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Battaglia di Kerbela - Wikipedia

Battaglia di Kerbela

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Battaglia di Kerbelā’ ( Yawm Karbalā’ )
Parte della prima guerra civile islamica
Data: 656
Luogo: Kerbelāʾ
Esito: Vittoria delle truppe omayyadi califfali
Schieramenti
Truppe omayyadi del wālī ʿUbayd Allāh ibn Ziyād Famiglia allargata di al-Husayn ibn ʿAlī
Comandanti
ʿUmar ibn Saʿd ibn Abī Waqqās al-Husayn ibn ʿAlī
Effettivi
Circa 4.000 (presunti) 72 uomini, più donne, bambini e un numero imprecisato di schiavi
Perdite
88 soldati Uccisione di tutti gli uomini, salvo il figlio dell'Imām al-Husayn, Zayn al-ʿĀbidīn
Fitna islamica: 656-750
Battaglia del CammelloSiffīnNahrawānKerbelā’ – seconda Harra – Marj Rahīt – ‘Ayn Warda – Kūfa – fiume Khazīr – Harūrā’ – Dayr al-Jāthalīq – Mecca – Mushaqqar – Dujayl – Dayr al-Jamājīm

Kerbelāʾ o Karbalāʾ è il nome di una località sul fiume Eufrate, a un centinaio di chilometri a sud-ovest dell'attuale Baghdad dove, il 10 ottobre del 680 d.C. (10 muharram 61 dell'Egira), fu trucidato con tutto il suo seguito familiare il nipote del profeta Muhammad, al-Husayn ibn ʿAlī, secondogenito del quarto califfo ʿAlī ibn Abī Tālib e della figlia di Muhammad, Fātima bint Muhammad.
Per quanto accaduto, il santuario dedicato ad al-Husayn - il terzo Imām dallo Sciismo - è considerato dai fedeli di questa variante islamica un luogo di particolare sacertà, inferiore solo alle Città Sante di Mecca e Medina, a Gerusalemme e alla città di Najaf (nell'attuale Iraq), dove si crede sia stato sepolto il padre ʿAlī, primo Imām secondo gli sciiti.

Mausoleo di al-Husayn a Kerbelāʾ (Iraq)
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Mausoleo di al-Husayn a Kerbelāʾ (Iraq)

Le cause del massacro di Kerbelāʾ, perpetrato dalle truppe omayyadi del wālī di Kufa ʿUbayd Allāh ibn Ziyād, fedele al califfo Yazīd ibn Muʿāwiya ibn Abī Sufyān, affondano le loro radici nella lotta che contrapponeva la famiglia alide (che si riteneva unica legittimata a governare la Umma) al discendente di Muʿāwiya ibn Abī Sufyān, fondatore della dinastia califfale di Damasco.
Dopo i fatti di Siffīn e l’arbitrato di Adhruh si ebbe la morte per assassinio da parte del kharigita Ibn Muljam del califfo ʿAlī e, dopo un tentativo di corto respiro del primogenito del defunto califfo, al-Hasan ibn ʿAlī, la candidatura di Muʿāwiya non ebbe più oppositori in grado di sbarrargli la strada verso la suprema magistratura islamica.

Indice

[modifica] Il problema istituzionale

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Quando Muʿāwiya morì nel marzo del 680, suo figlio Yazīd assunse il titolo di califfo secondo la volontà paterna, in base a una procedura che non s’era mai verificata in precedenza nella breve storia dell’Islam. Muʿāwiya aveva posto le basi per un agevole passaggio dei poteri al figlio mercé un’accorta azione diplomatica preparatoria e grazie alla sua indiscussa autorità.
L’unico elemento per una completa legittimazione della procedura e del futuro ruolo di Yazīd era l’approvazione esplicita dei quattro più importanti personaggi della seconda generazione dei [[Compagno|Compagni] del profeta: ʿAbd Allāh ibn al-Zubayr, ʿAbd Allāh ibn ʿUmar, ʿAbd al-Rahmān ibn Abī Bakr e infine al-Husayn ibn ʿAlī.

Prima che la notizia della morte di suo padre raggiungesse Medina, Yazīd ordinò quindi a suo cugino al-Walīd ibn ʿUtba ibn Abī Sufyān, governatore di quella città, di assicurarsi il giuramento di fedeltà dei quattro. ʿAbd Allāh ibn al-Zubayr decise però di allontanarsi dalla città dirigendosi alla volta di Mecca per evitare di prestare giuramento, mentre al-Husayn, convocato d’urgenza alla corte del governatore, cercò di guadagnar tempo, affermando la sua volontà di prestar giuramento in pubblico. Marwān ibn al-Hakam, consigliere del governatore, intuì che le reali intenzioni di al-Husayn erano quelle di non prestare alcun giuramento e sconsigliò al-Walīd ibn ʿUtba dal lasciarlo andar via prima che egli concedesse la sua bayʿa. al-Walīd non si sentì d'imporre la sua volontà a un personaggio di spicco quale era al-Husayn e, per evitare ulteriori difficoltà, al-Husayn partì quindi alla volta di Mecca.

[modifica] L'azione di Muslim ibn ʿAqīl

Intanto la notizia della morte di Muʿāwiya si diffuse tra la popolazione e rinvigorì le speranze filo-alidi sia a Mecca che a Kufa.
Il figlio minore di ʿAlī arrivò a Mecca il 3 del mese di sha‘ban del 60 dell'Egira (9 maggio 680). Nell’attesa del mese di dhu l-hijja - mese del hajj - numerose richiese furono inviate all’Imam, provenienti soprattutto da Kufa, nelle quali si richiedeva l’aiuto di al-Husayn per porre fine alle persecuzioni.
Muslim ibn ʿAqīl, cugino dell’Imam, fu inviato da quest’ultimo a Kufa per informarsi circa la situazione. Alle forze di polizia di Yazīd non sfuggì la presenza di Muslim in città e il sostegno che si stava raccogliendo intorno alla persona di al-Husayn ed immediatamente il califfo inviò quindi il suo braccio destro, ʿUbayd Allāh ibn Ziyād, per controllare la situazione e stroncare eventuali focolai di rivolta.

ʿUbayd Allāh ordinò che le case dei simpatizzanti di al-Husayn fossero bruciate, che i loro beni fossero confiscati e che i colpevoli fossero messi a morte. Muslim fu catturato e decapitato. al-Husayn, venendo a conoscenza che Yazīd aveva ingaggiato trenta uomini travestiti da pellegrini per ucciderlo, si preparò a lasciare Mecca, prima che le cerimonie del pellegrinaggio fossero sconsacrate con un inammissibile spargimento di sangue.
Poco prima dell’inizio dei riti del pellegrinaggio, al-Husayn si diresse alla volta di Kufa con soli cinquanta uomini. Costoro credevano che, impegnarsi in una guerra contro l’usurpatore della legittimità califfale, al fianco dell’Imam al fine di proteggere la religione e le istituzioni islamiche, avrebbe loro garantito la salvezza dell'anima e il Paradiso.

Tutte le vie che portavano alla città erano bloccate dalle forze omayyadi. Giunto ad al-Tilbiyya, l’Imam fu afflitto dalla notizia dell’esecuzione di Muslim e poco più avanti, fu informato anche della morte di altri messaggeri da lui inviati per annunciare il suo arrivo in città. Visto l'accaduto, molti dei compagni di al-Husayn presero la via del ritorno e solo i più fidati rimasero al suo fianco.
In risposta all’intenzione di al-Huyayn di proseguire verso Kufa, numerosi soldati si diressero nel deserto per fermare la sua avanzata. La truppa, guidata da al-Hurr ibn Yazīd al-Riyāhī intercettò nel deserto la carovana di al-Husayn il 1° ottobre del 680. Questa, sfinita ed esausta per la sete, fu dissetata e non vi fu alcuno scontro fra le due formazioni, anzi al-Hurr con le sue truppe scortò la carovana dell’Imam fino alle porte di Kufa.
Giunta presso la città, la carovana si fermò e piantò le sue tende sulle rive dell’Eufrate. La zona era abitata dalla tribù dei Banu Asad e la tradizione vuole che al-Husayn acquistasse la zona per restituirla in seguito agli abitanti dell’area, predicendo al loro capo tribù che il 10 di quel mese la sua gente avrebbero visto i corpi insanguinati dei màrtiri sul terreno. Lo avrebbe quindi pregato di seppellire i futuri cadaveri e di permettere ai devoti di entrare liberamente nella zona per visitare le loro tombe.

[modifica] L'azione repressiva omayyade

Quando ʿUbayd Allāh ibn Ziyād venne a conoscenza che al-Hurr aveva scortato a Kerbelāʾ al-Husayn e il suo gruppo, inviò le sue truppe sul luogo. Il primo uomo che con i suoi 4000 soldati arrivò sul posto fu ʿUmar ibn Saʿd ibn Abī Waqqās (figlio di uno dei più illustri Compagni del profeta e conquistatore dell'Iraq), comandante in capo di tutte le forze del califfo omayyade. Molti dei guerrieri che riempirono le file dell’esercito omayyade erano abitanti di Kufa, costretti si dice a prendere le parti di Yazīd contro gli alidi.
Il primo atto dell’esercito omayyade fu quello di ordinare ad al-Husayn di smontare le tende che erano state sistemate lungo il fiume. Dopo numerose richieste, l’Imam ordinò ai suoi di spostare l’accampamento all’interno del deserto.
Nei giorni successivi al-Husayn ebbe numerosi incontri con ʿUmar ibn Saʿd, il quale ingiunse all’Imam di prestare giuramento di fedeltà per evitare la tragedia. Se avesse dato il suo consenso, al-Husayn avrebbe ottenuto numerosi privilegi per sé e per la sua gente ma, nonostante gli avvertimenti, il figlio di ʿAlī non volle accondiscendere.

Il 7 del mese di muharram, ʿUmar ibn Saʿd ricevette l’ordine di bloccare tutti i rifornimenti di acqua che potevano giungere all’accampamento di al-Husayn. Il caldo asfissiante del deserto disidratava i corpi e i bambini che viaggiavano al seguito cominciarono a piangere disperatamente mentre i neonati non potevano essere convenientemente allattati, perché le madri soffrivano anch’esse la sete. Il gruppo sopportò però tutto, secondo la tradizione, mentre sopraggiungevano sul posto ulteriori truppe omayyadi.
Il 9 dello stesso mese nuovi ordini di ʿUbayd Allāh arrivarono ad ʿUmar. L’Imam non si era sottomesso e quindi doveva essere catturato e ucciso immediatamente.
ʿUmar radunò parte delle truppe e si diresse verso il campo avversario. La notizia fu portata al fratello al-Husayn da Zaynab bint ʿAlī (il cui mausoleo si trova a Damasco). Questi inviò allora ʿAbbās, un fratello di al-Husayn, di dirigersi verso il nemico con dieci uomini a cavallo, chiedendo loro il motivo dell’improvviso avvicinamento. ʿAbbās, una volta venuto a conoscenza dell’ultimatum, preferì informare il fratello prima di intraprendere il conflitto.
al-Husayn non aveva difficoltà a capire quale esito avrebbe avuto il conflitto e prese tempo per lasciar andar via quanti non avessero voluto affrontare la morte. Da parte sua egli non intendeva arretrare e solo pochi decisero di abbandonare l’accampamento.

Il 10 muharram del 61 dell’Egira/10 ottobre 680 d. C. è conosciuto come giorno dell’ʿāshūrāʾ. La notte precedente alla battaglia finale, l’Imam e suoi compagni si riunirono in preghiera. All’alba ʿAlī al-Akbar recitò l’adhān (appello) alla preghiera prima che le truppe si dirigessero allo scontro.
Prima della battaglia al-Husayn aveva fortificato il suo accampamento e aveva ordinato ai suoi uomini di sistemarlo in modo che fosse protetto su tre lati dalle colline circostanti.

[modifica] Lo scontro

Dopo una serie di combattimenti corpo a corpo, ci fu l’attacco della cavalleria omayyade a metà della mattinata, ma le truppe secondo la tradizione sciita furono respinte. Molti degli uomini che componevano la truppa di al-Husayn furono uccisi. Si giunse al momento della preghiera di mezzogiorno e nel pomeriggio si compì il destino della famiglia del profeta. ʿAlī al-Akbar, figlio maggiore di al-Husayn, fu il primo ad essere ucciso e nel giro di un’ora nessun maschio – tranne l’Imam e suo figlio ʿAlī (il futuro quarto Imām, Zayn al-ʿAbīdīn), rimasto sotto una tenda perché malato – fu risparmiato. Sempre secondo la tradizione, la madre di ʿAlī al-Asghar, figlio più piccolo di al-Husayn (il neonato aveva solo sei mesi), chiese a suo marito di riuscire ad ottenere dall’esercito avversario un po' di acqua per il bambino che stava morendo di sete. L’Imam con suo figlio tra le braccia si recò tra le truppe omayyadi e dopo aver provveduto a dissetare il bambino, un combattente uccise tra le braccia del padre il neonato.
Dopo aver seppellito il bambino, al-Husayn si dedicò alla preghiera del pomeriggio. Dinanzi alle donne e ai bambini fece il suo ultimo discorso e si diresse sul campo di battaglia. Con tutte le sue forze l’Imam cercò di resistere all’attacco ma, sfinito e dissanguato, morì poco dopo.
Tutti i corpi dei martiri vennero denudati e le loro teste furono mozzate. I corpi vennero lasciati sul campo di battaglia finché, dopo due giorni, gli abitanti del vicino villaggio si sentirono abbastanza sicuri per andarli a seppellire.

L’esercito omayyade nel frattempo si era avviato verso Kufa in una macabra processione, con le settantadue teste dei martiri infilzate sulle punte delle lance, con le donne e i bambini catturati al seguito e alle donne fu ordinato di togliere il velo in segno di spregio.
Dopo essere stata mostrata in pubblico a Kufa, la testa di al-Husayn fu portata a Damasco per essere presentata al califfo. Tutti i prigionieri vennero condotti al seguito. La storia sciita testimonia come Yazīd non abbia avuto alcuni rimorso per la morte di al-Husayn e della sua scarna truppa e per il rude trattamento riservato ai prigionieri che tenne incarcerati per un ulteriore anno prima di essere rilasciati ed autorizzati a ritornare a casa ma altre tradizioni parlano invece del suo rammarico per ordini mal compresi e peggio eseguiti, limitati come doveano essere a sbarrare semplicemente la strada di al-Husayn alla volta di Kufa e a pretendere il riconoscimento del suo califfato.
La famiglia del profeta tornò prima a Kerbelāʾ e poi a Medina.

[modifica] Significati della strage di Kerbelāʾ

Il giorno della ʿāshūrāʾ, che in arabo significa “il decimo giorno”, consacra la rottura definitiva dei due grandi rami dell’Islam. Il significato simbolico delle celebrazioni di Kerbelāʾ è per gli sciiti quello di testimoniare il dovere del jihād. Non il “piccolo jihād”, armato e offensivo verso i “nemici di Dio”, ma il “grande jihād”, quello che chiama a mostrare la vera fede in Dio nel momento della prova e che è rivolto a migliorare il comportamento etico del credente al fine di realizzare il Bene.

Una manifestazione commemorativa di emigrati sciiti afghani a Montreal (Canada)
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Una manifestazione commemorativa di emigrati sciiti afghani a Montreal (Canada)

La morte di al-Husayn è uno dei miti fondativi della Shiʿa. Ancora oggi, nel giorno della ʿāshūrāʾ, immensi cortei di pellegrini sfilano nella città santa di Kerbelāʾ. Le manifestazioni si trasformano in grandi rappresentazioni collettive di massa che mettono in scena il martirio di al-Husayn (in Persia questi componimenti poetico-prosastici vengono chiamati Taʿziye). Nelle moschee si rievocano gli eventi dolorosi che riportarono alla tragedia. I fedeli, vestiti a lutto, piangono come se avessero perso una persona cara. Chiunque nel decimo giorno del mese di muharram (il mese in cui si celebrano i riti) riesce a visitare la tomba del terzo imam e ad offrire l’acqua agli altri visitatori assetati è come se l’avesse data all’esercito di al-Husayn, atto che simboleggia la tipica tensione sciita alla pietas.
Ma l’evento simbolico più significativo è rappresentato dalle processioni di autoflagellanti. Migliaia di persone si coprono il capo di cenere, battono il suolo con la fronte, si fustigano a sangue mentre partecipano ai cortei di afflizione che seguono la salma immaginaria di al-Husayn. Si rappresenta in tal modo la volontà dell’intera comunità di sottomettersi volontariamente alla tortura, di morire in gruppo per la difesa della causa: come al-Husayn a Kerbelāʾ.
Sin dalla battaglia di Kerbelāʾ la Shīʿa si percepisce come un movimento di rivolta contro l’ingiustizia. Per lungo tempo in Iraq e in Iran queste manifestazioni, proibite prima negli eccessi e poi totalmente dal governo della dinastia pahlavide e di Saddam Husayn, hanno funzionato come una sfogo contro l’ingiustizia che dominava il mondo, permettendo alla comunità di lavare ritualmente il peccato capitale nell’accettazione del compromesso quotidiano con una società dominata dal male.
I giovani rivoluzionari iraniani ne muteranno però il segno; la ʿāshūrāʾ assumerà così un diverso segno e alla tradizionale pietas sciita si sostituirà l’idea della morte in combattimento per l’affermazione della “giustizia”.

[modifica] Collegamenti

[modifica] Bibliografia

  • Muhsin al-Amīn al-ʿĀmilī, Aʿyān al-Shīʿa, Beirut, 1948 (1367 dell'Egira).
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  • K. F. Allam, C. Lo Jacono, A. Ventura (a cura di G. Filoramo), Islam, Roma-Bari, Laterza, 1999.
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  • Heinz Halm, L’Islam, Roma-Bari, Laterza, 2003.
  • Henri Lammens, Le Califat de Yazîd Ier. M.F.O., V (1911).
  • C. Lo Jacono, Storia del mondo islamico (VII-XVI secolo). Il Vicino Oriente, Torino, Einaudi, 2003.
  • G. Vercellin, Islam. Fede, Legge e Società, Firenze, Giunti Editore, 2003
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