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Ludwig van Beethoven - Wikipedia

Ludwig van Beethoven

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«Dal tubare della colomba allo scrosciare della tempesta, dall'impiego sottile dei sagaci artifici al tremendo limite in cui la cultura si perde nel tumultuante caos della natura, egli ovunque è passato, tutto ha sentito. Chi verrà dopo di lui non continuerà, dovrà ricominciare, perché questo precursore ha condotto l'opera sua fino agli estremi confini dell'arte.»
(Franz Grillparzer, orazione funebre, 29 marzo 1827)
Ludwig van Beethoven ritratto nel 1820 da Joseph Carl Stieler
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Ludwig van Beethoven ritratto nel 1820 da Joseph Carl Stieler

Ludwig Maria van Beethoven (Bonn, dicembre 1770 - Vienna, 26 marzo 1827) è uno dei più famosi e celebrati compositori di tutti i tempi.

Indice

[modifica] Biografia

[modifica] L'organista di Bonn

La casa natale di Bonn
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La casa natale di Bonn

Ludwig van Beethoven nasce nella casa di Bonngasse 20, secondo di sette fratelli - di cui solo tre superarono la prima infanzia - da Johann van Beethoven (1740 - 1792) e da Maria Magdalena Keverich (1744 - 1787); non se ne conosce l'esatta data di nascita ma solo che fu battezzato il 17 dicembre nella Remigiuskirche di Bonn.

Il padre era tenore nella Cappella musicale della corte di Bonn del principe elettore di Colonia e fu il primo maestro di Ludwig; dopo avergli insegnato il poco che sapeva e aver cercato invano di presentare il piccolo Ludwig come bambino prodigio in concerti pubblici, lo affidò dapprima a un tale Tobias Pfeiffer, suo compagno di interessi enologici più che musicali, e successivamente all'organista di Corte Aegidius van der Aeden, al violinista Franz Georg Rovantini, cugino di Maria Magdalena e al francescano Willibald Koch.

Ma il suo primo, vero maestro fu il nuovo organista di Corte Christian Gottlob Neefe, musicista moderno e colto, seguace di Carl Philipp Emanuel Bach e, come didatta, dell'insegnamento del Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach. Nel marzo 1783 così valutava in un articolo il proprio allievo:

«Louis van Beethoven è un ragazzo di undici anni dal talento assai promettente. Suona il pianoforte con molta abilità e potenza, legge molto bene a prima vista e suona soprattutto il Clavicembalo ben temperato di Sebastian Bach che il signor Neefe gli ha messo fra le mani [...] Ora gli sta insegnando composizione e per incoraggiarlo gli ha fatto pubblicare a Mannheim nove Variazioni per pianoforte scritte da lui su una Marcia di Ernst Christoph Dressler. Questo giovane genio ha bisogno di essere aiutato a continuare gli studi».

Sono le Nove Variazioni in do minore. opera 63, del 1782, cui seguono, nel 1783, le Tre Sonate dell'opera 47. L'amico d'infanzia Franz Gerhard Wegeler lo introduce nella casa di Helene Breuning, vedova di un consigliere di Corte, che richiedeva un insegnante di pianoforte per i propri figli: è un ambiente intellettuale, fine e cordiale, dove si discute di arte e di letteratura, e dove il giovanissimo insegnante, scriverà Wegeler,

«fu subito trattato come uno della famiglia [...] Là si sentiva libero, là si comportava con disinvoltura, tutto concorreva a farlo contento e a sviluppare la sua personalità [...] La signora Breuning aveva il più grande dominio su quel ragazzo spesso stravagante e scontroso».

Nel 1784, nuovo elettore è l'"illuminato" arciduca Maximilian Franz d'Asburgo, fratello dell'imperatore Giuseppe II e Gran Maestro dell'Ordine dei Cavalieri Teutonici che, dopo aver abolito la tortura e promesso una riforma giudiziaria, si occupa della Cappella di musica: aumenta lo stipendio di Johann padre, benché questi abbia ormai quasi perduto la voce, e nomina Ludwig, che "dimostra buone capacità, è ancora giovane, di condotta discretamente buona e povero", secondo organista di Corte con uno stipendio annuo di 150 fiorini.

Franz Joseph Haydn ritratto da Thomas Hardy
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Franz Joseph Haydn ritratto da Thomas Hardy

Conosce il conte Ferdinand Waldstein che gli favorisce, nella primavera del 1787, una permanenza a Vienna - della quale non sappiamo nulla, se non la leggenda del suo incontro con Mozart - interrotta nel luglio dalla morte la madre, alla quale segue, in settembre, quella della sorellina di un anno. Nel 1789 s'iscrive all'Università di Bonn, fondata tre anni prima, per soddisfare quelle curiosità intellettuali indispensabili per chi, come lui, non si sente uno stipendiato di Corte ma un artista indipendente.

Nel luglio 1792 Haydn, il maggior musicista tedesco vivente, visita Bonn. Dopo il concerto tenuto in suo onore, gli viene presentato il giovane secondo organista di Corte, che gli offre in esame la sua Cantata per la morte di Giuseppe II; Haydn gli promette di aiutarlo a Vienna nello studio e nel lavoro.

Beethoven lo prende in parola: favorito dal permesso dell'elettore, che gli conserva in ogni caso il posto di organista e lo stipendio, saluta i fratelli Karl e Johann, verso i quali ha i compiti di capofamiglia, essendo il padre alcolizzato ormai interdetto; raccolti in un album gli auguri degli amici - la ventenne allieva Leonore Breuning gli scrive versi di Herder: Che l'amicizia con il bene cresca / come si allunga l'ombra della sera / finché sia spento il sole della vita, mentre Waldstein è pomposamente profetico: Sia Lei a ricevere, in grazia di un lavoro ininterrotto, dalle mani di Haydn lo spirito di Mozart - la mattina del 3 novembre 1792 Ludwig lascia per sempre la sua città.

[modifica] Nella capitale dell'Impero e della musica

Da poco arrivato a Vienna, lo raggiunge la notizia della morte del padre, avvenuta il 18 dicembre 1782 e la fuga del principe elettore da Bonn, conquistata dall'esercito francese, perdendo così sia la pensione del padre che il suo stipendio di organista. Grazie alle lettere di presentazione del conte Waldstein, conosce tuttavia il funzionario della Corte viennese, barone Nikolaus Zmeskall, i principi Joseph Lobkowitz, Karl Lichnowsky e Joseph Schwarzenberg, la contessa Maria Wilhelmina Thun. Può così essere protagonista nei frequenti concerti tenuti nei palazzi nobiliari e in quelli pubblici promossi da aristocratici mecenati, ove esibisce grande tecnica pianistica e facilità d'improvvisazione.

Significativa è la testimonianza del compositore boemo Johann Wenzel Tomáŝek, che lo ascoltò nel 1797 suonare il Concerto in do maggiore op. 15 e la Sonata in la maggiore n° 2 op. 2:

«Lo stupefacente modo di suonare di Beethoven, così notevole per gli arditi sviluppi della sua improvvisazione, mi toccò il cuore in modo insolito: Mi sentii così profondamente umiliato nel mio più intimo essere da non poter più toccare il pianoforte per diversi giorni [...] Certo, ammirai il suo stile vigoroso e brillante, ma i suoi frequenti e arditi salti da un tema all'altro non mi convinsero affatto; distruggevano l'unità organica e lo sviluppo graduale delle idee [...] la stranezza e l'ineguaglianza sembravano essere per lui lo scopo principale della composizione».

La stessa critica di questo mozartiano chiarisce quanto Beethoven fosse già lontano dal tradizionale modello della sonata.

Johann Georg Albrechtsberger
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Johann Georg Albrechtsberger

Haydn si occupa poco e di malavoglia dell'istruzione del promettente allievo - che soprannomina Gran Mogol per il suo aspetto vagamente asiatico - verso il quale prova un'appena dissimulata antipatia, del resto ricambiata, e non ne condivide le tendenze artistiche; quando il vecchio maestro parte nel febbraio 1794 per Londra, i loro rapporti s'interrompono definitivamente.

Molto più utili gli sono gli insegnamenti di Johann Georg Albrechtsberger (1736 - 1809), organista di Corte e maestro di Cappella della Cattedrale di Santo Stefano - ironicamente definito da Beethoven espertissimo nell'arte di fabbricare scheletri musicali - la cui grande esperienza nel contrappunto polifonico gli tornerà tuttavia molto utile.

Nel 1795 tiene il suo primo concerto pubblico, eseguendo il proprio Concerto per pianoforte in si bem. magg. op. 19, il Concerto in re min. K 466 di Mozart e le consuete improvvisazioni. Ormai si è imposto fra gli appassionati di Vienna come un "caso" musicale: agli ammiratori entusiasti si oppongono i detrattori incondizionati come il mozartiano abate Maximilian Stadler, che definisce le sue opere assolute assurdità, e i critici, conservatori ma ponderati, come Giuseppe Carpani che, nelle sue Haydine, ovvero lettere sulla vita e le opere del celebre maestro Giuseppe Haydn, scrive di Beethoven:

«Un suo bellissimo Settimino, i primi Trio, le prime Sonate, i primi Concerti per cembalo che diede alle stampe; l'unire ch'ei fece in que' suoi lavori veramente pregevolissimi lo stile di Haydn a quello di Mozart, provano quanto fossero fondate le mie speranze. Ma vorrà egli porre un freno alla sua fantasia? Vorrà darle un ordine, una misura, un carattere? Vorrà anteporre la bellezza alla singolarità? Vorrà cessare di essere il Kant della musica? In una parola: vorrà farsi un sistema chiaro, intelligibile, sensato, e seguirlo? Certo è che in questa sfera di composizioni la natura gli ha dato dei doni che all'Haydn e al Mozart soli sembrava aver riservato. Ma egli, invece di farne uso moderato e saggio, dilapida e distrugge il suo patrimonio»

[modifica] Gli amori

Nel maggio 1799 Beethoven divenne insegnante di pianoforte di due figlie della contessa Anna von Seeberg, vedova von Brunswick, la ventiquattrenne Therese o Thesi e la ventenne Josephine o Pepi, oltre che di una cugina di queste, la sedicenne Giulietta Guicciardi. Quest'ultima, cui dedica la famosa Sonata in do diesis min. n° 2, op. 27, per pianoforte, detta Al chiaro di luna, scriveva nel 1801 alla cugina Therese:

«Consigliami tu, così fredda e saggia! Avrei tanta voglia di sbarazzarmi del mio fidanzato, il Gallenberg, e sposarmi quell'adorabile bruttone di Beethoven...se solo non dovessi per questo scendere tanto in basso!».

E Beethoven, il 16 novembre 1801, all'amico Wegeler:

«...una cara ragazza incantevole, che mi ama e che amo. In due anni, sono questi i soli momenti beati ed è la prima volta che sento che sposarsi potrebbe rendermi felice. Purtroppo, essa non è della mia condizione sociale».

Beethoven dipinto da Willibrord Joseph Mãhler nel 1804
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Beethoven dipinto da Willibrord Joseph Mãhler nel 1804

Ma Giulietta cadrà ugualmente in basso: sposata proprio al conte Robert Wenzel Gallenberg il 30 novembre 1803, si stabilirà a Napoli con lui, divenuto direttore dei balletti di Corte. Faranno entrambi ritorno a Vienna nel 1821, dove il conte, pieno di debiti, divenuto archivista di un teatro, si metterà in urto con Beethoven, rifiutando di prestargli una partitura della sua stessa opera, il Fidelio, mentre la moglie incontrerà per l'ultima volta il musicista per ricordargli il loro passato e chiedergli 500 fiorini in prestito.

Anche Josephine von Brunswick si sposò il 29 giugno 1799 con il conte Joseph von Deym, rimanendone però vedova, con tre figli, nel gennaio 1804 e Beethoven continuò a frequentarla sia prima che dopo la vedovanza. In una lettera del 1805 le scrive:

«Non è l'attrazione dell'altro sesso che mi attira in lei, no, soltanto lei, tutta la sua persona con tutte le sue qualità hanno incatenato il mio rispetto, i miei sentimenti tutti, la mia sensibilità intera. Quando mi accostai a lei, mi ero formato la ferma decisione di non lasciar germogliare neanche una scintilla d'amore. Ma lei mi ha sopraffatto [...] mi lasci sperare che il suo cuore batterà a lungo per me. Di battere per lei, amata J., questo mio cuore non cesserà se non quando non batterà più del tutto».

E si pensa che lei, che si risposò nel 1810 con il barone Cristoph von Stackelberg per esserne abbandonata nel 1812, sia stata la destinataria della famosa lettera di Ludwig all' immortale amata, scritta a Teplitz il 6 e 7 luglio 1812:

«[...] Anche a letto i miei pensieri corrono a te, mia immortale amata, talvolta sereni, poi di nuovo tristi, in attesa di saper se il destino ci esaudisca, Non posso vivere che con te, oppure assolutamente senza di te. Sì, ho deciso di andare ramingo lontano, finché potrò volare tra le tue braccia e dirmi completamente tuo, e poi inviare la mia anima, circondata da te, nel regno degli spiriti. Sì, purtroppo dev'essere così. Tu ti farai forte, tanto più conoscendo la mia fedeltà per te. Mai nessun'altra donna potrà possedere il mio cuore, mai, mai. Oh Dio, perché doversi allontanare da ciò che si ama tanto? Eppure la mia vita a Vienna è una misera vita [...] Sii tranquilla! Solo con la serena considerazione della nostra esistenza possiamo raggiungere il nostro scopo, vivere insieme. Sii tranquilla! Amami! Oggi, ieri, quali lacrime, quale desiderio di te, te, te! mia vita, mio tutto! Addio! Continua ad amarmi e non disconoscere mai il cuore fedele del tuo amato Ludwig. Eternamente tuo, eternamente mia, eternamente nostri».

Il 9 aprile 1813, con grande scandalo della famiglia, Josephine diede alla luce una bambina, Minona, certamente non figlia del barone von Stackelberg: pertanto, la possibilità che Beethoven sia stato il padre di quella bambina non è da escludere.

Beethoven accarezzò nel 1810 anche l'idea di sposarsi con Therese Malfatti, ventunenne nipote di un noto medico dell'epoca, lucchese trasferitosi a Vienna , alle cui cure si rivolgeva, ma il progetto non si realizzò.

[modifica] La sordità

Nel 1798 Beethoven cominciò ad avvertire i primi disturbi all'udito, caratterizzati inizialmente da ronzii che, estesisi dall'orecchio sinistro al destro, diminuirono progressivamente le sue capacità uditive fino alla totale sordità dal 1818. Da quanto si è dedotto sulla scorta dell'autopsia, eseguita il 27 marzo 1827, il nervo acustico del musicista era completamente atrofizzato e pertanto nessuna cura gli sarebbe stata efficace.

Finché poté, nascose a tutti la sua condizione, tranne che a pochissimi amici, come il giovane teologo Karl Amenda, bibliotecario del principe Lobkowitz, al quale scriveva l'1 giugno 1801:

«Già quando tu eri con me, sentivo i primi sintomi e tacevo; ora è divenuto sempre più terribile. Per sapere se potrò guarire, si dovrà ancora aspettare. Dipenderà dalla condizione del mio stomaco: ma per quanto riguarda quest'altra malattia, io se sono quasi del tutto guarito. Se anche l'udito migliorerà, lo spero ma è difficile: queste malattie sono le più incurabili. Ora devo vivere tristemente, evitare tutto ciò che mi era caro e gradevole...Come sarei felice ora se avessi l'udito intatto. Allora mi precipiterei da te; ma così, devo rimanere lontano da tutti. I miei migliori anni passeranno senza poter compiere tutto quel che il mio talento e le mie forze m'avrebbero permesso. Triste rassegnazione in cui devo cercare rifugio!».

E al Wegeler, quello stesso mese:

«[...] da tre anni il mio udito è divenuto sempre più debole [...] un asino di medico mi consigliò bagni freddi, un altro più intelligente, bagni normali di acqua tiepida del Danubio: questi hanno fatto miracoli, l'intestino è migliorato, il mio udito è però peggiorato [...] conduco una vita misera; da due anni evito quasi ogni compagnia, perché non mi è possibile dire alla gente: sono sordo. Se mi dedicassi a un'altra professione, potrebbe ancora passare, ma per me è una condizione spaventosa. Cosa mai direbbero i miei nemici, il cui numero non è certo piccolo? Per darti un'idea di questa impressionante sordità, ti dico che a teatro devo mettermi vicinissimo all'orchestra per sentire gli attori. Se mi trovo un po' lontano, non sento più i suoni acuti degli strumenti e delle voci. Nella conversazione non c'è da meravigliarsi che vi sia gente che non se ne sia mai accorta, perché sono spesso molto distratto, e così mi si considera. A volte sento appena chi parla a bassa voce, sento il suono ma non le parole; eppure, appena qualcuno grida, mi riesce insopportabile [...]».

La Pfarrplatz di Heiligenstadt nel 1900
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La Pfarrplatz di Heiligenstadt nel 1900

Nel maggio del 1802 il dottor Johann Adam Schmidt, professore di anatomia all'Accademia di Vienna, gli consiglia un periodo di riposo in campagna; si ritira nel villagio di Heiligenstadt, ora sobborgo viennese, il 6 ottobre 1802 scrive quello che è stato chiamato il Testamento di Heiligenstadt:

«Per i miei fratelli Karl e [Johann] Beethoven O voi uomini che mi credete ostile, scontroso, misantropo o che mi fate passare per tale, come siete ingiusti con me, non sapete la causa segreta di ciò che è soltanto un'apparenza, il mio cuore e la mia mente erano sin dall'infanzia inclini al tenero sentimento della benevolenza, e avrei anche sempre voluto compiere grandi azioni, ma pensate solo che da sei anni sono colpito da un male inguaribile [...]

Nato con un temperamento ardente e vivace, persino aperto alle distrazioni della vita sociale, ho dovuto presto isolarmi, vivere in solitudine, ogni tanto ho ben cercato di superare tutto ciò, ma l'esperienza doppiamente mortificante del mio cattivo udito mi ha duramente richiamato alla realtà, come avrei infatti potuto dire agli uomini: parlate più forte, gridate, perché sono sordo! Come poter confessare la debolezza di un senso. che dovrei possedere molto più degli altri, un senso che un tempo possedevo in realtà al più alto grado di perfezione, come pochi altri del mio mestiere possiedono o hanno mai posseduto! No, non posso! Perdonatemi quindi se mi vedrete stare in disparte là dove invece mi mescolerei così volentieri con voi.

La mia disgrazia mi fa doppiamente male perché vengo inoltre malgiudicato, per me il piacere di stare in mezzo alla gente, di partecipare a conversazioni intelligenti, a proficui scambi di vedute, non esiste, e quando è veramente indispensabile avere a che fare con la società, devo restare quasi completamente solo, vivere come un esiliato, se mi avvicino a qualcuno, sono subito terrorizzato al pensiero che possa in qualche modo accorgersi della mia condizione.

L'autografo del Testamento di Heiligenstadt
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L'autografo del Testamento di Heiligenstadt

Così è stato negli ultimi sei mesi che ho trascorso in campagna seguendo il consiglio del mio bravo medico di affaticare i miei orecchi il meno possibile, egli veniva così incontro alle mie attuali inclinazioni, anche se di tanto in tanto mi sono lasciato sviare dal mio istinto socievole, ma che umiliazione quando qualcuno accanto a me udiva di lontano il suono di un flauto e io nulla o qualcuno udiva un pastore cantare e io sempre nulla!

Questi fatti mi portavano al limite della disperazione e poco ci mancò che non mi togliessi la vita solo l'arte mi ha trattenuto dal farlo; mi è parso impossibile lasciare questo mondo prima di avere pienamente realizzato ciò di cui mi sentivo capace, così ho prolungato questa vita miserabile, veramente miserabile, con un corpo così sensibile che qualsiasi cambiamento un po' brusco può trasformare il mio stato di salute da ottimo a pessimo.

[...] aggiungete a questa storia della mia malattia il presente scritto, in modo che almeno il mondo possa quanto più riconciliarsi con me contemporaneamente vi dichiaro entrambi eredi del mio piccolo patrimonio (se così lo si può definire), dividetevelo onestamente e sopportatevi e aiutatevi l'un l'altro, ciò che avete fatto contro di me, lo sapete, ve l'ho già da molto tempo perdonato; a te mio fratello Karl, un grazie particolare per l'attaccamento che mi hai dimostrato in questi ultimi tempi; vi auguro una vita migliore e meno carica di affanni della mia, raccomandate ai vostri figli la virtù, essa sola può rendere felici, non il denaro [...]

Con gioia vado incontro alla morte. Ma se essa mi coglierà prima che abbia avuto occasione di sviluppare interamente i miei talenti artistici, sarebbe per me, malgrado il mio duro destino, troppo presto e vorrei che venisse più tardi. E tuttavia sarei contento lo stesso. Non mi libererebbe forse da uno stato di infinita sofferenza? Vieni quando vuoi, ti vado intrepidamente incontro. Addio, non dimenticatemi completamente quando sarò morto, me lo sono meritato perché nella mia vita ho spesso pensato di rendervi felici, siatelo! [...]».

[modifica] Gli anni "eroici"

Napoleone I ritratto da Ingres nel 1806
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Napoleone I ritratto da Ingres nel 1806

Iniziata nel breve periodo di Heiligenstadt, termina la sua Terza Sinfonia nel 1805, dandone pubblica rappresentazione a Palazzo Lobkowitz il 7 aprile 1805. Concepita per essere un omaggio al Bonaparte Primo Console, considerato figlio della Rivoluzione francese, e dunque portatore di ideali illuministici di democrazia, quando questi, nel 1804, si proclama Napoleone I, imperatore dei Francesi, Beethoven ne muta il titolo in Sinfonia Eroica, composta per festeggiare il ricordo di un grand'Uomo.

Sono anni d'intensa attività creativa, nei quali vedono la luce la Quarta, Quinta e Sesta Sinfonia, l'opera Leonora che, intensamente elaborata, assumerà il titolo di Fidelio, la Messa in do, le Sonate per pianoforte op. 53 Aurora, op. 54, op. 57 Appassionata, op. 78, op. 79 e op. 81, il Quarto e Quinto Concerto per pianoforte, i Tre Quartetti Razumowski op. 59.

Ė circondato da una corte di allievi, di ammiratori, di serventi - i famuli - che lo adulano, spesso lo irritano, ma anche lo aiutano nelle pratiche faccende quotidiane per le quali non è portato e ne è ostacolato dalla sua infermità. I suoi fratelli lo hanno raggiunto a Vienna: Karl è cassiere nella Banca Nazionale e ha sposato una donna di dubbia moralità, Johanna Reis, figlia di un tappezziere, mentre l'altro fratello, che Ludwig non sopporta, ha aperto una farmacia a Linz e convive con Therese Obermayer, figlia di un fornaio. Si impiccia degli affari dei fratelli, litiga con lo loro e con le cognate, tanto che Johann, per far tacere lo scandalo suscitato da Ludwig, sposa Therese.

Nel 1806 ha un violento litigio col principe Lichnowski che, per intrattenere gli ospiti, lo aveva pregato di fare un po' di musica: perde così i 600 fiorini che il principe mecenate gli donava annualmente. Fa allora domanda di impiego come compositore alla Direzione dei Teatri Imperiali: Beethoven, in uno stile di ossequiosa altezzosità,

«si prende la libertà di dichiararsi pronto a questo engagement e di presentare con il massimo ossequio a questa Onorevole Direzione le seguente condizioni, col beneplacito di accettarle o no: 1) il sottoscritto si obbliga a comporre annualmente almeno una grande opera scelta concordemente con l'Onorevole Direzione; pretende uno stipendio fisso di 2.400 fiorini annuali e il libero incasso della terza rappresentazione di ciascun'opera; 2) il sottoscritto s'impegna a consegnare annualmente e gratuitamente un'operetta o un divertissement [...]».

La domanda non è accolta e tre anni dopo Beethoven pensa di lasciare Vienna per sistemarsi a Kassel, alla corte di Girolamo Bonaparte, creato re di Westfalia dal fratello Napoleone. Per impedire questa possibilità, l'intima amica contessa Anna Marie Erdödy e il conte Ignaz Gleichenstein si appellano all'aristocrazia viennese perché finanzi il musicista con l'unica condizione che resti a Vienna: l'1 marzo 1809 i principi Ferdinand von Kinsky e Joseph Max von Lobkowitz e l'arciduca Rodolfo, fratello minore dell'imperatore Francesco I, sottoscrivono l'impegno a versare a Beethoven una rendita annua di 4.000 fiorini.

Goethe ritratto da Johann Tischbein
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Goethe ritratto da Johann Tischbein

Nel 1810 conosce in casa di un comune amico Bettina Brentano - sorella di Clemens e futura moglie del poeta Achim von Arnim - giovane ed esuberante intellettuale, entusiasta di Goethe, che frequenta e con il quale tesse una fitta corrispondenza; il 28 maggio scrive al poeta di Beethoven e questi due grandi spiriti entrano in comunicazione; il 12 aprile 1811 Beethoven scrive a Goethe offrendogli la partitura dell' Egmont e dal 19 al 23 luglio 1812 si frequentano nella località termale di Teplitz. Goethe, al quale la musica di Ludwig rimarrà sempre sostanzialmente estranea, scriverà qualche mese dopo che

«Il suo ingegno mi ha stupefatto; ma egli è purtroppo una personalità del tutto sfrenata, che se non ha certamente torto nel trovare detestabile il mondo, non si rende così più gradevole a sé e agli altri».

Beethoven è molto più duro: il 9 agosto scrive ai suoi editori Breitkopf e Haertel che

«A Goethe piace troppo l'aria di Corte; piace più di quanto si convenga a un poeta. Non c'è da dire molto di più sulle ridicolaggini dei virtuosi, quando dei poeti che dovrebbero essere considerati i primi maestri della nazione dimenticano tutto per codesti orpelli».

E i due non si vedranno più.

[modifica] La Restaurazione

Il Congresso di Vienna, incisione di Jean Godefroy
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Il Congresso di Vienna, incisione di Jean Godefroy

Se non ama i cortigiani, è però lusingato dalla curiosità che i potenti dell'Europa, riuniti nel 1814 a Vienna per riportare indietro l'orologio della Storia, gli riservano; scrive la Sinfonia per la vittoria di Wellington, che gli rende molto denaro e alla loro presenza, il 25 gennaio 1815 suona per l'ultima volta pubblicamente il pianoforte nel Quinto Concerto.

Il 15 novembre 1815 muore suo fratello Kaspar, lasciando tutori del figlio Karl, di 9 anni, la madre e lo zio Ludwig. Egli cerca di sottrarre il nipote dalla tutela della madre, che giudica indegna, con un seguito di liti giudiziarie fino alla decisione del tribunale, l'8 aprile 1820, di affidare il ragazzo al solo zio; è però impari al suo compito, gli fa morali astratte e non comprende la psicologia del ragazzo.

L'anno dopo comincia la composizione della Nona Sinfonia e della Missa Solemnis, due dei maggiori capolavori. Con il sopraggiungere della totale sordità, i suoi interlocutori scrivono su appositi quaderni - noti con il nome di Quaderni di conversazione: dei quattrocento originari, ne sono conservati centotrentasei: il segretario tuttofare Anton Schindler, avvocato e musicista, che tanta parte avrà negli ultimi anni di vita di Beethoven, avutili in custodia dopo la sua morte, ne distruggerà gran parte giustificandosi col fatto che

«contenevano gli attacchi più grossolani e più sfrenati sia contro l'imperatore sia contro il principe ereditario, ora imperatore e contro altri illustri membri della famiglia imperiale. Quest'ultimo era purtroppo un soggetto di cui Beethoven, notoriamente in costante rivolta contro le autorità superiori, contro le leggi e le ordinanze, si compiaceva volentieri nella conversazione».

Rossini - che nel 1817 considerava Beethoven un corruttore del gusto musicale e le sue opere prive di unità e naturalezza, è a Vienna nel 1822 e sosterrà - una circostanza smentita da altre fonti, che riferiscono di una richiesta di incontro al quale il tedesco si sarebbe negato - di aver incontrato Beethoven, che avrebbe avuto alcune parole di elogio, quando è certo che egli non apprezzò mai il musicista italiano, che arriverà a definire "imbrattacarte". Il dodicenne Liszt invece incontrò certamente Ludwig nell'aprile 1823 ma anche questa volta la pittoresca e gratificante descrizione dell'incontro fatta anni dopo dall'interessato non sembra corrispondere affatto alla realtà.

Un altro musicista, Carl Maria von Weber, visita Beethoven nell'ottobre 1823, scrivendo poi dell'affettuosa accoglienza ricevuta. Ma anche per Weber Beethoven ha delle riserve, se dirà che

«il mondo ha perduto la sua innocenza, e senza innocenza non si crea e non si gode di alcuna opera d'arte. La parola d'ordine ai nostri giorni è la critica, e Weber è un compositore critico». Riserve del resto ricambiate, dal momento che Weber non apprezzerà le ultime opere del maestro.

Chi non osa mai avvicinarlo, pur ammirandolo incondizionatamente, è il timido Schubert, che gli porta a casa, senza farsi vedere, le sue Variazioni op. 10 e scortolo da lontano mentre fuma la pipa, seduto da solo al tavolo di una locanda viennese, lo indica agli amici dicendo

«Egli sa tutto, ma non possiamo ancora capire tutto e passerà ancora molta acqua sotto i ponti del Danubio prima che tutto ciò che quell'uomo ha creato sia compreso dal mondo».

[modifica] I ritratti

Gia ritratto da Joseph Willibrord Mãhler nel 1805 e da Johann Cristoph Heckel nel 1815 – i due ritratti, specie quest’ultimo, sono probabilmente i più veritieri perché privi di abbellimenti di circostanza – e conquistata il musicista meritata fama in tutta Europa, altri pittori si offrono di immortalarne l’immagine: il berlinese August von Kloeber lo ritrae nel 1818 non prima di averlo spettinato sapientemente, in modo da dargli quell’aspetto fra l’eroico e il demoniaco che ormai il mito romantico pretendeva attribuire alla sua figura. E tale aspetto piace a Beethoven, che dichiara di non amare essere ritratto "tirato a lucido, come se stessi per prendere servizio a corte". Il dipinto è perduto ma ne resta il disegno preparatorio.

Beethoven ritratto da Ferdinand Waldmûller nel 1823
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Beethoven ritratto da Ferdinand Waldmûller nel 1823

Nello stesso anno si fa ritrarre dall’ungherese Ferdinand Schimon, che aveva già ritratto Ludwig Spohr e Weber e che pochi anni dopo intraprenderà la carriera di cantante. Ne riproduce la fronte ampia, il volto pieno e il mento a conchiglia, migliorando magari un popola forma del naso e soprattutto facendogli volgere lo sguardo scrutatore in spazi lontani e indeterminati.

Dal pittore accademico Joseph Karl Stieler, che ha dipinto re e principesse, occorre, se si vuole essere ritratti, posare nello studio; e per Beethoven, che sembra intimidito dall’allora famoso artista, sono lunghe ore di sofferenza in posa, immobile, in giorni ripetuti. Finita nell’aprile del 1820 l’opera, che lo rappresenta mentre compone la sua Missa, benché eseguita con cura come ci si attende da un pittore alla moda, nobilita romanticamente la figura del musicista ma non riesce a dargli espressione di forza interiore. Corrisponde poco, per esempio, alla descrizione che il dottor Wilhelm Muller fece quello stesso anno del suo volto:

«Nella sua apparenza esteriore tutto è possente, rude, in molti aspetti, come la struttura ossea del viso, della fronte alta e spaziosa, del naso corto e diritto, con i suoi capelli arruffati e raggruppati in grosse ciocche. Ma la bocca è graziosa e i suoi begli occhi parlanti riflettono in ogni istante i suoi pensieri e le sue impressioni che mutano rapidamente, ora graziose, amoroso–selvagge, ora minacciose, furenti, terribili».

Un ultimo ritratto fu eseguito nel 1823 da Ferdinand Waldmûller: perduto l’originale, ne resta una copia che ci trasmette l’immagine di un uomo che, lontano da ogni illusione romantica, appare un solitario che non maschera nemmeno un'amara delusione.

[modifica] Gli ultimi anni

Il 1824 è l’anno delle rappresentazioni dei suoi capolavori orchestrali: la Missa Solemnis, a San Pietroburgo il 6 aprile 1824, per interessamento del principe Boris Galitzin cui Beethoven dedicherà i suoi ultimi Quartetti, e la Nona Sinfonia a Vienna, il 7 maggio, con successo di critica ma insuccesso finanziario, dal momento che le spese di rappresentazione assorbono tutto l’incasso. La circostanza offre a Beethoven l’occasione di un’ennesima penosa scenata contro lo Schindler, accusato ingiustamente di esserne il principale responsabile.

Il Galitzin, che scrisse a Beethoven, dopo la rappresentazione della Missa che

«Il vostro genio ha superato i secoli e non vi sono forse uditori abbastanza illuminati per gustare tutta la bellezza di questa musica; ma saranno i posteri che renderanno omaggio e benediranno la vostra memoria molto più di quanto possano fare i contemporanei»,

lo aveva già invitato, il 25 gennaio 1823 a comporgli dei quartetti; la stessa richiesta gli perviene nel febbraio e in marzo dagli inglesi Charles Neate e Edward Peters. Il risultato - dopo tanta esibizione di sonorità orchestrale, quasi sentisse il bisogno di un ripiegamento in sentimenti più segreti, posti in regioni meno accessibili dello spirito, a esplorare, come Faust, le geheime tiefe Wunder seiner Brust, le segrete e profonde piaghe del petto - è la pubblicazione nel 1825 dei Quartetti op. 127, 130, 132 e l’anno dopo dei Quartetti op. 131 e 135.

Il 15 ottobre 1825 si trasferisce nel suo trentesimo e definitivo appartamento viennese, al numero 15 della Schwarzspanierstrasse, due stanze che fanno parte dell’ex convento degli Spagnoli Neri, lungo le Mura di Vienna. La sua salute, minata dalla cirrosi epatica, è peggiorata, e la dieta, a base di uova e di vino, non può certo dargli giovamento; neanche possono contribuire al miglioramento delle condizioni del suo fegato i frequenti litigi col nipote Karl, che un giorno gli scrive:

«Tu trovi che sia testardaggine la mia, quando, dopo avermi immeritatamente rimproverato per ore, non riesco a passare subito dall’amaro sentimento di dolore all’indifferenza e allo scherzo. Non sono così leggero come pensi».

Il 29 luglio 1826, a Baden-Baden, Karl si spara un colpo di pistola, restando ferito solo leggermente, e giustifica il suo gesto col fatto di non aver più sopportato i continui rimproveri dello zio che, sconfortato, dopo aver rinunciato alla sua tutela in favore dell’amico Stephan Breuning, lo fa arruolare in un reggimento di fanteria, comandato dal suo amico barone Joseph von Stutterheim.

In attesa che Karl parta per la sua destinazione a Iglau, in Moravia, zio e nipote vanno a trascorrere una vacanza ospiti, ma dietro pagamento, di Johann Beethoven, a Gneixendorf; un prevedibile litigio fra i due fratelli la interrompe il 2 dicembre 1826 e Ludwig torna a Vienna su un carro scoperto, in una notte di pioggia.

La tomba di Beethoven
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La tomba di Beethoven

Guarisce a fatica dalla conseguente polmonite e da un attacco di itterizia, ma ormai è costretto sempre a letto; il 3 gennaio 1827 fa testamento, nominando Karl suo erede. E’ afflitto anche dall’idropisia e deve sottoporsi a un’operazione che gli rimuova l’acqua accumulata.

Sono ormai gli ultimi giorni della sua vita: il 23 marzo riceve l’Estrema Unzione e il giorno dopo perde conoscenza. Il pomeriggio del 26 marzo è assistito dalla moglie del fratello Johann e dal musicista Anselm Huettenbrenner che così descrive i suoi ultimi istanti:

«Beethoven alle diciassette giaceva senza conoscenza, lottando con la morte, quando un lampo improvviso, accompagnato da un tuono, illuminò la stanza in modo impressionante: sui tetti di fronte alla finestra scendeva la neve. A questo straordinario fenomeno della natura, che mi turbò grandemente, Beethoven spalancò gli occhi; alzò la mano destra a pugno chiuso e con aria fiera e minacciosa fissò per qualche secondo il vuoto davanti a sé. Quando la mano ricadde sul letto, gli occhi rimasero semiaperti. Allora sollevai con la destra la sua testa e appoggiai la sinistra sul suo petto: non respirava e il cuore s’era fermato».

Dopo la cerimonia funebre svoltasi nella chiesa di Santa Trinità, un corteo di almeno 20 000 persone lo accompagna nel cimitero viennese di Währing: i musicisti, tra cui Schubert, - che morirà l'anno seguente e verrà sepolto accanto a Beethoven - accompagnano il feretro, reggendone i cordoni e portando fiaccole e ceri.

Si dice che a un forestiero che, di fronte a tanta partecipazione di folla, chiedeva chi fosse mai il defunto, una donna rispondesse:

«Bisogna che lei venga davvero da molto lontano per non sapere che è morto il generale dei musicanti».

[modifica] L'opera

[modifica] La forma-sonata

Nel Settecento viene elaborata la forma del primo tempo della sonata, con l'esposizione di due temi in diverse tonalità che, articolandosi in trapassi modulanti, giungono alla riesposizione nella tonalità principale.

Frutto della collaborazione inconsapevole di molti compositori, italiani e tedeschi, essa si sviluppa quanto più le capacità espressive del clavicembalo si esauriscono e aumentano quelle del pianoforte, inventato nel 1702 dal fiorentino Bartolomeo Cristofori, che al suono tintinnante e immediatamente smorzato delle corde pizzicate di quello sostituisce il suo suono colorito e prolungato.

Con una formazione culturale d’impronta illuministica, kantiana in particolare, dal filosofo della Critica della Ragion pratica Beethoven trasse la concezione dell’esistenza, nella coscienza individuale, di una legge morale, espressa nella forma dell’imperativo categorico. Egli mise allora il risultato della propria essenziale attività, la musica, al centro della morale, inserendovi valori ideali, arricchendola di una forza emotiva che esprimesse il movimento dei sentimenti e i conflitti interiori.

Dallo stesso autore dei Fondamenti metafisici della scienza della natura annotò quel passo:

«Nell’anima, come nel mondo fisico, agiscono due forze, egualmente grandi, ugualmente semplici, desunte da uno stesso principio generale: la forza di attrazione e quella di repulsione»

che lo portarono a individuare per analogia il widerstrebende Prinzip e il bittende Prinzip, il principio di opposizione e il principio implorante, principi che nella sua opera divengono temi musicali in conflitto reciproco, il primo robustamente caratterizzato da energia ritmica e precisa determinazione tonale, l’altro piano, melodico e modulante.

Nella lotta di questi due temi è l’idea della composizione; come disse lo stesso Beethoven a Bettina Brentano, quest’idea,

«scaturita dall’entusiasmo, io la inseguo con passione, la raggiungo e la vedo rifuggire e scomparire nel tumulto delle diverse emozioni. Presto la riprendo con rinnovato ardore, né posso più separarmene. Con rapida estasi la dispiego in tutte le modulazioni e infine trionfo sul primo pensiero musicale. Ecco una sinfonia».

E naturalmente ecco anche una sonata. Dialogando con Beethoven della Patetica, termine che non allude a effusioni sentimentali ma proprio alla dolorosa lotta che deve portare a quel trionfo, ossia alla ricomposizione in una superiore unità dei temi contrastanti, lo Schindler annotò, dopo una spiegazione del maestro:

«Ora tutto si spiega per me. I principi [sono] anche nella parte centrale [del primo tempo] della Patetica. Migliaia di persone non lo afferrano».

[modifica] Beethoven nel cinema

[modifica] Curiosità

[modifica] Bibliografia

  • B. G. Biamonti, Beethoven, esposizioni, commenti, critiche: i Quartetti, Roma, 1948
  • G. Carli Ballola, Beethoven, Milano, 1967
  • L. Magnani, Beethoven nei suoi Quaderni di conversazione, Torino, 1975
  • L. Dalla Croce, Ludwig van Beethoven. Le nove Sinfonie e le altre opere per orchestra, Pordenone, 1986, ISBN 88-7692-135-4
  • G. Pugliese, Il pianoforte di Beethoven, Treviso, 1991
  • M. Salomon, Il diario di Beethoven, Milano, 1992, ISBN 88-425-1354-7
  • F. G. Wegeler e F.Ries, Beethoven. Appunti biografici dal vivo, Bergamo, 1993, ISBN 88-7186-039-X
  • G. von Breuning, Ludwig van Beethoven nei miei ricordi giovanili, Milano 1995, ISBN 88-7710-163-6
  • H. C. Robbins Landon, Beethoven, la sua vita ed il suo mondo in documenti e immagini d’epoca, Milano 1997
  • L. Dalla Croce – S. Brandenburg, Ludwig van Beethoven. Epistolario
Vol. I, (1783 - 1807), Milano 1999, ISBN 88-8118-426-5
Vol. II, (1808 – 1813), Milano 2000, ISBN 88-8118-609-8
Vol. III, (1814 – 1816), Milano 2001, ISBN 88-8118-907-0
Vol. IV, (1817 – 1822), Milano 2002, ISBN 88-8491-292-X
Vol. V, (1823 – 1824), Milano 1999, ISBN 88-8491-501-5
  • A. Bini - R. Grisley, van Beethoven. Le Sinfonie e i Concerti per pianoforte, Milano, 2001

[modifica] Voci correlate

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