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David Hume - Wikipedia

David Hume

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David Hume
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David Hume
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«L'io è un fascio di percezioni»
(David Hume)
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«Quale particolare privilegio ha questa piccola agitazione del cervello che chiamiamo pensiero, perché debba essere presa a modello dell'intero universo?La nostra parzialità verso noi stessi ce lo pone di fronte in ogni occasione. Ma una sana filosofia dovrebbe guardarsi scrupolosamente da un'illusione così naturale»
(David Hume, Dialoghi sulla religione naturale)


David Hume (Edimburgo, 26 aprile 1711 - ivi, 25 agosto 1776) fu un filosofo e storico scozzese e, con Adam Smith e Thomas Reid, una delle figure più importanti dell'illuminismo scozzese. Molti considerano Hume come il terzo ed il più radicale dei British Empiricists ("empiristi britannici"), dopo l'inglese John Locke e l'anglo-irlandese George Berkeley; questo raggruppamento di Hume, Locke e Berkeley, benché tradizionale, ignora l'importante influenza su Hume di vari autori francofoni, tra cui Nicolas de Malebranche, Pierre Bayle, così come le varie altre figure sulla scena intellettuale anglofona quali Isaac Newton, Samuel Clarke, Francis Hutcheson e Joseph Butler.

Gli storici generalmente considerano la filosofia di Hume come una forma radicale di scetticismo, ma molti commentatori hanno sostenuto che il suo naturalismo non ha meno importanza. La ricerca su Hume ha teso ad oscillare con l'andare del tempo fra coloro che danno risalto al lato scettico di Hume (quali Reid, Greene ed i positivisti logici) e coloro che danno risalto al lato naturalista (come Don Garrett, Norman Kemp Smith, Barry Stroud e Galen Strawson).

Indice

[modifica] Vita

David Hume nacque a Edimburgo, secondogenito di un possidente del Berwickshire, contea della Scozia meridionale. Nella stessa città intraprese gli studi di giurisprudenza, per compiacere alla famiglia; i suoi veri interessi, tuttavia, erano la letteratura e la filosofia. I suoi debutti come avvocato a Bristol non andarono a buon fine e ben presto scelse di trasferirsi in Francia, a La Flèche, dove restò tre anni, dal 1734 al 1737, e dove scrisse la sua opera più importante, il Trattato sulla natura umana, che verrà pubblicato dopo il suo ritorno a Londra, ma senza successo.

Ritornato in Inghilterra, pubblicò nel 1742 la prima parte dei suoi Saggi morali e politici. Quest'opera ricevette un'accoglienza più favorevole sia tra il pubblico sia tra gli intellettuali, ma non fu sufficiente per ottenere una cattedra di filosofia presso l'università di Edimburgo e nemmeno presso quella di Glasgow: probabilmente la sua nomea di ateo e la strenua opposizione del suo più forte critico Thomas Reid furono all'origine di questa mancata nomina. Ritornò quindi sul continente e, tra il 1745 e 1748, ottenne vari incarichi politici, recandosi fra l'altro alle corti di Vienna e Torino.

Nel 1748 pubblicò a Londra la Ricerca sull'intelletto umano. Nel 1752 ebbbe un posto di bibliotecario alla facoltà di diritto di Edimburgo, impiego che gli lasciò molto tempo a disposizione per riflettere, indagare e scrivere: sono di questi anni la Storia d'Inghilterra, da Giulio Cesare fino all'ascesa di Enrico VII, e la Ricerca sui princìpi della morale. Nel 1757 pubblicò la Storia naturale della religione; un altro scritto su questo stesso tema, per molti il suo capolavoro stilistico, è Dialoghi sulla religione naturale, pubblicato postumo nel 1779.

Nel 1763 divenne segretario dell'ambasciatore d'Inghilterra a Parigi, città nella quale rimase fino al 1766. Qui ebbe l'opportunità di frequentare gli ambienti illuministi e conoscere il filosofo Jean-Jacques Rousseau, nonché essere ospite del barone Paul Henri Thiry d'Holbach all'epoca impegnato nella sua accanita battaglia antireligiosa. Tornato in Inghilterra, decise di ospitare Rousseau, frequentazione che però finì con una clamorosa rottura per incompatibilità di carattere e per il patologico delirio di persecuzione da cui era afflitto l'autore dell'Emilio. Oramai ricco, terminò serenamente la sua esistenza ad Edimburgo il 25 agosto 1776.

[modifica] Il pensiero

Il pensiero di Hume, nato sotto la luce delle correnti illuministiche del XVIII secolo, rimane ancor oggi rilevante per la filosofia contemporanea se paragonato ad altri suoi contemporanei. Hume mirava a realizzare una scienza della natura umana, dotata di quella stessa certezza e organizzazione matematica che Newton aveva utilizzato per la fisica.

[modifica] La critica del concetto di causalità

Ogniqualvolta assistiamo a due eventi in rapida successione, pensiamo subito che ci sia una qualche connessione fra i due eventi, e in particolar modo, che l'evento che viene cronologicamente per primo produca il successivo e che quindi l'evento A sia la causa dell'evento B. Hume rifiuta però questo punto di vista: su che si basa -si chiedeva- quel procedimento grazie al quale, dato l'evento A, se ne deduce B?

Sul principio di causalità si basavano tutti quei procedimenti di "previsione" con cui ad un evento se ne fa seguire un'altro teoricamente collegato al precedente. L'esempio famoso di Hume è quello della palla da biliardo lanciata contro un altra: per qualunque osservatore apparirà sempre prima una palla che si scontra con un'altra e poi il mettersi in moto di quest'ultima. Così facendo tutti gli osservatori, dopo qualche lancio, potranno affermare che la seconda palla si muoverà vedendo soltanto la prima palla che viene lanciata verso di essa.

Hume tentò di capire quale fosse il ragionamento che ci fa prevedere il moto di B conoscendo soltanto quello di A. Escluse subito un ragionamento a priori, ovvero un inferenza necessaria che ad A fa seguire necessariamente B, in quanto fra due eventi è impossibile ricavare una qualsiasi relazione necessaria. Ma non si può pensare nemmeno ad un discorso empiristico, in quanto, come ragionamento a posteriori, può essere effettuato solo successivamente ai due eventi. E anche in questo caso non ci possono essere prove che confermino che B sia la conseguenza di A in quanto il rapporto fra A e B è di consequenzialità e non di produzione, cioè si può affermare in base all'esperienza solo che A precede B e che A è molto vicino a B ma non si può dedurre niente che leghi indiscutibilmente l'evento A a quello B.

Il fatto insomma che ad un evento A segua da milioni di anni un evento B non può darci la certezza assoluta che ad A segua sempre B e nulla ci impedisce di pensare che un giorno le cose andranno diversamente e, per esempio, a B segua A. Per ovviare a ciò ci vorrebbe un principio di uniformità della natura che si incarichi di mantenere costanti in eterno le leggi della natura, cosa che per Hume non è nè intuibile nè dimostrabile.

[modifica] La critica dell'abitudine o credenza

Molti di noi pensano agli eventi passati come a una guida sicura per gli eventi futuri. Per esempio, le leggi fisiche che guidano il moto dei pianeti lungo le loro orbite funzionano ottimamente per descrivere i comportamenti passati e così pensiamo che prevedano altrettanto bene anche quelli futuri. Ma come possiamo giustificare questa presunzione? Come possiamo pensare che questa credenza funzioni ogni volta? Hume suggerì due possibili giustificazioni e le confutò entrambe:

  1. La prima consiste in una necessità logica: il futuro deve ricalcare il passato, altrimenti tutta la scienza e la fisica perderebbe di valore. Ma Hume dimostrò che è altrettanto logicamente corretto presuppore un universo in cui le leggi fisiche passate non coincidano con quelle presenti e che non siano uniformi in ogni zona dello spazio. Non c'era nulla che rendesse questo principio logicamente necessario.
  2. La seconda giustificazione, più modestamente, si agganciava solamente all'uniformità con il passato: una legge che funzionava nel passato continua a funzionare ancora oggi. Hume però usando un ragionamento ricorsivo dimostrò questa giustificazione necessitava di ricorrere a sé stessa per essere dimostrata. Ancora una volta la tesi crollava.

Il problema è ancora aperto tutt'oggi. Hume credeva che questa idea fosse radicata nell'istinto umano e che sarebbe stato impossibile eliminarla dalla mente umana. Questa abitudine è però necessaria perché le scienze (e in particolar modo la fisica) continuino ad evolversi.

[modifica] La critica della sostanza corporea e psichica

Per Hume la sostanza non era altro che una "collezione di qualità particolari" ovvero un insieme di stimoli e di sensazioni empiriche provenienti dall'esterno cementate dal nostro intelletto fino a creare un'idea di ciò che stiamo analizzando, creandoci l'impressione che ciò esista anche nel momento in cui noi non lo percepiamo.

Nel suo iter filosofico Hume fece rientrare in questo ragionamento anche l'"io". Egli cercava infatti di scoprire quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno.
Ne concluse che anche la sostanza dell'"io" era soltanto un amalgama di sensazioni. Infatti, ogni volta che ci addentriamo nel nostro io, incontriamo sempre una qualche particolare sensazione (piacere, dolore, caldo, freddo) e se riuscissimo ad eliminare ogni singola sensazione del nostro io non resterebbe nulla.

Grazie a questo ragionamento Hume affermò anche l'inutilità del tentare di dimostrare l'immortalità dell'anima, in quanto del nostro io possiamo parlare soltanto in presenza di sensazioni.

[modifica] Lo scetticismo di Hume

Hume stesso si definiva scettico e pirroniano. Ma è uno scetticismo diverso rispetto a quello tradizionale: è assente infatti la sospensione del giudizio. Quella di Hume è più un'analisi razionale di ciò che la ragione può sapere, dei limiti in cui le pretese della ragione devono confinarsi: la ragione quindi diventa allo stesso tempo imputato, giudice e giuria.

Così, sebbene gran parte della conoscenza fenomenica si riduca soltanto ad una conoscenza probabile, Hume inserisce anche un campo di conoscenze certe, ovvero quelle matematiche, che sono indipendenti da ciò che realmente esiste e frutto soltanto di processi mentali.

Hume solca quindi soltanto dei confini alle pretese della ragione, sebbene molto drastici: il principio di causalità, l'esistenza del mondo esterno a noi, l'io e molti altri aspetti del mondo che fino a quel momento parevano ovvi e scontati vengono declassati a semplici "abitudini" e "credenze". Abitudini necessarie però alla vita umana. Crollava quindi quel meraviglioso castello di illusioni della metafisica razionalista che si era costruito negli anni precedenti.

Queste teorie verranno da lì a breve riprese e sviluppate dal filosofo tedesco Immanuel Kant.

[modifica] Morale e motivazione

Il linea con il suo attacco al ruolo che la ragione si era creata negli ultimi anni, Hume asserisce che anche la morale esce al di fuori del campo di giudizio della ragione. La morale è, come dirà lui stesso, una "questione di fatto, non di scienza astratta" e quindi inconoscibile nella sua essenza dalla ragione e, inoltre, segue percorsi autonomi dalla ragione.

La critica più alta che muove alla morale è quella di essere condizionata da eventi esterni che cercherebbero di dire aprioristicamente cosa sia giusto e cosa sia sbagliato (la religione è una di queste influenze): la bontà di un'azione è (e deve essere) del tutto indipendente dalla promessa di un premio e dal timore di una pena.

La morale si sviluppa grazie ad un'altro sentimento, quello della simpatia, grazie al quale ci sentiamo vicini ai nostri simili e ne condividiamo felicità e infelicità.

[modifica] Libero arbitrio e determinismo

Come tutti, anche Hume notò l'evidente conflitto fra determinismo e libero arbitrio, ovvero: se le tue azioni sono determinate già da miliardi di anni come è possibile poter essere liberi di scegliere? Ma non si fermò qui, Hume trovò un'altro conflitto che avrebbe portato il problema ad uno sbocco paradossale: il libero arbitrio è incompatibile con l'indeterminismo.

Se le tue azioni non fossero determinate dagli eventi passati, allora esse saranno completamente casuali e quindi saranno scollegate dal tuo carattere, i tuoi desideri, preferenze, valori, ecc... E allora come si potrebbe essere responsabili di azioni che non dipendono dal nostro carattere? E come si potrebbe ritenere qualcuno responsabile delle proprie azioni che, come abbiamo già detto, sono aleatorie?

Eccoci quindi giunti al paradosso. Il libero arbitrio è inconsistente con il determinismo ma allo stesso tempo lo richiede. Ecco un'altro aspetto della realtà che sfugge alla comprensione della ragione.

[modifica] Il conflitto fra "essere" e "dover essere"

Hume notò che molti scrittori parlavano spesso di "cosa dovrebbe essere" al posto di "cosa è". Ma fra la proposizione descrittiva "essere" e quella prescrittiva "dover essere" scorre un fiume di differenze. Hume mise in guardia gli scrittori da tali facili sostituzioni, soprattutto se accompagnate da una cattiva motivazione.

Ma come si può effettivamente motivare la derivazione di "dover essere" dall'"essere"? Hume ne concluse con l'impossibilità di tale derivazione. Questa questione, proposta da Hume in un piccolo paragrafo, è diventata negli ultimi anni la base della teoria etica.

[modifica] Opere

  • A Treatise of Human Nature: Being an Attempt to introduce the experimental Method of Reasoning into Moral Subjects. (1739–40)
    • Book 1: "Of the Understanding"
    • Book 2: "Of the Passions"
    • Book 3: "Of Morals"
  • An Enquiry Concerning Human Understanding (1748)
  • An Enquiry Concerning the Principles of Morals (1751)
  • Dialogues Concerning Natural Religion (postumo)
  • Essays Moral and Political (prima ed. 1741–2)
  • The History of England (1754–62)

[modifica] Altri progetti

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