Duomo di Modena
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Bene appartenente al Patrimonio dell'Umanità UNESCO | |
Cattedrale, Torre Civica e Piazza Grande | |
Dati | |
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Anno inserimento: | 1997 |
Tipologia: | Architettonico |
Criterio: | C (i) (ii) (iii) (iv) (*) |
In pericolo: | Nessuna indicazione |
Scheda: | Scheda UNESCO |
Patrimoni in Italia |
Il Duomo di Modena è la prima chiesa della città e dell'Arcidiocesi di Modena-Nonantola. Capolavoro dello stile romanico, la Cattedrale è stata edificata dall’architetto Lanfranco nel sito del sepolcro di San Geminiano, patrono di Modena, dove già due chiese a partire dal 400 erano state costruite e distrutte. Nella cripta del Duomo si trovano le spoglie del Santo entro la semplice urna del IV sec. ricoperta da una lastra di pietra e poggiante su colonne di spoglio. Il sarcofago, custodito entro una teca di cristallo, viene aperto ogni anno e il cadavere del Santo rivestito degli abiti vescovili con accanto il pastorale viene esposto alla devozione dei fedeli in occasione della festa del Santo stesso (31 gennaio). A fianco del Duomo sorge la torre campanaria detta Ghirlandina. Il Duomo di Modena, con la piazza Grande e la Ghirlandina è stato dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
[modifica] L'architetto Lanfranco
Della vita e delle opere di Lanfranco prima della sua venuta a Modena dalla zona dei laghi lombardi con abili maestranze di muratori e lapicidi non si ha notizia, certa però è l'attribuzione a lui del progetto del duomo grazie ad una lapide murata all'esterno dell'abside maggiore che oltre alla data d'inizio dei lavori (23 maggio 1099), indica il nome dell'architetto e ne tesse anche le lodi definendolo "celebre per il suo ingegno, sapiente e dotto". Anche in una cronaca del tempo, la Relatio de innovatione ecclesie Sancti Geminiani del coevo canonico Aimone, conservata nell'Archivio Capitolare, si afferma che l'architetto fu Lanfranco, che viene anche raffigurato in alcuni disegni che corredano il testo mentre,in vesti ricche rispetto a quelle umili degli operai e con in mano la verga del comando, dirige i lavori degli scavi per le fondamenta e dell'erezione di una parete. A Lanfranco si affiancò presto lo scultore Wiligelmo che, non solo lavorò assieme ai suoi allievi e seguaci alla decorazione della chiesa, ma collaborò in armonia con Lanfranco alla direzione dei lavori partendo dalla facciata, mentre Lanfranco partì dalle absidi. Il motivo fondamentale dell'architetura di Lanfranco è la serie continua di loggette che cingono tutt'ìntorno il Duomo, entro arcate cieche. Questo motivo é ripetuto all'interno per la serie dei falsi matronei. Procedendo Lanfranco nella direzione dei lavori dalle absidi e Wiligelmo dalla facciata, si determinò una irregolarità: sul fianco meridionale verso la Piazza Grande la serie di loggette s'interrompe e fra il primo e secondo triforio sormontati da un semiarco cieco s'interpone una bifora sormontata da un arco cieco più basso e stretto, precisamente la corda di questo arco misura m. 2,67, mentre tutte gli altri hanno corde intorno a m.3,74 (la bifora divenne poi di stile gotico in seguito ad un rifacimento più tardo). Altrettanto si verifica sul fianco nord, dove però l'irregolarità è meno evidente perché mascherata da un successivo rimaneggiamento. La spiegazione fornita da critici e storici d'arte è che i nodi siano venuti al pettine al momento e nel punto d'incontro delle due costruzioni procedenti in senso inverso. Questa irregolarità e la presenza sull'abside naggiore della lapide che ricorda Lanfranco e, sulla facciata sotto l'epigrafe di datazione del Duomo sia stata aggiunta una frase di elogio per Wiligelmo, è assunta a prova che la costruzione sia proceduta proprio contemporaneamente da est e da ovest. Questi errori di misurazione sono frequenti nelle costruzioni preromaniche, romaniche ed anche, seppur attenuate, in quelle gotiche: muri e pareti con qualche gobba, arcate e intercolumni di diverse dimensioni, decorazioni a fregio diverse in elementi o unità costruttive uguali. Va osservato che gli architeti medioevali non davano eccessivo valore alla simmetria e alle proporzioni, prevalendo su queste la ricerca dell'animazione plastica. Dal punto di vista estetico l'arte di Lanfranco si qualifica per l'organicità dei rapporti plastici e spaziali, per la semplicità rigorosa delle linee e per il gioco dei chiaroscuri che, all'interno, invitano al raccoglimento e alla preghiera.
[modifica] I lavori del Duomo
Per la costruzione del Duomo attuale vennero usati materiali ricavati dai ruderi della citta romana di Modena, chiamata Mutina, ricca e fiorente colonia romana sulla via Emilia,all'epoca completamente distrutta a causa di terremoti e di alluvioni, le quali costrinsero gli abitanti in un certo momento, ad abbandonare la città per trasferirsi in una località, dotata di mura ad opera dei Longobardi, che prese il nome di Cittanova, oggi frazione del comune di Modena. Accanto alla chiesa col sepolcro del santo rimase però il vescovo e, col tempo, attorno alla chiesa che sorgeva all'esterno delle mura romane di Mutina si venne a formare il nucleo abitativo, che diventò, ed è anche oggi, il centro di Modena. Attorno a questo nucleo si sviluppò via via a raggera l'agglomerato urbano seguendo le vie d'acqua che numerose attraversano la città e oggi sono coperte da vie che ricordano nel nome i canali sottostanti (Corso Canalgrande, corso Canalchiaro, via Canalino). Nella metà dell'XI secolo la prima chiesa venne sostituita da una più grande, ma, per le scarse capacità dei costruttori, minacciava di crollare già verso la fine del secolo e il popolo decise allora di costruirne una nuova. In quel periodo, caratterizzato dalla lotta fra papato e impero per l'investitursa dei vescovi, la città, pur facendo parte dei domini di Matilde di Canossa, era stata governata saldamente dal potente vescovo Eriberto, che però fu scomunicato nel 1081 da Gregorio VII per le sue simpatie per l'antipapa Clemente III e per l'imperatore. La sede vescovile restò allora vacante per diversi anni a causa dell'impossibilita per il papa di trovare un candidato gradito al popolo e al partito imperiale. Il popolo, che avvertiva la necessità di mettere mano ad una nuova chiesa, approfittando anche dell'assenza del vescovo, decise di costruire una nuova grande cattedrale, cosicché quando il nuovo vescovo Dodone, nominato pur con qualche difficoltà nel 1100 dal papa Urbano II, riuscì a farsi accettare da tutti e venne a Modena trovò il cantiere del nuovo Duomo già aperto. La decisione autonomamente presa dal popolo indipendentemente dagli oppressivi poteri imperiali ed ecclesiastici è dimostrazione dell'aspirazione all'autogoverno e alla libertà dei modenesi per i quali il Duomo ne rappresenta ancora il simbolo, oltre che simbolo delle proprie radici cristiane. Dopo lunghe ed accurate ricerche si scelse l'architetto Lanfranco ritenuto idoneo a progettare e dirigere i lavori della nuova grandiosa cattedrale. Lanfranco venne a Modena accompagnato da un gruppo di valenti muratori e lapicidi (i cosiddetti Maestri Comacini, cioè provenienti da località del lago di Como) che si misero subito al lavoro.
[modifica] I materiali romani
Quando ormai le fondamenta avevano raggiunto la superficie del suolo, ci si accorse che i materiali raccolti non sarebbero bastati per l'intera costruzione, ma, come afferma il cronista Aimone, "per divina ispirazione" si cominciò a scavare poco lontano dal cantiere mettendo in luce inaspettatamente la necropoli romana ricca di pietre e di marmi che,levigati o scolpiti, vennero utilizzati nella costruzione dell'edificio. Il largo impiego di marmi romani è evidenziato da figure e iscrizioni che si trovano qua e là nelle lastre che ricoprono Duomo e torre campanaria e dai leoni stilofori certamente di origine romana del portale maggiore e della porta dei principi. A dirigere i lavori si affiancò ben presto a Lanfranco lo scultoreWiligelmo che lavorò anche, assieme a suoi allievi e seguaci, a gran parte della decorazione. L'avvento di Wiligelmo, che operò in perfetta armonia con il progettista, portò ad un mutamento d'indirizzo dovuto al ruolo assunto dalle decorazioni e dai rilievi che completano armoniosamente le linee razionali e severe del progetto originale di Lanfranco. I lavori edili andarono avanti alacremente procedendosi nel frattempo a demolire parti della vecchia cattedrale per fare posto alla nuova, sicché nel 1106 la costruzione era già coperta e si poté effettuare la traslazione del corpo del Santo patrono da ciò che restava ancora della vecchia chiesa dove era sepolto alla cripta della nuova basilica. Questa traslazione avvenne in forma solenne alla presenza del papa Pasquale II, di vescovi e abati, della contessa Matilde di Canossa, feudataria imperiale della città, e del popolo attento e vigile durante la ricognizione del sepolcro e la traslazione, nel timore che vi potessero essere furti di reliquie, allora oggetto di fiorente commercio. A questo scopo l'operazione avvenne con la custodia di un corpo di guardie giurate, scelte in numero di sei dall'ordine dei milites e di dodici dall'ordine dei cives. A ciò si era giunti perché all'intenzione manifestata dai vescovi di procedere senz'alcuna presenza civile alla ricognizione si opposero i cittadini e tutto il popolo che tumultuò nella piazza. In quel tempo la Curia vescovile (clerici), i vassalli del vescovo (milites ecclesie) e i cittadini (cives) ormai governavano la città, mentre la plebe (populus) esprimeva la propria volontà protestando con grida e confusione. E' l'alba delle libertà comunali e il primo affermarsi della classe dei cittadini, cioè mercanti, artigiani, professionisti, che il popolo sostiene manifestando nelle piazze. La comunità si va liberando dagli obblighi della soggezione ai signori, non essendo più divisa fra padroni e servi ma basata sul lavoro degli artigiani e sui traffici dei mercanti: una nuova comunità civile e religiosa che ha nella chiesa del suo patrono il simbolo della propia operosità e intraprendenza. E in questo simbolo si riconoscono ancora i modenesi, non a caso chiamati anche geminiani (zemian in dialetto), orgogliosi delle proprie radici. Demolita la vecchia cattedrale i lavori continuarono cosicché entro il terzo decennio del XII secolo il lavoro di Lanfranco e Wiligelmo si era concluso.
[modifica] I Campionesi
Per approfondire, vedi la voce Maestri Campionesi. |
A Lanfranco e Wiligelmo subentrarono alcuni seguaci e le maestranze campionesi, provenienti anch'esse dal nord della Lombardia, precisamente da Campione d'Italia, oggi enclave italiana in Svizzera, da cui il nome di Campionesi o da Campione. I Campionesi erano stati chiamati per completare il lavoro di Lanfranco e Wiligelmo e, soprattutto, per costruire la torre campanaria. A loro si devono buona parte delle decorazioni interne, ma anche diversi interventi strutturali quali l'apertura delle due porte della facciata ai lati del portale maggiore, unico nel progetto di Lanfranco, la costruzione del grande rosone gotico al centro della facciata, che comportò un intervento al secondo piano del protiro del portale maggiore, la modifica del presbiterio sopraelevato con la costruzione del mirabile pontile, riccamente da loro decorato, l'apertura della grandiosa Porta Regia sulla Piazza Grande, anch'essa non prevista da Lanfranco (il nome di Regia, non significa del re, ma deriva dal termine del latino medioevale rege che significa porta principale di un edificio), mentre il nome di porta dei principi, anch'essa sulla piazza e già presente nel Duomo di Lanfranco, trae origine dalla presenza di due principi nella decorazione dell'architrave. Il nome di Porta Regia nel senso di porta principale si adatta perfettamente a questa monumentale porta, che conferisce al fianco meridionale l'aspetto di una seconda facciata. Ai Campionesi sono anche attribuibili gli arcangeli Gabriele e Michele posti uno allla sommità del tetto della facciata e l'altro su quello dell'abside centrale. Nel 1322 Enrico da Campione è autore del pulpito al centro dell'interno. L'attività dei Campionesi, iniziata nel 1167 per la costruzione della torre campanaria, o qualche anno prima, continua poi per molti anni grazie a tre generazione di questi maestri. Poiché le cronache registrano nel 1319 il compimento ad opera dello stesso Enrico da Campione della cuspide della Ghirlanndina, si può datare intorno alla metà del XIV secolo il termine della presenza a Modena dei Campionesi, anche se i lavori di abbellimento e di trasformazione del Duomo non terminano con loro, pur lasciando miracolosamente invariato l'aspetto complessivo della costruzione, che fa del Duomo di Modena il capolavoro tipico in assoluto del romanico lombardo non solo dell'esterno, ma anche dell'interno, perché l'arte dei Campionesi, ai quali sono dovute le maggiori e più rilevanti modificazioni e trasformazioni, ha sì qualche elemento formale gotico, ma si accorda perfettamente al romanico di Lanfranco e Wiligelmo, che domina incontrastato. Gli interventi successivi sono limitati ad opere accessorie che non alterano la struttura. Ciò a differenza, ad esempio, del Duomo di Ferrara, romanico in origine che ha la facciata goticizzata e l'interno completamente rinnovato nel '700 e decorato alla fine dell'800. Stessa sorte subiscono le cattedrali di Mantova nella quale di romanico resta solo il campanile, di Lodi, che nella facciata vede assieme elementi romanici, gotici e rinascimentali mentre l'interno è stato riportato all'aspetto originale da restauri, di Reggio Emilia, costruita nel secolo XIII poi molto rimaneggiata per cui la facciata é romanica in alto mentre in basso ha un rivestimento marmoreo del 1544, di Treviso in cui la mescolanza degli stili è macrocopica e di romanico sono soltanto alcuni resti in quanto si susseguirono modifiche dell'originario duomo medioevale durante tutti i secoli successivi fino al pronao esastilo neoclassico del 1808. Causa di questo disarmonico sovrapporsi di stili é il prolungarsi eccessivo dei tempi di costruzione, che comporta il nascere di nuovi stili architettonici e il mutare dei gusti estetici della gente e degli artisti che non sopporterebbero la continuazione dei lavori secondo forme ormai passate di moda e non più gradite. Il motivo per cui il Duomo di Modena non subisce questa sorte é da ricercarsi dal tempo, relativamente breve per quell'epoca, impiegato per il suo compimento. E' infatti del 1184 la definitiva sua consacrazione da parte del papa Lucio III a significare anche che il Duomo era ormai completato in tutte le sue parti.
[modifica] Gli interventi successivi
Gli interventi successivi più importanti sono nel XV secolo quando fra il 1437 e il 1455 si nasconde con volte a crociera l'originaria copertura a capriate lignee forse voluta dai committenti timorosi che succedesse quanto era avvenuto alle volte del duomo precedente che avevano palesato presto vistose lesioni. Al secolo XVIII risale la modifica dell'abside centrale entro cui si trova il sepolcro di S. Geminiano: grazie al lascito testamentario di un canonico le pareti vengono rivestite di marmi rari e preziosi, le finestre chiuse da preziose sottili lastre di onice, le volte sono rifatte e decorate con stucchi ed altri materiali, il complesso dell'urna funeraria del Santo e l'altare che la precede viene recintato con una balaustra marmorea e, come recita una lapide murata a fianco, l'abside viene dotata di lampade d'argento e l'altare di croce e candelabri pure d'argento, oggi conservati nel Museo del Duomo, offerti dall'allora duca di Modena Rinaldo I, già cardinale che aveva rinunciato alla porpora e si era sposato per assumere il governo della città ed assicurare la discendenza degli Estensi, essendo morto senza lasciare figli legittimi suo fratello regnante Alfonso IV e non esistendo altri Estensi del ramo principale della Casata. Un altro intervento importante si ebbe dalla fine dell'Ottocento ai primi del Novecento quando si abbassò di una ventina di centimetri il pavimento per dare maggiore slancio verso l'alto all'interno, si liberarono i fianchi del Duomo delle costruzioni che, nel tempo, si erano venute ad appoggiarvisi, fra queste i due muri trasversali dotati di archi a sesto acuto che collegavano il Duomo alla Ghirlndina e alla sagrestia; non vennero demoliti soltanto i due archi e si costruì un nuovo passaggio sopraelevato dal Duomo alla sagrestia in falso stile romanico. In occasione di questo restauro si commissionò a un modesto pittore modenese l'incarico di dipingere l'interno superiore delle absidi ed egli assolse il compito effettuando affreschi che imitano i mosaici bizantini. Nel 1936 si ricostruirono le guglie a loggetta che sovrastano i pilastri della facciata cadute per il terremoto del 1797 e mai ricollocate in loco. Alla fine del '900 si provvide poi ad un accurata pulitura delle sculture e della superficie esterna restituendo al Duomo il caratteristico colore bianco che era stato offuscato dalla polvere e dallo smog. Sempre in questi anni, grazie ad un lascito testamentario, si provvide a costruire e installare delle porte in bronzo per i tre portali della facciata. Queste porte non riscossero l'approvazione di buona parte dei cittadini, che le giudicavano troppo moderne e non in armonia con la facciata. Forse attendendo che la patina del tempo le rendesse meno nuove e più accettabili nel contesto antico qualcuno avrebbe potuto finire per gradirle, ma la polemica divampò ed investi anche la critica d'arte nazionale, cosicché il Capitolo del Duomo, che inizialmente aveva deciso l'iniziativa, si convinse dell'opportunità di rimuovere le porte in bronzo, rimettendo le vecchie povere e anonime porte in legno. Attualmente sono in corso lavori di consolidamento delle fondamenta e del rosone della facciata per prevenire possibili danni alla struttura. Si é infatti constatato qualche sia pur lieve cedimento e un'avvicinamento millimetrico della Ghirlandina al Duomo, causati forse dal traffico che corre vicino o da un abbassamento della falda acquifera sottostante.
[modifica] La decorazione plastica di Wiligelmo
Per approfondire, vedi la voce Wiligelmo. |
La facciata è dominata dalla decorazione marmorea plastica dovuta in gran parte a Wiligelmo, scultore modenese, anche lui scelto dal popolo. Sono infatti suoi il rilievo con cervi che si abbeverano alla fonte, quello con animali fantastici e una figura umana nuda che cavalca un mostro, i capitelli al livello della loggetta che, invece delle decorazioni fogliacee tradizionali, hanno motivi figurati con teste di animali, teste e mascheroni di uomini e donne e telamoni ricurvi sotto il peso del pulvino. Anche la decorazione del portale maggiore inquadrato da un protiro sostenuto da due leoni di provenienza dagli scavi di fondazione o dalla necropoli romana, é certamente di Wiligelmo. Il portale è decorato da un tralcio di vite abitato che si sviluppa sugli stipiti, sulla architrave e sull'archivolto a simboleggiare che il fedele sta entrando nella "vigna del Signore". All'interno degli stipiti sono le dodici figure di profeti che previdero la venuta di Cristo e sono simboli delle fondamenta della Chiesa; pregevoli i telamoni alla base degli stipiti, i capitelli delle semicolonne elicoidali e i profeti Enoc ed Elia. Sempre di questo sommo scultore sono i genietti reggifiaccola rovesciata, certamente ripresi da modelli dell'antichità che egli doveva aver visto sui sarcofagi riemersi dalla necropoli romana, simboli funerari della morte e del lutto; accanto a quello di sinistra un uccello che viene identificato o con l'ibis, simbolo del cattivo cristiano o col pellicano che si richiama alla resurrezione di Cristo. Non é certamente di Wiligelmo, e nemmeno di un maestro campionese, l'altorilievo di Cristo in trono entro una mandorla posta al di sopra del rosone e sovrastato da una specie di baldacchino che, per motivi stilistici, è attribuito ad un Maestro del Redentore vissuto molto dopo gli inizi del XIII secolo. Neppure i simboli degli evangelisti (il leone , l'angelo, l'aquila e il bue) sono di Wiligelmo ma sono riferibili alla sua bottega con qualche traccia di un suo intervento. Ma le sculture di Wiligelmo che colpiscono subito chi osserva la facciata e rappresentano il suo capolavoro sono soprattutto le quattro lastre con le storie della Genesi. Nella prima lastra figurano l'immagine di Dio racchiusa in una mandorla sorretta da angeli, la creazione di Adamo che si addormenta subito, mentre Eva esce dalla costola di Adamo e porge fiduciosa la mano al suo Creatore, Adamo ed Eva, coprendosi con la foglia di fico, si avvicinano all'albero attorno al quale sta il serpente ed Eva offre ad Adamo il frutto proibito. Nella seconda lastra Dio rimprovera Adamo ed Eva, che esprimono la loro vergogna e disperazione portandosi la mano al volto e vengono cacciati da un angelo con la spada sguainata per apparire poi affaticati al lavoro nei campi cui sono costretti. Nella terza lastra Caino e Abele portano sacrifici a Dio, Caino uccide Abele con una trmenda bastonata e viene poi rimproverato da Dio che solleva su di lui la mano nel gesto di condanna e maledizione. Nella quarta lastra è raffigurata l'uccisione di Caino ad opera del cieco Lamech e, di seguito, l'Arca di Noè il quale prima si affaccia dal ponte con la moglie e poi scende a terra con i figli dopo la fine del diluvio. Tutte queste storie sono raffigurate con un realismo che la distesa solennità dell'apertura e del finale, la drammaticità delle due lastre centrali unite ad un’impaginazione narrativa felicissima, fanno di Wiligelmo il caposcuola della scultura romanica in Italia. Le lastre, che appaiono oggi a coppie a diversa altezza, erano originariamente allineate allo stesso livello e furono i Campionesi che sollevarono la prima e l'ultima lastra per far posto ai due portali laterali che essi aprirono accanto al grandioso portale di Wiligelmo. L'opera scultorea di Wiligelmo colpì certamente anche i suoi contemporanei che all'iscrizione della lapide, retta dai profeti Enoc ed Elia opera dello scultore, la quale ricorda la data di fondazione del Duomo, aggiunsero in caratteri più piccoli le sue lodi nel latino medioevale: "inter scultores quanto sis dignus onore - claret scultura nunc Wiligelme tua". L'ideologia che ha guidato Wiligelmo nella composizione della facciata é di rappresentare con le sue sculture la speranza di salvezza, prologo alla verità evangelica che il fedele troverà all'interno. Infatti i profeti Enoc ed Elia furono direttamente assunti in cielo senza passare prima per la morte, i dodici profeti rappresentati nelle decorazioni del portale maggiore sono un presagio dei dodici apostoli, le tavole della Genesi, dalla creazione dei progenitori, al loro peccato, alla condanna al lavoro, al fratricidio di Caino e alla sua morte conducono all'ultima figurazione del castigo del diluvio e si concludono con Noé e la sua famiglia che escono dall'arca, cioè con la riconciliazione con Dio, premessa del nuovo patto evangelico e promessa di salvezza. Le sculture, soprattutto quelle delle tavole della Genesi col realismo espressivo dei protagonisti e dei sentimenti che li animano, sono dotate di una fortissima tensione che non si riscontra in questa misura nei pur grandi scultori del periodo romanico quali Nicolò a Ferrara e Verona e l'Antelami a Parma, che subirono certamente l'influenza di Wiligelmo ma sono più estetizzanti e rappresentano la transizione dal romanico al gotico, derivata dalle sculture borgognone e provenzali.
[modifica] I seguaci di Wiligelmo
I simboli degli Evangelisti (leone, angelo, aquila e bue) che i Campionesi spostarono al di sopra del rosone, sono vicini stilisticamente a Wiligelmo, ma non sono una sua opera, ma opera di un suo probabile allievo, detto Maestro degli Evangelisti, che evidenzia un gusto più raffinato della forma, però a scapito del vigore del suo maestro. Pure opera di uno scultore della scuola wiligelmica è la decorazione della Porta dei principi il cosiddetto Maestro di S. Geminiano. Alcuni critici pensano di attribuirla a Wiligelmo stesso in tarda età, almeno per alcune parti dei bassorilievi che rappresentano scena della vita di S. Geminiano, ma tale attribuzione è da scartare per l'assenza della tensione e della forza plastica che anima la scultura di Wiligelmo sulla facciata. Qui lo scultore non è più coinvolto, è distaccato dai fatti che rappresenta, è quasi un cronista o un fotografo che ci dà una serie di istantanee. La porta fu gravemente danneggiata dal bombardamento della città del 1944 e ricostruita fedelmente assiemando i molti pezzi in cui era ridotta raccolti con cura da un giornalista locale e poi conservati in attesa del restauro, anche uno dei due leoni di origine romana fu colpito e poi fedelmente ricostruito. La porta della pescheria (cosiddetta perché nelle sue vicinanze già si trovava appunto un negozio per il commercio del pesce), con la serie delle allegorie dei mesi, le storie di re Artù, alcune favole , oltre a mostri e figure zoomorfe, è decorata da un allievo di Wiligelmo,lo scultore, di cui non si conosce il nome ed è detto Maestro di Artù. Anche questo scultore, pur apprezzabile, non ha la forza espressiva e la tensione del suo maestro, i suoi telamoni non sono schiacciati dal peso che sopportano come quelli di Wiligelmo, il lavoro nelle allegorie dei mesi non é più come quello di Adamo ed Eva della lastra della facciata una condanna in espiazione del peccato, tutto é più sereno e meno drammatico e il rilievo è più piatto. Certamente gli allievi di Wiligelmo sentono l'influenza di contatti col romanico di Borgogna in Francia, come viene rilevato dalla critica d'arte, però la scuola modenese di quel tempo ha un suo proprio valore assai elevato e si diffonde nel settentrione come ad esempio nella chiesa abbaziale di S. Silvestro nella vicina Nonantola. L'ultimo intervento della scuola di Wiligelmo nei lavori di decorazione del Duomo prima dell'avvento dei Campionesi è quello relativo alle otto metope poste al disopra dei contrafforti esterni. le metope opera di un seguace di Wiligelmo anch'esso ignoto e chiamato Maestro delle metope. Per sottrarle all'usura del tempo, furono trasportate nel Museo del Duomo e sostituite in loco da copie nel 1950. Sono opera certamente di un grande scultore che, nella fermezza dei volumi e qualche altra consonanza si può ancora riferire a Wiligelmo, ma ha ormai introdotto nella tradizione della scuola modenese elementi della scultura borgognona. L'attività di questo maestro é databile intorno al 1130.
[modifica] Anselmo e i maestri campionesi
Dopo Lanfranco e Wiligelmo, tra il XII e il XIV sec. il Duomo fu abbellito dai ripetuti interventi architettonici e scultorei di Anselmo da Campione e dei suoi eredi. La facciata del Duomo è così il risultato di un’armonica fusione di stili diversi: la struttura romanica di Lanfranco è stata infatti alleggerita dall’apertura dal maestoso rosone gotico centrale, opera di Anselmo, che illumina l'interno. L'altro intervento importante dei Campionesi, attribuito anch'esso ad Anselmo, è quello relativo al presbiterio sopraelevato alla cripta con la costruzione del pontile aggettante e sorretto da da colonne su telamoni seduti e curvi sotto il peso della colonna e da leoni stilofori digrignanti accucciati sulla preda. I capitelli delle colonne e delle mensole a sostegno del pontile sono attribuite ad Ansemo e ideologicamente si rifanno all'aspettativa di salvezza con le storie di Daniele e Abacuc, le storie di S. Lorenzo, Sansone che smascella il leone e un crobata. Le sculture che esaltano le capacità scultoree dei Campionesi sono nei rilievi che ornano l'ambone con le figurazioni dei dottori della Chiesa in atto di scrivere su ispirazione di un angelo o di una colomba, simbolo dello Spirito santo, dei simboli degli Evangelisti, di Cristo in maestà e di Cristo che risveglia S. Pietro. Ma le opere che attraggono la vista sono i rilievi marmorei dipinti del parapetto, ripristinato nelle sue forme originarie dal grande restauro dei primi anni del '900, raffiguranti scene della passione di Gesù: la lavanda dei piedi, l'ultima cena, il bacio di Giuda, la cattura di Cristo, il giudizio di Pilato, il Cireneo che porta la croce. Di queste sculture non è noto l'autore che viene quindi chiamato Maestro della Passione. Il suo stile viene accostato a quello dei contemporanei scultori provenzali, così come quello degli allievi di Wiligelmo è avvicinato agli scultori borgognoni. Certamente nel Medioevo, grazie soprattutto ai grandi pellegrinaggi a Santiago de Compostela e Roma, i rapporti fra scuole diverse potevano verificarsi più facilmente di quel che oggi si potrebbe pensare nelle condizioni di allora. Va anche sottolineato il fatto che queste famiglie o compagnie di operatori edili, terminato il lavoro in una località che poteva interessare per la durata generazioni diverse, non si fermavano in quel posto, ma emigravano verso dove vi fossero nuove possibilità di lavoro e non va escluso che scultori lombardi abbiano operato ancge in altre nazioni e, viceversa, scultori francesi abbiano operato in Italia.
[modifica] Le porte laterali e la fronte sulla Piazza Grande
Notevoli sono le porte laterali due sul fianco sud nella piazza Grande ed una su quello nord. La Porta regia non esisteva nel Duomo di Lanfranco ed è opera dei maestri campionesi collocata fra il 1209 e il 1231 mentre si svolgevano anche i lavori nel presbiterio, è raggiungibile all'esterno da alcuni gradini ed è di marmo rosa diverso dal colore bianco della superficie del Duomo. cui è esternamente appoggiata. Minore, rispetto alle altre porte, è la sua decorazione scultorea, mentre molto maggiore è la sua imponenza architettonica: a strombo, delimitato da una serie di colonne tutte diverse, di cui le due prime di diametro maggiore sono sorrette da due grandi leoni stilofori, che stringono la preda fra le zampe e rappresentano nell'iconografia medioevale la lotta fra Il diavolo e l'uomo o fra questo e Dio. Il tutto è sormontata da un imponente protiro. La più piccola Porta dei Principié ornata nell'architrave da un bassorilievo raffigurante episodi della vita di San Geminiano: il Santo si reca a cavallo verso l'Oriente chiamato dall'imperatore Gioviano per guarire la figlia indemoniata, il viaggio in mare nella tempesta sollevata dal demonio, la guarigione della figlia dell'imperatore, la riconoscenza di questo manifestata con la consegna di doni, il ritorno a Modena, la miracolosa tumulazione del Santo. Per questo motivo l'autore, di cui non si conosce il nome, allievo di Wiligelmo, è detto Maestro di S. Geminiano. Una lastra di marmo bianco posta dopo la porta Regia, opera di Agostino di Duccio nel 1442 divisa in quattro parti, datata e firmata, tratta lo stesso argomento limitando però la rappresentazione alla guarigione della figlia dell'imperatore e alla consegna dei doni, a cui si aggiungono le miracolose esequie del Santo alla presenza di S. Severo, vescovo di Ravenna e la liberazione di Modena da Attila che fa parte della tradizionale agiografica di S. Geminiano che fa scendere sulla citta all'improviso una fittissima nebbia sì da occultare Modena ad Attila che procede senza entrarvi. Dal punto di vista storico questo miracolo non è potuto avvenire perché Attila nella sua venuta in Italia non può essersi avvicinato a Modena e nemmeno avere oltrepassato il Po essendosi fermato al Ticino dove accettò la pace propostagli dal papa Leone e, a causa della stanchezza dei suoi uomini, ritornò in Germania e non tentò più una spedizione verso Roma. Sempre sul fianco della piazza sporge un pulpito opera del 1500-1501 di Giacomo da Ferrara e Paolo di Giacomo che ha sulla cassa i simboli degli Evangelisti. Sul fianco settentrionale, in via Lanfranco, si trova la Porta della Pescheria, è sormontata dal protiro retto da due colonne su leoni stilofori ed ha negli stipiti bassorilievi ispirati ai dodici mesi dell’anno e tralci vegetali abitati da animali reali o fantastici. L'architrave mostra rilievi raffiguranti favolette tratte dai bestiari: la cavalcata sull'ippocampo, il funerale della volpe, la lotta del serpente con la gru, la gru che toglie l'osso dalla gola del lupo. Sull'archivolto sono alcuni episodi del ciclo di re Artù, prima attestazione della diffusione della leggenda asturiana nel continente europeo. Per questo motivo l'autore è detto Maestro di Artù. Certamente questo valido scultore è allievo di Wiligelmo, ma si caratterizza per una minore drammaticità e forza delle sue opere: i telamoni degli stipiti non sono schiacciati dal peso, le figure zoomorfe e le favole degli animali mancano della drammaticità e del sapore demoniaco e mostruoso di Wiligelmo, così pure non vi è drammaticità nella cavalcata della leggenda di re Artù, più simile ad una passeggiata che ad una battaglia, i lavoratori agricoli delle allegorie dei mesi non sono oppressi dal lavoro come i progenitori della scena della Genesi e sembrano inseriti in una poetica unione col mondo non ostile della natura. Questa minore tensione e partecipazione dell'artista rispetto a Wiligelmo fanno giustamente pensare a influssi dell'arte borgognona.
[modifica] L'interno
L’interno in mattoni rossi, suggestivo nella sua semplice austerità, è diviso in tre navate separate da colonne di marmo con ricchi capitelli alternate da pilastri. Tra navata centrale e cripta è posto il pontile decorato dei Campionesi. Il pulpito centrale di Enrico, da Campione (1322) è ornato di statuine in terracotta opera di plastici modenesi messe nei secoli successivi. Pende sopra il pontile un notevole crocifisso ligneo dorato del XIII secolo. All’interno del Duomo è possibile vedere anche i gruppi dei due grandi artisti plastici modenesi Begarelli e Mazzoni. Il presepio di Antonio Begarelli [1527) è notevole per la finezza delle molte figure ispirate all'arte classica e per la composizione scenografica; alle figure, già dipinte di bianco per simulare il marmo; in un recente restauro, che ha suscitato qualche critica dei modenesi sempre attenti alle vicende del loro Duomo, è stato tolto il colore bianco e ora appaiono del colore naturale della terracotta. Nella cripta è la Madonna col Bambino e con una servetta e due santi, forse raffigutanti i coniugi Porrini committenti del gruppo di terracotta dipinto di Guido Mazzoni del 1480. E' detto gruppo Porrini o, anche, Madonna della Pappa per il gesto familiare della goffa fantesca che soffia su una ciotola per rendere la temperatura della pappa al giusto valore prima di darla al Bambino. Per l'originalità del tema trattato, il realismo delle figure di dimensioni uguali al vero, il loro abbigliamento quattrocentesco è molto ammirata dai visitatori del Duomo ma anche oggetto di culto dei fedeli modenesi.
[modifica] La navata settentrionale
L'interno è anche ricco di molte opere d'arte. Subito dopo l'ingresso nella navata settentrionale si erge a grandezza naturale e con le vesti ele insegne vescovili, illuminata da molti ceri offerti dai fedeli, la statua lignea di S. Geminiano, forse del XIV secolo, opera di un ignoto scultore del legno. Più avanti sempre nella stessa navata il cosiddetto altare delle statuine, grandiosa ancona di terracotta risalente alla prima metà del '400 a forma di polittico gotico di Michele di Niccolò Dini, detto anche Michele dello Scalcagna o Michele da Firenze, con figure di santi entro nicchie, una predella con scene della vita di Gesù e un alto e slanciato coronamento di pinnacoli. Al centro sopra l'altare è un piccolo dipinto su pietra della Madonna, in origine posto all'esterno. Più avanti verso la Porta della Pescheria è la Pala di S. Sebastiano della prima metà del '500 di Dosso Dossi, considerata il capolavoro nell'arte sacra del pittore. Mostra il santo quasi in estasi nonostante il martirio, che rivolge il capo alla Madonna e ai Santi su una nuvola che lo sovrasta. Evidenti sono gli influssi coloristici del Tiziano. Proseguendo ancora nella navata verso il presbiterio si può notare il sepolcro monumentale dell'abile condottiero di famiglia nobile modenese Claudio Rangoni, che fu al servizio dei Veneziani ed anche del re di Francia Francesco I e morì a soli 28 anni. Risale a circa il 1542 e fu costruito su disegno di Giulio Romano.
[modifica] Il presbiterio
All'inizio del presbiterio, già collocata all'esterno del Duomo presso la torre campanaria e trasferita all'interno nel 1897, si trova la statua di Agostino di Duccio che rappresenta il miracolo del Santo patrono che salva un bambino caduto dalla Ghirlandina acciuffandolo per i capelli; lo si data intorno al 1442. Nel presbiterio si trova anche il mirabile coro ligneo intarsiato del 1461-1465 opera degli esponenti di una dinastia di provetti ebanisti: i fratelli Cristoforo e Lorenzo Canozi, detti da Lendinara. Dotati di una tecnica raffinata dimostrano negli stalli intarsiati abilità compositiva e notevoli doti prospettiche derivate dgli studi di Piero della Francesca. Di Cristoforo sono anche i quattro pannelli intarsiati in legno appesi alle pareti del presbiterio che si caratterizzano per la capacità di rappresentare le fisionomie dei ritratti dei quattro Evangelisti oggetto degli intarsi. Degli ultimi decenni del '300 è il polittico del pittore modenese Serafino de' Serafini situato nell'abside di sinistra e rappresentante l'incoronazione della Vergine, la crocefissione e alcuni Santi. Sotto al polittico è una lastra marmorea con la croce e animali che si fronteggiano del IX secolo e quindi della prima cattedrale poi andata distrutta.
[modifica] La navata meridionale
All'ingresso della navata meridionale è un pregevole grande affresco attribuito al multiforme artista Cristoforo da Lendinara che, oltre che intarsiatore, fu anche pittore. L'affresco risalente circa al 1472 -1476, fu scoperto casualmente nel 1822, ed è stato in parte danneggiato dai bombardamenti del 1944. Desumibile stilisticamente da Piero della Francesca contiene una bella Madonna aureolata d'oro che spicca fra Santi, in alto è rappresentato il giudizio universale. Più avanti si trovano il presepe di Begarelli e il monumento funerario di Francesco Maria Molza, poeta di nobile famiglia modenese, opera del 1516 di Bartolomeo Spani che lavorò a Reggio Emilia e Roma.
[modifica] La cripta
La cripta é una vera e propria chiesa sotterranea a nove navate cui si accede dalla navata centrale del Duomo scendendo alcuni gradini. Ad eccezione della parte con il sepolcro di S. Geminiano modificata nel '700, è rimasta inalterata da quando venne costruita dal 1099 al 1106. Oltre al gruppo della Madonna della pappa sono da ammirare i capitelli delle numerose colonne, tutti diversi per forma e dimensioni: oltre alle foglie d'acanto di alcuni pochi capitelli corinzi visti in modo diverso, gli altri sono con leoni, sirene, animali fantasiosi ed uno con la storia di S. Lorenzo. Non sono certamente opera di Wiligento per la minore forza plastica e la tensione e neppure sono dei suoi allievi. Alcuni caratteri formali li assimilano alla scultura preromanica lombarda, si può quindi concludere che sono opera dei lapicidi che scesero a Modena al seguito di Lanfranco, i cosiddetti Maestri Comacini. Sul pavimento e sulle pareti numerose lapidi funerarie portano i nomi dei vescovi di Modena qui sepolti accanto al loro santo predecessore. Una lapide posta sulla parete a fianco del gruppo della Madonna della pappa è la pietra tombale, rozzamente incisa, di una certa Gundeberga, "donna nobile e generosa", morta nel 570 e quindi appartenente alla prima chiesa di S. Geminiano.
[modifica] La Bibbia di pietra
Come altre grandi cattedrali romaniche o gotiche, il duomo di Modena è stato definito "la Bibbia di pietra" o "la Bibbia dei poveri", perché, coi suoi simboli e le sue decorazioni scultoree, consentiva ai poveri e a tutti gli analfabeti di ricevere l'struzione religiosa. Il Duomo, però, non risponde solo al disegno didattico di catechesi, ma rappresenta anche concretamente il simbolo della rivendicazione di autonomia e libertà di una comunità devota ma insofferente dello strapotere sia imperiale che ecclesiastico, che sfocerà qualche tempo dopo nella costituzione del libero Comune. E' infatti del 1135 l'elezione dei consoli da cui si fa partire l'autonomia comunale.
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