo spirito originario richiede che il potere politico sia fatto derivare dal popolo e che esso lo eserciti direttamente o attraverso rappresentanti eletti, ma non si preoccupa di evitare la concentrazione del potere né di tutelare le minoranze. Allo stesso modo, come vedremo, nello Stato Liberale dell' 800 un'ampia fetta della popolazione è esclusa dal potere politico e dal diritto di eleggere i suoi rappresentanti. Con la trasformazione degli Stati liberali in Stati democratici la distinzione è andata sfumando. Le democrazie moderne sono anche dette liberaldemocrazie perché combinano il principio della sovranità popolare con la tutela dei diritti liberali e con la divisione dei poteri prevista da Montesquieu.

[modifica] Le origini del pensiero liberale

[modifica] John Locke e la Gloriosa Rivoluzione inglese

Il filosofo inglese John Locke può essere considerato a tutti gli effetti il precursore del liberalismo, così come la Seconda Rivoluzione inglese (Gloriosa Rivoluzione inglese) può essere vista come l'antecedente delle Rivoluzioni Liberali dell'inizio del XIX secolo. In Inghilterra l'imposizione di limiti al potere del sovrano avviene, a differenza che negli altri paesi europei, attraverso un processo storico graduale che viene fatto iniziare addirittura nel Medio Evo con la concessione della Magna Charta. Il passaggio dal feudalesimo allo Stato liberale avviene senza la mediazione dell'assolutismo monarchico, se si esclude il periodo di regno dei Tudor, caratterizzato da un notevole accentramento dei poteri nelle mani dei sovrani. Il tentativo della successiva dinastia degli Stuart di prolungare il sistema assolutistico con minore abilità portò allo scoppio della Prima Rivoluzione inglese. Dopo numerosi sconvolgimenti politici nel 1689 il Parlamento inglese riuscì a portare sul trono la dinastia degli Hannover che si impegnava a garantire al Parlamento stesso e ai cittadini inglesi una serie di diritti e libertà solennemente proclamati nel Bill of Rights. L'Inghilterra fu così il primo Stato al mondo ad essere governato da una monarchia costituzionale, la tipica forma di governo del liberalismo classico.

Negli 1690 Locke, che apparteneva al Partito Whig (più tardi chiamato Partito Liberale), pubblicò anonimo i Due Trattati sul Governo, che contenevano la giustificazione morale della Rivoluzione, il diritto di resistenza contro un governo ingiusto. Locke partiva dalla teoria del contrattualismo (già avanzata da Thomas Hobbes e ripresa poi nel celebre Contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau). Nello Stato di natura tutti gli uomini sono uguali e godono di una libertà senza limiti. A differenza di Hobbes, Locke riteneva che gli uomini cedano al corpo politico una parte della loro libertà solo perché esso tuteli il loro diritto alla proprietà. Lo Stato non può perciò ledere i diritti naturali, la famosa triade vita, libertà e proprietà, violando il contratto sociale.

[modifica] Liberalismo e Illuminismo

Il liberalismo è di solito considerato, insieme alla democrazia moderna, una filiazione dell'Illuminismo. Infatti esso si ispira agli ideali di tolleranza, libertà ed eguaglianza propri del movimento illuminista, contesta i privilegi dell'aristocrazia e del clero e l'origine divina del potere del sovrano.

Montesquieu (1689-1755) nella sua opera Lo Spirito delle Leggi fissa un altro punto fondamentale della dottrina politica liberale: la credenza nella separazione dei poteri (potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario) come garanzia contro l'arbitrio del potere statale. Immanuel Kant esprime il suo credo liberale parlando di libertà, uguaglianza e indipendenza come dei principi che devono reggere uno Stato civile.

Bisogna osservare comunque che non tutti gli illuministi sostennero concezioni politiche liberali. Voltaire e Jean-Jacques Rousseau, ad esempio, pur avendo influito sulla nascita del liberalismo non possono essere considerati liberali. Voltaire non è infatti interessato alla questione della rappresentanza politica e della divisione dei poteri: per lui l'ideale resta quello di un dispotismo illuminato retto da un re-filosofo saggio e tollerante. Rousseau, da parte sua, rifiuta la democrazia rappresentativa preferendo la democrazia diretta. La sua concezione della volontà generale alla quale i cittadini devono sottomettersi non sembra prevedere inoltre la tutela delle minoranze. Rousseau viene perciò considerato più il padre della democrazia che del liberalismo.

[modifica] Liberalismo classico

[modifica] Diritti civili, Stato di diritto e Costituzionalismo

Il frontespizio della Dichiarazione d'Indipendenza americana
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Il frontespizio della Dichiarazione d'Indipendenza americana

John Locke coniò, come abbiamo visto, l'espressione che riassume la concezione liberale classica dei diritti individuali: vita, libertà, proprietà. I diritti liberali per eccellenza sono quelli che oggi vengono chiamati diritti civili: tra essi ci sono la libertà di parola, di religione, l' habeas corpus, il diritto a un equo processo e a non subire punizioni crudeli o degradanti. La libertà di un individuo incontra un limite nella libertà di un altro individuo ma non può essere ristretta in nome di valori morali o religiosi in ciò che riguarda la sfera privata dell'individuo. A questi diritti si aggiungono le garanzie a tutela della proprietà privata, riassunte nel detto inglese no taxation without representation (solo le assemblee legislative hanno il diritto a tassare i sudditi).

Un altro punto irrinunciabile del liberalismo è infatti lo Stato di diritto: la legge emanata dalle assemblee legislative è l'unica deputata a stabilire i limiti della libertà individuale. Per John Locke, David Hume, Adam Smith e Immanuel Kant le caratteristiche che le leggi dovevano avere per poter essere rispettose della libertà erano:

  • L'essere norme generali applicabili a tutti, in un numero indefinito di circostanze future;
  • L'essere norme atte a circoscrivere la sfera protetta dell'azione individuale, assumendo con ciò il carattere di divieti piuttosto che di prescrizioni;
  • L'essere norme inseparabili dall'istituto della proprietà individuale.

Si sviluppa la consuetudine di fissare in un documento solenne questi diritti, sull'esempio del Bill of Rights inglese: le Carte dei diritti dei nuovi Stati americani indipendenti e i primi emendamenti alla Costituzione degli Stati Uniti d'America sono gli antenati degli elenchi di diritti previsti dalle Costituzioni ottocentesche e da quelle attuali.

[modifica] Rivoluzioni liberali

La Presa della Bastiglia durante la Rivoluzione francese, il prototipo delle rivoluzioni liberali
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La Presa della Bastiglia durante la Rivoluzione francese, il prototipo delle rivoluzioni liberali

La rivoluzione francese del 1789 e la maggioranza delle rivoluzioni della prima metà del XIX secolo sono dette rivoluzioni liberali: esse hanno infatti per scopo la concessione di una Costituzione che limiti i poteri del monarca e hanno di solito a capo la borghesia benestante (per questo sono anche dette rivoluzioni borghesi).
Le colonie che daranno origine agli Stati Uniti d'America si trovano invece in un differente contesto politico. Il potere contro il quale si lotta non è una monarchia nazionale ma la Corona inglese. Inoltre la popolazione bianca degli Stati Uniti non è stratificata socialmente come quella europea: non esiste un'aristocrazia contro cui lottare né un clero organizzato (i coloni americani sono protestanti), né esiste una classe di veri e propri nullatenenti (proletariato) a causa dell'abbondanza di terreni. Anche la guerra di secessione americana può essere vista come una rivoluzione liberale, ma facendo per queste ragioni le dovute distinzioni: essa non porta all'instaurazione di una monarchia costituzionale ma di una Repubblica.
Tra i documenti più celebri dell'epoca delle rivoluzioni liberali dobbiamo citare la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino emanata durante la Rivoluzione francese e la Dichiarazione di Indipendenza Americana che altera la triade di Locke parlando di vita, libertà e ricerca della felicità.

[modifica] Stato liberale e Stato Democratico

Voce principale: Stato liberale

Lo Stato liberale classico che si istaura a seguito di queste rivoluzioni è lo Stato minimo, le cui funzioni sono limitate a compiti di difesa e ordine pubblico. Per lo più il diritto di voto era ristretto a coloro che hanno un certo livello di reddito (suffragio censitario) e che sapevano leggere e scrivere.
La costituzione dello Stato liberale è tipicamente breve e flessibile. (La Costituzione degli Stati Uniti d'America ancora una volta si differenzia, perché prevede un'elaborata procedura di revisione.)
Lo Stato liberale si trasforma in alcuni paesi (Inghilterra) in Stato democratico attraverso un processo graduale. In altri paesi (Francia) la resistenza delle classi dominanti porta a scontri violenti (moti del '48, repressione della Comune di Parigi). Gli Stati Uniti costituiscono un caso a parte: i problemi che devono affrontare sono diversi da quelli dei paesi europei (più che una lotta tra classi sociali perché gli USA diventino una vera democrazia si pone la questione, che sarà risolta solo molto tempo dopo, di includere nel sistema politico gruppi discriminati come gli afroamericani e gli indiani d'America).

[modifica] Critica al liberalismo

A partire dalla seconda metà del XIX secolo, proprio quando sembra aver trionfato, il liberalismo comincia ad essere oggetto di sferzanti critiche. Gli attacchi sono di segno diverso ma in genere partono da due assunti: il liberalismo avrebbe una concezione parziale della libertà e dell'eguaglianza e una visione astratta e astorica dell'individuo.

Un primo gruppo di critiche proviene dal nascente movimento socialista. Filosofi come Karl Marx osservano che i diritti dell'uomo sostenuti dai liberali non sono universali ma esprimono le esigenze di una determinata classe sociale (la borghesia) in un determinato momento storico (il passaggio dal feudalesimo al capitalismo). Perciò le classi dominanti non riconoscono a tutti i diritti politici e sono pronte anche a rifiutare la libertà di parola e di espressione a chi va contro i loro interessi. L'eguaglianza formale proclamata dai liberali non ha senso finché permangono enormi disuguaglianze economiche: "la libertà politica senza eguaglianza economica è un inganno, una frode, una bugia: e i lavoratori non vogliono bugie." nelle parole di un altro celebre rivoluzionario, l'anarchico Michail Bakunin. Marx nutre scarsa fiducia nella possibilità di strappare alla borghesia il potere utilizzando le istituzioni che essa stessa ha creato (i parlamenti, le elezioni) ma crede nella necessità di un rivolgimento rivoluzionario: da esso emergerà un sistema economico che renda possibile la piena emancipazione degli individui.

Il romanticismo, con la sua reazione contro l'illuminismo, critica l'universalismo liberale e mette al centro della politica l'idea di nazione. Gli uomini non sono più "uguali" ma segnati dalle differenti identità culturali e dall'appartenenza al corpo nazionale. In alcune versioni la dottrina nazionalista non mette in crisi l'idea di un'uguaglianza di diritti fra gli esseri umani. Spesso però è presente l'idea della superiorità di un popolo sugli altri (es. nel nazionalismo tedesco) mentre le idee razziste, avanzate in Inghilterra da Joseph Arthur de Gobineau, vengono usate come giustificazione per l'espansione imperialista europea.

La visione quasi sacrale dello Stato presente nella filosofia di Hegel, ripresa da numerosi filosofi storicisti, viene anch'essa a volte usata contro il liberalismo, per dare una nuova giustificazione alla subordinazione dell'individuo al potere politico. Questo nonostante Hegel fosse personalmente favorevole alla rivoluzione francese e ai principi di libertà.

Continua poi a mantenere una certa ostilità verso il liberalismo, anche se in maniera via via più sfumata, la Chiesa Cattolica. Anche quando accettano le regole del sistema liberale i primi partiti cattolici, che nascono all'inizio del XX secolo, si fanno portatori di una visione del mondo molto differente. Essi contrappongono all'individualismo liberale la visione di una società articolata in "corpi intermedi" e rapporti solidaristici. Se in materia economica presentano programmi a volte socialmente avanzati, ripresi in parte da quelli socialisti, continuano a opporsi all'estensione delle libertà individuali, specialmente nella sfera del diritto familiare.

Una critica molto seria è quella portata dal Premio Nobel per l'economia Amartya Sen, il quale nel 1970 ha dimostrato matematicamente l'impossibilità del rispetto contemporaneo del liberismo e dell'efficienza paretiana. Questa sua dimostrazione, nota come paradosso di Sen, è stata seguita dallo sviluppo di una teoria sociale scevra da tale paradosso, teoria per cui Sen ha ricevuto il Nobel nel 1998.

[modifica] Risposte ed evoluzione del pensiero liberale

Alcuni filosofi rispondono alle accuse rivolte dai socialisti alla loro concezione cercando di accogliere una parte delle obiezioni e di arrivare a una mediazione tra le due dottrine. Tali filosofi riconoscono cioè la necessità di riforme in alcuni settori della società, specialmente per ridurre le disuguaglianze sociali. Attualmente diversi ideologi e politici che credono nel liberalismo e liberismo ritengono che il problema demografico sia urgentemente da risolvere per il benessere collettivo. Difatti la popolazione umana continua a crescere in modo notevole soprattutto nei Paesi più poveri quindi, secondo tali studiosi, l'unica soluzione è il controllo delle nascite nel mondo intero poiché non ci sono abbastanza cibo ed energia per tutti. Tale squilibrio tra popolazione e sussistenze alimentari nonché energetiche per le varie industrie fu teorizzato per primo dall'economista inglese Thomas Robert Malthus. Infatti la legge di Malthus, formulata nel Saggio sul principio di popolazione (1798), considera che la popolazione tende ad accrescersi in progressione geometrica, mentre i mezzi di sussistenza possono crescere soltanto in progressione aritmetica. Inoltre gli studiosi valutano che ci sia un limite ai consumi quindi ai rifiuti prodotti che in enorme quantità possono danneggiare notevolmente il nostro pianeta.

[modifica] Citazioni

Altri filosofi e uomini politici hanno tuttavia continuato a sostenere che liberalismo e liberismo fossero inseparabili, in opposizione in particolare al socialismo. Possiamo citare Luigi Einaudi che ne Il Buongoverno (pubblicato nel 1954, pag. 118) scrisse: "La libertà economica è la condizione necessaria delle credenze [= perché ciascuno possa abbracciare liberamente una fede]. La libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica. L'economista Premio Nobel del 1974 Friedrich von Hayek definisce il socialismo "La via della Servitù".
I liberali che teorizzano il liberismo economico come parte irrinunciabile della loro dottrine si situano al giorno d'oggi in genere tra i conservatori. I liberali che privilegiano il tema dei diritti civili privilegiano invece un'area progressista.
In tempi più recenti alcuni pensatori si sono autodefiniti liberali senza sposare un approccio economico liberista: a esempio l'economista John Maynard Keynes in Inghilterra criticò il laissez-faire ma continuò a sostenere il Partito liberale inglese, mentre Piero Gobetti, filosofo antifascista italiano e direttore del giornale La Rivoluzione liberale teorizzò per un certo periodo la compatibilità tra liberalismo e marxismo). A proposito di Gobetti e dei militanti antifascisti di Giustizia e Libertà si è anche coniato il termine liberalsocialismo per indicare l'operazione di sintesi che questi pensatori tentavano di fare tra socialismo e liberalismo. La corrente del liberalismo che nega l'importanza del liberismo si situa in genere politicamente al centrosinistra.

Il commercio è un atto sociale. Chi porta avanti la vendita di beni alla collettività va a toccare gli interessi di altre persone e della società in generale; e perciò nel suo operato, in linea di principio,è sottoposto alla giurisdizione della società; [...] Le restrizioni del commercio o della produzione destinata al commercio, sono in effetti restrizioni; e in sé una restrizione è un male: ma le restrizioni in questione riguardano solo la parte della condotta umana che la società è competente a limitare, e sono sbagliate solo perché non producono in realtà i risultati che era loro obiettivo ottenere. (dal saggio Sulla libertà). Per chi condivide il punto di vista di Mill, mentre il liberalismo politico è una filosofia, il liberismo ha carattere empirico e il libero mercato è visto con favore solo se realizza gli obiettivi etico-politici propri del liberalismo politico.

Liberty for wolves is death to the lambs-La libertà per i lupi è la morte degli agnelli, citazione di Isaiah Berlin.

Per limitare la coercizione dello Stato bisogna separarne i poteri organizzati (legislativo, esecutivo e giudiziario). Inoltre, bisogna limitare le loro funzioni a quelle sole azioni che posseggano caratteri di ordine generale. Il liberalismo chiede che lo Stato, nel determinare le condizioni entro cui gli individui agiscono, fissi le medesime norme formali per tutti. In relazione a quest'ultima definizione sorge il problema del rapporto (e delle interferenze) tra la sfera della libertà e il settore del diritto. Le norme legislative tendono a limitare, nella loro rilevanza precettiva, il carattere di assolutezza della libertà. Esiste una categoria di norme, chiamata “minimo etico”, indispensabile per regolamentare gli interessi individuali e quelli di rango generale. Il diritto inoltre attribuisce allo Stato dei poteri per garantire a tutti la civile convivenza nella pace e nella sicurezza (“minimo del minimo etico”). D'altra parte il concetto di libertà non può essere identificato unicamente con quello di liceità giuridica, fissandone i confini con tutti i comportamenti umani che non siano contra legem. Sarebbe infatti troppo comodo limitarsi a rispettare le leggi per poi fare tutto quello che non è espressamente proibito. Dal saggio “Liberalismo” scritto nel 1973 da Friedrich von Hayek per l'Enciclopedia Treccani.

Non bisogna dimenticare che il liberalismo disgiunto dalla democrazia inclina sensibilmente verso il conservatorismo, e che la democrazia, smarrendo la severità dell'idea liberale, trapassa nella demagogia e, di là, nella dittatura. Benedetto Croce

Wilhelm Röpke, 1947: La libertà dell’economia è di importanza decisiva per la libertà nel suo complesso per due ragioni:

  • perché rappresenta essa stessa un importante settore della libertà. Se nelle attività economiche, le quali occupano grande parte della nostra vita quotidiana, ci dobbiamo adeguare non già alle leggi, ma agli ordini di funzionari autorizzati a comminare sanzioni, allora la somma complessiva della libertà in questa società ne risulterebbe diminuita;
  • perché, venendo meno la libertà economica, la quale si sostanzia non solo nella libertà dei mercati, ma anche nella proprietà privata, la libertà spirituale e politica perde le sue basi. L’uomo che soggiace alla costrizione da parte dello Stato e della sua burocrazia nelle sue attività quotidiane e nelle condizioni della sua esistenza materiale, rimanendo alle dipendenze di un monopolista onnipotente cioè dello Stato, quell’uomo perde la sua libertà sotto tutti i punti di vista.

Michael Novak, intervista del 2004: La libertà non può essere "concessa" da nessuno ma semmai riconosciuta. La massima forma di libertà consiste nello sviluppare iniziative, nella possibilità di organizzarsi […]. La libertà religiosa è la base di ogni altra forma di libertà, cominciando da quella politica ed economica. […] Le sto descrivendo una parte del pensiero di Sturzo e del suo Partito popolare.

[modifica] Il liberalismo del secondo dopoguerra

[modifica] Liberalismo democratico (liberalismo sociale o riformista)

Per approfondire, vedi la voce Liberalismo democratico.

Con il secondo dopoguerra il liberalismo si trasformò in genere in "liberalismo democratico", aprendosi alla società di massa, mentre alcune sue istanze furono fatte proprie non solo dai movimenti o dai partiti liberali, ma anche da formazioni politiche di diversa origine: in primis formazioni cattoliche con la creazione di componenti cattolico-liberali e poi anche soggetti socialisti con la creazione di aree ispirate al socialismo liberale. Più che i successi (per di più limitati) dei partiti liberali, la rilevanza del liberalismo è consistita nella capacità di influenzare con i suoi principi di base (libertà di pensiero, di associazione e individuale) i sistemi politici e le società occidentali. Questa tendenza fu anticipata in quei paesi, come gli Stati uniti o la Francia, che pur non annoverando nella propria storia partiti liberali, ne misero in pratica i principi essenziali.

E' inoltre corretto affermare che, soprattutto da un ventennio ad oggi il filone più riformista del liberalismo si è sempre più avvicinato al filone culturale socialdemocratico, soprattutto dopo le aperture ad alcuni punti del pensiero liberal-democratico da parte di importanti leader socialdemocratici quali Tony Blair e Gerhard Schröder.

[modifica] Liberalismo conservatore (neo-liberismo)

Negli anni ottanta del Novecento vi fu infine il tentativo, da parte di un vasto schieramento di ispirazione conservatrice e moderata, di una riformulazione della dottrina che, pur muovendo dal recupero delle originarie tematiche liberistiche, fosse più rispondente alle istanze della società capitalistica contemporanea (neo-liberismo). In pratica, la maggioranza liberal-democratica ha adattato progressivamente la ideologia liberale al momento storico in cui si trovava, dando così luogo alla evoluzione del "liberalismo classico" in senso "democratico-riformista"; i liberal-conservatori invece, in un determinato momento della loro storia, si sono distinti dalla maggioranza liberal-democratica non percorrendo più la strada evolutiva, ma bensì riprendendo il "liberalismo classico" delle origini in chiave "liberista".

[modifica] Liberalismo e Globalizzazione

Al liberale piace l’integrazione economica tra i diversi Stati nazionali (o globalizzazione economica), perché permette agli individui di disporre di un più ampio ventaglio di scelte. Non accetta, invece, l’integrazione politica (o globalizzazione giuridica) perché considera l’intervento dello Stato un arbitrio. Un presupposto del liberalismo, infatti, è che lo Stato quando agisce può limitare fortemente i seguenti diritti individuali:

  • alla vita (attraverso la regolamentazione);
  • e alla proprietà (attraverso la tassazione).

Secondo i liberali, infatti, i diritti alla vita, alla proprietà e alla libertà appartengono solo all’uomo.

[modifica] Liberalismo moderno

Dal secondio dopoguerra, fino al giorno d'oggi all'interno del filone culturale "liberale" si possono distinguere due aree principali: una minoritaria detta dei "liberali conservatori" (VVD olandese, Venstre danese, il vecchio PLI fino al '70, i Repubblicani in Francia, etc.) ed una maggioritaria detta dei "liberal-democratici" (D66 olandesi, RV danese, PRG francese, il vecchio PRI in Italia, etc.).

Il termine "liberale" rimane però riferito ai movimenti liberali in genere, cioè a tutti coloro che mantengono i caratteri liberali sia in economia sia nel campo sociale seppure con diverse sfumature.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia

  • Frédéric Bastiat - Gustave de Molinari, Contro lo statalismo, Macerata, Edizioni Liberilibri, 1995 (1848-49).
  • Walter Block, Difendere l’indifendibile, Macerata, Liberilibri, 1993 (1976).
  • Enrico Colombatto – Alberto Mingardi, Il coraggio della libertà. Saggi in onore di Sergio Ricossa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002.
  • Raimondo Cubeddu, Il liberalismo della scuola austriaca. Menger, Mises, Hayek, Napoli-Milano, Morano, 1992.
  • Raimondo Cubeddu, Atlante del liberalismo, Roma, Ideazione, 1997.
  • David Friedman, L’ingranaggio della libertà. Guida a un capitalismo radicale, Macerata, Liberilibri, 1997 (1973).
  • John Gray, Liberalismo, Milano, Garzanti, 1989 (1986).
  • Friedrich A. von Hayek, La società libera, Formello (Roma), Seam, 1996 (1960).
  • Friedrich A. von Hayek, La presunzione fatale. Gli errori del socialismo, Milano, Rusconi, 1997 (1988).
  • Hans-Hermann Hoppe, Abbasso la democrazia. L’etica libertaria e la crisi dello Stato, Treviglio, Leonardo Facco, 2000.
  • Nicola Iannello (a cura di), La società senza Stato. I fondatori del pensiero libertario, collana “Diritto, Mercato e Libertà” a cura dell’IBL, Soveria Mannelli – Treviglio, Rubbettino – Leonardo Facco, 2004.
  • Henri Lepage – Murray N. Rothbard, Il diritto dei proprietari, collana “Diritto, Mercato e Libertà” a cura dell’IBL, Soveria Mannelli – Treviglio, Rubbettino – Leonardo Facco, 2005.
  • John Locke, Due trattati sul governo, Torino, Utet, 1948 (1690).
  • Carlo Lottieri, Il pensiero libertario contemporaneo, Macerata, Liberilibri, 2002.
  • Carlo Lottieri, Dove va il pensiero libertario?, a cura di Riccardo Paradisi, Roma, Settimo Sigillo, 2004.
  • Alberto Mingardi – Guglielmo Piombini, Anarchici senza bombe. Il nuovo pensiero libertario, Roma, Stampa Alternativa, 2001.
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  • Ludwig von Mises, Liberalismo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1997 (1927).
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  • Murray N. Rothbard, Per una nuova libertà. Il manifesto libertario, Macerata, Liberilibri, 1997 (1973).
  • Murray N. Rothbard, L’etica della libertà, Macerata, Liberilibri, 1996 (1982).
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