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Giuseppe Garibaldi

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Giuseppe Garibaldi
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Giuseppe Garibaldi
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«Uomo in tutta l'accezione sublime del termine»

Giuseppe Garibaldi (Nizza, 4 luglio 1807 - Isola di Caprera, 2 giugno 1882) è stato un generale, condottiero e patriota italiano.

Garibaldi è considerato una delle figure fondamentali del Risorgimento italiano, ed è forse il personaggio storico più famoso e popolare nell'immaginario collettivo degli italiani. È noto anche con l'appellativo di eroe dei due mondi, per le sue imprese militari compiute sia in Sud America sia in Europa in nome della libertà ed indipendenza dei popoli.

Indice

[modifica] Adolescenza

Garibaldi nacque a Nizza, sotto il governo dei Savoia fino al 1860. Secondogenito di Domenico, capitano di cabotaggio immigrato da Chiavari, e Rosa Raimondi, originaria di Loano. Angelo era il nome di suo fratello maggiore, mentre dopo Giuseppe nacquero altri due maschietti, Michele e Felice, e due bambine, morte in tenera età. Adolescente, salvò una donna che rischiava di annegare in un fossato.

I genitori avrebbero voluto avviare Giuseppe alla carriera di avvocato, di medico o, anche, di prete. Il figlio, però, amava poco gli studi e prediligeva gli esercizi fisici e la vita sul mare, lui stesso ebbe a dire di essere stato «più amico del divertimento che dello studio». Vedendosi contrariato dal padre nella sua vocazione marinara, tentò di fuggire per mare verso Genova con alcuni compagni; ma fu fermato e ricondotto a casa. Tuttavia si appassionò all'insegnamento dei suoi primi precettori, soprattutto dal signor Arena, un reduce delle campagne napoleoniche, che gli insegnerà italiano e la storia antica. Rimarrà soprattutto affascinato dall'antica Roma.

Il padre si decise a lasciargli seguire la carriera marittima a Genova, e venne iscritto nel registro dei mozzi nel 1821. A sedici anni, nel 1824, si imbarcò sulla Costanza comandata da Angelo Pesante di Sanremo, che gli sarebbe apparso come «il migliore capitano di mare». Nel suo primo viaggio si spinse a Odessa nel mar Nero e fino a Taganrog nel mar d'Azov (entrambe ex colonie genovesi). L'anno successivo, con il padre, si diresse a Roma con un carico di vino, per l'approvvigionamento dei pellegrini venuti per il Giubileo indetto da papa Leone XII.

[modifica] Sui mari d'Europa

Nel 1827 salpò da Nizza con la Cortese per il mar Nero, ma il bastimento venne fermato dai pirati turchi. La nave venne depredata e furono rubati i vestiti ai marinai; comunque il viaggio continuò. Nell'agosto del 1828 dalla Cortese sbarcò a Costantinopoli, dove sarebbe rimasto fino al 1832 a causa della guerra turco-russa. Qui si integrò nella comunità genovese nel quartiere di Galata (Pera), e si guadagnò da vivere insegnando italiano, francese e matematica. Nel febbraio del 1832 gli fu rilasciata la patente di capitano di seconda classe, subito dopo si reimbarcò con la Clorinda per il mar Nero. Ancora una volta la nave fu presa di mira dai pirati, ma questa volta l'equipaggio accolse gli aggressori a fucilate. Garibaldi fu ferito ad una mano, e si ricordò poi di questa scaramuccia come il suo primo combattimento.

Dopo 73 mesi di navigazione ritornò a Nizza, ma subito, nel marzo 1833 ripartì per Costantinopoli. All'equipaggio si aggiunsero tredici passeggeri francesi seguaci di Henri de Saint-Simon. Il loro capo era Emile Barrault, un professore di retorica che espose le idee sansimoniane all'equipaggio.

Garibaldi, allora ventiseienne, si fece molto influenzare dalle sue parole che lo convinsero che nel mondo c'era un grande fremito di libertà. Lo colpì questa affermazione: «che l'uomo, il quale, facendosi cosmopolita, adotta l'umanità per patria e va ad offrire la sua spada ed il sangue ad ogni popolo che lotta contro la tirannia è più di un soldato: è un eroe». Poi lasciarono i francesi a Costantinopoli e la nave procedette per Taganrog. Qui in una locanda, mentre si discuteva, un uomo detto il Credente espose le idee mazziniane.

A Giuseppe le tesi di Giuseppe Mazzini sembravano la diretta conseguenza delle idee di Barrault, nella lotta per l'Unità d'Italia, momento iniziale della redenzione di tutti i popoli oppressi. Quel viaggio cambiò la vita di Garibaldi; nelle sue Memorie riguardo a questo evento scrisse: «Certo non provò Colombo tanta soddisfazione nella scoperta dell'America, come ne provai io al ritrovare chi s'occupasse della redenzione patria».

[modifica] Da marinaio a bandito

La storia vuole che Giuseppe Garibaldi abbia incontrato Giuseppe Mazzini nel 1833 e che si sia iscritto subito alla Giovine Italia, fondata da Mazzini. Ma questo è un falso storico: Garibaldi vi entrò solo un anno dopo. Però, sospinto dall'impegno politico, entrò nella Marina Sabauda per fare propaganda rivoluzionaria. Come marinaio piemontese Garibaldi assunse il nome di battaglia Cleombroto, un eroe tebano, fratello gemello di Pelopida che combatté con Epaminonda contro Sparta.

Insieme all'amico Edoardo Mutru cercò a bordo e a terra di fare proseliti alla causa, esponendosi con leggerezza. Infatti i due furono segnalati alla polizia e sorvegliati, e per questo vengono trasferiti sulla fregata Conte de Geneys in partenza per il Brasile. Nel frattempo si era stabilito che l'11 febbraio 1834 ci sarebbe stata un'insurrezione popolare in Piemonte. Garibaldi scese a terra per mettersi in contatto con gli organi mazziniani; ma il fallimento della rivolta in Savoia e l'allerta di esercito e polizia fanno fallire il moto. Il nizzardo non ritornò a bordo della Conte de Geneys, divenendo in pratica un disertore, e questa latitanza venne considerata come un'ammissione di colpa.
Indicato come uno dei capi della cospirazione, fu condannato alla pena di morte ignominiosa in contumacia in quanto nemico della Patria e dello Stato.

Garibaldi divenne così un "bandito": si rifugiò prima a Nizza e poi varcò il confine giungendo a Marsiglia, ospite dell'amico Giuseppe Pares. Per non destare sospetti assunse il nome fittizio di Joseph Pane e a luglio si imbarcò alla volta del mar Nero, mentre nel marzo del 1835 fu in Tunisia. Il nizzardo rimane in contatto con l'associazione mazziniana tramite Luigi Cannessa e nel giugno 1835 viene iniziato alla Giovine Europa, prendendo come nome di battaglia Borrel in ricordo di Joseph Borrel, martire della causa rivoluzionaria. Garibaldi decise quindi di partire alla volta del Sud America con l'intenzione di propagandare gli ideali mazziniani. L'8 settembre 1835 partì da Marsiglia sul brigantino Nautonnier.

[modifica] Tra Sud America ed Europa

Tra novembre e dicembre arrivò a Rio de Janeiro, ma fu preceduto dalla sua fama di patriota. Qui incontrò il ligure Giuseppe Stefano Grondona, che, volendo conquistare l'amicizia del nizzardo, gli diede la presidenza della filiale sudamericana della Giovine Italia. Garibaldi entrò anche nella loggia massonica Asilo di Vertud. Inoltre si attivò nel diffondere le idee mazziniane, pubblicò articoli contro Carlo Alberto di Savoia, duecento litografie della Lettera mazziniana a Carlo Alberto e acquistò una piccola nave da venti tonnellate, battezzata Mazzini. Con l'aiuto di Giovanni Battista Cuneo fondò un giornale intitolato Giovine Italia. Passato il primo entusiasmo, l'attività del gruppo di esuli (una trentina circa) si inceppò, la pubblicazione del giornale venne sospesa e la Mazzini fu utilizzata per sostentare Garibaldi.

[modifica] Guerra dei Farrapos

Intanto già dal 1834 la provincia di Rio Grande do Sul era in aperta rivolta contro l'Impero Brasiliano. I ribelli erano guidati dal ricco proprietario terriero Bento Gonçalves da Silva. La guerra ebbe sorti alterne. Nel settembre del 1836 Gonçalves viene catturato dagli imperiali insieme a cinquecento guerriglieri, ma nonostante ciò la guerra continuò. Tra i prigionieri c'era un italiano Livio Zambeccari, che era tra le personalità più influenti del governo provvisorio riograndese. Un altro esule ligure, Rossetti, andò a far visita a Garibaldi per proporgli di aiutare il Rio Grande creando un corpo di corsari formato da esponenti della Giovane Europa. L'idea era di allargare il conflitto portandolo sul mare, e danneggiare così il commercio agli imperiali. Il comando sarebbe andato a Garibaldi, che nel febbraio del 1837 andò ad incontrare Zambeccari, e dichiarò la sua disponibilità a combattere per l'indipendenza del Rio Grande.

Il 4 maggio ricevette la patente de corso, e il nizzardo si trovava così a sfidare un impero con un peschereccio. Il 7 salpò con la Mazzini e 12 uomini (tra questi l'amico Rossetti). Le prime operazioni furono di appoggio alla liberazione di due ufficiali riograndesi. La prima preda fu una lancia che però trasporta solo merci di scarso valore, e Garibaldi si limitò ad affrancare lo schiavo negro Antonio. L'11 maggio i corsari avvistarono una sumaca chiamata Luisa, una nave da carico, e la abbordano.

Giuseppe Garibaldi in Uruguay
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Giuseppe Garibaldi in Uruguay

Disinteressandosi dei passeggeri e dell'equipaggio che venne lasciato libero, si impadronirono però della loro barca e affrancarono i quattro schiavi presenti a bordo. I corsari si trasferirono sulla sumaca più nuova e più grande (di ventiquattro tonnellate), ribattezzata con il nome della vecchia Mazzini, che fu affondata. Vista l'impossibilità di fare rifornimenti, poiché le coste erano presidiate dagli imperiali, Garibaldi e i suoi puntano per Maldonado in Uruguay. Il 28 maggio la nave giunse nel porto uruguagio, senza sapere che lo stato rioplatense non è più alleato del Rio Grande ma era passato dalla parte del Brasile. Il viceconsole brasiliano a Maldonado ordinò di bloccare i corsari.

Però intorno a Garibaldi si era creato un clima di simpatia, favorito dalla mediazione degli emigranti italiani e dall'eco favorevole della liberazione di cinque schiavi, notizia che ebbe grande risonanza poiché, per errore, ne furono indicati cento. Nella notte tra il 5 e il 6 giugno, durante una tempesta, lasciò il porto, poiché aveva saputo che una nave da guerra brasiliana stava venendo per catturarli. I corsari si diressero verso la punta Jesus y Maria dove doveva aspettarli Rossetti con i rifornimenti. Ma non lo trovano poiché era stato bloccato dalle autorità uruguage. In seguito la Mazzini avvistò un lancione di Montevideo, con il compito di arrestare i corsari. Tra le due imbarcazioni si verificò un primo scontro a fucilate, poi gli uruguagi tentarono un arrembaggio, respinto a sciabolate. Rimasto ucciso il timoniere Fiorentino, al suo posto gli subentrò Garibaldi. Ma anche il nizzardo fu ferito, anche se la pallottola gli entrò nel collo, dall'orecchio sinistro, e si fermò sotto l'orecchio destro senza causare danni irrimediabili. Gli uruguagi terminarono le munizioni e si ritirarono, mentre i corsari scapparono verso le coste argentine. Questo fatto senza alcuna prova storica della sua esistenza servì solo a nascondere il fatto che a Garibaldi fu mozzato l'orecchio sinistro in Sud-America come punizione per le sue frequenti e remunerative tratte di schiavi verso questo continente. Lui stesso disse "tratto negri e cavalli"; difatti è impensabile come una pallottola possa trapassare il cranio di un uomo e permetterne la sua sopravvivenza, sopratutto con le conoscenze mediche dell'era.

Il 26 giugno, consigliati da Jacinto Anderus, sbarcarono a Gualeguay dove chiesero asilo. Il governo argentino arrestò l'equipaggio, che comunque viene trattato con riguardo; erano liberi di circolare nella città e gli fu concesso un sussidio di un pesos al giorno. A Garibaldi venne curata la ferita e recuperò la salute. Imparò ad andare a cavallo (avendo come maestri i gauchos) ma rimase fermo nel suo intento di continuare la lotta. Una notte scappò verso l'Uruguay; ma fu preso dopo due giorni. Riportato a Gualeguay con i piedi legati alla pancia di un cavallo e le braccia dietro le spalle, visto che non rivelava i suoi complici venne appeso ad una trave e frustato e poi imprigionato per due mesi.

Nel febbraio del 1838 fu liberato e andò prima a Montevideo, dove insieme agli amici Rossetti e Cuneo si diresse nel Rio Grande do Sul. Messosi in contatto con i ribelli, fu nominato comandante della flotta e subito diede impulso alla costruzione. L'11 aprile partì da Porto Alegre un battaglione imperiale guidato da Francisco Pedro de Aruba detto Moringue. L'azione fu condotta con molta rapidità e l'avamposto fu assediato, ma Garibaldi con i suoi uomini riuscì a respingere l'assedio e a cacciare gli imperiali.

La battaglia del Galpon de Xarqueada ebbe una eco enorme e diede forza ai riograndesi, che decisero di allargare il fronte rivoluzionario alla provincia di Santa Caterina. Il primo obbiettivo era la conquista di Laguna. Il comando della spedizione venne dato a David Canabarro mentre Garibaldi ebbe la guida delle forze navali. Il 14 luglio entrò nell' Oceano Atlantico, ma a causa del mare in tempesta e dell'eccessivo carico la Farroupilha , governata da Garibaldi, si rovesciò. Annegarono sedici dei trenta componenti dell'equipaggio, tra cui gli amici Mutru e Carniglia; il nizzardo fu l'unico italiano superstite. Allora a Garibaldi venne dato il comando della Seival con lo scopo di togliere il dominio dei mari agli imperiali. Visto che le forze dell'avversario erano nettamente superiori, Garibaldi decise di giocare d'astuzia. Senza ingaggiare battaglia si ritirò verso sud, attirando le navi nemiche in un'imboscata. Due lancioni andarono all'inseguimento ed entrarono in dei canali, dove erano nascoste le truppe riograndesi che assalirono e catturarono le navi. I ribelli approfittarono di questo successo per sferrare l'attacco decisivo. Il 25 luglio 1839, le truppe imperiali si ritirarono e l'esercito riograndese entrò trionfale nella città e si instaurò la Republica Juiliana. Allora il governo di Rio de Janeiro prese delle energiche misure, inviando 12 navi e 3 lancioni al comando del maresciallo Francisco Josè Souza Suares de Andrea.

La strategia imperiale fu quella di porre il blocco a Laguna, ma Garibaldi, con audaci iniziative, riuscì a far allontanare i nemici e a compiere azioni corsare. Nonostante ciò la situazione stava peggiorando e nella neonata repubblica regnava il malcontento. Garibaldi fu costretto a compiere un'azione ripugnante: attaccò con i suoi uomini la cittadina di Imaruì, che abbandonò al saccheggio perché era passata agli imperiali. Infatti il 15 novembre l'esercito brasiliano riconquistò la città, e i repubblicani (circa 500) si diedero alla fuga sugli altipiani. Qui si svolsero altre battaglie con fortune alterne. Nei pressi di Forquillas fu impegnato per la prima volta in un combattimento esclusivamente terrestre, attaccò con i suoi marinai il nemico e lo costrinse alla ritirata. Dopo queste battaglie ritornarono a Rio Grande.

Sconfitto, nel 1842 riparò in Uruguay, dove comandò la flotta uruguaiana in una battaglia navale contro gli argentini. In Uruguay sposa nel 1842 Ana Maria de Jesus Ribeiro, detta Anita, che aveva conosciuto nel 1839, nella città di Laguna, Brasile.

Nel periodo successivo Garibaldi tentò di tornare in Italia mettendosi al servizio di qualche regnante. Nel 1847 cerco un abboccamento con Pio IX e scrisse al Cardinal Gaetano Bedini che in quegli anni era nunzio in Brasile. In una famosa lettera giunse ad "offrire a Sua Santità la sua spada e la legione italiana per la patria e per la chiesa cattolica" ricordando "i precetti della nostra augusta religione, sempre nuovi e sempre immortali" pur sapendo che "il trono di Pietro riposa sopra tali fondamenti che non abbisognano di aiuto, perché le forze umane non possono scuoterli". Mons. Bedini rispose cortesemente ringraziando, ma l'offerta della legione da Roma non venne accolta.

[modifica] Tornato in Europa

Garibaldi, dopo essere sbarcato il 21 giugno a Nizza con i suoi compagni, si recò il 5 luglio a Roverbella, nei pressi di Mantova, per offrirsi volontario al re Carlo Alberto, che però lo respinse. Tornato in Europa nel 1848 per partecipare alla prima guerra di indipendenza contro gli austriaci e i francesi, fu protagonista di imprese che lo trasformarono in un eroe agli occhi del popolo. Per la disparità delle forze in campo fu costretto alla resa, dovette abbandonare il suo esercito e fuggire per la seconda volta all'estero.

Giuseppe Garibaldi
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Giuseppe Garibaldi

Garibaldi tornò in Italia nel 1854 e cinque anni dopo partecipò alla seconda guerra di indipendenza guidando, in una brillante campagna, i Cacciatori delle Alpi contro gli austriaci nella Lombardia settentrionale.

Alla fine del 1859 era in Romagna per guidarvi un abortito tentativo di invasione delle Marche e dell'Umbria, per unirle alla Lega dell'Italia Centrale. L'iniziativa era prematura ed improvvida (assente il consenso di Napoleone III) e venne fortunatamente bloccata dal generale Fanti.

Nel 1860 Garibaldi organizzò una spedizione per conquistare il Regno delle Due Sicilie (la Spedizione dei Mille). Raccolto un corpo di spedizione di mille uomini, le Camicie Rosse, Garibaldi raggiunse la Sicilia e si proclamò nuovo governatore dell'isola in nome di Vittorio Emanuele II. Nella battaglia di Calatafimi mise in rotta l'esercito del re di Napoli e un'insurrezione popolare gli consegnò la città di Palermo. Si proclamò Dittatore delle Due Sicilie. Dopo avere consegnato il Regno delle Due Sicilie a Vittorio Emanuele il 26 ottobre 1860 al bivio di Taverna della Catena nei pressi di Teano, Garibaldi si ritirò sull'isola di Caprera.

Nel 1861 venne eletto deputato nel primo Parlamento del nuovo Regno d'Italia.

Nel 1862 Garibaldi organizzò una prima spedizione diretta alla liberazione di Roma: imbarcatosi a Genova, attraverso indisturbato la Sicilia e raccogliendovi volontari. Sbarcato in Calabria venne affrontato dalle truppe regolari del Regno d'Italia e si arrende all'Aspromonte. Il generale ricevette una grave ferita al malleolo. Nel 1867 una seconda spedizione, partita dal reatino e diretta su Roma fu fermata dalle truppe papaline e dai rinforzi inviati da Napoleone III alla battaglia di Mentana.

All'inizio della Terza guerra di indipendenza italiana venne riorganizzato il corpo volontario dei Cacciatori delle Alpi, ancora una volta al comando del Garibaldi. Anche la missione era simile a quella condotta fra i laghi lombardi nel 1848 e nel 1859: agire in una zona di operazioni secondaria, le prealpi tra Brescia ed il Trentino, ad ovest del Lago di Garda, con l'importante obiettivo strategico di tagliare la via fra il Tirolo e la fortezza austriaca di Verona (Invasione del Trentino). Ciò avrebbe lasciato agli Austriaci la sola via del Tarvisio per approvvigionare le proprie forze e fortezze fra Mantova ed Udine. L'azione strategica principale era, invece, affidata ai due grandi eserciti di pianura, affidati al La Marmora ed ad Enrico Cialdini. Garibaldi operò inizialmente a copertura di Brescia, per poi passare decisamente all'offensiva, aprendosi, con la vittoria alla battaglia di Bezzecca, una strada accanto a Riva del Garda verso Trento. Salvo essere fermato dalla firma dell'armistizio di Cormons.

Durante la guerra franco-prussiana del 1870-1871, Garibaldi guidò un esercito di volontari a sostegno dell'esercito della nuova Francia repubblicana (Battaglia di Digione). A seguire la resa francese, nel 1871 Garibaldi fu eletto deputato alla nuova Assemblea Nazionale francese nelle liste dei repubblicani radicali come deputato della Côte-d'Or, Paris, Algeri e, naturalmente, Nizza: questa quadruplice elezione fu, tuttavia, invalidata dalla Assemblea. Ciò avvenne ufficialmente a causa delle sue posizioni contrarie alla annessione di Nizza alla Francia, più realisticamente per paura della sua popolarità di eroe <socialista>: la stessa assemblea, d'altra parte, si sarebbe presto occupata della repressione della Comune di Parigi. L'atteggiamento della Assemblea spinse alle dimissioni un deputato del calibro di Victor Hugo.

La popolarità di Garibaldi, la sua capacità di sollevare le folle e le sue vittorie militari diedero un contributo determinante alla riunificazione dello stato italiano.

Nel 1880 sposò una popolana piemontese Francesca Armosino, sua compagna da 14 anni e dalla quale ebbe 3 figli.

Dopo avere combattuto per tutta la vita, Garibaldi morì a Caprera il 2 giugno 1882.

[modifica] Garibaldi e l'unificazione italiana

Garibaldi incontra re Vittorio Emanuele II di Savoia (Teano, 1860)
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Garibaldi incontra re Vittorio Emanuele II di Savoia
(Teano, 1860)

Secondo una tesi storica, inizialmente proposta dalla critica marxista, ma accettata poi da molte altre critiche storiche, Garibaldi nonostante sia spesso visto come il fautore dell'unificazione italiana, a cui diede un grande contributo con la spedizione dei mille, non voleva l'unificazione nazionale, ma voleva in realtà formare una repubblica garibaldina in Sicilia.

In ogni caso, la grande impresa garibaldina si può dividere in tre fasi: conquista della Sicilia, attraversamento dello Stretto e definitiva affermazione.

[modifica] Conquista della Sicilia

Gonfiando le file del suo esercito con bande di ribelli locali, Garibaldi sconfisse l'esercito borbonico a Calatafimi il 13 maggio. Il giorno successivo si dichiarò dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele II d'Italia. Avanzò verso Palermo, la capitale dell'isola, e iniziò l'assedio il 27 maggio. Ebbe il sostegno di molti degli abitanti, ma prima che la città potesse essere presa arrivarono i rinforzi e bombardarono pesantemente la città. A questo punto intervenne un ammiraglio britannico che facilitò l'armistizio; le truppe e le navi da guerra partenopee abbandonarono e cedettero la città.

Ultimamente sono venuti alla luce dagli archivi britannici, grazie allo studioso Di Vita, alcuni documenti che testimoniano come la spedizione dei Mille fosse stata finanziata segretamente dal governo di Londra con una somma stratosferica di tre milioni di franchi francesi di allora, corrispondenti a molti milioni di euro attuali. Gran parte di tale denaro fu utilizzato con ogni probabilità da Garibaldi per comprare i generali dell'esercito borbonico, in particolare Ferdinando Lanza. È infatti inverosimile che un esercito di centomila uomini, come quello borbonico, potesse essere messo in fuga da poco più di mille "camicie rosse", le quali accusarono la perdita di sole 78 unità.

Comunque, per quell'epoca, Garibaldi aveva riportato una importante vittoria. Si guadagnò così fama mondiale e l'adulazione degli italiani. La fede nella sua impresa era così forte che dubbio, confusione, e costernazione colsero anche la corte napoletana. Sei settimane più tardi marciò contro Messina nell'est dell'isola. Conquistata la città dello Stretto, dopo aver vinto le ultime resistenze militari borboniche arroccate nella decisiva piazzaforte di Milazzo (20 luglio), dove rischiò anche la morte in uno scontro nei pressi del porto, lasciò alla fine di luglio solamente la cittadella messinese in mano ai borbonici.

[modifica] Attraversamento dello Stretto

Conclusa la conquista della Sicilia, Garibaldi attraversò lo Stretto di Messina sbarcando il XIX agosto sulla spiaggia di Melito di Porto Salvo. Da qui risalì verso l'Aspromonte per aggirare gli avamposti borbonici a difesa di Reggio Calabria e ridiscese alle spalle del capoluogo all'alba del 21 agosto. Qui avvenne la celebre "Battaglia di Piazza Duomo", alla fine della quale conquistò la città. A ricordo di questa battaglia Garibaldi scrisse:

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«Un piede è posto al fin sulle ridenti sponde di Reggio e di novella gloria ornar la fronte gli argonauti invano spesseggian folti incrociatori e invano oste nemica numerosa, il dito di Dio conduce la tirannicida falange e oste e baluardi e troni son rovesciati nella polvee e riede sulle ruine del delitto il santo dell'uom diritto e libertade, e il cielo alla redente umanità sorride.»

Dopo di che "sotto il naso" della flotta napoletana marciò verso nord. L'avanzata di Garibaldi incontrò a questo punto più festeggiamenti che resistenze e, il 7 settembre, nella città capitale di Napoli.
Tuttavia, Garibaldi non aveva mai sconfitto il re dei Borboni, Francesco II. La gran parte dell'esercito siciliano era rimasta leale e si era raccolta a nord del fiume Volturno. Benché al momento Garibaldi contasse circa 25.000 volontari, non poteva sensatamente contrastarlo. Fu però proprio a Caserta che Garibaldi combatté forse la sua migliore e più geniale sua battaglia, secondo gli schemi ufficiali di tutti gli Stati Maggiori. Lo scontro militare, noto come "battaglia del Volturno", si svolse dall'1 al 2 ottobre e fu un capolavoro assoluto d'intelligenza e di "grande tattica" che legittimarono il suo grado di generale. Garibaldi respinse brillantemente l'esercito del re, anche se Francesco II si ritirò solo dopo l'arrivo dell'esercito piemontese agli ordini di Vittorio Emanuele.

[modifica] Definitiva affermazione

Garibaldi aveva in profonda antipatia il Primo Ministro del Regno di Sardegna, Camillo di Cavour. Da un lato, semplicemente non aveva fiducia nel pragmatismo e nella realpolitik di Cavour, ma provava anche risentimento personale per aver ceduto la sua città natale di Nizza ai Francesi l'anno prima. D'altro canto egli si sentiva attratto dal monarca piemontese, che credeva fosse stato scelto dalla Provvidenza per liberare l'Italia. In un suo famoso incontro con Vittorio Emanuele II a Teano il 26 ottobre 1860, al bivio di Taverna della Catena nei pressi di Teano(in realtà comune di Vairano Patenora, questo grosso errore storico ha generato una diatriba tra i 2 comuni che dura da 70 anni). Garibaldi lo salutò quale Re d'Italia e gli strinse la mano. Diede le dimissioni il giorno dopo. Garibaldi cavalcò fino a Napoli al fianco del re il 7 novembre, quindi si ritirò nell'isola rocciosa di Caprera, rifiutando di accettare qualsiasi ricompensa per i suoi servigi.


I camerati rivoluzionari di Garibaldi non erano soddisfatti. Con il motto "Libera dalle Alpi all'Adriatico", il movimento di unificazione spostò il suo sguardo a Roma e Venezia. Mazzini non era contento del perpetuarsi del governo monarchico e continuava a spingere per un governo repubblicano. Garibaldi, frustrato dall'inazione del re, e offeso dalla percepita freddezza nei suoi confronti, organizzò una nuova spedizione. Questa volta intendeva occuparsi dello Stato Pontificio.

[modifica] Garibaldi e Cavour

Garibaldi in Francia era soprannominato "Il leone della libertà"
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Garibaldi in Francia era soprannominato "Il leone della libertà"

Garibaldi non ebbe mai rapporti sereni con Camillo Benso Conte di Cavour (altro personaggio chiave dell'unificazione d'Italia), questo poiché Cavour voleva raggiungere i suoi scopi attraverso la diplomazia e quindi Garibaldi, con la sua irruenza, rappresentava un pericolo costante per i suoi piani. Nelle lettere che egli mandò all'ambasciatore sabaudo in Francia, infatti, promette all'imperatore che avrebbe fermato Garibaldi. Prima della partenza da Quarto, Cavour ostacolò in tutti i modi la spedizione dei mille ed anche i successivi incontri di Teano servirono a fermare Garibaldi.

[modifica] Curiosità

  • Giuseppe Garibaldi è il personaggio più citato in piazze e vie italiane, il suo nome è presente in più di 5500 comuni.
  • Per tradizione dell'Italia repubblicana la nave ammiraglia della Marina Militare Italiana porta spesso il nome dell'"eroe dei 2 mondi". Ad avere questo onore nel 2007 sarà però la portaerei Conte di Cavour (il cui dislocamento a pieno carico sarà di 26.700 tonnellate). La porta-elicotteri Giuseppe Garibaldi - attuale ammiraglia della flotta italiana, il cui dislocamento è circa la metà di quello della Conte di Cavour - resterà comunque in servizio ben oltre il 2007.
  • Nel testamento, di cui una copia è esposta nella casa-museo sull'isola di Caprera, Garibaldi chiedeva espressamente la cremazione delle sue spoglie. Desiderio disatteso dalla famiglia, pare pressata da Francesco Crispi, che preferì, addirittura, farlo imbalsamare. Secondo le volontà dell'eroe dei due mondi, il suo corpo, vestito con la celebre camicia rossa, doveva essere bruciato su "una catasta di legno di due metri con legni di agaccio, lentisco, mirto ed altra legna aromatica".
    Garibaldi, sempre nel suo testamento, inserì dei passaggi per sventare eventuali tentativi di (presunta) conversione alla religione cattolica negli ultimi attimi della vita: «Siccome negli ultimi momenti della creatura umana, il prete, profittando dello stato spossato in cui si trova il moribondo, e della confusione che sovente vi succede, s’inoltra, e mettendo in opera ogni turpe stratagemma, propaga coll’impostura in cui è maestro, che il defunto compì, pentendosi delle sue credenze passate, ai doveri di cattolico: in conseguenza io dichiaro, che trovandomi in piena ragione oggi, non voglio accettare, in nessun tempo, il ministero odioso, disprezzevole e scellerato d’un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell’Italia in particolare. E che solo in stato di pazzia o di ben crassa ignoranza, io credo possa un individuo raccomandarsi ad un discendente di Torquemada».
  • L'odio verso il Papato e, in particolare, verso Pio IX è testimoniato dal nome che Garibaldi diede al suo asino (proprio Pionono) e dal fatto che egli si riferiva al Pontefice usando la locuzione "un metro cubo di letame".[1]
  • A Garibaldi è stata conferita la cittadinanza onoraria di San Marino il 24 aprile del 1861. Precedentemente, il 30 luglio del 1849, Giuseppe Garibaldi, braccato dalle truppe austriache, trovò scampo per sé e i suoi armati nella Repubblica del Titano.

[modifica] Musica

Tra le tante opere dedicate a Giuseppe Garibaldi, si riportano qui le seguenti:

  • Luigi Mercantini Inno di Garibaldi (Canzone italiana) del 1858, composto su invito di Garibaldi stesso
  • Ulisse Barbieri Inno di Garibaldi del 1887
  • Bruno Lauzi Garibaldi
  • Statuto È tornato Garibaldi del 1993
  • Massimo Bubola Camicie rosse
  • Stormy Six Garibaldi
  • Vincent Fernandez Soñando en Garibaldi
  • Sergio Caputo Garibaldi Innamorato
  • Mariachi Mexicano Mosaico Garibaldi
  • Garibaldi fu ferito... Canzoncina storico-popolare sulla melodia di "Flik Flok" (inno dei Bersaglieri) e reinterpretata recentemente da Francesco Salvi. Curiosamente - e probabilmente proprio a causa di questa filastrocca - le marce veloci tipiche dei Bersaglieri vengono spesso ed erroneamente associate con Garibaldi. Persino all'estero, quando una banda durante le prove suona con ritmo troppo sostenuto, succede che il maestro corregga pronunciando scherzosamente il nome di Garibaldi.

[modifica] Libri di Garibaldi

Manlio di Giuseppe Garibaldi, 1948 (postumo) pubblicato dalla figlia Clelia Garibaldi

[modifica] I figli di Garibaldi

Garibaldi dalla prima moglie Anita Garibaldi, morta nel 1849 presso Ravenna due figli:

Ebbe una figlia invece dalla seconda moglie Francesca Armosino:

[modifica] Voci correlate

[modifica] Note

  1. http://www.stranocristiano.it/news/news_0411/socci_041128.htm

[modifica] Bibliografia

  • Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962.
  • Dennis Mack Smith, Cavour and Garibaldi, 1860. A Study in political Conflict, Cambridge, C.U. Press, 1954 (trad. ital. Garibaldi e Cavour nel 1860, Torino, Einaudi, 1958).
  • C. Agrati, I Mille nella storia e nella leggenda, Milano, A. Mondadori, 1933.
  • Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, Scritti sul 1860 nel centenario, Roma, Tip. Regionale, 1960.

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