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Razzismo

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Last one in's a nigger (USA, anni 1890). Vignetta a sfondo razzista raffigurante afro-americani.
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Last one in's a nigger (USA, anni 1890). Vignetta a sfondo razzista raffigurante afro-americani.

Con il termine razzismo si intendono due fenomeni diversi:

  1. in senso proprio: un insieme di teorie che sostengono che la razza umana è in realtà un insieme di razze, biologicamente differenti, e gerarchicamente ineguali. Tra i fondatori di questa teoria, che nel XIX sebbe una triste dignità "scientifica" (al punto da venire oggi chiamata dagli storici "razzismo scientifico"), fu l'aristocratico francese Joseph-Arthur de Gobineau, autore di un Essai sur l'inégalité des races humaines (Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane, 1853-1855).
  2. in senso colloquiale si definisce normalmente razzismo ogni atteggiamento di intolleranza (che può tradursi in minacce, discriminazione, violenza e perfino assassinio) verso gruppi di persone identificabili attraverso la loro cultura, religione, etnia, sesso, sessualità, aspetto fisico o altre caratteristiche. In tale senso, però, sarebbero più precisi, anche se sono raramente usati nel linguaggio corrente, termini come "xenofobia" o meglio ancora "etnocentrismo".

Indice

[modifica] Le questione delle cosiddette "razze" umane

Disegno tratto da: Josiah Clark Nott, George Robert Gliddon, Indigenous races of the earth. Si tratta di un testo del 1857, allora ritenuto scientifico, che sosteneva la teoria che i neri fossero razzialmente diversi dai caucasici quanto lo è lo scimpanzé.
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Disegno tratto da: Josiah Clark Nott, George Robert Gliddon, Indigenous races of the earth. Si tratta di un testo del 1857, allora ritenuto scientifico, che sosteneva la teoria che i neri fossero razzialmente diversi dai caucasici quanto lo è lo scimpanzé.

Grazie al contributo dato dalla genetica, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la biologia considera ormai un dato assodato il fatto che tutti i componenti della specie Homo sapiens sapiens costituiscono una sola ed unica razza, e che due gruppi etnici qualsiasi, il cui aspetto è stato modificato dall'adattamento ad ambienti esterni diversi, possono essere apparentemente molto diverse ma in realtà assai vicino dal punto di vista biologico.

Al contrario, popolazioni che convidono un aspetto simile possono essere geneticamente più distanti rispetto a popolazioni di cosiddette "razze" diverse.

Per fare un esempio, la diffusione di un determinato allele (cioè variante) di un gene in popolazioni diverse può presentarsi con maggiori somiglianze fra una popolazione europea ("bianca") ed una africana, che fra due popolazioni europeee. Le differenze fra le cosiddette "razze" umane riguardano infatti unicamente l'aspetto esteriore, modificato per adattarsi all'ambiente man mano che la razza umana si diffondeva per tutto il mondo; ed ovviamente l'aspetto esteriore è il dato che salta maggiormente all'occhio. Tuttavia esso coinvolge una frazione relativamente insignificante dell'intero codice genetico della razza umana. Ecco perché invididui che discordano vistosamente su pochi geni, relativi al colore della pelle o al taglio degli occhi, possono poi condividere caratteristiche genetiche molto più complesse ed importanti, anche se non altrettanto vistose.

Anzi, se c'è un aspetto che caratterizza l'Homo sapiens sapiens al paragone con le razze animali, esso è semmai la straordinaria omogeneità genetica, causata dal fatto che tutti gli esseri umani discendono da un numero ristretto di antenati, evolutisi in un tempo assai recente (circa centomila anni fa), e rimescolatisi di continuo nel corso della loro storia.

Questa premessa non era e non è condivisa dal razzismo. Secondo l'ideologia razzista, le differenze di aspetto rispecchiano la divisione effettiva in razze della specie umana. Particolare non secondario, il razzismo professa sempre la superiorità di una razza rispetto ad altre, sostenendo che la razza superiore è quella a cui appartiene il sostenitore del razzismo, e giustificando così un'eventuale discriminazione e/o oppressione di coloro i quali sono considerati inferiori.

Il razzismo, inteso come teoria pseudoscientifica, fu una delle giustificazioni ideologiche del colonialismo del XIX e XX secolo, del mantenimento della schiavitù nel XIX secolo, oltre che della discriminazione di gruppi sociali in condizioni di inferiorità, come per esempio nel caso dell'apartheid.

[modifica] Il "Razzismo scientifico"

Razzismo scientifico è il termine utilizzato per indicare una particolare forma storica di razzismo organizzato, fondata a partire dal XIX secolo in Europa e nelle Americhe, che nasce in ambito universitario tra le scienze naturali e sociali dell'epoca, prendendo inizio dalla biologia, dalla antropologia, dalla genetica, dalla medicina, dalla criminologia e dalla sociologia, rifacendosi in maniera spesso distorta alla teoria evoluzionista di Charles Darwin e al positivismo.

Premessa oggi ritenuta infondata di questa teoria pseudoscientifica fu quella di ritenere che gli esseri umani fossero costituiti da razze diverse, ognuna ad un grado diverso di evoluzione rispetto alle altre, e che i metodi di classificazione della zoologia potevano essere utilizzati per indagare le caratteristiche delle stesse. In questa classificazione si ammisero graduatorie che presupponevano alcune "razze" come superiori per livello evolutivo e intellettivo rispetto alle altre. In particolare essa credette di documentare che la cosiddetta "razza bianca" (e all'interno della razza bianca di una razza particolare, la razza ariana) fosse il livello massimo raggiunto dall'evoluzione naturale della specie umana.

Sostenendo l'esistenza di "razze superiori" queste teorie diedero il via alla nascita dell'eugenetica (eu = buona; genia = discendenza), altra pseudoscienza che mirava alla preservazione della purezza del patrimonio genetico dei popoli "bianchi", sostenendo una campagna politica contro i matrimoni e i rapporti interraziali che potessero portare alla nascita di figli "razzialmente impuri" e degenerati.

Assertori di questa teoria furono esponenti di primo piano, al massimo livello, delle scienze naturali e sociali di tutto il mondo, per oltre un secolo. La classificazione delle cosiddette "razze" fu lungamente utilizzata per regioni politiche, e dibattuta tra gli scienziati, che non riscivano a raggiungere risultati universalmente condivisi. Maggioritariamente, dal 1870 al 1936 essa sosteneva la superiorità di una presunta "razza nordica" o germanica, su tutte le altre.

Usate durante il XIX secolo a sostegno del colonialismo e del diritto alla schiavitù, l'esito politico più vistoso di queste teorie nel XX secolo furono le leggi razziali in molte parti del mondo (USA, Sudafrica, Germania) le leggi razziali fasciste in Italia, e infine lo sterminio nazista delle razze "inferiori".

Il razzismo scientifico venne rifiutato politicamente e scientificamente solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando con la pubblicazione della «Dichiarazione sulla razza» nel 1950 l'UNESCO decretò in modo ufficiale la non esistenza della razze umane e incoraggiò i numerosi biologi a ricordare costantemente l'assenza di validità scientifica della nozione di "razze umane".

A seguito di ciò le stesse teorie non sono però del tutto scomparse, ma ancora oggi vengono in gran parte riattualizzate da alcune minoranze politiche estremiste semplicemente sostituendo alla parola "razza" quella di "etnia", "popolo" o "civiltà". Sostituendo all'elemento biologico (non più riproponibile) quello culturale, essi riescono a mantenere intatta la stessa precedente impostazione "pseudo-scientifica".

[modifica] Storia del razzismo nel mondo moderno

Il razzismo scientifico è stato preceduto, affiancato e seguito da altre forme di razzismo organizzato, detto anche pre-scientifico. Nel merito di quest'ultimo la parola "razza" non è riferita a un tipo biologico, ma al senso più generale di "categoria" o "genere". Quest'altra forma di razzismo non è meno importante, e in dettaglio prende molti nomi specifici a secondo dell'oggeto della discriminazione: classismo se riferito alla discriminazione in base alla classe sociale, casteismo se in base alla casta di appartenenza, sessismo se in base al sesso, ecc.

Tesi dominante oggi, che tenta di spiegare le cause del razzismo organizzato e scientifico, è quella utilitarista: il razzismo cioè nascerebbe prevalentemente da motivi di utilità politica, a difesa dei privilegi, dell'economia e del potere di una fazione contro l'altra.

Il razzismo "individuale" invece è considerato dalla psicologia un grave disturbo mentale di tipo narcisistico, come anche la xenofobia.

Fattore da considerare in una prospettiva storica, è che il razzismo è un fenomeno relativamente recente ed è strettamente connesso all'età coloniale, quando le grandi potenze europee svilupparono ideologie razziste per risolvere la dissonanza tra valori cristiani di eguaglianza e carità e lo sfruttamento delle popolazioni indigene in America come in Africa.

Prima di quest'epoca la xenofobia può esprimersi direttamente come tale: l'altro è inferiore in quanto "non è come noi" e ci è "quindi" ostile (in greco antico "xenos" significa sia "straniero" che "nemico"), perché parla una lingua diversa dalla nostra ("barbaro" in greco significa letteralmetne "il balbettante"), perché non professa la nostra religione, perché non si veste come noi (in molte lingue i concetti di "straniero", "strano" ed "estraneo" hanno la stessa radice linguistica, che in italiano è quella del latino "extra": "che viene da fuori").

Tuttavia la società antica preferisce stratificare l'umanità in base a concetti castali, più che razziali: il nobile è ovviamente superiore al plebeo, e il plebeo libero è superiore allo schiavo. Ed ovviamente le caratteristiche dell'individuo inferiore (il suo modo di parlare, di vestire, di comportarsi) "giustificano" pienamente la sua condizione sociale inferiore. Inoltre non va dimenticato che per la gran parte le società premoderne (come ancora molte delle società moderne) sono sessiste, ritenendo cioè che tutti i maschi della razza umana siano biologicamente superiori (più forti, più intelligenti, più morali...), per il solo fatto di essere tali, a tutte le femmine della razza umana.

Ciò detto, la mentalità premoderna non si sarebbe sognata di giudicare uno schiavo bianco superiore a un nobile - ad esempio - arabo in base alla sua sola appartenenza ad una presunta "razza". Se si cercava una superiorità, essa veniva trovata nella cultura, nell'etnia, nella religione: ogni cristiano è superiore ad ogni infedele, dunque anche uno schiavo cristiano è, moralmente (ma non socialmente!), superiore a un principe mussulmano. Ma se il principe mussulmano si converte al cristianesimo, viene meno tale inferiorità e prevale nuovamente la superiorità sociale di casta.

La società premoderna considera insomma la "razza" non come un dato immutabile e di primo piano, ma come un dato transitorio e secondario, destinato ad annacquarsi col passare delle generazioni: si ebbero così papi discendenti da famiglie ebraiche convertite, o bastardi di nobili generati con schiave negre (quindi mulatti) legittimati dai loro genitori (per esempio, Alessandro de' Medici detto "il Moro"), come pure ex schiavi "mori" nordafricani (come per esempio Leone Medici/Leone Africano) adottati da nobili famiglie.

Tutto ciò non implica accettazione del diverso: la società antica ha anzi un vero orrore per le novità e la non-conformità; implica però che la diversità motivata dall'appartenenza razziale appare ai nostri avi meno importante di altre diversità, come quelle legate al rango sociale o di altro tipo, che invece per la mentalità moderna sono meno importanti. Non a caso il razzismo in quanto ideologia pseudoscientifica sorge nel momento in cui questo antico criterio di valutazione è ormai in piena crisi dopo la Rivoluzione francese, e non è un caso che uno dei suoi fondatori, Gobineau, sostenga la superiorità della razza germanica solo per giustificare la superiorità della classe sociale che secondo lui ne discende in Francia (la nobilità, che è la classe a cui egli appartiene ed il cui monopolio assoluto del potere egli vuole giustificare in questo modo).

E sempre non a caso i primi germi del razzismo nel senso moderno si possono forse individuare nel concetto di "limpieza de sangre" ("purezza di sangue") che la nobiltà iberica propone nel tardorinascimento per respingere l'ascesa degli ebrei e dei moriscos convertiti al cristianesimo, e quindi (teoricamente) integrati nella società spagnola dell'epoca. Quindi, una volta di più, il pre-razzismo è un'ideologia escogitata da una casta endogama, e non da una "razza", intesa in senso biologico. Il concetto di "limpieza de sangre" sarebbe stato applicato anche ai danni delle popolazioni indigene dell'America prima, ed agli schiavi negri ivi importati poi, nonché degli iberici spagnoli che si erano mescolati con essi, creando una società in cui la stratificazione sociale era legata anche al gruppo etnico di appartenenza. Una società estremamente conscia dell'appartenenza razziale, al punto da conoscere non solo concetti come quello di "mulatto" o "meticcio", ma anche quelli di quarteron e octavon, cioè di persona con solo un quarto o un ottavo di sangue negro, o di zambo, cioè meticcio metà negro e metà indio, e via via con ulteriori sottodivisioni.

Paradossalmente, però, tale acuta coscienza delle differenze "razziali", che certo non è sbagliato definire "razzista", fu la reazione a un diffusissimo fenomeno di mescolamento delle razze da parte degli iberici non appartenenti alla nobilità, i cui effetti si osservano agevolmente ancora oggi in tutta l'America Latina. Non mancò neppure qualche nobile che non disdegnò il matrimonio con i discendenti della nobiltà indigena india, per acquisire maggiore legittimià nel suo dominio agli occhi della popolazione dominata.
Questo fenomeno mostra quanto il razzismo (non "scientifico") iberico fosse qualitativamente diverso dal razzismo ottocentesco, che fra i suoi primi scopi dichiarati ebbe appunto impedire il mescolamento fra le razze umane, sempre nocivo per la razza "superiore" (cioè i bianchi).

Da questo punto di vista, un passo avanti verso il vero e proprio razzismo, inteso come teoria scientifica, si ebbe piuttosto negli Usa, dove nel dibattito infuocato relativo all'abolizione della schiavitù a metà del XIX secolo, uno degli argomenti azzardati dai suoi sostenitori fu che negri (e indiani) non fossero "davvero" esseri umani, ma andassero catalogati in una categoria diversa, alla quale non si potevano applicare la argomentazioni umanitarie proposte dagli abolizionisti. Non essendo i negri uomini, non aveva senso essere "umanitari" con loro.
Tale atteggiamento fu rafforzato dalle guerre indiane, per giustificare il genocidio, protratto per decenni, delle popolazioni indiane per sottrare loro le terre: gli indiani non erano "davvero" esseri umani, e quindi nemmeno a loro si applicavano le considerazioni "umanitarie".

[modifica] Negli USA

Membri del Ku Klux Klan utilizzano per terrorizzare le loro vittime la croce infuocata, simbolo della identità cristiana-protestante da loro rivendicata
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Membri del Ku Klux Klan utilizzano per terrorizzare le loro vittime la croce infuocata, simbolo della identità cristiana-protestante da loro rivendicata

Nell'America coloniale, ancor prima che la schiavitù coloniale divenisse completamente basata su basi razziali, gli schiavi di origine africana erano usati a fianco degli schiavi bianchi, di solito vincolati alla condizione servile da contratti con una scadenza determinata, in gran parte firmati per pagare le spese di trasferimento nel Nuovo Mondo. Alla scadenza di tali contratti gli europei che erano sopravvissuti recuperavano la libertà (non era previsto che i neri potessero recuperare la libertà alla scadenza di un certo periodo di tempo).

A seguito di una serie di rivolte che coinvolsero questo tipo di coloni, però, negli Usa si arrivò a fare a meno degli schiavi bianchi già nel XVIII secolo, riservando la schiavitù alle persone di origine africana, che non potevano contare, a differenza dei bianchi, di solidarietà religiose e etniche da parte di componenti liberi della società bianca dominante. In questo modo, "razza" e condizione sociale vennero a coincidere negli Usa, in modo tale che ancor oggi negli Stati Uniti è difficile separare i due concetti.

Subito dopo l'indipendenza (avvenuta nel 1776) le leggi statunitensi del 1790 sulla naturalizzazione garantivano la cittadinanza solo alle "persone bianche libere", il che significava generalmente che veniva concessa solo a coloro che erano di origine anglosassone.

Quando la popolazione americana divenne culturalmente meno omogenea, verso gli anni ’40 del XIX secolo, con l'aumento dell'immigrazione dall'Europa meridionale e orientale, negli USA si rese necessario chiarire chi fossero i "bianchi". Nacque così una suddivisione di quelli che oggi sono chiamati «caucasici» in una gerarchia di diverse razze, stabilite "scientificamente", e al cui vertice erano gli anglosassoni e i popoli nordici.

Venuta meno l'utilità economica dello schiavismo negli stati industrializzati del Nordamerica, il 1 gennaio 1863 il presidente repubblicano Abraham Lincoln abolì la schiavitù con la Proclamazione di Emancipazione (Emancipation Declaration). Gli stati agricoli del sud si confederarono a difesa della schiavitù dando inizio alla guerra di secessione americana. La schiavitù terminò nell'intera federazione con la sconfitta del sud, infine il 18 dicembre 1865 fu ratificato il tredicesimo emendamento. L'abolizione della istituzione schiavistica tuttavia rafforzò e istituzionalizzò l'ideologia razzista, e a partire dagli anni 1870, con l'affermarsi delle teorie del cosiddetto «razzismo scientifico» moltissimi stati americani introdussero leggi discriminatorie (Black Codes e leggi di Jim Crow), tra cui il reato di miscegenation (mescolanza razziale) a proibizione dei matrimoni e delle unioni interrazziali, ed ebbe inizio il fenomeno della segregazione razziale.

Nella maggior parte degli stati segregazionisti le persone che immigravano da Portogallo, Spagna, da una piccola parte della Francia meridionale (e dalla Liguria), dall'Italia meridionale, dalla Grecia, dal nordafrica e dal medio oriente, furono classificati diversamente dai «bianchi» e il termine «bianco» iniziò a identificare principalmente gli anglosassoni, i germanici e gli scandinavi. L'appartenenza alla razza bianca dei non-nordici (slavi, dinarici ecc.) era spesso messa in discussione. Ma erano soprattutto gli europei del sud, appartenenti alla presunta razza mediterranea, a sottostare alle condizioni peggiori, e in molti stati essi erano legalmente equiparati ai neri e privati, con diverse accentuazioni da stato a stato, dello status e dei diritti riservati ai soli bianchi. Persino gli irlandesi, a cui si attribuivano parziali origini mediterranee, erano oggetto di forte pregiudizio e discriminazione. Va però tenuto presente che in molti casi il preconcetto colpiva non tanto l'origine etnica, quanto la religione cattolica professata dagli immigrati "papisti", verso i quali la società puritana degli Usa conservava una fortissima ostilità.

Ad ogni modo, coloro che negli Usa le trovavano utili ai loro scopi accolsero e diffusero le teorie scientifiche razziste sfornate, nel XIX secolo, dagli scienziati europei per giustificare l'avventura colonialista, che caratterizzò la maggior parte del XIX secolo. Con una differenza, però. Gli europei usavano l'ideologia razzista per conquistare e sottomettere quasi esclusivamente popolazioni non europee (e il tabù in questo senso fu tale che i francesi arrivarono - sia pure dopo infinite polemiche - a decidere che gli ebrei che abitavano l'Algeria da loro conquistata erano da considerare europei, e concessero loro la cittadinanza francese, a differenza di quanto avvenne con gli "indigeni"). Al contrario, il razzismo statunitense, come detto, fu usato soprattutto ai danni di popolazioni abitanti nello stesso continente.

La mappa dell'eugenista Madison Grant nel 1916, mostra la distribuzione delle presunte "razze europee". L'Italia è divisa in due: al nord il territorio si compone della razza nordica (indicata in rosso) e di quella alpina o celtica (in verde), al centro-sud si compone della razza mediterranea (in giallo)
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La mappa dell'eugenista Madison Grant nel 1916, mostra la distribuzione delle presunte "razze europee". L'Italia è divisa in due: al nord il territorio si compone della razza nordica (indicata in rosso) e di quella alpina o celtica (in verde), al centro-sud si compone della razza mediterranea (in giallo)

Negli Usa ebbe conseguenze storiche durature, negli anni 1920, la massiccia diffusione delle teorie dell'eugenista Madison Grant che saranno più tardi la principale fonte di ispirazione per le campagne di sterilizzazione forzata ed eutanasia forzata operate dal nazionalsocialismo tedesco.

La campagna ideologica di Grant raggiungerà l'obiettivo di fare chiudere le frontiere tra il 1921 e il 1924, e a partire dal 1924 di far restringere l'immigrazione dai paesi dell'est e del sud Europa, e di ostacolare quella ebraica. Questa decisione avrebbe avuto conseguenza catastrofiche durante la Shoah, nel corso della quale gli Usa respinsero caparbiamente i profughi ebrei, accogliendone per tutta la durata dell'Olocausto meno della sola città cinese di Shanghai (30.000).

A rendere politicamente possibile ciò fu il senatore del Massachusetts Henry Cabot Lodge [1]) che fu tra i più fanatici sostenitori della Immigration Restriction League, che si opponeva all'immigrazione dei popoli di razza mediterranea. Cabot Lodge trovò il modo di aggirare la resistenza di coloro i quali non volevano limitare gli ingressi esplicitamente in base alla razza proponendo un escamotage: vietare l'ingresso agli analfabeti e modificare le quote di ingresso, stabilendo le nuove su quelle registrate oltre trent'anni prima, nel 1890. Con questa retrodatazione la quota complessiva d'ingresso dei mediterranei che avrebbe dovuto essere di diritto pari al 45% dei richiedenti fu ridotta a meno del 15% e tenendo conto che gli italiani erano il popolo più analfabeta d'Europa (con punte massime al sud) la quota riservata agli italiani divenne di molto più esigua. Per contro fu grandemente aumentata la quota consentita dai paesi nordici.[2].

Dopo la crisi economica del 1929, con i disordini che ne seguirono e con il diffondersi del «pericolo comunista» la strategia politica cambiò e negli ex stati confederati del sud, si adottarono teorie meno rigide, ispirate in gran parte da quelle europee. Così negli anni 1930, quando in quegli stati era ormai divenuto impossibile continuare a mantenere un così alto numero di immigrati europei fuori dalla élite dei bianchi - con il rischio peraltro di pericolose coalizioni coi neri - i segregazionisti estesero i diritti a tutti i «caucasici», gruppo razziale che includeva anche i mediterranei, e che era suddiviso in «White Caucasian» (caucasica bianca: anglosassoni, scandinavi e germanici) e «Caucasian» (caucasica). Oggi il termine «caucasico» viene esteso ad indicare indistintamente i «bianchi», tuttavia la suddivisione in «white caucasian» e «caucasian» è ancora ufficialmente in vigore nei metodi statistici di catalogazione in uso presso le istituzioni di molti stati americani.

Tutte le altre presunte razze non caucasiche invece rimasero escluse dai diritti civili per altri venti anni. Sarà negli anni 1960, a seguito delle numerose battaglie condotte dai moltissimi movimenti per i diritti civili, all'insurrezionalismo di Malcolm X e alla famosa marcia pacifica di Martin Luther King, che le leggi sulla segregazione razziale dei neri negli stati del sud verranno abolite dal governo federale, a quasi cento anni dalla loro entrata in vigore. Ciò avverrà nel 1964 con l'approvazione del Civil Rights Act e nel 1965 con il Voting Rights Act.

[modifica] La questione razziale oggi negli Usa

Da allora non esistono più leggi razziali negli Stati Uniti, ma sono comunque frequenti e numerosi gli episodi di razzismo e di discriminazione contro i neri, le cui condizioni per quanto riguarda l'accettazione sociale sono notevolmente migliorate, ma che economicamente continuano a soggiacere a maggiore povertà.

La sproporzione tra il numero di neri detenuti nelle prigioni statunitensi e il loro numero complessivo tra la popolazione, nonché la loro più frequente condanna a morte, è da molti ritenuta un indizio del persistente razzismo nei loro confronti. Il massiccio afflusso quotidiano di immigrati illegali dal confine con il Messico ha invece ingigantito le forme di ostilità razzista contro gli ispanici latino-americani.

A dimostrare quanto l'ideologia razzista abbia fatto presa anche a livello di cultura popolare statunitense, dove spesso ha sostituito il concetto di "classe sociale" nei conflitti sociali, resta ancora oggi una disponibilità per noi inusitata da parte dei cittadini statunitensi a definirsi a vicenda o addirittura autodefinirsi in termini di "razza" o "etnicità". Un atteggiamento peraltro sanzionato dai censimenti, che chiedono espressamente ad ogni cittadino di definire la "razza o etnicità" a cui appartiene.

La persistenza di un "problema razziale" negli Usa è rivelata anche dai bassissimi tassi di matrimoni misti fra bianchi e neri, che dopo un lieve aumento negli anni Sessanta sono nuovamente calati. Fa eccezione la comunità latino-americana che, con i suoi tassi di meticciaggio relativamente elevati, dimostra di fare riferimento a un concetto di "razza" diverso da quelli prevalenti nella maggioranza "bianca" della popolazione statunitense.

[modifica] In Italia

[modifica] Tra il XIX e il XX secolo

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A partire dall’unificazione italiana l’establishment politico e culturale italiano influenzato dalle teorie internazionali del razzismo scientifico del positivismo e dell’eugenetica si orientò verso posizioni razziste e anti-meridionali (e molti studiosi meridionali sostennero a loro volta l’anti-meridionalismo). Di questo clima politico e culturale furono artefici tra l’altro le pubblicazioni del criminologo Cesare Lombroso (autore di saggi tendenti a dimostrare l’innata natura criminale dei meridionali e per il quale l’intero popolo del Mezzogiorno assume i connotati del delinquente atavico), le teorie di Giuseppe Sergi, Luigi Pigorini, Alfredo Niceforo (presidente della Società Italiana di Antropologia e della Società Italiana di Criminologia, che scriveva: «La razza maledetta, che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il mezzogiorno d’Italia dovrebbe essere trattata ugualmente col ferro e col fuoco - dannata alla morte come le razze inferiori dell’Africa, dell’Australia, ecc.»), Enrico Ferri (secondo cui la minore criminalità nell’Italia settentrionale derivava dall’influenza celtica), Guglielmo Ferrero, Arcangelo Ghisleri, nonché di moltissimi altri magistrati, medici, psichiatri, uomini politici, che influenzarono grandemente l’opinione pubblica italiana e mondiale.

termine sezione non neutrale

Non furono posizioni isolate, al contrario era la convinzione «scientifica» della quasi totalità degli uomini di cultura europei, nonché dei ceti dominanti e dell’opinione pubblica dell’epoca. Già nel 1876 la tesi razzista fu pienamente avallata dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulla Sicilia che concluse: «la Sicilia s’avvicina forse più che qualunque altra parte d’Europa alle infuocate arene della Nubia; in Sicilia v’è sangue caldo, volontà imperiosa, commozione d’animo rapida e violenta». Cioè le stesse caratteristiche «psico-genetiche» che, con lo stesso identico linguaggio, i razzisti di tutto il mondo attribuivano alla cosiddetta «razza» nera. E di questo erano accusati i mediterranei: di essere «meticci», discendenti di popolazioni preistoriche di razza africana e semitica.

Questo clima determinò tre cose:

  1. Subito fin dall’unità fu attuata una politica di tipo coloniale nei confronti del sud (spesso descritto nei giornali dell’epoca come l’«Africa italiana»), che ha portato quello che prima dell’unità era lo stato più ricco e sviluppato d’Italia (il Regno delle Due Sicilie) alla povertà quasi assoluta.
  2. Il sud fu politicamente abbandonato alla criminalità poiché essa venne considerata inestirpabile, essendo intrinseca a una cultura inferiore e primitiva, frutto di un popolo che oltre ad essere «reo» di avere avuto influenze genetiche negroidi e semitiche era un popolo di «criminali nati» secondo la terminologia del Lombroso.
  3. Furono smantellate molte industrie e infrastrutture del sud per poi ricostruirle al nord. Questo anche perché si riteneva che i settentrionali, per indole razziale, clima, temperamento e superiore civiltà «bianca» fossero più idonei a comprendere e gestire l’economia della nazione.

L’accettazione già nel 1876 della teoria dell’esistenza di almeno due razze in Italia: la eurasica (padana e «ariana») e la euroafricana (centro-meridionale e afro-semita), contribuì in modo determinante alla nascita di un diffuso razzismo anti-meridionale nel nord Italia e in tutto il mondo. Basandosi sulle dichiarazioni degli scienziati italiani molti Stati degli USA hanno dato luogo a forme esplicite di apartheid nei confronti dei meridionali (in particolare gli stati di Alabama, Georgia, Louisiana). Più in generale gli immigrati italiani venivano separati al loro arrivo a Ellis Island (New York) e computati in due diversi registri: mediterranei da una parte e nordici dall'altra. Divisione ufficialmente avallata dalla Commissione Dillingham del Senato degli Stati Uniti[3] che nel 1911 ribadì la «rilevanza dell'immissione di caratteri genetici negroidi nel popolo napoletano e siciliano, non solo in spiegazione dell'aspetto fisico, ma anche del carattere e delle inclinazioni»[4].

Ai siciliani poi, per via della più recente commistione (nel periodo arabo) con mori e saraceni, spettava nel profondo sud americano un trattamento ancora peggiore ed erano sottoposti ad un vero e proprio apartheid economico, politico e sociale. All’epiteto «dago» riferito agli italiani in generale (forse dal nome spagnolo Diego o più probabilmente da dagger = accoltellatore) veniva loro in più anteposto l’aggettivo «black» (nero) per rimarcare la loro presunta «negritudine». In Louisiana prima della seconda guerra mondiale, anche se nati in America non potevano frequentare le scuole per i soli bianchi ed erano perciò obbligati a frequentare le scuole dei neri[5][6]. In Alabama erano formalmente soggetti alle leggi anti-miscegenation[7]. La loro paga era generalmente inferiore a quella degli stessi neri, inoltre erano spesso minacciati dal Ku Klux Klan e linciati per futili motivi: documenti locali affermano che gli «italiani» furono il gruppo più numeroso di vittime di linciaggio dopo i neri (e secondo quanto riportarono alcune fonti dell'epoca[8], furono il 90% di tutti i linciati che immigravano dall'Europa).

[modifica] Durante il fascismo

Il razzismo ebbe un ruolo fondantamentale nell'ideologia fascista fin dalla sua instaurazione al potere nel 1922. Essendo impossibile sostenere l'origine nordica di tutti gli italiani, per quasi tutto il ventennio il regime sostenne teorie razziste alternative, le sole che gli consentivano di sostenere l'unità di tutti gli italiani. Dunque secondo l’italianismo fascista la razza italiana sarebbe stata il prodotto di un processo storico-culturale, o secondo la terminologia di Julius Evola «un'identità dovuta alla comune tradizione spirituale» (la «civiltà romana») che nella retorica politica era «madre di tutte le civiltà», e che aveva avuto origine dall'antico popolo romano (che secondo gli arianisti erano di stirpe nordica[9]).

L'indirizzo biologico, pur già presente, si affermò su quello culturale solo a partire dal 1936, quando fu possibile - sfruttando l'alleanza con la Germania nazista - operare una nuova sintesi con la quale sostenere, in netta contraddizione con le precedenti teorie internazionali, l’esistenza di un’unica ipotetica «razza italiana» interamente ariana. Ciò avvenne nel volgere di pochi anni e portò nel 1938 alla promulgazione del «Manifesto della razza». In esso si sostenne che la «fisionomia razziale» di tutti gli italiani «dalle Alpi alla Sicilia» era data una volta per tutte dai Longobardi e quindi i «mediterranei» (par. 5 del Manifesto) pur avendo caratteristiche proprie sarebbero comunque stati un «gruppo sistematico minore» della razza ariana.

Sottratti per decreto i meridionali dall'apparentamento con le razze afro-semitiche (par. 8 del Manifesto) ebbe luogo il varo di provvedimenti, le cosiddette leggi razziali fasciste, principalmente contro le persone di origine semitica e/o di religione ebraica, ma anche contro le popolazioni delle colonie africane e contro il meticciato. Leggi che furono responsabili della deportazione e uccisione di centinaia di migliaia uomini, donne e bambini tra ebrei, zingari, e appartenenti ad altre etnie.

[modifica] Dal dopoguerra ad oggi

Nonostante il capolinea del razzismo scientifico, rigettato come pseudoscienza subito dopo la seconda guerra mondiale, non fu modificata la mentalità formatasi in quasi un secolo di propaganda, e forme inconsce e semi-clandestine di razzismo antimeridionale hanno persistito fino ad oggi e sono spesso documentate da denuncie pervenute a livello mondiale. Oggi questo antico razzismo viene in reso attuale semplicemente sostituendo alla parola «razza» quella di «cultura», «popolo» o «civiltà» e mantenendo intatta la stessa precedente impostazione «scientifica».

Molti intellettuali ne fecero uso manifesto almeno fino agli anni 1970 attribuendo alla criminalità del Sud unicamente il carattere folcloristico di fenomeno atavico della «primitiva» cultura locale, ma la tesi della «cultura primitiva» riferita al Sud ricorre ancora oggi in recentissime opere di etno-psichiatria. Presso gli etnologi la tesi dell'origine non europea dei mediterranei cadrà in disuso negli anni 1960 e verrà definitivamente abbandonata negli anni ’70, quando la distinzione sarà superata dalla prova (Lucy) dell'origine africana, non solo dei mediterranei, ma dell'intero genere umano.

Nell'ultimo decennio a questo si sono aggiunti fenomeni di avversione contro i popoli semiti (gli arabi) e di islamofobia contro i musulmani, tra i quali ci sono gli stessi europei. Secondo la ricerca promossa nel 2003 dall’Unione delle Comunità ebraiche italiane e condotta dal Dipartimento di ricerca sociale e metodologia sociologica Gianni Statera presso la facoltà di Sociologia dell'Università La Sapienza di Roma su 2.200 ragazzi tra i 14 e i 18 anni di 110 Comuni italiani, la punta massima del razzismo ad alta intensità si riscontra nel "profondo nord" con il 27.8% degli intervistati e la minima nel "sud urbano" con il 10.6% degli intervistati. Risultati dettagliati del sondaggio

Accanto a queste nuove forme di intolleranza sono numerosi gli episodi di razzismo ai danni dei Rom e degli Sinti (gli zingari). Il razzismo anti-ebraico, che ha origini storiche e religiose più antiche, secondo molte indagini demoscopiche continua ad esistere in tutta Italia, sebbene in forme meno manifeste.

[modifica] Riferimenti

  • Teti, Vito (1993) La razza maledetta - Origini del pregiudizio antimeridionale. Edizioni Manifestolibri. ISBN 88-7285-026-6
  • ^ ^ ^ ^ ^ ^ Stella, Gian Antonio (2002) L’Orda - Quando gli albanesi eravamo noi. Edizioni Rizzoli, Milano (Capitolo II°). ISBN 88-17-87097-8
  • (FR) Prum, Michel (2000) Exclure au nom de la race (capitolo di Bénédicte Deschamps dal titolo «Le racisme anti-italien aux États Unis») Edictions Syllapse, Paris. ISBN 2-913165-15-X
  • Petraccone, Claudia. (2000) Le due civiltà - Settentrionali e meridionali nella storia d’Italia. Edizioni Laterza. ISBN 88-420-6083-6
  • (EN) ^ Adam Fairclough, Race & Democracy: The Civil Rights Struggle in Louisiana, 1915-1972 (Athens GA, 1995), 6. ISBN 0820321184
  • (EN) ^ Robert F. Harney (1993) «From the Shore of Hardship: Italians in Canada» Toronto: Centro Canadese Scuola e Cultura Italiana" Ed. Soleil ISBN 092183134X

Trattati razzisti dell'epoca:

  • Niceforo, Alfredo. Le due Italie - L’Italia barbara contemporanea (1898).
  • Sergi, Giuseppe. Arii e italici. Attorno all'Italia preistorica, (1898) Torino, Ed. Bocca.
  • Sergi, Giuseppe. Origine e diffusione della stirpe mediterranea (1895) Roma, Ed. Dante Alighieri.
  • Sergi, Giuseppe. Italiani del Nord e italiani del Sud (1901).
  • R. N. Bradley (1912) Malta and the Mediterranean Race, London
  • ^ B. Modestov (1907) Introduction a l’histoire romaine, Alcan, Paris. - Sostiene l'origine nordica degli antichi romani e imputa il decadimento dell'impero al mescolarsi dei romani con le razze mediterranee.

[modifica] Bibliografia

  • Rosetta Brucculeri, Francesco La Rocca, Damiano Zambito, Immigrazione extra-CEE e razzismo in provincia di Agrigento, Agrigento 1991.
  • Alberto Burgio, L'invenzione delle razze: studi su razzismo e revisionismo storico, Manifestolibri, Roma 1998, ISBN 88-7285-149-1.
  • Alberto Burgio (cur.), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d'Italia 1870-1945, Il Mulino, Bologna 1999.
  • Alberto Burgio (cur.), Radici e frontiere: ricerche su razzismi e nazionalismi, Associazione Merx centouno, Milano 1993.
  • Luigi Luca e Francesco Cavalli-Sforza, Chi siamo: la storia della diversita umana, Mondadori, Milano 1995.
  • Luigi Luca Cavalli-Sforza, Geni, popoli e lingue, Adelphi, Milano 1996.
  • Luigi Luca e Francesco Cavalli-Sforza, Razza o pregiudizio? Evoluzione dell'uomo fra natura e storia, Einaudi scuola, Milano 1996.
  • Centro Furio Jesi (a cura di), La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell'antisemitismo fascista, Grafis, Bologna 1994.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

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