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Giacomo Leopardi (opere)

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Voce principale: Giacomo Leopardi.

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[modifica] Opere

Edizione delle Opere di Leopardi, Napoli 1835
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Edizione delle Opere di Leopardi, Napoli 1835

Seguire il percorso della produzione letteraria di Giacomo Leopardi, vuol dire seguire il corso della sua vita e comprendere il suo mondo interiore.

[modifica] Le prime opere erudite: 1813 - 1816

Le opere che vanno dal 1813 al 1817 appartengono agli anni della sua prima formazione e presentano tutte un carattere erudito dovuto, come il poeta stesso dirà, a "Sette anni di studio matto e disperatissimo" basato su testi prevalentemente settecenteschi che si trovavano nella biblioteca paterna o in quelle di altre nobili famiglie di Recanati.
Sono assenti in queste prime opere i motivi più consistenti della tradizione italiana dal trecento al cinquecento e dominano i motivi più retorici ed esteriori della scuola arcadica, dal Frugoni al Monti.

Risalgono al 1812 le due tragedie,Pompeo in Egitto e la Virtù Indiana, dove spiccano, come scrive il Sapegno[1] "certe note eroiche e sentimentali, di un eroismo disperato e senza oggetto".

Compone nel 1813 la Storia dell'Astronomia della quale è stata pubblicata solo una delle due redazioni esistenti, entrambi conservate presso palazzo Leopardi. Si tratta per la maggior parte di un'opera compilatoria che presenta alcuni tratti di originalità che l'hanno fatta molto apprezzare a Margherita Hack, che ne ha curato una edizione commentata.

Nel 1814 compone la prima opera di carattere filologico, il Porphyri de vita Plotini et ordine librorum ejus, che fornisce una edizione commentata e corretta dell'opera, riciclando la maggior parte del materiale dal Fabricius (Bibliotheca Graeca); opera questa che comunque attesta la prematura competenza filologica del giovane erudito, che apprese il greco senza maestri ed in pochissimo tempo, come attesta la nota del padre Monaldo apposta sul manoscritto.
Nello stesso anno scrive i "Commentarii de vita et scriptis rhetorum quorundam qui secundo post Christum saeculo vel primo declinante vixerunt" splendida opera che raccoglie tutte le testimonianze ed i frammenti dei retori del periodo preso in esame. Un capitolo è dedicato alle opere superstiti, pochi frammenti di Frontone, che solo l'anno dopo verrà dato alle stampe da Angelo Mai.

È del 1815 l'Orazione agli italiani in occasione della liberazione del Piceno, scritta per la sconfitta di Murat e per il ritorno del dominio pontificio nelle Marche, dove il poeta richiama alla "virtù" antica dimostrando così di allontanarsi dal legittimismo reazionario del padre Monaldo, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, ambedue documenti dello spirito razionalistico di certa cultura settecentesca, e "Giulio Africano", opera che raccoglie e commenta tutte le testimonianze ed i frammenti di questo ignoto autore, la cui lettura era estremamente difficile, essendo il testo cosparso da una miriade di errori di trascrizione, che il Leopardi in gran parte individua e risolve. L'opera, che è stata attentamente analizzata da Timpanaro[2], viene dallo stesso definita la meno erudita delle opere leopardiane così dette filologiche.
Del 1816 è ancora un'opera a carattere filologico intitolata Discorso sopra la vita e le opere di Frontone.

[modifica] Primi passi verso la "conversione letteraria": 1816 - 1817

Tra il 1816 e il 1817 si assiste, da parte del poeta, a una nuova ricerca letteraria che sfociano in forme poetiche antiche come l'idillio funebre Le rimembranze, scritto nella primavera del '16, e l'Inno a Nettuno che finse di aver tradotto da un originale greco che affermava di aver trovato a Roma. L'Inno verrà pubblicato nel 1917 insieme a due odi che egli scrisse direttamente in greco, le Odae adespotae, cioè "anonime".

Sono del novembre 1817 i Sonetti in persona di Ser pecora fiorentino beccaio scritti in difesa del Monti e del Giordani, che risentono del carattere burlesco che vigeva in Toscana e che vennero pubblicata nel 1826 nel volumetto dei "Versi".

Di questo periodo è la cantica Appressamento della morte formata da cinque canti in terzine che egli scrisse sul finire del 1816 e di cui è confluito nei Canti un unico frammento.

Alla infatuazione amorosa che il giovane Leopardi provò per la cugina Gertrude Cassi Lazzari, si devono le prime dirette esperienze di scrittura autobiografica. Nacque così nel 1817 il frammento in prosa del Diario del primo amore e una Elegia in terza rima, che farà poi parte dei Canti con il titolo Il primo amore oltre l'inizio di un diario che continuò per quindici anni (1817 - 1832), lo Zibaldone

[modifica] Le canzoni civili: 1818

Il rapporto con il Giordani stimola il Leopardi ad intervenire in modo più attivo nel il dibattito culturale dei tempi e nel 1818 il giovane scriverà il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica.
In questo Discorso il poeta espone alcuni punti base della sua poetica dimostrando un'ampia visione del rapporto tra la poesia e la storia e difendendo le posizioni classicistiche. Si sente in questa posizione l'insegnamento di Rousseau. Il Leopardi infatti sente che rapportarsi con la natura è estremamente importante perché esso stimola l'immaginazione e produce le illusioni. Nella poesia del mondo antico, così simile al mondo infantile, egli trova una poesia che, imitando la natura "diletta" e "illude".

Nel settembre e nell'ottobre di quello stesso anno nascono le canzoni All'Italia e Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze che vennero subito pubblicate a Roma in un libretto dedicato a Vincenzo Monti.

Nella canzone All'Italia vengono ricordati i giovani italiani periti nelle guerre napoleoniche subito associati, con il rievocare del canto di Simonide di Ceo, ai giovani greci morti alle Termopoli.
La canzone Sopra il monumento di Dante prende lo spunto dal progetto di un comitato di Firenze per erigere un monumento a Dante in piazza Santa Croce, monumento che venne effettivamente inaugurato nel 1830. Vengono in essa ricordati i tempi eroici e la passione civile di Dante che si sviluppa in una lunga digressione sugli Italiani che erano morti in Russia nella tragica campagna Napoleonica del 1812.


[modifica] Zibaldone (1817-[[1832)

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«È una mole di 4526 facce lunghe e larghe mezzanamente, tutte vergate di man dell’autore, d’una scrittura spesso fitta, sempre compatta, eguale, accurata, corretta. Contengono un numero grandissimo di pensieri, appunti, ricordi, osservazioni, note, conversazioni e discussioni, per così dire, del giovine illustra con se stesso su l’animo suo, la sua vita, le circostanze; a proposito delle sue letture e cognizioni; di filosofia, di letteratura, di politica; su l’uomo, su le nazioni, su l’universo; materia di considerazioni più ampia e variata che non sia la solenne tristezza delle operette morali; considerazioni poi liberissime e senza preoccupazioni, come di tale che scriveva giorno per giorno per sé stesso e non per gli altri, intento, se non a perfezionarsi, ad ammaestrarsi, a compiangersi, a istoriarsi. Per sé stesso notava e ricordava il Leopardi, non per il pubblico: ciò non per tanto gran conto ei doveva fare di questo suo ponderoso manoscritto, se vi lavorò attorno un indice amplissimo e minutissimo, anzi più indici, a somiglianza di quelli che i commentatori olandesi e tedeschi solevano apporre alle edizioni dei classici. Quasi ogni articolo di quella organica enciclopedia è segnato dell’anno del mese e del giorno in cui fu scritto, e tutta insieme va dal luglio del 1817 al 4 dicembre del 1832; ma il più è tra il ’17 e il ’27, cioè dei dieci anni della gioventù più feconda e operosa, se anche trista e dolente.»
(Giosuè Carducci: prefazione ai Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura di Giacomo Leopardi)

Durante l'estate del 1817 il Leopardi iniziò a mettere insieme gli appunti e le annotazioni destinati a costituire lo Zibaldone di pensieri, al quale lavorò intensamente fino al 1832. In esso toccò argomenti diversi riguardanti la filosofia, la letteratura, la linguistica, oltre a trattare di problemi etici o sociali e anche legati alla sua personale esperienza.

Questo libro ha un'importanza fondamentale nella filosofia dell'800 per le posizioni molto simili a quelle di Schopenhauer. Leopardi, sebbene al di fuori delle dispute filosofiche del tempo, riuscì ad elaborare una teoria molto innovativa, anticipando anche posizioni nietzschiane. Si può ben definire il Leopardi filosofo come l'iniziatore di quell'orientamento che in seguito verrà definito nichilismo.

[modifica] Produzioni varie:1819

Nel 1819, in seguito alla "conversione filosofica" che rendeva il suo pensiero più pessimista e legato alla filosofia sensista, tutto quanto legava ancora il Leopardi alla sua prima educazione letteraria e ideologica entra in crisi e il poeta sente la necessità di tentare una letteratura adatta alla sensibilità del presente.

Nella poesia di questo periodo vengono rappresentate situazioni scabrose in un incisivo linguaggio classicistico che risulta in contrasto con i temi di nera quotidianità come nelle due canzoni, che poi egli stesso rifiuterà, Per una donna inferma di malattia lunga e mortale e Nella morte di una donna fatta trucidare col suo portato dal coruttore per mano e arte di un chirurgo.

Viene anche tentata una tragedia pastorale, rimasta incompiuta, dal titolo Telesilla, nella quale il poeta inserisce su uno sfondo convenzionale alcuni temi realistici.

Tra il marzo e il maggio del 1819 il Leopardi, sullo spunto della lettura del Werther di Goethe, lavora a i Ricordi d'infanzia e di adolescenza sperimentando così la prosa autobiografica e dimostrando una sottile sensibilità per le molteplici sfumature della vita quotidiana e dei paesaggi della natura.

[modifica] Gli idilli: 1819-1825

Agli sviluppi della critica più recente è più delicato e problematico di una volta isolare, nell'insieme dei "Canti", un Leopardi "idillico" come aveva potuto fare il De Sanctis che sotto il nome di nuovi idilli aveva considerato poesie come "La quiete dopo la tempesta" o "Il sabato del villaggio" tenendo conto del loro elemento paesistico-descrittivo.
La critica attuale sembra più incline ad assegnare il nome di "idilli" a quei primi componimenti che lo stesso Leopardi intitolò appunto con il nome di Idilli e che aveva pubblicato, tra il dicembre del 1825 e il gennaio del 1826, nel "Nuovo Ricoglitore" e cioè L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria e infine il frammento Odi e Melisso.

In un elenco che Leopardi aveva redatto probabilmente nel 1828 egli parla di "idilli esprimenti situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo". Questa nuova poesia nacque tra il 1819 e il 1821 e si traduce in quei componimenti, scritti in endecasillabi sciolti, che vengono trazionalmente chiamati Piccoli idilli e che vennero pubblicati, sotto il nome di Versi, nel 1826.
Risalgono al 1919 il frammento Odi, Melisso, L'infinito e Alla luna, al 1820 La sera del dì di festa, al 1825 Il sogno e La vita solitaria.

[modifica] Odi, Melisso

Si tratta di un frammento scritto sotto forma di dialogo nel quale Alceta racconta a Melisso il sogno fatto, simile ad un incubo, sulla caduta della luna dal cielo dove si sente ancora l'influsso dei modelli dell'idillio classico, anche se il tono usato è più semplice e popolare.

[modifica] L'Infinito

[modifica] Alla luna

[modifica] La sera del dì di festa

[modifica] Il sogno

[modifica] La vita solitaria

[modifica] Le Canzoni:1820-1823

[modifica] Ad Angelo Mai

In occasione della scoperta del De Re Publica di Cicerone da parte di Mai, Leopardi scrisse la canzone Ad Angelo Mai nella quale traccia quasi una genesi della poesia italiana passando da Alighieri a Petrarca, da Ariosto a Tasso fino ad arrivare a Alfieri. Quella ad Angelo Mai è una canzone che segna un'altra tappa fondamentale della poesia leopardiana, quel divorzio fra scienza e poesia, la perdita dell'immaginazione e la consapevolezza dell'illusione. Elementi, questi, che accompagneranno fino alla fine il pensiero poetico di Leopardi.

[modifica] Per le nozze della sorella Paolina

[modifica] Ad un vincitor di pallone

[modifica] Bruto minore

Per approfondire, vedi la voce Bruto minore.


Questa canzone, assieme a l'Ultimo canto di Saffo indica con chiarezza come ormai Leopardi si sia del tutto allontanato dalla convinzione, a lungo sostenuta in precedenza, che nel mondo antico gli uomini avessero la possibilità di essere felici, venuta meno nel mondo moderno. (cfr. Alla Primavera, o delle favole antiche)

[modifica] Ultimo canto di Saffo

Per approfondire, vedi la voce Ultimo canto di Saffo.

[modifica] Alla primavera o delle favole antiche

[modifica] Inno ai Patriarchi

[modifica] Alla sua donna

[modifica] Operette morali

Per approfondire, vedi la voce Operette morali.

[modifica] Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani (1824)

Nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani, Leopardi analizza lo stato di decadenza della società italiana dell'epoca, confrontando la situazione del nostro paese con quella delle altre nazioni europee. L'approccio è di tipo storico, ma più che fare un resoconto puntuale dei mutamenti sociali, lo scrittore utilizza elementi di antropologia e di filosofia per giungere ad un'originale sintesi dei problemi italiani, in parte ancora attuale. L'analisi muove da una convinzione profonda di Leopardi: nel mondo moderno gli uomini, divenuti ormai "filosofi" e quindi consci della vanità delle loro azioni, non possono formare una società basata sui valori "naturali" propri degli antichi. L'unica possibile spinta verso una condotta moralmente corretta può venire dalla necessità di non sfigurare rispetto agli altri uomini, all'interno di una società in cui vi siano delle regole di comportamento da tutti accettate. Questa "società stretta", formata da individui di stato sociale medio-alto, portatrice di un "costume nazionale", si è sviluppata all'interno dei paesi del centro-nord Europa, ma non ancora in Italia, per una serie di ragioni: clima mite che induce allo svago all'aria aperta più che alla conversazione, divisioni politiche, indole vivace depressa dalla conoscenza della nullità dell'esistenza, abitudine a feste popolari e non a ritrovi ristretti, ecc. Leopardi quindi accompagna la consueta critica alla cultura italiana del tempo con un invito a prendere da modello le nazioni nordeuropee, vedendo nella modernità i semi dello sviluppo di società eticamente più nobili, seppure lontane dal modello per lui insuperabile dell'antichità classica.

[modifica] Nuove canzoni (1823-1832)

[modifica] Alla sua donna

Per approfondire, vedi la voce Alla sua donna.


[modifica] Il Risorgimento

[modifica] A Silvia

Per approfondire, vedi la voce A Silvia.

Nelle due vicende così diverse del poeta e di Silvia si riflette la sorte universale dell'uomo sottoposto al duro inganno della Natura, che prima illude i suoi figli con le promesse vaghe dell'avvenire, poi li condanna all'infelicità con l'apparire del vero.


Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi a Recanati, morì giovanissima di tisi. A lei si suole far riferimento come possibile fonte d'ispirazione di due delle più alte liriche leopardiane: A Silvia e Le ricordanze. Gli studi recenti tendono però a mettere in guardia da facili interpretazioni romanzate o da identificazioni biografiche in sé non necessarie per una corretta e approfondita comprensione dei testi di Leopardi.

Il riferimento testuale che autorizza il collegamento tra Silvia/Nerina e Teresa Fattorini si trova nei "Ricordi d'infanzia e d'adolescenza" (1819): "Canto delle figlie del cocchiere e in particolare di Teresa mentre ch'io leggeva il Cimitero della Maddalena".

Nella piazzetta su cui si affaccia il Palazzo Leopardi, a Recanati, è possibile vedere tuttora un modesto edificio indicato come "la casa di Silvia".

[modifica] Il passero solitario

Per approfondire, vedi la voce Il passero solitario.

Di pari importanza è il contrasto che, nell'ultima strofa della lirica, contrappone da un lato il passero che rimane isolato per istinto e quindi non soffre, dall'altro lo sconsolato io lirico consapevole di esser solo per scelta, in opposizione con la natura umana che tende invece ad unirci. Ed è appunto per quest'ultima causa che il poeta negli ultimi versi si strugge per la sua condizione ora, ma in particolar modo quando la detestata vecchiaia lo raggiungerà.

[modifica] Le ricordanze

Per approfondire, vedi la voce Le ricordanze.


[modifica] La quiete dopo la tempesta

[modifica] Il sabato del villaggio

Il sabato del villaggio, composto nel 1829. Tuttavia, rispetto alla "Quiete" si osserva una rappresentazione più ampia del villaggio al calar della sera, tra voci, colori, luci ed ombre evocati con tocchi delicati ed espressivi. La sola strofa conclusiva, con l'apostrofe "Garzoncello scherzoso..." rende esplicita, ma senza sottolineature amare o sentenziose, l'analogia tra il sabato e la giovinezza, tra la domenica, piena di "tristezza e noia" e l'età adulta.

[modifica] Introduzione al canto Il sabato del villaggio

Questo canto fu scritto dal Leopardi subito dopo "La quiete dopo la tempesta". Riprende e sviluppa lo stesso tema, tanto che si possono considerare due poesie gemelle, sia per la tesi, sia per la forma, sia per il linguaggio poetico con le quali furono scritte. Ugo Dotti così presenta i due canti: «Ciascuno dei due canti, insomma, così profondamente congiunti anche tra loro da formare un vero e proprio dittico, costituisce, nonostante l'apparente scissione formale, un vero e proprio unicum, come tale pensato e realizzato». Esse dopo una descrizione naturalistica dell'ambiente naturale nella "Quiete" e dopo la descrizione dei personaggi del "Sabato" il Leopardi passa subito alla sua riflessione personale, concludendosi entrambe con un commiato di ammonimento a non farsi illusioni sulla natura. Ora mentre nella "Quiete" il piacere della vita si riferisce agli elementi della natura stessa; nel "Sabato" il piacere della vita si riferisce alla società e alle tradizioni sociali. Come non c'è tregua nel dolore nella natura, così non c'è piacere nelle società, perché la natura arriva presto a stroncare ogni forma di piacere e di illusione. Ma una grande differenza c'è tra i due finali: il finale della "La Quiete" è drammatico e pessimistico, mentre il finale del "Sabato" è dolce e gradevole, anzi è un invito a godere i possibili piaceri della fanciullezza, prima che arrivi la giovinezza che darà dolori e a cui seguirà la terribile vecchiaia.

[modifica] Parafrasi e costruzione diretta della poesia Il sabato del villaggio

La fanciulla viene dalla campagna
Mentre il sole sta tramontando
con un fascio di erba; e reca nella mano
un mazzolino di rose e di viole
con il quale, come è solita fare,
si prepara ad ornare domani,
nel giorno di festa, il seno e i capelli.
La vecchietta siede con le vicine
Presso la scala esterna alla casa
e rivolta verso il giorno che svanisce,
racconta fatti della sua giovinezza,
quando si faceva bella nel giorno della festa
ed ancora agile e in buona salute
era solita danzare la sera insieme a coloro
che erano i suoi compagni di giovinezza.
L’aria intanto si fa più scura,
il cielo torna a colorarsi di un azzurro intenso,
le ombre tornano giù dai colli e dai tetti
mentre la luna appena spuntata
rende bianca la luce della sera.
Ora la campana dà inizio
Alla festa che incomincia
E si direbbe che a quel suono
Il cuore si riconforti.
I fanciulli fanno un rumore allegro
gridando in gruppo sulla piazzetta e
saltando qua e là.
Intanto il contadino torna fischiettando
alla sua povera mensa e pensa
fra sé e sé al giorno del riposo.
Poi, quando intorno ogni lume è spento
E ogni cosa tace,
si sente il martello battere, si sente la sega
del falegname che è ancora sveglio
nella sua bottega chiusa
e s'affretta e di sbriga
per finire il lavoro prima il chiarore dell’alba.
Il sabato è il più piacevole di tutti i sette,
pieno di gioie e di speranze,
domani le ore porteranno tristezza e noia
e ognuno penserà al lavoro abituale.
O fanciullo scherzoso,
questa tua età felice
è come un giorno pieno di allegria,
un giorno luminoso e sereno
essa precede la giovinezza della tua vita.
Godi, o fanciullo mio, la tua è una condizione felice,
un’età piena di gioia.
Non voglio dirti altro; ma non ti dispiaccia
che la tua festa tardi ancora a venire.

[modifica] Canto notturno di un pastore errante dell'Asia

Per approfondire, vedi la voce Canto notturno di un pastore errante dell'Asia.

Tra la fine del 1829 ed i primi mesi del 1830, Leopardi compose la canzone Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Nel comporre tale poesia, Leopardi trae ispirazione dalla lettura del "Voyage d'Orenbourg à Boukhara fait en 1820" del barone russo Meyendorff (cfr. Zibaldone, 4399, in data 2 ottobre 1828), nel quale si narrava di come certi pastori dell'Asia centrale, appartenenti alla popolazione Kirghisa, fossero soliti intonare lunghe e dolci nenie rivolgendosi alla luna piena. La canzone, che si articola in 5 strofe di ineguale lunghezza, si configura difatti come un dialogo fra un pastore e la luna. Tuttavia il canto si apre con le parole "Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,/ silenziosa luna?": tale sarà infatti l'astro notturno nel corso dell'intero componimento, silenzioso, e il dialogo si configurerà dunque come un lungo e pressante monologo esistenziale del pastore, alla disperata ricerca di riposte al senso di inutilità dell'esistenza. I due personaggi sono calati in uno spazio e un tempo indefiniti, onde accentuare il carattere universale e simbolico del loro incontro: il pastore rappresenta il genere umano in toto e i suoi dubbi non sono contingenti, ancorati al qui e all'ora, ma sono anzi propri dell'uomo di ogni tempo; la luna d'altra parte rappresenta la Natura, la forza "bella e terribile" che affascina e contemporaneamente spaventa il poeta. Il pastore, uomo di condizione umile, si rivolge alla luna con tono pacato ma incalzante, velato di malinconia, e proprio l'assenza di risposta da parte del satellite lo conduce via via a indagare più approfonditamente il suo ruolo, e quindi quello dell'umanità, nei confronti della vita e del mondo, definendo sempre meglio "l'arido vero" tanto caro alla poetica leopardiana. Nella prima strofa difatti il pastore, pur definendo silenziosa la luna, si attende una risposta da essa e riscontra analogie, più che differenze, fra la sua condizione e quella della luna: entrambi infatti s'alzano, percorrono la loro strada sempre identica a sé stessa e infine si riposano: la vita del pastore come quella della Luna appaiono prive di senso. Compare però, a metà della strofa una discriminante di notevole importanza: il corso della vita umana è finito e il suo correre, paragonato a quello d'un "vecchierel bianco" (cfr. Francesco Petrarca, canzoniere XVI), termina tragicamente nell'"abisso orrido" della morte. Tale condizione, che si specifica nella seconda strofa come una condizione di profonda sofferenza (lapidari sono i versi "se la vita è sventura, perché da noi si dura?"), è assai distante da quella della Luna, che appare invece eterna, "vergine", "intatta". Nella terza strofa il pastore si rivolge dunque alla luna con rinnovato vigore e speranza, ritenendo che l'astro, proprio per questa sua privilegiata condizione ultramondana, possa fornirgli le risposte alle sue domande più urgenti: che cosa sa la vita, quale sia il suo scopo essendo essa necessariamente finita, quale sia la ragione prima di tutte le cose. Ma la luna, capisce presto il pastore, se pure conoscesse le risposte a tali quesiti, non potrebbe rispondere, poiché tale è la Natura: distante, incomprensibile, muta se non indifferente alle cure dell'uomo. La ricerca di senso e di felicità del pastore prosegue infine nelle ultime due strofe; nella quarta il pastore si rivolge al suo gregge, osservando come la mancanza di autocoscienza che esso ha gli consente di vivere in apparente tranquillità la propria esistenza, in assenza di noia o dolore; ma questa tesi viene infine ribaltata nell'ultima strofa, breve e liricamente affranta, nella quale si ammette come, probabilmente, in qualunque forma si nasca, sia essa luna, gregge o uomo, qualunque cosa si sia in grado di fare, volare nello spazio contando tutte le stelle o vagare fra le nubi come un tuono, la vita sia ugualmente funesta.

[modifica] Ultime canzoni (1832-1837)

Nelle ultime canzoni predomina l'indagine filosofica salvo che nel Tramonto della luna che è un deciso ritorno alla lirica idilliaca.

[modifica] Il pensiero dominante

Nel 1830 il Leopardi ritorna a Firenze, dove conosce una giovane e bella signora, Fanny Ronchivecchi, sposata allo scienziato A. Tozzetti. Il poeta frequentò la casa della bella signora e se ne innamorò, ma non rivelò mai il suo amore per la giovane donna, anche perché lei era innamorata di A. Ranieri, in un gioco delle parti nel quale il Leopardi ebbe la peggio, perché dovette fare buon viso a cattivo gioco. Dopo un anno di questa passione travolgente, ma tutta interiore e silenziosa, il Leopardi nell'ambiente fiorentino maturò e scrisse la prima poesia ispirata dalla passione amorosa per la bella e gaudente signora. L'ultima poesia sarà "Aspasia" scritta a Napoli nel 1834, la quale chiuderà il ciclo delle poesie amorose, nelle quale il poeta riverserà e sublimerà tutti i suoi sentimenti ed emozioni, che saranno gli ultimi vivi e fervidi prima dell'ultimo isolamento napoletano, dove però maturerà le ultime grandi liriche ispirate dalla natura, dalle nuove ideologie politiche, ma prive del sentimento dell'amore che lo tenne sentimentalmente vivo e partecipe di quale grande sentimento che è l'argomento della prima poesia e cioè l'amore che tanto sognò ma non ebbe mai la gioia di realizzarlo e viverlo, guadandolo attraverso il suo tenero amico A. Ranieri. Il Leopardi aveva scritto nel suo Zibaldone:<< L'amore è la vita e il principio vivificante della natura, come l'odio il principio distruggente e mortale>>. Il critico letterario Binni ha così descritto questo periodo fiorentino del poeta:<< Ecco così una nuova forma di lirica profondamente soggettiva, espressione di una prepotente personalità, tutta rampollante dal presente, e perciò poco armoniosa, ma impetuosa, tesa e tenace: una ricerca di parole forti, energiche non vaghe e nostalgiche, come quelle degli idilli, un ripudio del quadro campeggiante sul resto del componimento, e di qualsiasi forma anche se altissima di pittoresco e di descrittivo>>. La poesia è composta da 14 strofe per un numero totale di 147 versi con un vario gioco di rime e assonanze.


[modifica] Amore e morte

[modifica] Consalvo

Per approfondire, vedi la voce Consalvo.

[modifica] Aspasia

Per approfondire, vedi la voce Aspasia Leopardi.


[modifica] Sopra un bassorilievo antico sepolcrale

Per approfondire, vedi la voce Sopra un basso rilievo sepolcrale.

[modifica] Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima

Per approfondire, vedi la voce Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima.


[modifica] La ginestra

Per approfondire, vedi la voce La ginestra.


Il componimento ripropone la dura polemica antiottimistica e antireligiosa, ma in chiave democratica.
Però qui Leopardi non nega più la possibilità di un progresso civile: cerca anzi di costruire proprio sul suo pessimismo un'idea di progresso autentico, ben diverso dalle "magnifiche sorti e progressive", di cui si vanta il "secol superbo e sciocco" ovvero l'Ottocento romantico e spiritualista.

"La Ginestra", sul piano letterario, è anche la massima realizzazione di quella "nuova poetica" antiidillica già sperimentata a partire dal '30.

La canzone, composta presso Torre del Greco, in una villa alle falde del Vesuvio, consta di 317 versi e come metro utilizza strofe libere di endecasillabi e settenari. È un vasto poemetto, costruito sinfonicamente con sapiente alternanza di toni: dal quadro grandioso e tragico del vulcano minacciante distruzione e delle distese di lava infeconda, all'aspra polemica ideologica; dagli squarci cosmici che proiettano la nullità della terra e dell'uomo nell'immensità dell'universo, alla visione dell'infinito svolgersi dei secoli della storia umana su cui incombe immutabile la minaccia della natura, sino alle note gentili dedicate al "fiore del deserto", in cui si compendiano complessi significati simbolici: la pietà verso le sofferenze umane, la dignità che dovrebbe essere propria dell'uomo dinanzi alla forza invincibile della natura che lo schiaccia.

[modifica] Pensieri (CI-CXI)

[modifica] Il tramonto della luna (1837)

Per approfondire, vedi la voce Il tramonto della luna.

La tomba dell'autore già nella chiesetta di San Vitale a Fuorigrotta, si trova ora nel parco Virginiano, vicino appunto alla tomba di Virgilio. Qualcun pensa che il corpo di Leopardi sia stato sepolto in una fossa comune proprio a causa dell'epidemia che in quegli anni aveva colpito il capoluogo partenopeo, ma Ranieri nega decisamente questa circostanza.

[modifica] L'Epistolario

Per approfondire, vedi la voce Giacomo Leopardi (epistolario).

[modifica] Palinodia al marchese Gino Capponi

Per approfondire, vedi la voce Palinodia al marchese Gino Capponi.

Su quest'opera il marchese Gino Capponi scrisse in una lettera a Leopardi che condivideva in parte le sue idee e lo ringraziava per i "nobili versi"; ma, in una lettera indirizzata al Viesseux, si esprimeva con ben altri termini "quel gobbo maledetto che s'è messo in capo di coglionarmi".

[modifica] Paralipomeni della Batracomiomachia

[modifica] Poetica leopardiana

Per approfondire, vedi la voce Poetica di Leopardi.

[modifica] Note

  1. da Natalino Sapegno, Compendio di Storia della letteratura italiana, vol.III: Dal Foscolo ai Moderni, La Nuova Italia, Firenze 1958 pag.229
  2. da Sebastiano Timpanaro, La filologia di Giacomo Leopardi, Laterza, Bari 1977

[modifica] Fonti

  • Carlo Ferrucci. Leopardi filosofo e le ragioni della poesia. Venezia, Marsilio, 1987 .
  • Sergio Solmi. Studi e nuovi studi leopardiani. Napoli, Riccardo Ricciardi, 1975 .
  • Ugo Dotti. Il savio e il ribelle. Manzoni e Leopardi. Roma, Editori Riuniti, 1993 .
  • Luigi Blasucci. I tempi dei "Canti". Nuovi studi leopardiani. Torino, Einaudi, 1996 .
  • Walter Binni. La protesta di Leopardi. Milano, Sansoni, 1995 .
  • Mario Sansone. Storia della letteratura italiana. Milano-Messina, Principato, 1960 .
  • Natalino Sapegno. Compendio di Storia della Letteratura Italiana. Firenze, La Nuova Italia, 1958 .
  • Giuseppe Petronio. Compendio di storia della letteratura italiana. Scandicci-Firenze, Palumbo, 1968 .
  • Giulio Ferroni. Storia della letteratura italiana. Torino, Einaudi, 1991 .
  • Mario Pazzaglia. Letteratura italiana. Bologna, Zanichelli, 1991 .
  • Carlo Salinari. Storia della letteratura italiana. Roma-Bari, Laterza, 1991 .












[modifica] Altre poesie

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