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Antonio Gramsci

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Antonio Gramsci
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Antonio Gramsci

Antonio Gramsci (Ales22 gennaio 1891 – Roma27 aprile 1937) è stato un politico, filosofo e scrittore italiano, tra i fondatori, il 21 gennaio 1921, del Partito Comunista d'Italia.

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« [...] non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione [...] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini»
(Antonio Gramsci, lettera alla madre, 10 maggio 1928)

Indice

[modifica] Biografia

Nasce da Francesco (1860 - 1937) e Peppina Marcias (1861 - 1932). Francesco, originario di Gaeta, era studente di legge quando morì il padre, colonnello dei carabinieri; dovendo trovare subito un lavoro, partì per la Sardegna nel 1881 per impiegarsi nell'Ufficio del registro di Ghilarza. Qui conobbe Peppina, che aveva studiato fino alla terza elementare; malgrado l'opposizione dei suoi genitori, rimasti in Campania, la sposò nel 1883. Nacquero Gennaro, nel 1884, Grazietta, nel 1887, Emma, nel 1889 e nel 1891, ad Ales, Antonio, battezzato il 29 gennaio.

L'anno dopo i Gramsci si trasferiscono a Sorgono dove nascono gli altri figli, Mario nel 1893, Teresina nel 1895 e Carlo nel 1897. Arrestato il 9 agosto 1898 con l'accusa di peculato, concussione e falsità in atti, Francesco Gramsci viene condannato il 27 ottobre 1900 al minimo della pena con l'attenuante del "lieve valore": 5 anni, 8 mesi e 22 giorni di carcere, da scontare a Gaeta; priva del sostegno dello stipendio del padre, per la famiglia Gramsci sono anni di estrema miseria. E Antonio, per una caduta all'età di tre anni, rimane deforme e non cresce più: la sua altezza non supererà il metro e mezzo; la sua bellezza è tutta negli occhi, di un azzurro limpido e intenso.

Comincia a frequentare le scuole elementari a sette anni e le conclude nel 1903 col massimo dei voti ma le condizioni della famiglia non gli permettono di iscriversi al ginnasio e dà il suo piccolo contributo all'economia domestica lavorando all’Ufficio del Catasto per 9 lire al mese - l'equivalente di un chilo di pane al giorno - 10 ore al giorno smuovendo «registri che pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo».

Il 31 gennaio 1904 Francesco Gramsci finisce di scontare la sua pena. Sarà poi riabilitato e potrà ottenere un impiego da scrivano nell’Ufficio del Catasto. Antonio può iscriversi nel Ginnasio comunale di Santu Lussurgiu, a 18 chilometri da Ghilarza, «un piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori sbrigavano, con molta faccia tosta, tutto l’insegnamento delle cinque classi». Con questa preparazione avventurosa riesce a prendere la licenza ginnasiale a Oristano, nell’estate del 1908 e a iscriversi al Liceo Dettori di Cagliari, dove sta a pensione, insieme col fratello Gennaro, che lavora in una fabbrica del ghiaccio.

Il fratello, compiuto il servizio militare a Torino, era tornato in Sardegna, militante socialista, e Antonio può leggere libri, giornali e opuscoli socialisti, come anche i romanzi popolari di Carolina Invernizio e di Anton Giulio Barrili; legge anche i romanzi di Grazia Deledda ma non li apprezza, considerando che la visione che la scrittrice dà della Sardegna sia sostanzialmente folkloristica; legge La Voce e il Marzocco, Papini, Emilio Cecchi e soprattutto Croce e Salvemini.

Alla fine della seconda classe liceale, chiede al suo professore di liceo, direttore de L'Unione Sarda, di poter collaborare durante l'estate al giornale con brevi corrispondenze e il professore l’accontenta: il 20 luglio 1910 riceve la tessera di giornalista. L’anno dopo prende la licenza liceale con tutti otto e un nove in italiano.

[modifica] A Torino

Torino, Mole Antonelliana
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Torino, Mole Antonelliana

Nel 1911 il Collegio Carlo Alberto di Torino offre 39 borse di studio, equivalenti a 70 lire al mese per 11 mesi, per poter frequentare l’Università di Torino. «Partii per Torino come se fossi in stato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza classe delle 100 avute da casa». Il 27 ottobre 1911 conclude gli esami: li supera classificandosi nono; al secondo posto è uno studente venuto da Sassari, Palmiro Togliatti.

Si iscrive alla Facoltà di Lettere ma le 70 lire non bastano: «la preoccupazione del freddo non mi permette di studiare, perché o passeggio nella camera per scaldarmi i piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima gelata».

Le sue opinioni politiche, a quel tempo, consistono in una generica adesione a idee socialiste ma, soprattutto, in un forte risentimento per i torti che sarebbero stati fatti alla Sardegna, e in genere a tutto il Mezzogiorno, che egli ritiene siano stati condannati all'arretratezza dalle scelte politiche ed economiche compiute dai politici continentali.

È a casa per le elezioni politiche del 26 ottobre 1913, nell'Italia in guerra contro la Turchia per la conquista della Libia; votano, per la prima volta, anche gli analfabeti, ma la corruzione e le intimidazioni sono le stesse delle elezioni precedenti. Angelo Tasca, giovane dirigente socialista torinese, amico e compagno di studi di Gramsci, scrive che Antonio «era stato molto colpito dalla trasformazione prodotta in quell'ambiente dalla partecipazione delle masse contadine alle elezioni, benché non sapessero e non potessero ancora servirsi per conto loro della nuova arma. Fu questo spettacolo, e la meditazione su di esso, che fece definitivamente di Gramsci un socialista».

Tornato a Torino ai primi di novembre del 1913, va ad abitare in una soffitta all’ultimo piano del palazzo di via San Massimo 14, oggi Monumento nazionale; dovrebbe datarsi a questo periodo la sua iscrizione al Partito socialista. È in ritardo con gli esami, a causa di «una forma di anemia cerebrale che mi toglie la memoria, che mi devasta il cervello, che mi fa impazzire ora per ora, senza che mi riesca di trovare requie né passeggiando, né disteso sul letto, né disteso per terra a rotolarmi in certi momenti come un furibondo». Per non perdere il mensile della Fondazione Albertina riesce a recuperare alcuni esami fra marzo e aprile 1914.

Prende lezioni private di filosofia dal professor Annibale Pastore che scrisse poi che «il suo orientamento era originalmente crociano [...] voleva rendersi conto del processo formativo della cultura agli scopi della rivoluzione [...] come fa il pensare a far agire [...] come le idee diventano forze pratiche». Gramsci stesso scriverà di aver sentito anche la necessità di «superare un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era proprio di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi un modo di vivere e di pensare non più regionale e da villaggio, ma nazionale» ma anche «di provocare nella classe operaia il superamento di quel provincialismo alla rovescia della palla di piombo [come il Sud Italia era generalmente considerato nel Nord] che aveva le sue profonde radici nella tradizione riformistica e corporativa del movimento socialista».

Frequenta i giovani compagni di partito, fra i quali erano Tasca, Togliatti, Terracini: «uscivamo spesso dalle riunioni di partito [...] mentre gli ultimi nottambuli si fermavano a sogguardarci [...] continuavamo le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di scroscianti risate, di galoppate nel regno dell’impossibile e del sogno».

Nell'Italia che ha dichiarato la propria neutralità nella I Guerra Mondiale in corso - neutralità affermata anche dal Partito socialista - scrive, per la prima volta, sul settimanale socialista torinese Il Grido del popolo, il 31 ottobre 1914, l'articolo Neutralità attiva e operante in risposta a quello di Mussolini Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante, senza comprendere però quale svolta politica l'importante e popolare esponente socialista si proponesse allora.

Sostiene il 13 aprile 1915 quello che sarà il suo ultimo esame all'Università; l'Italia entra in guerra e Gramsci sente, come non prima, la necessità di un impegno politico diretto e assiduo.

[modifica] L'attività giornalistica

Dai primi mesi del 1916, in piena guerra, è uno dei tre redattori del settimanale della Sezione socialista torinese Il Grido del popolo e del foglio torinese dell’Avanti! nella rubrica Sotto la Mole; vi pubblica brevi pezzi pamphlettistici e di critica teatrale. Dirà più tardi di aver scritto, in dieci anni di giornalismo, «quindici o venti volumi di 400 pagine, ma scritte alla giornata e dovevano morire dopo la giornata» e si vanterà di aver contribuito a rendere popolare il teatro di Pirandello, allora incompreso e deriso. Si toglie dall’isolamento della sua vita di studente povero e scontroso, frequentando operai, tenendo alcune conferenze nei circoli socialisti e scrive da solo il numero unico del giornale dei giovani socialisti La Città futura, uscito l’11 febbraio 1917.

Qui mostra la sua intransigenza politica, la sua ironia, anche contro i socialisti riformisti, il fastidio verso ogni espressione retorica ma anche la sua formazione idealistica, i suoi debiti culturali nei confronti di Croce, superiori perfino a quelli dovuti a Marx: «in quel tempo» - scriverà – «il concetto di unità di teoria e pratica, di filosofia e politica, non era chiaro in me e io ero tendenzialmente crociano».

Nel marzo 1917 lo zar di Russia è rovesciato e viene instaurato un moderato governo liberale; le notizie giungono in Italia parziali e confuse, ma il 29 aprile scrive che «la rivoluzione russa è [...] un atto proletario e essa naturalmente deve sfociare nel regime socialista» e in maggio sostiene che Lenin «ha suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni bolscevichi sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il socialismo».

Anche in Italia le difficoltà della guerra e l'eco della rivoluzione russa portano a sommosse spontanee duramente represse dal governo; la rivolta per il pane di Torino del 25 agosto 1917 provoca una dura reazione: 50 morti, più di duecento feriti, Torino dichiarata zona di guerra e conseguente applicazione della legge marziale, arresti a catena che colpiscono non solo coloro che alla sommossa avevano partecipato ma indiscriminatamente anche elementi politici d'opposizione e segnatamente l'intero nucleo della sezione socialista con l'accusa di istigazione alla rivoluzione. In conseguenza dell'emergenza venutasi a creare, la direzione della Sezione socialista torinese viene assunta da un comitato di dodici persone, del quale fa parte anche Gramsci, il quale rimane l'unico redattore de Il Grido del popolo che cesserà le pubblicazioni il 19 ottobre 1918.

I bolscevichi prendono il potere in Russia il 7 novembre 1917 ma per settimane in Europa giungono solo notizie confuse, finché il 24 novembre l'edizione nazionale dell' Avanti! esce con un editoriale dal titolo La rivoluzione contro il Capitale, firmato da Gramsci.

«La rivoluzione dei bolscevichi è la rivoluzione contro il Capitale di Carlo Marx. Il Capitale [...] era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale [...] se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore [...] vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai [...] che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche».

Finita la guerra, dal 5 dicembre 1918 Gramsci lavora unicamente all'edizione piemontese dell' Avanti! ma i giovani socialisti torinesi, Gramsci, Tasca, Togliatti e Terracini intendono esprimere, dopo la rivoluzione russa, nuove esigenze nell'attività politica socialista, che non sentono rappresentate dalla Direzione nazionale: «Volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza un orientamento, tuffati nell'ardente vita di quei mesi dopo l'armistizio, quando pareva immediato il cataclisma della società italiana». L'1 maggio 1919 esce il primo numero dell' Ordine nuovo con Gramsci segretario di redazione e animatore della rivista.

[modifica] L'Ordine Nuovo

La testata del primo numero (1 maggio 1919) de "L'Ordine Nuovo" diretto da Antonio Gramsci
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La testata del primo numero (1 maggio 1919) de "L'Ordine Nuovo" diretto da Antonio Gramsci

La linea politica della rivista, dopo un avvio incerto, si definisce su posizioni nettamente operaistiche: tra i suoi scopi è quello di porre all'ordine del giorno, sotto l'esempio dei Soviet, la necessità d'introdurre nelle fabbriche italiane nuove forme di potere operaio, i consigli di fabbrica; di fronte all'opposizione di Tasca che concepiva il settimanale come una "rassegna di cultura astratta", Gramsci scrisse poi di aver ordito con Togliatti «un colpo di Stato redazionale: il problema delle commissioni interne fu impostato esplicitamente nel numero 7 della rassegna [...] divenne l'idea dell'Ordine nuovo; era posto come problema fondamentale della rivoluzione operaia [...] della libertà operaia».

Gli operai amarono il settimanale perché «gli articoli non erano fredde architetture intellettuali, ma sgorgavano dalla discussione nostra con gli operai migliori, elaboravano sentimenti, volontà, passioni reali della classe operaia torinese [...] erano quasi un prendere atto di avvenimenti reali».

Appoggia lo sciopero dell'aprile 1920, l'occupazione delle fabbriche del settembre successivo e il fallito sciopero dell'aprile 1921 e polemizza contro la direzione del partito socialista; tanto contro i massimalisti che i riformisti, indica un programma che riscuote l'esplicita approvazione di Lenin al II Congresso della III Internazionale comunista che chiede l'espulsione dal partito dei riformisti e di alcuni dirigenti massimalisti.

[modifica] La fondazione del Partito comunista

La risoluzione dell'Internazionale comunista che chiedeva ai partiti socialisti l'allontanamento dei riformisti e più in generale dei gradualisti, ossia di coloro che propendevano per la presa del potere per via democratica-elettorale, venne disattesa dal Partito Socialista Italiano. Infatti, a dispetto dell'approvazione e dell'avallo ottenuto dagli ordinovisti da parte di Lenin nel corso del II Congresso dell'Internazionale, alla quale il PSI aveva aderito con il congresso di Bologna tenuto nell'ottobre del 1919, i vecchi dirigenti del partito erano riluttanti e timorosi di fronte alla svolta politica e sociale realizzatasi nel dopoguerra.

La scissione si realizza il 21 gennaio 1921, nel Teatro San Marco di Livorno, con la nascita del Partito Comunista d'Italia, sezione italiana dell'Internazionale. Nel Comitato centrale entrano due ordinovisti, Gramsci e Terracini, mentre l'Esecutivo viene composto da Amadeo Bordiga, Bruno Fortichiari, Luigi Repossi, Ruggiero Greco e Umberto Terracini.

Il congresso di Livorno
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Il congresso di Livorno

Dall’1 gennaio 1921 Gramsci dirige l’Ordine nuovo, divenuto uno dei quotidiani comunisti insieme con Il Lavoratore di Trieste e Il Comunista di Roma, quest'ultimo diretto da Togliatti. La linea del partito è data da Bordiga, del quale Gramsci non condivide le posizioni settarie, senza però prendere contro di esse un’esplicita posizione.

In contrasto con le teorie leniniste di utilizzare il parlamento per evidenziare il carattere "borghese" delle istituzioni rappresentative, l'astensionismo di Bordiga, deciso in nome di una presunta purezza politica, evita l'assunzione di dirette responsabilità operative, ponendo il partito in un sostanziale immobilismo con l'effetto di disorientare i suoi stessi simpatizzanti.

Nella direzione del giornale guarda con rispetto alle posizioni dei cattolici di sinistra della corrente di Guido Miglioli del Partito popolare, non tollera le tradizionali posizioni anticlericali del movimento socialista, e affida al liberale Piero Gobetti la critica teatrale. Non viene eletto deputato alle elezioni del 15 maggio: non ha capacità oratorie, è ancora giovane e anche la sua conformazione fisica non lo agevola nell'apprezzamento di molti elettori.

Esaurita la spinta rivoluzionaria, negli scenari europei si prospetta una reazione politica per fronteggiare la quale sarebbe necessario che i partiti socialisti e comunisti facessero fronte comune, ma Bordiga è contrario a ogni accordo, ancora una volta in contrasto con la direzione dell’Internazionale; nel secondo Congresso Nazionale comunista, tenuto a Roma nel marzo 1922, Gramsci, pur dissentendo privatamente, nuovamente non si esprime contro le posizioni della maggioranza bordighiana.

Alla fine di maggio parte per Mosca, designato a rappresentare il Partito italiano nell’esecutivo dell’Internazionale comunista. Vi arriva già malato e nell’estate è ricoverato in un sanatorio per malattie nervose di Mosca. Qui conosce una degente russa, Eugenia Schucht, una violinista che ha vissuto alcuni anni in Italia e, attraverso di lei, la sorella Giulia (18941980), anch'ella violinista, che aveva abitato diversi anni a Roma diplomandosi al Liceo musicale romano.

Giulia, ventiseienne, è bella, alta, ha un aspetto romantico; Gramsci ne è conquistato: ricorderà il «primo giorno che [...] non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi intimidito [...] al giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile [...] ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l’amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido». Si sposano nel 1923 e avranno due figli, Delio, il 5 settembre 1924 e Giuliano, il 30 agosto 1926.

Di fronte all'avvento al potere di Mussolini, l'Internazionale stabilisce che i comunisti italiani si fondano con la corrente socialista degli internazionalisti e costituiscano un nuovo Esecutivo, mettendo in minoranza Bordiga, sempre contrario a ogni accordo. Ma intanto, in Italia, vengono arrestati, nel febbraio 1923, tanto Bordiga che, in settembre, a Milano, i rappresentanti del nuovo Esecutivo. Gramsci resta così il massimo dirigente del Partito e a novembre si trasferisce a Vienna per seguire più da vicino la situazione italiana.

Il 12 febbraio 1924 esce a Milano il primo numero del nuovo quotidiano comunista l'Unità e dal primo marzo la nuova serie del quindicinale l'Ordine nuovo. Il titolo del giornale, da lui scelto, viene giustificato dalla necessità dell' «unità di tutta la classe operaia intorno al partito, unità degli operai e dei contadini, unità del Nord e del Mezzogiorno, unità di tutto il popolo italiano nella lotta contro il fascismo».

[modifica] Deputato al Parlamento

Viene eletto deputato nelle elezioni del 6 aprile e può rientrare a Roma, protetto dall’immunità parlamentare, il 12 maggio 1924. Nello stesso mese, nei dintorni di Como, si tiene un convegno illegale dei dirigenti delle Federazioni comuniste italiane: i delegati si fingono dipendenti di un’azienda milanese in gita turistica, con tanto di pubblici discorsi fascisti e inni a Mussolini; a parte, discutono della tattica del partito e la linea di Bordiga, pur escluso dall’Esecutivo, risulta ancora nettamente maggioritaria.

Giacomo Matteotti
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Giacomo Matteotti

Il 10 giugno un gruppo di fascisti rapisce e uccide il deputato socialista Giacomo Matteotti; sembra che il fascismo stia per crollare per l’indignazione morale che in quei giorni percorre il Paese, ma non è così; l’opposizione parlamentare sceglie la linea sterile di abbandonare il Parlamento (la cosiddetta Secessione dell'Aventino): i liberali sperano in un appoggio della Corona, che non viene, i cattolici sono ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e questi ultimi sono ostili a tutti, comunisti compresi; l’opposizione dell’Aventino, secondo Gramsci, non ha alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione».

Malgrado le divisioni dell'opposizione antifascista, Gramsci crede che la caduta del regime sia imminente: il fascismo «è riuscito a costituire un’organizzazione di massa della piccola borghesia. E’ la prima volta nella storia che ciò si verifica. L’originalità del fascismo consiste nell’aver trovato la forma adeguata di organizzazione per una classe sociale che è sempre stata incapace di avere una compagine e un’ideologia adeguata» ma, secondo lui, «le classi medie che avevano riposto nel fascismo tutte le loro speranze sono state travolte [...] Il Partito fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo, Mussolini non possiede dello statista e del dittatore altro che alcune pittoresche pose esteriori; egli non è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare alla storia nell’ordine delle diverse maschere provinciali italiane, più che nell’ordine dei Cromwell, dei Bolivar, dei Garibaldi».

S’inganna, perché l’inerzia dell’opposizione non riesce a dare alternative a quel blocco sociale e i fascisti riprendono coraggio e, soprattutto, ricominciano le violenze squadriste. In una delle tante viene aggredito anche Gobetti. E dopo il 13 settembre, quando il militante comunista Giovanni Corbi uccide in un tram il deputato fascista Armando Casalini, per vendicare la morte di Matteotti, la repressione s’inasprisce.

Il 20 ottobre Gramsci propone vanamente che l’opposizione aventiniana si costituisca in Antiparlamento; il 26 parte per la Sardegna, per intervenire al congresso regionale del partito e per rivedere i famigliari. Il 6 novembre si congeda dalla madre, che non avrebbe più rivisto.

Il 12 novembre 1924 il deputato comunista Luigi Repossi rientra in Parlamento, dove siedono solo i deputati fascisti e i loro alleati, per commemorare Matteotti, e il 26 vi rientra tutto il gruppo parlamentare comunista.

Il 27 dicembre 1924 il quotidiano Il Mondo pubblica le dichiarazioni di Cesare Rossi, già capo ufficio stampa di Mussolini, a proposito del delitto Matteotti: «Tutto quanto è successo è avvenuto sempre per la volontà diretta o per l’approvazione o per la complicità del duce» e il 3 gennaio 1925 Mussolini, in un discorso rimasto famoso, dichiara alla Camera dei deputati di assumersi «la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto», dando il via a una nuova azione repressiva.

Dal febbraio all’aprile 1925 Gramsci è a Mosca per conoscere finalmente il figlio Delio e rivedere la moglie. Il 26 maggio, in Italia, tiene il suo primo – e unico - discorso in Parlamento, davanti all’ex compagno di partito Mussolini, ora Primo ministro; con il pretesto di colpire la Massoneria, il governo aveva predisposto un disegno di legge per disciplinare l’attività di associazioni, enti e istituti: secondo Gramsci «con questa legge voi sperate di impedire lo sviluppo di grandi organizzazioni operaie e contadine [...] voi potete conquistare lo Stato, potete modificare i codici, potete cercar di impedire alle organizzazioni di esistere nella forma in cui sono esistite fino adesso ma non potete prevalere sulle condizioni obbiettive in cui siete costretti a muovervi. Voi non farete che costringere il proletariato a ricercare un indirizzo diverso [...] le forze rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a realizzarsi».

[modifica] Il Congresso di Lione

Una via di Lione
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Una via di Lione

Dal 20 al 26 gennaio 1926 si svolge clandestinamente a Lione il III Congresso del Partito dove la maggioranza che ha a capo Gramsci presenta le sue Tesi congressuali.

Con un capitalismo debole e l'agricoltura alla base dell'economia nazionale, in Italia si assiste al compromesso fra industriali del Nord e proprietari fondiari del Sud, ai danni degli interessi generali della maggioranza. Il proletariato, in quanto forza sociale omogenea e organizzata rispetto alla piccola borghesia urbana e rurale, che ha interessi differenziati, viene visto, nelle sue Tesi, come l'unico elemento che abbia una funzione unificatrice di tutta la società.

Secondo Gransci iIl fascismo non è, come ritiene Bordiga, l'espressione di tutta la classe dominante ma è il prodotto politico della piccola borghesia urbana e agraria che ha consegnato il potere alla grande borghesia, e la sua tendenza imperialistica è l'espressione della necessità, da parte delle classi industriali e agrarie, «di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per la risoluzione della crisi della società italiana» che tuttavia permette, per la sua natura oppressiva e reazionaria, una soluzione rivoluzionaria delle contraddizioni sociali e politiche; le due forze sociali idonee a dar luogo a questa soluzione sono il proletariato del Nord e i contadini del Mezzogiorno. A questo scopo, il Partito andrà bolscevizzato, ossia organizzato per cellule di fabbrica e disciplinato negando al suo interno la possibilità dell'esistenza delle frazioni.

Il Congresso approva le Tesi a grande maggioranza ed elegge il Comitato centrale con Gramsci segretario del Partito.

[modifica] La questione meridionale

Tornato a Roma, ha il tempo di passare alcuni mesi con la famiglia. La moglie, che aspetta il secondo figlio Giuliano, lascia l'Italia il 7 agosto 1926, mentre la cognata Eugenia torna a Mosca il mese dopo con il figlio Delio; Gramsci scrive del figlio che «mi pare che ora incominci per lui una fase molte importante, quella che lascia ricordi più tenaci, perché durante il suo sviluppo si conquista il mondo grande e terribile». Ma non sarà mai parte dei ricordi del figlio, perché non lo vedrà più.

Nel settembre inizia a scivere un saggio sulla questione meridionale, Alcuni temi sulla quistione meridionale, in cui analizza gli anni dello sviluppo politico italiano dal 1894, anno dei moti dei contadini siciliani, seguito nel 1896 dall'insurrezione di Milano repressa a cannonate dal governo. Secondo Gramsci, la borghesia italiana, impersonata politicamente da Giovanni Giolitti, di fronte all'insofferenza delle classi emarginate dei contadini meridionali e degli operai del Nord, piuttosto che allearsi con le forze agrarie, cosa che avrebbe dovuto comportare una politica di libero scambio e di bassi prezzi industriali, scelse il blocco industriale - operaio, con un conseguente protezionismo doganale unito a concessione di libertà sindacali.

Di fronte alla persistenza dell'opposizione operaia, manifestatasi anche contro i dirigenti socialisti riformisti, Giolitti cercò un accordo con i contadini cattolici del Centro - Nord. Il problema è allora, per Gramsci, una politica di opposizione che rompa l'alleanza borghesia - contadini, facendo convergere questi ultimi in un'alleanza con la classe operaia.

La società meridionale, secondo Gramsci, è costituita da tre classi fondamentali: braccianti e contadini poveri, politicamente inconsapevoli; piccoli e medi contadini che non lavorano la terra ma dalla quale ricavano un reddito che permette loro di vivere in città, spesso come impiegati statali, i quali disprezzano e temono il lavoratore della terra e fanno da intermediari al consenso fra i contadini poveri e la terza classe, quella dei grandi proprietari terrieri, che a loro volta contribuiscono alla formazione dell'intellettualità nazionale, con personalità del valore di Benedetto Croce e di Giustino Fortunato e sono, con quelli, i principali e più raffinati sostenitori della conservazione di questo blocco agrario.

Per poter spezzare questo blocco occorrerebbe la formazione di un ceto di intellettuali medi che interrompano il flusso del consenso fra le due classi estreme favorendo così l'allenza dei contadini poveri con il proletariato urbano.

[modifica] L'arresto, il processo e il carcere

Scrive una lettera al Comitato centrale del Partito bolscevico nel quale, dopo la morte di Lenin, è iniziata una lotta fra le diverse correnti: «oggi voi state distruggendo l’opera vostra, voi degradate e correte il rischio di annullare la funzione dirigente che il Partito comunista dell’URSS aveva conquistato [...] i vostri doveri di militanti russi possono e debbono essere adempiuti solo nel quadro degli interessi del proletariato internazionale». Ma Togliatti, delegato a Mosca, preferisce non inoltrarla.

Il 31 ottobre 1926 Mussolini subisce a Bologna un attentato senza conseguenze personali, che viene però preso a pretesto per eliminare gli ultimi residui di democrazia: il 5 novembre il governo scioglie i partiti politici di opposizione e sopprime la libertà di stampa. L’8 novembre, in violazione dell'immunità parlamentare, Gramsci viene arrestato nella sua casa e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Dopo un periodo di confino a Ustica, il 7 febbraio 1927 viene detenuto nel carcere milanese di San Vittore.

Il processo a ventidue imputati comunisti, fra i quali Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro, Giovanni Roveda ed Ezio Riboldi, inizia a Roma il 28 maggio 1928; presidente del Tribunale Speciale Fascista, istituito il 1 febbraio 1927, è il generale Alessandro Saporiti e ha per giurati cinque consoli della milizia fascista. Gramsci è accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe.

Il pubblico ministero Michele Isgrò, a conclusione della sua requisitoria, dichiara che «per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare» e infatti Gramsci, il 4 giugno, è condannato a venti anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione; il 19 luglio raggiunge il carcere di Turi, in provincia di Bari.

La tomba di Gramsci
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La tomba di Gramsci

L’8 febbraio 1929 ottiene finalmente l’occorrente per scrivere e inizia la stesura dei suoi Quaderni del carcere. Dal 1931 Gramsci soffre di una grave malattia, il morbo di Pott, oltre a principi di tubercolosi e di arteriosclerosi, e può ottenere una cella individuale; cerca di reagire alla detenzione studiando ed elaborando le proprie riflessioni politiche, filosofiche e storiche, tuttavia le condizioni di salute peggiorano e in agosto Gramsci ha un’improvvisa e grave emorragia.

Il 30 dicembre 1932 muore la madre e i famigliari preferiscono non informarlo. Il 7 marzo 1933 ha una seconda grave crisi, con allucinazioni e deliri: a Parigi si costituisce un comitato, di cui fanno parte, fra gli altri, Romain Rolland e Henri Barbusse, per la liberazione sua e di altri detenuti politici, ma solo il 19 novembre Gramsci viene trasferito nell’infermeria del carcere di Civitavecchia e poi, il 7 dicembre, nella clinica del dottor Cusumano a Formia, sorvegliato sia in camera che all’esterno.

Il 25 ottobre 1934 viene accolta da Mussolini la richiesta di libertà condizionata ma non è libero nei suoi movimenti, tanto che gli è impedito di andare a curarsi altrove, perché il governo teme una sua fuga; solo il 24 agosto 1935 può essere trasferito nella clinica "Quisisana" di Roma. È in gravi condizioni: oltre al morbo di Pott, alla tisi e all’arteriosclerosi, soffre di ipertensione e di gotta.

Il 21 aprile 1937 Gramsci riacquista la piena libertà ma è ormai gravissimo in clinica: muore all'alba del 27 aprile, a quarantasei anni, di emorragia cerebrale. Cremato, il giorno seguente si svolgono i funerali, cui partecipano soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana: le ceneri vengono inumate nel cimitero del Verano e di qui trasferite, dopo la Liberazione, nel Cimitero acattolico di Roma.

[modifica] Opere

I 32 Quaderni del carcere, di complessive 2.848 pagine, non destinati da Gramsci alla pubblicazione, contengono riflessioni e appunti elaborati durante la reclusione; iniziati l’8 febbraio 1929, furono definitivamente interrotti nell’agosto 1935 a causa della gravità delle sue condizioni di salute. Furono numerati, senza tener conto della loro cronologia, dalla cognata Tatiana Schucht che, insieme con Piero Sraffa, riuscì a sottrarli alla ispezioni poliziesche e a consegnarli al banchiere Raffaele Mattioli, segreto finanziatore delle cure di Gramsci, il quale li affidò a Mosca a Palmiro Togliatti e agli altri dirigenti comunisti italiani.

Dopo la fine della guerra i Quaderni, curati dal dirigente comunista Felice Platone, furono pubblicati dall’editore Einaudi - unitamente alle sue Lettere dal carcere indirizzate ai famigliari - in sei volumi, ordinati per argomenti omogenei, con i titoli:

  • Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, nel 1948
  • Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, nel 1949
  • Il Risorgimento, nel 1949
  • Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno, nel 1949
  • Letteratura e vita nazionale, nel 1950
  • Passato e presente, nel 1951

Nel 1975 i Quaderni furono pubblicati a cura di Valentino Gerratana secondo l’ordine cronologico della loro elaborazione. Sono stati raccolti in volume anche tutti gli articoli scritti da Gramsci nell' Avanti!, nel Grido del popolo e nell'Ordine nuovo.

[modifica] Il pensiero di Gramsci

[modifica] L'egemonia

L’egemonia è il concetto che permette di comprendere lo sviluppo della storia italiana e del Risorgimento in particolare, che avrebbe potuto assumere un carattere rivoluzionario se avesse acquisito l’appoggio di vaste masse popolari, in particolare dei contadini, che costituivano la maggioranza della popolazione. Il limite della rivoluzione borghese in Italia consistette nel non essere capeggiata da un partito giacobino, come in Francia, dove le campagne, appoggiando la Rivoluzione, furono decisive per la sconfitta delle forze della reazione aristocratica.

Il partito politico italiano più avanzato fu il Partito d’Azione, il partito di Mazzini e Garibaldi, che non ebbe però la capacità di impostare il problema dell’alleanza delle forze borghesi progressive con la classe contadina: Garibaldi in Sicilia distribuì le terre demaniali ai contadini, ma «i movimenti di insurrezione dei contadini contro i baroni furono spietatamente schiacciati e fu creata la Guardia nazionale anticontadina».

Camillo Benso di Cavour
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Camillo Benso di Cavour

Se il Partito d’Azione fu un elemento progressivo nelle lotte risorgimentali, non ne rappresentò la forza dirigente, perché fu guidato dai moderati, tanto che i cavourriani seppero mettersi alla testa della rivoluzione borghese, assorbendo tanto i radicali che parte dei loro stessi avversari. Questo avvenne perché i moderati cavourriani ebbero un rapporto organico con i loro intellettuali che erano, come i loro politici, proprietari terrieri e dirigenti industriali. Le masse popolari restarono passive nel raggiunto compromesso fra i capitalisti del Nord e i latifondisti del Sud.

«La supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come dominio e come direzione intellettuale e morale. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere [...] diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente».

La funzione del Piemonte nel processo risorgimentale fu quella di classe dirigente; pur esistendo in Italia nuclei di classe dirigente favorevoli all’unificazione, «questi nuclei non volevano dirigere nessuno, cioè non volevano accordare i loro interessi e aspirazioni con gli interessi e aspirazioni di altri gruppi. Volevano dominare, non dirigere e ancora: volevano che dominassero i loro interessi, non le loro persone, cioè volevano che una forza nuova, indipendente da ogni compromesso e condizione, divenisse arbitra della Nazione: questa forza fu il Piemonte», che ebbe una funzione paragonabile a quella di un partito.

«Questo fatto è della massima importanza per il concetto di rivoluzione passiva, che cioè non un gruppo sociale sia dirigente di altri gruppi, ma che uno Stato, sia pure limitato come potenza, sia il dirigente del gruppo che dovrebbe essere dirigente e possa porre a disposizione di questo un esercito e una forza politica – diplomatica [...]. E’ uno dei casi in cui si ha la funzione di dominio e non di dirigenza di questi gruppi, dittatura senza egemonia».

[modifica] Le classi subalterne

L’egemonia è dunque l’esercizio della funzione di direzione intellettuale e morale unita a quella del dominio, del potere politico. Il problema per Gramsci è di comprendere come possa il proletariato o in generale una classe dominata, subalterna, a divenire classe dirigente e a esercitare il potere politico, a divenire classe egemone.

Gustave Courbet, Lo spaccapietre
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Gustave Courbet, Lo spaccapietre

Le classi subalterne – sottoproletariato, proletariato urbano, rurale e anche parte della piccola borghesia - non sono unificate e la loro unificazione avviene solo quando "divengono Stato", quando giungono a dirigere lo Stato, altrimenti svolgono una funzione discontinua e disgregata nella storia della società civile dei singoli Stati. La loro tendenza all’unificazione «è continuamente spezzata dall’iniziativa dei gruppi dominanti» dei quali esse «subiscono sempre l’iniziativa, anche quando si ribellano e insorgono».

L’egemonia viene esercita unificando un blocco sociale – creando cioè l'alleanza politica di un insieme di classi sociali diverse, formato, in Italia, da industriali, proprietari terrieri, classi medie, parte della piccola borghesia - che di per sé non è dunque omogeneo, essendo comunque attraversato da interessi divergenti - mediante una politica, una cultura e un’ideologia o un sistema di ideologie che impediscano che quei contrasti di interessi, permanenti anche quando siano latenti, esplodano provocando dapprima la crisi dell’ideologia dominante e poi una conseguente crisi politica dell'intero sistema di potere.

La crisi dell’egemonia si manifesta quando, pur mantenendo il proprio dominio, le classi sociali politicamente dominanti non riescono più a essere dirigenti di tutte le classi sociali, ossia non riescono a risolvere i problemi di tutta la collettività e a imporre a tutta la società la propria complessiva concezione del mondo. La classe sociale subalterna, se riesce a indicare concrete soluzioni ai problemi lasciati irrisolti, diventa dirigente e, allargando la propria concezione del mondo anche ad altri strati sociali, crea un nuovo blocco sociale, divenendo egemone. Il momento rivoluzionario avviene inizialmente, secondo Gramsci, a livello della sovrastruttura, in senso marxiano, cioè politico, culturale, ideale, morale, ma trapassa nella società nel suo complesso, investendo anche la struttura economica, dunque investendo tutto il blocco storico, termine che in Gramsci indica l'insieme della struttura e della superstruttura, i rapporti sociali di produzione e i loro riflessi ideologici.

In Italia, l’esercizio dell’egemonia delle classi dominanti è ed è stata parziale: tra le forze che contribuiscono alla conservazione di tale blocco sociale è la Chiesa cattolica, che si batte per mantenere l’unione dottrinale in modo da evitare tra i fedeli fratture irrimediabili che tuttavia esistono e che essa non è in grado di sanare, ma solo di controllare: «la Chiesa romana è sempre stata la più tenace nella lotta per impedire che ufficialmente si formino due religioni, quella degli intellettuali e quella delle anime semplici», una lotta che se pure ha avuto anche gravi conseguenze, connesse «al processo storico che trasforma tutta la società civile e che in blocco contiene una critica corrosiva delle religioni», ha tuttavia fatto risaltare «la capacità organizzatrice nella sfera della cultura del clero» che ha dato «certe soddisfazioni alle esigenze della scienza e della filosofia, ma con un ritmo così lento e metodico che le mutazioni non sono percepite dalla massa dei semplici, sebbene esse appaiano rivoluzionarie e demagogiche agli integralisti».

Anche la cultura d’impronta idealistica, al tempo di Gramsci dominante ed esercitata dalle scuole filosofiche crociane e gentiliane, non ha «saputo creare una unità ideologica tra il basso e l’alto, tra i semplici e gli intellettuali», tanto che essa, anche se ha sempre considerato la religione una mitologia, non ha nemmeno «tentato di costruire una concezione che potesse sostituire la religione nell’educazione infantile», e questi pedagogisti, pur essendo non religiosi, non confessionali e atei, «concedono l’insegnamento della religione perché la religione è la filosofia dell’infanzia dell’umanità, che si rinnova in ogni infanzia non metaforica». Anche la cultura laica "dominante" utilizza dunque la religione, dal momento che non si pone il problema di elevare le classi popolari al livello di quelle dominanti ma proprio perché, al contrario, intende mantenerle in una posizione di subalternità.

[modifica] La coscienza di classe

Opposta a quella della Chiesa e dell'idealismo italiano è la posizione del marxismo, che «non tende a mantenere i semplici nella loro filosofia primitiva del senso comune, ma invece a condurli a una concezione superiore della vita». Esso afferma l'esigenza del contatto tra intellettuali e semplici per «costruire un blocco intellettuale-morale che renda politicamente possibile un progresso intellettuale di massa e non solo di scarsi gruppi intellettuali».

L'uomo attivo di massa - cioè la classe operaia, - scrive Gramsci, «non ha una chiara coscienza teorica di questo suo operare [...] la sua coscienza teorica anzi può essere in contrasto col suo operare»; egli opera praticamente e nello stesso tempo ha una coscienza teorica ereditata dal passato, da lui accolta per lo più in modo acritico. La reale comprensione critica di sé avviene «attraverso una lotta di egemonie politiche, di direzioni contrastanti, prima nel campo dell'etica, poi della politica per giungere a una elaborazione superiore della propria concezione del reale». La coscienza politica, cioè l'essere parte di una determinata forza egemonica, «è la prima fase per una ulteriore e progressiva autocoscienza dove teoria e pratica finalmente si unificano».

Ma autocoscienza critica significa creazione di una élite di intellettuali, perché per distinguersi e rendersi indipendenti occorre organizzarsi, e non esiste organizzazione senza intellettuali, «uno strato di persone specializzate nell'elaborazione concettuale e filosofica».

[modifica] Il partito politico

Già Machiavelli indicava nei moderni Stati unitari europei l'esperienza che l'Italia avrebbe dovuto far propria per superare la drammatica crisi emersa nelle guerre che devastarono la penisola dalla fine del Quattrocento. Il Principe del Machiavelli «non esisteva nella realtà storica, non si presentava al popolo italiano con caratteri di immediatezza obiettiva, ma era una pura astrazione dottrinaria, il simbolo del capo, del condottiero ideale; ma gli elementi passionali, mitici [...] si riassumono e diventano vivi nella conclusione, nell'invocazione di un principe realmente esistente».

Niccolò Machiavelli
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Niccolò Machiavelli

In Italia, al tempo di Machiavelli, non si ebbe una monarchia assoluta che unificasse la nazione perché, secondo Gramsci, nella dissoluzione della borghesia comunale si creò una situazione interna economico-corporativa, politicamente «la peggiore delle forme di società feudale, la forma meno progressiva e più stagnante: mancò sempre, e non poteva costituirsi, una forza giacobina efficiente, la forza appunto che nelle altre nazioni ha suscitato e organizzato la volontà collettiva nazional-popolare e ha fondato gli Stati moderni».

A questa forza progressiva si oppose in Italia la «borghesia rurale, eredità di parassitismo lasciata ai tempi moderni dallo sfacelo, come classe, della borghesia comunale». Forze progressive sono i gruppi sociali urbani con un determinato livello di cultura politica, ma non sarà possibile la formazione di una volontà collettiva nazionale - popolare, «se le grandi masse dei contadini lavoratori non irrompono simultaneamente nella vita politica. Ciò intendeva il Machiavelli attraverso la riforma della milizia, ciò fecero i giacobini nella Rivoluzione francese; in questa comprensione è da identificare un giacobinismo precoce del Machiavelli [...]».

Modernamente, il Principe invocato dal Machiavelli non può essere un individuo reale, concreto, ma un organismo e «questo organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico: la prima cellula in cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a divenire universali e totali»; il partito è l'organizzatore di una riforma intellettuale e morale, che concretamente si manifesta con un programma di riforma economica, divenendo così «la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume».

Perché un partito esista, e diventi storicamente necessario, devono confluire in esso tre elementi fondamentali:

  • «Un elemento diffuso, di uomini comuni, medi, la cui partecipazione è offerta dalla disciplina e dalla fedeltà, non dallo spirito creativo ed altamente organizzativo....essi sono una forza in quanto c'è chi li centralizza, organizza, disciplina, ma in assenza di questa forza coesiva si sparpaglierebbero e si annullerebbero in un pulviscolo impotente [...]».
  • «L'elemento coesivo principale [...] dotato di forza altamente coesiva, centralizzatrice e disciplinatrice e anche, anzi forse per questo, inventiva [...] da solo questo elemento non formerebbe un partito, tuttavia lo formerebbe più che il primo elemento considerato. Si parla di capitani senza esercito, ma in realtà è più facile formare un esercito che formare dei capitani [...]».
  • «Un elemento medio, che articoli il primo col secondo elemento, che li metta a contatto, non solo fisico, ma morale e intellettuale[...]».

[modifica] Gli intellettuali

Per Gramsci, tutti gli uomini sono intellettuali, dal momento che «non c'è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l' homo faber dall' homo sapiens», in quanto, indipendentemente della sua professione specifica, ognuno è a suo modo «un filosofo, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale» ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali.

Storicamente si formano particolari categorie di intellettuali, «specialmente in connessione coi gruppi sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse in connessione col gruppo sociale dominante». Un gruppo sociale che tende all'egemonia lotta «per l'assimilazione e la conquista ideologica degli intellettuali tradizionali [...] tanto più rapida ed efficace quanto più il gruppo dato elabora simultaneamente i propri intellettuali organici».

L'intellettuale tradizionale è il letterato, il filosofo, l'artista e perciò, nota Gramsci, «i giornalisti, che ritengono di essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i veri intellettuali», mentre modernamente è la formazione tecnica a formare la base del nuovo tipo di intellettuale, un "costruttore, organizzatore, persuasore", che deve giungere «dalla tecnica - lavoro alla tecnica - scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane specialista e non si diventa dirigente». Il gruppo sociale emergente, che lotta per conquistare l'egemonia politica, tende a conquistare alla propria ideologia l'intellettuale tradizionale mentre, nello stesso tempo, forma i propri intellettuali organici.

L' organicità dell'intellettuale si misura con la maggiore o minore connessione con il gruppo sociale cui fa riferimento: essi operano tanto nella società civile - l'insieme degli organismi privati in cui si dibattono e si diffondono le ideologie necessarie all'acquisizione del consenso che apparentemente viene dato spontaneamente dalle grandi masse della popolazione alle scelte del gruppo sociale dominante - che nella società politica o Stato, dove si esercita il «dominio diretto o di comando che si esprime nello Stato e nel governo giuridico». Gli intellettuali sono così «i commessi del gruppo dominante per l'esercizio delle funzioni subalterne dell'egemonia sociale e del governo politico».

Come lo Stato, nella società politica, tende a unificare gli intellettuali tradizionali con quelli organici, così nella società civile il partito politico, ancor più compiutamente e organicamente dello Stato, elabora «i propri componenti, elementi di un gruppo sociale nato e sviluppatosi come economico, fino a farli diventare intellettuali politici qualificati, dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni inerenti all'organico sviluppo di una società integrale, civile e politica».

[modifica] La letteratura nazionale-popolare

Se dunque gli intellettuali possono essere mediatori di cultura e di consenso presso i gruppi sociali, una classe politicamente emergente deve valersi di intellettuali organici alla valorizzazione dei suoi valori culturali, fino a imporli all'intera società.

Alessandro Manzoni ritratto da Francesco Hayez
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Alessandro Manzoni ritratto da Francesco Hayez

Pur essendo sempre stati legati alle classi dominanti, ottenendone spesso onori e prestigio, gli intellettuali italiani non si sono mai sentiti organici, hanno sempre rifiutato, in nome di un loro astratto cosmopolitismo, ogni legame con il popolo, del quale non hanno mai voluto riconoscere le esigenze né interpretarne i bisogni culturali.

Dall'Ottocento, in Europa, si è assistito a un fiorire della letteratura popolare, dai romanzi di appendice del Sue o di Ponson du Terrail, ad Alexandre Dumas, ai racconti polizieschi inglesi e americani; con maggior dignità artistica, alle opere del Chesterton e di Dickens, a quelle di Victor Hugo, di Emile Zola e di Honoré de Balzac, fino ai capolavori di Fëdor Mikhailovič Dostoevskij e di Lev Tolstoj. Nulla di tutto questo in Italia: qui la letteratura non si è diffusa e non è stata popolare, per la mancanza di "un blocco nazionale intellettuale e morale" tanto che «l’elemento intellettuale indigeno è più straniero degli stranieri di fronte al popolo-nazione».

Il pubblico italiano cerca la sua letteratura all’estero perché la sente più sua di quella nazionale: è questa la dimostrazione del distacco, in Italia, fra pubblico e scrittori. «Ogni popolo ha la sua letteratura, ma essa può venirgli da un altro popolo [...] può essere subordinato all’egemonia intellettuale e morale di altri popoli. E’ questo spesso il paradosso più stridente per molte tendenze monopolistiche di carattere nazionalistico e repressivo: che mentre si costruiscono piani grandiosi di egemonia, non ci si accorge di essere oggetto di egemonie straniere; così come, mentre si fanno piani imperialistici, in realtà si è oggetto di altri imperialismi».

Sono rimaste famose le note di Gramsci sul Manzoni: lo scrittore più autorevole, più studiato nelle scuole e in teoria il più popolare, è una dimostrazione del carattere non nazionale-popolare della letteratura italiana. «Il carattere aristocratico del cattolicismo manzoniano appare dal compatimento scherzoso verso le figure di uomini del popolo (ciò che non appare in Tolstoi), come fra Galdino (in confronto di frate Cristoforo), il sarto, Renzo, Agnese, Perpetua, la stessa Lucia [...] i popolani, per il Manzoni, non hanno vita interiore, non hanno personalità morale profonda; essi sono animali e il Manzoni è benevolo verso di loro proprio della benevolenza di una cattolica società di protezione di animali [...] niente dello spirito popolare di Tolstoi, cioè dello spirito evangelico del cristianesimo primitivo.

Francesco De Sanctis ritratto da Saverio Altamura
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Francesco De Sanctis ritratto da Saverio Altamura

L'atteggiamento del Manzoni verso i suoi popolani è l’atteggiamento della Chiesa Cattolica verso il popolo: di condiscendente benevolenza, non di immediatezza umana [...] vede con occhio severo tutto il popolo, mentre vede con occhio severo i più di coloro che non sono popolo; egli trova magnanimità, alti pensieri, grandi sentimenti, solo in alcuni della classe alta, in nessuno del popolo [...] non c’è popolano che non venga preso in giro e canzonato [...]. Vita interiore hanno solo i signori: fra Cristoforo, il Borromeo, l’Innominato, lo stesso don Rodrigo [...]. L'importanza che ha la frase di Lucia nel turbare la coscienza dell’Innominato e nel secondarne la crisi morale, è di carattere non illuminante e folgorante come ha l’apporto del popolo, sorgente di vita morale e religiosa nel Tolstoi, ma meccanico e di carattere sillogistico [...] il suo atteggiamento verso il popolo non è popolare-nazionale ma aristocratico [...]».

Una classe che muova alla conquista dell'egemonia non può non creare una nuova cultura, che è essa stessa espressione di una nuova vita morale, un nuovo modo di vedere e rappresentare la realtà; naturalmente, non si creano artificialmente artisti che interpretino questo nuovo mondo culturale, ma «un nuovo gruppo sociale che entra nella vita storica con atteggiamento egemonico, con una sicurezza di sé che prima non aveva, non può non suscitare dal suo seno personalità che prima non avrebbero trovato una forza sufficiente per esprimersi compiutamente [...]». Intanto, nella creazione di una nuova cultura, è parte la critica della civiltà letteraria presente, e Gramsci vede nella critica svolta da Francesco De Sanctis un esempio privilegiato: «la critica del De Sanctis è militante, non frigidamente estetica, è la critica di un periodo di lotte culturali, di contrasti tra concezioni della vita antagonistiche. Le analisi del contenuto, la critica della struttura delle opere, cioè della coerenza logica e storica-attuale delle masse di sentimenti rappresentati aristicamente, sono legate a questa lotta culturale: proprio in ciò pare consista la profonda umanità e l'umanesimo del De Sanctis [...] che ha saldi convincimenti morali e politici e non li nasconde [...]».

Per Gramsci, una critica letteraria marxistica può avere nel critico campano un esempio, dal momento che essa deve fondere, come De Sanctis fece, la critica estetica con la lotta per una cultura nuova, criticando il costume, i sentimenti e le ideologie espresse nella storia della letteratura, individuandone le radici nella società in cui quegli scrittori si trovavano a operare. Non a caso, Gramsci progetta nei suoi Quaderni un saggio che intendeva intitolare "I nipotini di padre Bresciani": Antonio Bresciani (17981862), gesuita, fondatore della rivista La Civiltà Cattolica, fu scrittore di romanzi popolari d’impronta reazionaria; uno di essi, L’ebreo di Verona, fu stroncato in un famoso saggio dal De Sanctis. I nipotini di padre Bresciani sono, per Gramsci, gli intellettuali e i letterati contemporanei portatori di una ideologia reazionaria, per quanto spesso non esplicitamente espressa.

Fra i "nipotini" Gramsci individua, oltre a molti scrittori ormai dimenticati, Antonio Beltramelli, Ugo Ojetti, Alfredo Panzini, Goffredo Bellonci, Massimo Bontempelli, Umberto Fracchia, Adelchi Baratono («l'agnosticismo del Baratono non è altro che vigliaccheria morale e civile [...] Baratono teorizza solo la propria impotenza estetica e filosofica e la propria coniglieria»), Riccardo Bacchelli («nel Bacchelli c'è molto brescianesimo, non solo politico-sociale, ma anche letterario: la Ronda fu una manifestazione di gesuitismo artistico»), Salvatore Gotta, Giuseppe Ungaretti; Gramsci scrive che «la vecchia generazione degli intellettuali è fallita (Papini, Prezzolini, Soffici, ecc.) ma ha avuto una giovinezza. La generazione attuale non ha neanche questa età delle brillanti promesse, Titta Rosa, Angioletti, Malaparte, ecc... Asini brutti anche da piccoletti».

[modifica] La critica a Benedetto Croce

Nipote del filosofo neo-hegeliano Bertrando Spaventa, allievo del fratello di questi, Silvio, Benedetto Croce giunge all’idealismo, attraverso il marxismo di Antonio Labriola, alla fine dell’Ottocento, nel momento in cui, in Europa, si afferma il revisionismo del marxismo ad opera della corrente socialdemocratica tedesca capeggiata da Eduard Bernstein e di qui, al revisionismo socialista italiano di Bissolati e Turati.

Antonio Labriola
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Antonio Labriola

Per Gramsci, Croce, che non è mai stato socialista, dà alla borghesia italiana gli strumenti culturali più raffinati per delimitare i confini fra gli intellettuali e la cultura italiana, da una parte, e il movimento operaio e socialista dall'altra.

Il Croce combatte il marxismo cercando di negarne validità nell’elemento che egli individua come decisivo: quello dell’economia; Il Capitale di Marx sarebbe per lui un’opera di morale e non di scienza, un tentativo di dimostrare che la società capitalistica è immorale, diversamente dalla comunista, in cui si realizzerebbe la piena moralità umana e sociale. La non scientificità dell’opera maggiore di Marx sarebbe dimostrata dal concetto del plusvalore: per Croce, solo da un punto di vista morale si può parlare di plusvalore, rispetto al valore, legittimo concetto economico.

Questa critica del Croce è, per Gramsci, in realtà un semplice sofisma: il plusvalore è esso stesso valore, è la differenza tra il valore delle merci prodotte dal lavoratore e il valore della forza-lavoro del lavoratore stesso. La teoria del valore di Marx deriva direttamente da quella dell’economista inglese David Ricardo la cui teoria del valore-lavoro «non sollevò nessuno scandalo quando fu espressa, perché allora non rappresentava nessun pericolo, appariva solo, come era, una constatazione puramente oggettiva e scientifica. Il valore polemico e di educazione morale e politica, pur senza perdere la sua oggettività, doveva acquistarla solo con la Economia critica [Il Capitale]».

Se la filosofia crociana si qualifica come storicismo, ossia, per il Croce, seguendo il Vico, la realtà è storia e tutto ciò che esiste è necessariamente storico ma, conformemente alla natura idealistica della sua filosofia, la storia è storia dello Spirito e pertanto è storia di astrazioni, è storia della libertà, della cultura, del progresso, è una storia speculativa, non è la storia concreta delle nazioni e delle classi.

«La storia speculativa può essere considerata come un ritorno, in forme letterarie rese più scaltre e meno ingenue dallo sviluppo della capacità critica, a modi di storia già caduti in discredito come vuoti e retorici e registrati in diversi libri dello stesso Croce. La storia etico-politica, in quanto prescinde dal concetto di blocco storico [unione di struttura e sovrastruttura in senso marxiano], in cui contenuto economico-sociale e forma etico-politica si identificano concretamente nella ricostruzione dei vari periodi storici, è niente altro che una presentazione polemica di filosofemi più o meno interessanti, ma non è storia. Nelle scienze naturali ciò equivarrebbe a un ritorno alle classificazioni secondo il colore della pelle, delle piume, del pelo degli animali, e non secondo la struttura anatomica [...] nella storia degli uomini [...] il colore della pelle fa blocco con la struttura anatomica e con tutte le funzioni fisiologiche; non si può pensare un individuo scuoiato come il vero individuo, ma neanche l'individuo disossato e senza scheletro [...] la storia del Croce rappresenta figure disossate, senza scheletro, dalle carni flaccide e cascanti anche sotto il belletto delle veneri letterarie dello scrittore».

L'operazione conservatrice del Croce storico fa il paio con quella del Croce filosofo: se la dialettica dell'idealista Hegel era una dialettica dei contrari - uno svolgimento della storia che procede per contraddizioni - la dialettica crociana è una dialettica dei distinti: commutare la contraddizione in distinzione significa operare un'attenuazione se non un annullamento dei contrasti che nella storia, e dunque nelle società, si presentano. Per Gramsci, tale operazione si manifesta nelle opere storiche del Croce: la sua Storia d'Europa, iniziando dal 1815 e tagliando fuori il periodo della Rivoluzione francese e quello napoleonico, «non è altro che un frammento di storia, l'aspetto passivo della grande rivoluzione che si iniziò in Francia nel 1789, traboccò nel resto d' Europa con le armate repubblicane e napoleoniche, dando una potente spallata ai vecchi regimi e determinandone non il crollo immediato come in Francia, ma la corrosione riformistica che durò fino al 1870».

Allo stesso modo, la sua Storia d'Italia dal 1871 al 1915 «prescinde dal momento della lotta, dal momento in cui si elaborano e radunano e schierano le forze in contrasto [...] in cui un sistema etico-politico si dissolve e un altro si elabora [...] in cui un sistema di rapporti sociali si sconnette e decade e un altro sistema sorge e si afferma, e invece [Croce] assume placidamente come storia il momento dell'espansione culturale o etico-politico».

[modifica] Il materialismo storico

Gramsci, fin dagli anni universitari, fu un deciso oppositore di quella concezione fatalistica e positivistica del marxismo, presente nel vecchio partito socialista, per la quale il capitalismo necessariamente era destinato a crollare, facendo posto a una società socialista. Questa concezione mascherava l'impotenza politica del partito della classe subalterna, incapace di prendere l'iniziativa per la conquista dell'egemonia.

Anche il manuale del bolscevico russo Nikolai Bucharin, edito nel 1921, La teoria del materialismo storico manuale popolare di sociologia, si colloca nello stesso filone. «La sociologia è stata un tentativo di creare un metodo della scienza storico-politica, in dipendenza di un sistema filosofico già elaborato, il positivismo evoluzionistico....è diventata la filosofia dei non filosofi, un tentativo di descrivere e classificare schematicamente i fatti storici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali. La sociologia è dunque un tentativo di ricavare sperimentalmente le leggi di evoluzione della società umana in modo da prevedere l'avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia. L'evoluzionismo volgare è alla base della sociologia che non può conoscere il principio dialettico col passaggio dalla quantità alla qualità, passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico».

Karl Marx
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Karl Marx

La comprensione della realtà come sviluppo della storia umana è solo possibile utilizzando la dialettica marxiana, esclusa nel Manuale del Bucharin, perché essa coglie tanto il senso delle vicende umane quanto la loro provvisorietà, la loro storicità appunto, determinata dalla prassi, dall’azione politica che trasforma le società.

Le società non si trasformano da sé in qualunque situazione data; già Marx aveva rilevato come nessuna società si ponga compiti per la cui soluzione non esistano già le condizioni almeno in via di apparizione né essa si dissolve e può essere sostituita se prima non ha svolto tutte le forme di vita che le sono implicite. Il rivoluzionario si pone il problema di individuare esattamente i rapporti tra struttura e superstruttura per giungere a una giusta analisi delle forze che operano nella storia di un determinato periodo. L’azione politica rivoluzionaria, la prassi, per Gramsci è anche catarsi che segna «il passaggio dal momento meramente economico (o egoistico-passionale) al momento etico-politico cioè l’elaborazione superiore della struttura in super-struttura nella coscienza degli uomini. Ciò significa anche il passaggio dall’ oggettivo al soggettivo e dalla necessità alla libertà. La struttura, da forza esteriore che schiaccia l’uomo, lo assimila a sé, lo rende passivo, si trasforma in mezzo di libertà, in strumento per creare una nuova forma etico-politica, in origine di nuove iniziative. La fissazione del momento catartico diventa così, mi pare, il punto di partenza di tutta la filosofia della passi; il processo catartico coincide con la catena di sintesi che sono risultate dallo svolgimento dialettico».

La dialettica è dunque strumento di indagine storica, che supera la visione naturalistica e meccanicistica della realtà, è unione di teoria e prassi, di conoscenza e azione. La dialettica è «dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della politica» e può essere compresa solo concependo il marxismo «come una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale in quanto supera (e superando ne include in sé gli elementi vitali) sia l’idealismo che il materialismo tradizionali espressione delle vecchie società. Se la filosofia della prassi [il marxismo] non è pensata che subordinatamente a un’altra filosofia, non si può concepire la nuova dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime».

Il vecchio materialismo è metafisica; per il senso comune la realtà oggettiva, indipendente dal soggetto, esistente indipendentemente dall’uomo, è un ovvio assioma, confortato dall’affermazione della religione per la quale il mondo, creato da Dio, si trova già dato di fronte a noi. Ma per Gramsci, se vanno esclusi gli idealismi berkeleiani e gentiliani, va anche rifiutata «la concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica» dal momento che «a questa può essere mossa l’obbiezione di misticismo». Se noi conosciamo la realtà in quanto uomini, ed essendo noi stessi un divenire storico, anche la conoscenza e la realtà sono un divenire.

Come potrebbe infatti esistere un’oggettività extrastorica ed extraumana e chi giudicherà di tale oggettività? «La formulazione di Engels che l’unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all’uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre umanamente oggettivo, ciò che può corrispondere esattamente a storicamente soggettivo [...]. L’uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie [...]. C’è dunque una lotta per l’oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l’unificazione culturale del genere umano».

[modifica] Bibliografia

[modifica] Opere di Antonio Gramsci

[modifica] Opere su Antonio Gramsci

  • Battistrada Franco, Per un umanesimo rivisitato. Da Heidegger a Gramsci, a Jonas, all'etica di liberazione, Milano, 1999, ISBN 8816405058
  • Bobbio Norberto, Saggi su Gramsci, Milano, 1990
  • Bordoli Roberto, Vitae meditatio. Gramsci e Spinoza a confronto, Urbino, 1990, ISBN 883920153X
  • Broccoli Angelo, Gramsci e l'educazione come egemonia, Firenze, 1972, ISBN 8822121686
  • Burbio Alberto, Gramsci storico. Una lettura dei "Quaderni dal carcere", Bari, 2003, ISBN 8842068543
  • Cerardi Cosimo, Gramsci e la costruzione dell'egemonia, Milano, 2001, ISBN 8887897123
  • De Felice Franco, Serrati, Bordiga, Gramsci e il problema della rivoluzione in Italia (1919-1920), Bari, 1971
  • Fiori Giuseppe, Gramsci Togliatti Stalin, Bari, 1991, ISBN 8842037133
  • Fiori Giuseppe, Vita di Antonio Gramsci, Bari, 1989 ISBN 8887825599
  • Frosini Fabio e Liguori Guido, Le parole di Gramsci. Per un lessico dei Quaderni del carcere, Milano, 2004, ISBN 8843028537
  • Frosini Fabio, Gramsci e la filosofia. Saggio sui quaderni dal carcere, Milano, 2003, ISBN 8843024701
  • Gerratana Valentino, Gramsci. Problemi di metodo, Roma, 1997, ISBN 883594189X
  • Gramsci Antonio, Quaderni del carcere, Roma, 1975
  • Gramsci Antonio, Quaderni del carcere, Torino, 1948 - 1951
  • Gruppi Luciano, Il concetto di egemonia in Gramsci, Roma, 1972
  • La Rocca Tommaso, Gramsci e la religione, Brescia, 1991, ISBN 8839906312
  • Lentini Giacinto, Croce e Gramsci, Palermo - Roma, 1967
  • Lepre Aurelio, Il prigioniero. Vita di Antonio Gramsci, Bari, 2000, ISBN 8842060356
  • Manacorda Mario Alighiero, Il principio educativo in Gramsci "Americanismo e conformismo", Roma, 1970
  • Martelli Michele, Gramsci filosofo della politica, Milano, 1996, ISBN 8840004181
  • Mondolfo Rodolfo, Da Ardigò a Gramsci, Milano, 1962
  • Orfei Ruggero, Antonio Gramsci coscienza critica del marxismo, Milano, 1965
  • Paggi Leonardo, Gramsci e il moderno principe, Roma, 1970
  • Paladini Musitelli Marina, Introduzione a Gramsci, Bari, 1996, ISBN 8842048305
  • Pasolini Pier Paolo, Le ceneri di Gramsci, Milano, 1957, ISBN 8811676061
  • Romano Salvatore Francesco, Antonio Gramsci, Torino, 1965
  • Salvadori Massimo L., Gramsci e il problema storico della democrazia, Torino, 1970, ISBN 8806358405
  • Spriano Paolo, Gramsci e Gobetti. Introduzione alla vita e alle opere, Torino, 1977, ISBN 8806462431
  • Tamburano Giuseppe, Gramsci: la vita, il pensiero e l'azione, Bari - Perugia, 1963
  • Togliatti Palmiro, Scritti su Gramsci, Roma, 2001, ISBN 883595018X
  • Vacca Giuseppe, Appuntamenti con Gramsci. Introduzione allo studio dei Quaderni dal carcere, Bari, 1999, ISBN 8843012800

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti


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Predecessore: Segretario del Partito Comunista Italiano Successore: Falce e martello
Amadeo Bordiga 1924 - 1926 Palmiro Togliatti I
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