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Bartolomeo Colleoni - Wikipedia

Bartolomeo Colleoni

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Verrocchio, statua equestre di Bartolomeo Colleoni a Venezia
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Verrocchio, statua equestre di Bartolomeo Colleoni a Venezia

Bartolomeo Colleoni (Solza, tra il 1395 ed il 1400 - Malpaga, 2 novembre 1475) fu un condottiero mercenario italiano del quindicesimo secolo.

Indice

[modifica] Nascita

Bartolomeo Colleoni nacque a Solza, piccolo villaggio della sponda bergamasca dell'Adda, attorno al 1395-1400.

Sulla sua data di nascita non vi è certezza, anche se in una targa bronzea rinvenuta nel suo sepolcro il 21 novembre 1969 è indicata, assieme alla data della morte, l'età di ottant'anni: da ciò deriverebbe che l'anno di nascita sia il 1395.

Contro questa indicazione vi è la biografia, che si potrebbe dire ufficiale, in quanto ispirata dallo stesso Colleoni che l'ha commissionata, del contemporaneo Antonio Cornazzano.

Busto presunto di Bartolomeo Colleoni
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Busto presunto di Bartolomeo Colleoni

Cornazzano indicava quale data di nascita l'anno 1400 in contraddizione con la predetta targa. Si potrebbe pensare che il Colleoni abbia voluto ringiovanirsi, ma se si considera che l'anno 1400 era ritenuto, erroneamente, un anno giubilare, quindi particolarmente importante per la cristianità tanto da rimanere impresso nelle coscienze dei fedeli, e che nello stesso anno assunse una grande rinomanza il movimento devozionale dei Bianchi, non meraviglia che il Colleoni volesse collocare la propria nascita in un anno da tutti sentito, quasi con fede millenarista, come l'inizio di un cambiamento rinnovatore.

Il 1400 era considerato un anno eccezionale, carico di valori simbolici, che bene si addicevano alla biografia eroica di un grande condottiero. Non mancano, d'altra parte, testimonianze contemporanee che indirettamente collocano la sua nascita prima del 1400, come quella di un informatore di Borso d'Este che nel 1470 irrideva la bellicosità e la virilità del nostro scrivendo «ch'el capitano ha 84 anni et ch'el va drio a le pute».

[modifica] La famiglia

Resti del castello Colleoni a Solza (BG)
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Resti del castello Colleoni a Solza (BG)

Di stirpe longobarda, figlio di Paolo e Ricadonna Saiguini de' Valvassori di Medolago, apparteneva alla nobiltà cittadina, come indicava la sua arma araldica, che è del genere delle armi parlanti, cioè di quelle che rappresentano graficamente il cognome. Si hanno notizie storiche della sua famiglia fin dalla seconda metà dell'XI secolo con un Gisalbertus Attonis, figlio di un Attone, appartenente a quella che sarebbe stata la gens nova che incominciava ad imporsi sulla declinante società feudale.

Erano giudici e notai, di sicura fede ghibellina per quasi tutto il XIII secolo, mentre successivamente diventò incerta la loro appartenenza politica in quanto erano sempre più attenti ad appoggiare una parte anziché un'altra secondo le proprie convenienze del momento. Questo Gisalberto, che può essere considerato il capostipite della famiglia Colleoni, viene indicato per la prima volta con l'appellativo che sarà proprio della famiglia: Colione. Appare già ben inserito in una Bergamo, che come tutte le comunità dell'epoca, partecipava, tra il XI ed il XII secolo, a quel movimento sociopolitico che vide il prevalere del comune sul feudo, il prevalere della nuova società, la borghesia, sulla società feudale.

[modifica] Bergamo

Porta S. Giacomo a Bergamo alta
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Porta S. Giacomo a Bergamo alta

Fino alla prima metà del XII secolo Bergamo era governata dai Conti Ghisalbertini in un regime del tutto feudale, ma la gens nova scalpitava e nel 1168 il Comune bandì i Conti che furono, così, costretti ad allontanarsi portandosi dietro quel mondo che ormai stava per sparire.

Nella nuova situazione si evidenziarono due famiglie, spesso imparentate tra di loro ma anche a secondo delle circostanza nemiche: quella dei Suardi e quella dei Colleoni. Esse ricoprirono incarichi pubblici e dignità ecclesiastiche, ma la loro azione si svolse sempre nell'ambito bergamasco. Solo con Bartolomeo la famiglia Colleoni avrebbe assunto rilevanza italiana ed internazionale.

I Suardi ed i Colleoni si fecero valere presto, parteggiando, anche in contrasto tra di loro, per opposte fazioni. Le contingenze politiche del momento videro queste due famiglie spesso su fronti opposti, alternando periodi di pace a periodi di scontri, ma accrescendo sempre ricchezza e potere.

Alla fine fu Bartolomeo Colleoni ad oscurare gli altri e ad imporsi, forte della gloria e della ricchezza accumulata sui campi di battaglia, come condottiero di Venezia prima, di Milano poi, ed infine ancora di Venezia, al cui servizio terminò la propria carriera.

[modifica] Gisalberto

Gisalberto, che si considera il capostipite, fu attivo nella compravendita e scambi di terreni, ma anche nella brachania (prestito su pegno), e ciò lo faceva rientrare nel ceto dei negotiatores; fu attivo anche nel settore pubblico, infatti nel 1117 fu console di Bergamo.

È certo che i Colleoni avevano acquisito un ingente patrimonio immobiliare che spaziava dalla Valle Brembana all'Isola Bergamasca e che comprendeva fra l'altro l'importante posizione strategica del castrum di Baccanello di Calusco, distrutto nel 1298 dai ghibellini quando apparteneva ancora ai Colleoni.

I rapporti con la chiesa di Bergamo erano molto solidi e di lunga data: se ne ha notizia certa fin dal 1126 quando Gisalberto Coglione (sic) e Pietro del Brolo, prevosto di Sant'Alessandro, comperarono dei terreni.

I rapporti con la chiesa venivano coltivati assiduamente da Gisalberto, come dimostrano diversi atti di compravendita e di scambi di terreni, e dai suoi discendenti che avranno con la Chiesa un rapporto privilegiato. Godevano anche di privilegi imperiali quale quello di appello concesso da Federico II ad un Colleoni:

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«D'uno de' quali il più antico hassi la confermazione di Federico II negli anni 1224. Ove a Sozzon de' Coglioni, ed a' suoi discendenti, egli si vede concesso in feudo legale la cognizione delle appellazioni di tutte le cause della Città di Bergamo, e del suo territorio»
(Spino P., Istoria della vita, e fatti dell'accellentissimo capitano di guerra Bartolomeo Colleoni)

[modifica] Il patrimonio familiare

Il patrimonio immobiliare dei Colleoni si consolidò specialmente nell'Isola Bergamasca, in quella parte del territorio inclusa tra il fiume Brembo ed il fiume Adda la cui posizione strategica ne aumentava l'importanza e la funzione politica.

Partendo da questo territorio il padre di Bartolomeo, con alcuni parenti, occupò in maniera fortunosa il castello di Trezzo sull'Adda, impadronendosene il 23 ottobre 1404 e facendone una base per scorrerie nei territori circostanti. Questo territorio costituì, di fatto, un piccolo stato indipendente che fronteggiò per parecchi anni e con fortuna i Signori di Milano e la nuova signoria di Pandolfo Malatesta.

Il castello di Trezzo, situato sulla sponda milanese dell'Adda e vicino alla sua confluenza con il Brembo, era stato costruito da Bernabò Visconti ed aveva una grande importanza strategica in quanto controllava una delle vie di accesso al ducato di Milano. Era lo stesso castello possente e maestoso dove Bernabò Visconti fu imprigionato, ad opera del nipote Gian Galeazzo Visconti, che con l'aiuto di Jacopo dal Verme lo fece prigioniero in una vera e propria congiura ed imboscata, e dove morì il 18 dicembre 1385, forse ucciso per ordine del nipote stesso.

[modifica] La guerra familiare

Resti del castello di Trezzo
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Resti del castello di Trezzo

La conquista del castello di Trezzo segnò l'infanzia del nostro Bartolomeo in quanto il padre Paolo, che vi prese parte e che per liberalità avrebbe associato al potere i parenti che parteciparono all'impresa, sarebbe poi stato ucciso da questi ultimi. Qui il racconto si intreccia con la leggenda costruita a maggior gloria di Bartolomeo.

È chiaro il tentativo dei suoi apologeti, e particolarmente del Cornazzano, di rendere da un lato più importante il contributo del padre nell'azione di conquista nonché la sua munificenza per avere associato al potere alcuni parenti ed al contempo la perfidia e l'ingratitudine di questi ultimi che non solo lo uccidono, per usurparne il potere, ma ne imprigionano la moglie gettando in grosse difficoltà il giovinetto Bartolomeo: quanta maggiore è la gloria se le basi di partenza per la sua conquista sono molto basse.

La conquista del castello di Trezzo avvenne ad opera dei cugini Colleoni ma non vi è certezza storica del ruolo svolto da Paolo, il padre di Bartolomeo. Vi fu compartecipazione nella gestione del potere ma essa va fatta risalire, più propriamente, al tradizionale organamento agnatizio piuttosto che alla generosità del Paolo. Due erano, quindi, i rami colleoneschi che reggevano Trezzo e fra essi assunsero la preminenza i cugini Giovanni, figlio di Guardinus de' Collionibus ed il cugino Paolo figlio di Guidotus de' Collionibus. Si deve, tuttavia, rilevare una certa preminenza di Giovanni dal fatto che, nei documenti in cui era presente, la sua firma precedeva quella degli altri ivi compreso lo stesso Paolo.

È verosimile che tra i due rami siano nate delle rivalità e che in questi soccombesse il Paolo, ma non è altrettanto vero che sua moglie ed il figlio Bartolomeo siano stati gettati in miseria o in difficoltà economiche. Esistono, infatti, diversi atti di disposizioni patrimoniali che provano il contrario. L'affermazione del Corio :

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«la famiglia de' Coglioni presino il castello di Trezzo, ma finalmente si ocisono tra loro»

va presa in senso ampio e d'altra parte altri documenti fanno dubitare della stessa uccisione di Paolo. Un contributo alle incertezze è dato dal fatto che la fama raggiunta da Bartolomeo Colleoni fu abbastanza tarda, così degli avvenimenti narrati dai suoi biografi non vi era un ricordo certo, il che faceva aggio al desiderio di magnificare il condottiero, di esaltarne le origini e le conseguenti virtù circondandole di quell'aureola di mito che la leggenda e la compiacenza esigevano.

Il periodo della conquista di Trezzo era quello della reggenza del ducato di Milano da parte di Caterina Visconti e della signoria di Giovanni Maria Visconti, caratterizzato da torbidi politici e dalla debolezza del potere locale, situazioni di cui seppero approfittare i Colleoni al pari di altri.

Il Cornazzano nella sua opera cercò di

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«sottrarre i Colleoni dal numero di coloro che si gettarono come iene sul cadavere del Ducato, lacerandolo a brani e soprattutto di sottolineare la vocazione antiviscontea e antitirannica, quasi un'eredità morale, della diretta ascendenza di Bartolomeo.»
(Crevatin G., Vita di Bartolomeo Colleoni - 1990)
Facino Cane
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Facino Cane

I Colleoni, che avevano resistito con successo a Facino Cane e a Jacopo dal Verme, persero il Castello di Trezzo il 2 gennaio 1417 ad opera del Carmagnola ottenendo peraltro condizioni onorevoli ed una considerevole somma di denaro.

Questo era lo scenario da cui partì il giovane Bartolomeo Colleoni per quell'avventura che, seppure tardi, lo portò all'apice di quella carriera militare che, tra luci ed ombre, gli diede grande fama e ricchezza anche se non una Signoria personale.

La sua ambizione era il comando generale dell'esercito di Venezia e questo gli verrà affidato il 2 giugno 1455, solo alla fine della sua carriera.

[modifica] Il nome

È appena il caso di accennare, e senza intenti irriverenti, all'orgoglio che Bartolomeo dimostrò nell'uso del proprio patronimico, Coglione. Solo alcuni suoi apologeti, più tardi, cercheranno di dargli un significato diverso da quello letterale, ipotizzando, con molta fantasia è il caso di dire, una derivazione mitologica del tipo cum lione o caput leonis, da cui per sintesi fonetica si sarebbe arrivato a Colleoni, smentendo così tutti i documenti ufficiali dove fu sempre usato il termine Coleus vale a dire Coglione.

Stemma del Colleoni
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Stemma del Colleoni

Il condottiero era talmente orgoglioso del proprio cognome da farne il temuto grido di guerra Coglia, Coglia cioè Coglioni, Coglioni e da continuare a rappresentarli, con turgido realismo, nel suo stemma anche quando vi aggiungerà i gigli d'oro d'Andegavia ovvero d'Angiò e le fasce di Borgogna. Era il Condottiero stesso che precisava in un atto pubblico che la sua arme gentilizia era quella che esibiva:

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«duos colionos albos in campo rubeo de supra et unum colionum rubeum in campo albo infra ipsum campum rubeum»

che, araldicamente, vuol dire: troncato d'argento e di rosso a tre paia di coglioni, dall'uno all'altro.

Bartolomeo usava il proprio nome ed il proprio stemma con naturalezza ed orgoglio, tanto da farlo rappresentare in bassorilievo persino sul sarcofago della figlia Medea, senza quella pruderie di certe gentili donzelle sue discendenti che, pudicamente, faranno disegnare, nello stemma, i tre Coglioni capovolti in modo da farne tre Cuori, dimenticando così il grido di guerra dell'illustre avo.

Secondo alcuni autori, Bartolomeo Colleoni era affetto dalla patologia nota come poliorchidismo, ossia la presenza di un testicolo soprannumerario, secondo altri ciò fa parte della leggenda, ovviamente non è dato conoscere la realtà.

[modifica] Il condottiero

Arma di Giovanna II
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Arma di Giovanna II

Bartolomeo Colleoni iniziò la sua carriera militare, come scudiero, all'età di 14/15 anni presso Filippo Arcelli signore di Piacenza. Nel 1424 era, al servizio del condottiero Jacopo Caldora, al comando di una squadra di 20 cavalli. Con il Caldora entrò nella corte di Giovanna II di Napoli; partecipò alla battaglia dell'Aquila, 1424, contro Braccio da Montone, che venne sconfitto e rimase ucciso. Si distinse nell'assedio di Bologna, 1425, sotto le insegne del Caldora, per il Papa.

La guerra cominciò a dare i suoi frutti, il suo nome si diffuse e la sua fama crebbe tanto da essere notato da Venezia.
Iniziò così un lungo rapporto che, tra alti e bassi, segnò la sua vita e gli diede alla fine quella fama di condottiero tanto ricercata oltre alla connessa ricchezza.

Fu un rapporto, a volte di odio/amore, che vide sempre nel Colleoni una pulsione verso la Serenissima, pulsione ampliata dalla ricerca di riconoscimenti della propria capacità bellica e anche dalla gratitudine per quanto di onori e ricchezze la Repubblica gli darà, non ultimo quell'anelato monumento equestre da erigersi in piazza San Marco.

Venezia, ben attenta ad evitare il culto della personalità dei propri condottieri, onorò solo in parte questo desiderio, che diverrà un onere testamentario: eresse, infatti, il monumento, a spese degli eredi del Colleoni, furbescamente in un'altra piazza meno prestigiosa che presentava un riferimento al toponimo San Marco, Campo San Giovanni e Paolo (San Zanipolo) dove ha sede la scuola di San Marco.

La storia d'Italia entrava in una nuova fase, con conseguenze anche sulle attività militari; si sviluppava la tendenza alla costituzione di eserciti sempre più stabili e di strutture militari permanenti con relative amministrazioni burocratiche: era l'alba degli eserciti moderni.

[modifica] Venezia

Nel 1431 era al servizio di Venezia sotto il comando del Carmagnola, di cui era luogotenente: iniziava quel rapporto con Venezia che alla fine coronò con il comando generale e lo rese ricchissimo. Fu un lungo rapporto a volte travagliato da diffidenze ed incomprensioni reciproche ma sempre mantenuto in alveo militare con poche concessione alla politica.

Il condottiero contemporaneo, che con le sue conquiste lo metteva in ombra, relegandolo quasi tra i minori, era Francesco Sforza il quale, conquistato il ducato di Milano, creò una dinastia regnante anche se di durata limitata, cosa questa che il nostro non riuscì a fare; Bartolomeo sognò sempre la gloriosa impresa, ma non riuscirà a compierla.

[modifica] Carmagnola

Al comando del Carmagnola, sempre al servizio della Serenissima, partecipò attivamente alla guerra tra Venezia e Milano distinguendosi nell'attacco a Cremona del 17 ottobre 1431 che fu, invece, fatale per il suo comandante.

Il Carmagnola era un grande e famoso condottiero dalle origini umili: era un pastore che riuscì con il coraggio ed ancor più con l'ingegno a scalare velocemente tutti gradini della carriera militare, tanto da aiutare Filippo Maria Visconti alla riconquista del ducato di Milano e da essere elevato, dallo stesso, al casato Visconti, tramite un matrimonio ed alla contea di Castelnuovo.

La sua fu una carriera emblematica che trasformò un uomo altrimenti destinato alla pastorizia, trasportandolo su un piano inimmaginabile: nel suo stemma il Biscione visconteo e l'aquila imperiale sostituirono i tre capretti che ne testimoniavano l'umile origine, di cui peraltro si vantava.

Carmagnola fu uno dei pochi condottieri che riuscì sconfiggere, a Bellinzona nel 1422, il famigerato quadrato svizzero, utilizzando una tattica particolare: non scagliò, come di consueto, la cavalleria contro la formazione svizzera, chiusa ad istrice, ma una volta a ridosso della stessa fece smontare i cavalieri per l’attacco finale, questi diventati fanti corazzati inattaccabili fecero strage degli svizzeri. Fu altra gloria che si aggiunse a quella già acquisita e che suscitò quelle gelosie che lo allontanarono dal Visconti per portarlo al servizio di Venezia contro il Visconti stesso.

Biscione visconteo
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Biscione visconteo

Il rapporto del Carmagnola con Venezia fu, tuttavia, difficile: la Serenissima lo aveva assunto ma ne diffidava per il suo precedente rapporto con il Visconti, diffidenza peraltro alimentata da una condotta militare che agli occhi del Senato veneziano appariva indecisa, forse titubante. I sospetti di tradimento divennero certezza quando il Carmagnola intervenne tardivamente nell’attacco a Cremona, vanificando gli sforzi del Colleoni e determinando, così, il fallimento dell'attacco stesso:

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«egli arrivò tardi perché tardi volle arrivare»
(Battistella A., Il Conte di Carmagnola)

L'esito sfortunato dell'attacco a Cremona fruttò al Carmagnola la decapitazione ed al Colleoni lodi ed una promozione.

La carriera nel Colleoni fu tanto lenta e sommessa quanto quella Carmagnola fu veloce e sfolgorante, ma mentre il primo morì ottuagenario e di morte naturale nel suo letto, carico di gloria e di ricchezza, il secondo perse, a cinquant'anni, la testa assieme alla gloria.

[modifica] Incomprensioni a Venezia

Venezia riconobbe l'impegno ed il coraggio profuso dal Colleoni nel fallito attacco a Cremona e oltre a dargli il comando di altri ottanta soldati a cavallo gli concesse il feudo di Bottanuco.
Fu l'inizio del consolidamento patrimoniale del Colleoni ma anche di un periodo di delusioni e di incomprensioni nel rapporto con la Serenissima.

I suoi meriti militari erano indiscussi ma non riconosciuti come avrebbe voluto: nel crescendo degli incarichi che gli vennero affidati non riuscì ad ottenere dal Senato veneziano quello di capitano generale che venne affidato a Gianfranco Gonzaga. Rimase ancora un capitano di rango inferiore, nonostante che nelle campagne della Valtellina e della Valcamonica, rispettivamente del 1432 e del 1433 nell'ambito delle lunghe vicende belliche tra Venezia e Milano, si distinguesse come uno specialista della guerra di montagna.

Nel 1432 sotto il provveditore veneziano Giorgio Coroner partecipò alla Battaglia di Delebio in cui la Repubblica di Venezia venne sconfitta dalle truppe viscontee guidate da Niccolò Piccinino; fu uno dei pochi capitani veneziani a sfuggire alla cattura.

[modifica] Il matrimonio

Questi furono anni di delusioni per la mancata nomina al comando generale ma anni che, al tempo stesso, gli offrirono, dopo la pace di Ferrara del 1433, un periodo di calma e di sosta nella sua frenetica attività bellica. Fu in questo periodo che si ritirò nelle sue terre bergamasche e sposò Tisbe Martinengo, appartenente ad una delle famiglie più importanti della nobiltà bresciana, figlia di un comandante dell'esercito veneto.

Il matrimonio, che comportava un'alleanza tra le due famiglie, fu di grande rilevanza perché lo proiettò in un ambito sociale, militare e geografico più ampio ed elevato: i Martinengo costituivano, infatti, un consorzio parentale particolarmente ricco e potente sia politicamente che militarmente, con grandi possedimenti a Brescia ed in Valcamonica. Si ampliava così la sua sfera d'influenza e di interessi, oltre che il prestigio e la rete di relazioni sociomilitari.

[modifica] 1437-1441

Donatello, statua equestre del Gattamelata a Padova
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Donatello, statua equestre del Gattamelata a Padova

Dopo questa breve parentesi, al riprendere della guerra tra Venezia e Milano, nel 1437, questa volta sotto il comando di Gianfranco Gonzaga, partecipò nuovamente alla guerra fra Venezia e Milano, sempre dalla parte della Serenissima.

Era ancora gerarchicamente sotto qualcuno, continuava ad essere un secondo anche con il Gattamelata e Niccolò da Tolentino; il suo comando ora era su 300 lance ma la sua responsabilità era limitata: si potrebbe dire a mezzo servizio.
Nel 1438 difese validamente la sua Bergamo dall'attacco di Niccolò Piccinino, capitano generale di Filippo Maria Visconti, mentre il suo comandante Gonzaga si ritirava oltre l'Oglio lasciando campo libero al Visconteo. La ritirata del Gonzaga non si svolse in maniera tranquilla ma assunse il carattere di una rotta, come confermano tutte le fonti sia di parte milanese che veneziana.

La condotta del Gonzaga lasciò perplessi anche i suoi collaboratori tra i quali cominciava serpeggiare il sospetto di tradimento. Lo stesso Gonzaga rifiutò il rinnovo dell'incarico alla scadenza della ferma e passò al Visconti.
Anche questa fu un'occasione mancata per Bartolomeo, verrà infatti nominato governatore dell'esercito veneziano il Gattamelata, governatore e non capitano generale in quanto il Senato veneziano intendeva riservare questa carica a Francesco Sforza, vir strenuus atque impiger rei militari.

Francesco Sforza
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Francesco Sforza

Fu di questo periodo un episodio bellico che verrà ricordato a lungo come un'impresa leggendaria per la sua originalità, per la difficoltà d'attuazione e per la fantasia di chi lo propose oltre che per l'audacia di chi la attuò.

Brescia era stretta dal Piccinino in un pesante assedio e si trovava in gravi difficoltà con il rischio di doversi arrendere ai Viscontei, non potendo sostenere né i propri abitanti né i soldati veneziani. Si arrivò, così, alla decisione di lasciare un presidio a difesa della città e di ritirare l'esercito per riservarlo alla battaglia in campo aperto.

Dopo un tentativo fallito, il 24 settembre con una ardita sortita attraverso l'unica via lasciata sguarnita dagli assedianti, i monti, il Gattamelata riuscì a svincolarsi.
Si trattò effettivamente di un'impresa molto difficile ed ardimentosa, ritenuta un esempio di

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«virtuosismo alpinistico della guerra 1438/1442, la più bella e complessa forse tra le guerre dei condottieri»
(Pieri - La scienza militare italiana del Rinascimento - 1933)

Nel 1441 firmò con Venezia una condotta particolarmente vantaggiosa e ricca con cui ottenne, fra l'altro, i feudi di Romano, Covo ed Antegnate. Era il periodo che vedeva protagonisti Filippo Maria Visconti e Venezia, e Colleoni si mise in mostra in uno scenario militare in cui primeggiavano il Piccinino e lo Sforza.

[modifica] Visconti

Filippo Maria Visconti
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Filippo Maria Visconti

Con la Pace di Cavriana (1441), voluta dal Visconti, i rapporti con Venezia entrarono in crisi ed alla scadenza della condotta il Colleoni passò al servizio del Visconti che gli offrì un castello a Milano, il comando di 1.500 lance e donò a sua moglie Tisbe il Castello di Adorno assieme a numerosi gioielli. Il servizio presso il Visconti, tuttavia, fu travagliato per i suoi rapporti tumultuosi col Piccinino, di cui era il vice: venne accusato di connivenza con il nemico ed imprigionato per un anno ai Forni di Monza.

Fuggì dal carcere dopo la morte del Visconti, avvenuta il 13 agosto 1447, passando alla neonata Repubblica Ambrosiana chiamato da Francesco Sforza, al momento Capitano Generale della Repubblica stessa.

In questo periodo, 1447/49, Bartolomeo Colleoni compì un'azione militare importantissima durante l'assedio del castello di Bosco Marengo condotto dalle truppe francesi del duca di Orléans.
Con una azione fulminea e micidiale sterminò, dopo averla aggirata, la cavalleria di Rinaldo di Dressey. Si contarono 1.500 morti e moltissimi prigionieri francesi, tra cui lo stesso Rinaldo, che gli resero un riscatto di 14.000 corone. Ripeté l'azione nell'aprile del 1449 prima a Romagnano Sesia e poi a Borgomanero contro le truppe del Duca di Savoia, riportando così in poco tempo tre vittorie complete che condurranno alla tregua tra Ducato di Milano e Ducato di Savoia.

Le battaglie di Bosco Marengo, Romagnano e Borgomanero gli diedero una grande fama internazionale: ormai faceva parte dell'empireo dei più grandi condottieri, tanto che Carlo il Temerario di Borgogna cercò di assicurarsene il servizio.

[modifica] Gentile da Leonessa. Francesco Sforza

Il 15 giugno 1448 passò nuovamente al servizio di Venezia, firmando una condotta di 500 lance e 400 fanti.

In questo periodo si coprì di gloria, ammassando al contempo una enorme ricchezza, ma per gli intrighi di Gentile da Leonessa dovette fuggire per evitare l'arresto ordinato dal Doge e riparare presso Francesco Sforza, ormai diventato signore di Milano, rimanendovi al servizio, 1452/53.

Il 15 febbraio 1453, con una lettera, annunciò allo Sforza le proprie dimissioni allo scadere del contratto ed il 12 aprile firmò una nuova condotta con Venezia con cui i rapporti, tenuti tramite la moglie, non si erano del tutto interrotti.

[modifica] Ritorno a Venezia

Questo ritorno a Venezia fece gridare i milanesi, e non senza ragione, al tradimento.

Per Milano il Colleoni, passato alli servitij dé Venetiani, dimostrò una ingratitudine che lo fece definire il

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«mazore traditore che mai portasse corraza, attento el tractamento ch'el ha avuto da la vostra Ill.ma Signoria, da la quale el venne in zupparello (piccola giubba), come ogni homo sa.»
(da Trezzo - Lettera del 4 marzo 1454 a Francesco Sforza)

Anche un anonimo veronese descrisse l'ingratitudine del Colleoni con un linguaggio molto colorito

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«Li capitoli tra Venetiani et esso Bartholomeo Coglione et fu de aprile MCCCVIII. Francisco Sforza ciò presente, parli molto novo, che tanta ingratitudine sia in Bartholomeo Coglione, che, essendo stato spogliato da ogni cosa dà Venetiani et conducto da esso Francisco in camixa et lui lo abbia rimesso a cavallo et con tanta nobil comitiva et sopra ciò fatto signore de molte castelle, così gaglioffamente lo vogli lassare et ricondursi suoi nimici et con grave pena tolera tale ingiuria.»

Ottenne da Venezia grandi riconoscimenti anche di ordine politico: per la prima volta il Consiglio dei Dieci fu coinvolto nella trattativa e lo sarà anche successivamente.

Non si trattò del solito contratto contabile-burocratico normalmente stipulato, ma di un atto dal valore politico per la grande libertà d'azione attribuitagli, per l'importanza delle somme pattuite, 100.000 ducati, e per il prestigio riconosciutogli con la promessa di Como, Lodi e della Ghiara d'Adda, qualora fossero state conquistate, oltre alla promessa del comando generale non appena libero.

Non ci saranno più, da parte del Colleoni, quei passaggi di campo che gli valsero l'accusa non del tutto infondata di tradimento, nonostante lo stesso ribadisse che i suoi comportamenti rispettavano formalmente le clausole contrattuali.

Anche questa volta scoppiò la pace, quella di Lodi del 1454, dopo i 30 anni di guerra che, con alterne vicende, avevano caratterizzato i rapporti tra Milano e Venezia, pace che costrinse il Colleoni, sempre alla ricerca della gloriosa impresa, ad un periodo di riposo.

D'ora in avanti Bartolomeo Colleoni sarà legato a Venezia fino alla morte.

[modifica] Incertezze a Milano e a Firenze

La morte del suo amico-nemico Francesco Sforza, nel marzo del 1466, poteva rappresentare una buona occasione per le sue ambizioni verso Milano ma la successione pacifica di Galeazzo Sforza vanificò ogni speranza.

Il 1467 poteva essere l'anno giusto: era un periodo di crisi dell'equilibrio raggiunto con la pace di Lodi, crisi aggravata dalla morte di Francesco Sforza dell'anno precedente e da quella di Cosimo de' Medici del 1464.

Firenze era squassata da torbidi ed esuli fiorentini antimedicei, capeggiati da Diotisalvi Neroni, si rivolsero con la mediazione del Duca di Ferrara Borso d'Este al Colleoni per un aiuto contro Piero de' Medici. Il Colleoni le cui ambizioni politiche oltre che verso Milano tendevano verso la Romagna fu entusiasta dell'idea di potere scendere nuovamente sul campo di battaglia e di inserirsi in un gioco politico militare che lo avrebbe reso arbitro della situazione. L'idea era quella di favorire una repubblica di Firenze rompendo così l'asse Milano-Firenze ed assicurando a Venezia il predominio nell'Italia settentrionale.

Venezia cercò di accontentare il suo Capitano Generale in quella che riteneva ed era un'idea alquanto bizzarra, ma senza apparire formalmente, anzi pur essendogli solidale dichiarò che l'iniziativa era solo un fatto personale del Colleoni al quale, per l'occasione, non confermò l'incarico della condotta.
La conseguenza fu che i Medici si trovarono alleati il nuovo duca di Milano Galeazzo Sforza e Ferdinando re di Napoli, mentre il Colleoni rimase solo a combattere su più fronti.

[modifica] Battaglia della Riccardina o della Molinella

Battaglia della Riccardina, Castello di Malpaga
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Battaglia della Riccardina, Castello di Malpaga

Ottenne alcune vittorie fino alla battaglia della Riccardina o, come ricordato da altri, della Molinella del 25 luglio 1467. Questa battaglia che non ebbe vinti né vincitori fu importante perché Colleoni vi usò delle artiglierie, suscitando grande scandalo in quanto le armi da fuoco erano considerate contrarie alla morale e alla deontologia militare e gli valsero la taccia di barbaro e maligno.

La sopravvenuta pace, dichiarata solennemente da papa Paolo II l'anno successivo, seppellì quella che poteva essere la gloriosa impresa tanto sognata.

[modifica] Sogni al crepuscolo

Stemma di Renato D'Angiò dal 1453
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Stemma di Renato D'Angiò dal 1453

Questi anni erano quelli in cui Bartolomeo si avviava verso la fine della sua avventura umana ed erano caratterizzati da un crescente odio nei confronti di Galeazzo Maria Sforza con il quale arrivò ai limiti della sfida personale.

Coltivò l'illusione del comando di una Crociata che però fallì per l'opposizione di Firenze, come quella del comando di una spedizione angioina contro gli Aragonesi di Napoli.

Fu in questa seconda occasione che Renato d'Angiò nel 1467 gli concesse di aggiungere al proprio il patronimico d'Angiò, ovvero d'Andegavia, aggiungendo così nel suo stemma i Gigli Angioini d'oro in campo azzurro con sotto i consueti testicoli colleoneschi. Di questo nuovo stemma il Colleoni era molto orgoglioso tanto da utilizzarlo ogni volta che se ne presentava l'occasione.

[modifica] Carlo il Temerario

Carlo il Temerario
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Carlo il Temerario

Nel 1472 si presentò al Colleoni quella che fu la sua ultima opportunità per compiere la gloriosa impresa, ancora più apprezzata in quanto ai danni dell'odiato Galeazzo Maria.

Carlo il Temerario, Duca di Borgogna, scese in Italia con mire sul Ducato di Milano confidando nel favore di Venezia, la cui politica era apertamente contraria oltre che a Milano anche all'Impero ed inoltre cercava vantaggiose aperture commerciali nelle Fiandre borgognone.

Il Colleoni, ormai d'Andegavia, firmò con il Borgognone una condotta ricchissima oltre che prestigiosa, che prevedeva l'assegnazione di 150.000 ducati l'anno, il comando di 1000 lance e 1500 fanti oltre al privilegio, concessogli nel 1473, di aggiungere al proprio stemma le Fasce di Borgogna.
Anche questa occasione finì nel nulla, agli inizi del 1474 l'avventura di Carlo il Temerario era di fatto svanita prima di iniziare.

Il Colleoni avrebbe usato raramente lo stemma con le Fasce borgognone.

[modifica] Il tramonto del condottiero

Siamo al tramonto della vita del Colleoni, è, ormai, vecchio ed ammalato, già colpito duramente negli affetti per la morte della moglie Tisbe e della figlia prediletta Medea.

Il 15 maggio 1475 restituì alla Serenissima il bastone del comando ed iniziò a smobilitare le sue truppe. Venezia, consapevole della ormai prossima fine del proprio condottiero, respinse le sue dimissioni e gli affiancò tre provveditori con funzioni di controllo ed amministrative, tenuto conto che Bartolomeo le avrebbe lasciato in eredità la maggior parte del suo patrimonio: diverse proprietà immobiliari ed una somma in contanti di oltre 300.000 ducati, una somma enorme tanto da potere rinsanguare le casse esauste della Repubblica.

Nel testamento vi era un legato a carico di Venezia: l'elevazione di un monumento in suo onore nella piazza San Marco, ma come sappiamo Venezia, onorò parzialmente questo legato.

Venezia dopo avergli tributato funerali solenni provvide con burocratica meticolosità, a recuperare tutte le concessioni feudali elargitegli durante la sua carriera militare, ma questa è un’altra storia.

[modifica] L'epilogo

Castello di Malpaga
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Castello di Malpaga

Bartolomeo Colleoni d'Andegavia, come gli piaceva essere chiamato, morì nel suo Castello di Malpaga il 2 novembre 1475, giusto in tempo per non vedere la fine di un tipo di condotta e di Condottieri per i quali la ricerca della gloriosa impresa aveva una grande importanza.

Si presentava una nuova generazione di Condottieri più attenta ad interessi che andavano oltre la sola carriera militare e per i quali la guerra sarà più un'impresa occasionale da preparare con cura che non una continua preoccupazione ed aspirazione.

Condottieri come Niccolò Orsini di Pitigliano, Giangiacomo Trivulzio, Bartolomeo d'Alviano, Prospero Colonna e Fabrizio Colonna, solo per citare i più eminenti, hanno personalità ben diverse da quelle dei loro predecessori: per loro ha maggiore importanza la funzione di Governatore che non l'occasionale attività bellica.

Bergamo, Cappella Colleoni
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Bergamo, Cappella Colleoni
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«Essi stavano entrando nell'ottica secondo cui i contratti militari avevano più lo scopo di arruolare e sostenere le truppe che non necessariamente quello di comandarle»
(Mallett M., Il Condottiero, in L'uomo del Rinascimento, Bari, Laterza, 1995)

Del Colleoni rimangono, tra l'altro, il monumento equestre del Verrocchio a Venezia e la Cappella Colleoni edificata a Bergamo Alta, a ridosso della basilica di Santa Maria Maggiore con cui forma un complesso monumentale di grande bellezza, capolavoro architettonico di Giovanni Antonio Amadeo.

[modifica] Bibliografia

  • Belotti Bortolo, La vita di Bartolomeo Colleoni - Bergamo, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, 1951 - SBN LO10382637
  • Burke Peter, Cultura e società nell'Italia del Rinascimento. - Il Mulino, 2001 Bologna - ISBN 8815081100
  • Burke Peter, Il Rinascimento - Il Mulino, 2001 Bologna - ISBN 8815083979
  • Corio B., Storia di Milano, 1856
  • Cornazzano Antonio, Vita di Bartolomeo Colleoni, a cura di Giuliana Crevatin - Manziana, Vecchiarelli ed., 1990 - ISBN 8885316166
  • Finazzi G., Castello Castelli: I Guelfi e Ghibellini in Bergamo - Bergamo 1870
  • Garin Eugenio, Medioevo e Rinascimento - Laterza 2005 Bari - ISBN 8842076694
  • Garin Eugenio a cura, L'uomo del Rinascimento - Laterza 2000 Bari - ISBN 8842047945
  • Granata Mario, Il generale della Serenissima: (Bartolomeo Colleoni) S.A.I.E, Torino 1955 - SBN CUB0322534.
  • Huizinga Johan, L'autunno del Medioevo, Newton, 1997 Roma - ISBN 978881711644
  • Mallet Michael Edward, Signori e mercenari. La guerra nell'Italia del Rinascimento, Il Mulino, 1983 Bologna - ISBN 8815002944
  • Operti Piero, Bartolomeo Colleoni, S. E. I. Torino, 1964 - SBN SBL0421295
  • Ragioneri Adolfo e Martinelli Antonio, Bartolomeo Colleoni dall'Isola all'Europa - Bergamo, Consorzio intercomunale dell'Isola 1990 - SBN CFI02003337
  • Spino Pietro, Historia della vita et fatti dell'eccellentissimo capitano di guerra Bartholomeo Coglione, Venezia 1569
  • Tenenti Alberto, L'età moderna, il Mulino, Bologna 2005 - ISBN 8815108661


[modifica] Curiosità

Un incrociatore leggero della Regia Marina venne battezzato in suo onore.


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