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Giovanni Antonio Amadeo - Wikipedia

Giovanni Antonio Amadeo

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La Cappella Colleoni a Bergamo (G.A. Amadeo)
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La Cappella Colleoni a Bergamo (G.A. Amadeo)

Giovanni Antonio Amadeo (Pavia, 1447 - Milano, 28 agosto 1522) fu un ceramista, intagliatore, scultore, architetto e ingegnere lombardo.

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«Tanta fu la sontuosità e la grandiosità degli edifici promossi od intrapresi da Giovanni Galeazzo Visconti, quali sono la chiesa cattedrale di Milano e la Certosa presso Pavia, che abbisognavano, per esser condotti a fine, di un lunghissimo corso d'anni, e della concorrenza di posteri volonterosi e splendidi, e specialmente di esimi architetti. Ora, mentre per l'ordine degli avvenimenti era venuto appunto al governo dello Stato un principe dotato delle volute qualità, Giovanni Antonio Amadeo, posto a capo di quegli edifici, faceva che una delle parti più importanti di entrambi venisse colla sua direzione condotta, mirabilmente a compimento, nondimeno la storia lo defraudava del merito dovutogli; per riguardo alla prima, coll'accusa di sognati errori; per riguardo alla seconda, coll'attribuzione fattane ad altri che al suo vero autore»
(Girolamo Luigi Calvi, 1865)

Indice

[modifica] Biografia

[modifica] Le origini luganesi della famiglia

Nei documenti è detto anche degli Amadei, Amadé (talvolta latinizzato in Homodei, anche Omodeo…). Il patronimico de Amadeo (1250) resta quasi immutato nei documenti brianzoli e comaschi, in quelli milanesi è registrato nelle varianti auliche de Homodeis-Homodeo-Omodeo-Omodei e in quella popolaresca Amadé/Amadei; si trasforma in Omodeo (1600) anche in Valtellina (Ponte, Tirano, Tovo di S. Agata); in quelli luganesi v'è il passaggio Amadeo-Amadio (1500 – fine 1800) e in quelli di Bedigliora il cinquecentesco de Amadeo assume nel 1600 la forma Amadò: Cfr. R.V. Schofield, J. Shell, G.Sironi, Giovanni Antonio Amadeo. Documents/ I documenti, Como, Edizioni New Press, 1989, passim; A. Gili, S. Soldini, Lugano e il suo Ospedale. Dal Santa Maria al Civico. Secoli XIII-XX, Ediz. Città di Lugano, Lugano 1995, 64; Archivio diocesano di Lugano, Atti del Capitolo di S. Lorenzo; Archivio storico della città di Lugano, Scatola patriziato, M-Z, fasc. M; Archivi parrocchiali di Como, Menaggio, Bedigliora, Astano, Curio, Pura e Cademario.

In difetto dell'atto di nascita, si presume che sia nato a Pavia nella parrocchia di San Lorenzo nel (1447) come primo figlio di Aloisio (Luigi) e di Giovannina Grigli (famiglia nobile, attestata a Monza, con case a Milano e un castello ad Ascona); ha tre fratelli: Giovanni Protasio ("magister pictor"), Giovanni Battista e Caterina. Il padre (originario di Lugano), è discendente di una famiglia nobile milanese, originata dai primi sei capostipiti; nel (1277) il vescovo Ottone Visconti, dopo la battaglia di Desio contro i Torriani, la comprende nella matricola dei nobili milanesi, aventi diritto alle prebende del canonicato della Chiesa metropolitana di Milano.

Il casato porta l'arma "di rosso al leone bandato d'oro e d'azzurro di sei pezzi". Un ramo proveniente da Como, annovera avvocati e notai imperiali ghibellini, proprietari terrieri a Lugano: "…per constructionem castri de Lugano et poxite in dicta castra, quibus domibus et beccariis coherent a mane lacus Lugani, a meridie de Amada de Lugano, a sero platea comunis de Lugano […]": notizia cavata dai volumi dei Vetera monumenta della biblioteca comunale di Como, pubblicata dal R. Rahn, ne' I Monumenti Artistici del Medio Evo nel Cantone Ticino, Salvioni, Bellinzona 1894, 180. Il notaio Pietro de Amadeo il 15 giugno (1264) roga il patto tra il capitolo dei canonici di S. Lorenzo di Lugano (rappresentato dal canonico Arnoldo da Val d'Intelvi) e i comuni e uomini di Colla, Signôra e Certara per il diritto di primizia; il 28 maggio (1268) stila il contratto con cui il capitolo di S. Lorenzo affitta a Giovanni detto Trusso, ai fratelli Aliprando ed Amedeo da Carona e a Giovanni de Spezia da Menaggio, l'intera decima di Lugano, Montarina, Besso, Massagno. Nel (1305) Egidio Amadei, notaio di Lugano, era luogotenente del balivo Guido de Orello, rettore della valle di Blenio in rappresentanza dei conti-canonici della metropolitana di Milano; suo figlio Adam Amadeo era notaio in Leventina. Pietro figlio di Giovanni de Amadeo il 27 settembre (1327) è vicario imperiale per la Leventina e nel giugno (1332) lo è anche per la val di Blenio, in data 11 dicembre (1333) redige il trattato di alleanza tra il balivo rettore Matteo Orello e la val di Blenio, d'una parte, e il signor conte Franchino Rusca e la città di Como, dall'altra.

Giovanni Amadeo ad Agnuzzo, nel palazzo appartenente al monastero di S. Abbondio di Como, il 27 maggio (1354) redige l'atto notarile con cui i monaci affittano i beni che il monastero possiede a Cademario; il 6 novembre (1387), come sindaco e procuratore del Borgo di Lugano, compare a Milano davanti al dottor Giovanni di Carnago, incaricato da Gian Galeazzo Visconti, di emettere una sentenza nella lite tra Como e il Comune di Lugano (atto depositato nell'archivio della diocesi di Lugano). In seguito diventa professore ordinario, titolare della cattedra di diritto all'università di Pavia. Il figlio Signorino (o Signorolo) nel (1395) è iscritto nella Matricola del Collegio dei Dottori utriusque iuris dell'università di Pavia, collega di Cristoforo Castiglioni, come già appare in un atto notarile del 4 maggio (1380). Nel (1412) Ludovico d'Acaia vuole dare impulso alla nuova università di Torino perciò invita i giuristi di maggior fama dell'università pavese, tra cui il Castiglioni, Pietro Besozzi e Signorino.

Nel (1419) questi muore e il Castiglioni difende gli interessi degli eredi di Signorino che reclamano nei confronti di Amedeo VIII gli stipendi dovuti per l'insegnamento svolto a Torino. L'abbiatico di Cristoforo Castiglioni, porterà il nome di Baldassarre - come il figlio di Giovanni Antonio Amadeo, suo coetaneo - e sarà l'autore del celebre "Cortegiano". Il protrarsi della vertenza crea non pochi disagi economici e il nipote Luigi non avrà i mezzi per pagarsi gli studi di diritto; possiede una casa in città, amministra i poderi della Certosa di Pavia in territorio di Binasco e per le sue incombenze si sposta tra Milano, la Certosa e Torre del Mangano.

Il padre del Nostro è solo benestante, quando presta un letto, una coperta di lana e 275 lire, garantite da pegno su alcuni terreni al nobile dottore in legge Gabriele de Amadeo da Lugano, membro del Collegio dei giurisperiti milanesi, quasi certamente suo cugino germano che nel 1460 si farà garante nel contratto d'apprendistato tra l'ingegner Giovanni Solari e il suo giovane parente orfano che denota precoci e spiccate attitudini artistiche. I dati riguardanti Gabriele son ricavati dal testamento di Luigi Amadeo del 24 aprile 1450. Gabriele figlio di Bonsignore era stato capitano della Repubblica Ambrosiana nel 1449 (I Registri delle Lettere Ducali del periodo sforzesco, a cura di C. Santoro, Milano 1961, I, 246, 3 maggio 1449); il 1° maggio 1463 fu nominato tra i domini deputati ad gubernum et dispensationem bonorum pauperum Christi Misericordie Mediolani per la parrocchia di S. Protaso ad Monachos a Porta Cumana (F.Calvi, Il codice del pio luogo della Misericordia in Milano, in ASL, XIX,1892, 745); fece testamento il 6 maggio 1470, nominando erede per metà dei suoi beni, in caso di estinzione della discendenza maschile, il Consorzio della Misericordia, cui destinò in ogni caso un lascito di 2200£ (A. Noto, Gli amici dei poveri di Milano 1305-1964, Milano 1966, 95). Per l'albero genealogico della famiglia Amadeo-Omodei si veda A. Spiriti, Il cardinale Luigi Alessandro Omodei e la sua famiglia: documenti e considerazioni, ASL,CXIX, 1993, 107-127. Vi è attestato dal 1441 al 1468 Gabriele figlio di Bonsignore, fratello di Giovanna, sposa di Oldrado Lampugnano.

Appare del tutto infondato credere che la famiglia fosse originaria di Pavia, infatti nel documento del 10 ottobre (1469), rogato dal notaio pavese Antonio Gabba, il Nostro e il fratello pittore Giovanni Protasio Amadeo si dichiarano solo "domiciliati" a Pavia; e solo molto più tardi, in una carta del gennaio (1499) Giovan Antonio è definito cittadino pavese e milanese; il padre Luigi in un atto notarile del (1471) è qualificato come cittadino milanese; del resto tutta la vita artistica di Giovan Antonio sarà strettamente legata ad artisti provenienti dai borghi che si affacciano sul Ceresio: nel (1493) collabora con Pace Gaggini da Bissone, con Gerolamo Viscardi da Laino e con il nipote Antonio della Porta di Osteno, nel (1497) assume come apprendista Francesco Maderno da Bissone.

[modifica] Gli anni d'apprendistato

Purtroppo Luigi, il padre, nel 1450 fa testamento e poco dopo muore, lasciando il figlio orfano di quattro anni alle cure della madre e dei cugini che vivono a Milano nel quartiere di S. Eufemia. Dal profilo artistico si forma a Milano a partire dal 1 gennaio 1460 come apprendista scultore e progettista nella bottega di Giovanni Solari e di suo figlio Francesco. Giovanni Solari fu ingegnere della Certosa di Pavia dal 1428 e del Duomo di Milano dal 1452 alla morte avvenuta verso il 1471. Il contratto di locazione d'opera vero e proprio, della durata di sei anni, seguirà dopo un mese e mezzo di pratica e vien stipulato con valore retroattivo il 13 febbraio 1460, con scadenza il 1° gennaio 1466. (G. Soldi Rondinini, “Il contratto d'apprendistato di Giovanni Antonio Amadeo”, in Nuova Rivista Storica, LXXIX, 1995, 143-150); ASMi, Notarile, Stefano Pietrasanta, cart. 1780, 13 febbraio 1460.

Francesco aveva lavorato sia nella chiesa di Villa a Castiglione Olona che alla Certosa di Pavia sul finire degli anni settanta; indubbiamente si deve a lui (il fratello Boniforte era architetto generale sia del Duomo di Milano che della Certosa) se Giovanni Antonio a tredici anni qui trova il suo primo impiego dopo aver appreso l'arte del ceramista con un Raimondi da Cremona, e il disegno architettonico alla scuola di Boniforte, abbiatico dell'architetto Marco Solari da Carona, uno dei primi architetti del Duomo di Milano .

Il già citato contratto d'apprendistato (o di locazione d'opera), fortuitamente riscoperto nel 1995 dalla Prof. Soldi Rondinini, presenta un dato significativo ed eccezionale: l'apprendista non solo deve essere istruito sull'arte scultorea, ma anche nel disegno architettonico. Ciò dimostra quanto il suo effettivo maestro, Francesco Solari, avesse apprezzato le precoci attitudini artistiche del suo discepolo.

Dal (1463) al (1464) lo sappiamo attivo nel cantiere dell'Ospedale maggiore di Milano, progettato dal Filarete, ma edificato dalla maestranze dirette da Boniforte. Vi sono indizi per ritenere che durante la stagione invernale del 1464/'65 il giovane apprendista segua Antonio Averlino da Firenze quando questi compie un viaggio di studio in Toscana - con una visita ad Urbino, alla corte di Federico da Montefeltro per ammirare l'opera di Luciano Laurana - per concluderlo a Firenze, dove il giovane Amadeo sembra aver tratto frutto dalla frequentazione della botteghe di Luca della Robbia e di Benozzo Gozzoli. Al ritorno deve aver ammirato la facciata dell'oratorio di S. Bernardino a Perugia, traendone spunti per le sue opere decorative più tarde, quali "l'Arca di S. Lanfranco" .

[modifica] Al servizio degli Sforza

A partire dal 1° gennaio 1466 può fregiarsi del titolo di magister. I primi documenti, che attestano la sua attività alla Certosa di Pavia, al servizio degli Sforza, sono i pagamenti del marzo (1466): 36 lire per i lavori delle "cornici in cotto" poste sui lati del loggiato del chiostro grande della Certosa di Pavia. Suoi sono pure il "piccolo lavabo" nel chiostro piccolo (1466), la sovrastante "lunetta” e "l'Annunciazione", tuttavia il suo primo lavoro firmato è il "portale intagliato", con lunetta raffigurante la "Vergine col Bambino coi SS. Giovanni Battista e Certosini", che collega il chiostro piccolo col transetto meridionale della Certosa. Il 17 maggio (1466) in un atto è già designato come "magistro" e dello stesso anno "il portale di palazzo Vimercati", in via dei Filodrammatici a Milano, coi suoi rilievi nell'arco, recanti le effigi del duca Francesco Sforza, di Giulio Cesare, di Alessandro Magno, porta l'impronta del suo stile giovanile. Riceve altre 42 lire per ulteriori decorazioni plastiche nel chiostro grande della Certosa; in totale nel (1466) percepisce 150 lire imperiali e 8 moggi di frumento, e nel (1467), 120 lire imp. e un moggio. Gli studiosi Maclagan e Longhurst assegnano a questo periodo giovanile i "Tre angeli", ora al Victoria & Albert Museum di Londra.

Negli anni (1467)-(1468) prosegue le "decorazioni in cotto" - con putti e ricco fregio – dei due chiostri, ed altre per i portali poi reimpiegati a Pavia nella chiesa di S. Maria del Carmine, e nel monastero di S. Lanfranco appena fuori Pavia; inoltre, all'interno della chiesa della Certosa, scolpisce una "chiave di volta con l'effige di Santa Caterina". A questo primo periodo d'attività è legata l'esecuzione dei "putti reggenti le insegne sforzesche" che ornano la tazza marmorea della monumentale "Fontana Trivulzio", più tardi asportata dal castello di Vigevano nel (1499) per ordine del maresciallo di Francia Gian Giacomo Trivulzio e collocata nei giardini della sua residenza di Roveredo in valle Mesolcina: ora funge da pila dell'acquasanta nella collegiata dei SS. Pietro e Stefano di Bellinzona. In merito al futuro incarico dell'edificazione della Cappella Colleoni a Bergamo, ricordo che il Trivulzio aveva sposato in prime nozze Margherita Colleoni, si veda in M. T. Binagli Olivari, Lorenzo da Mortara e l'Amadeo, 457.

Appena ventenne, collabora attivamente alle sculture del "Portale del Banco Mediceo" a Milano, progettato da Boniforte Solari, suo maestro e padre della sua futura sposa, originari di Carona. All'epoca tale villaggio apparteneva alla parrocchia di S. Lorenzo di Lugano e oggi, all'interno dell'attuale cattedrale, sul lato destro della quarta campata settentrionale è conservato un prezioso "ciborio-tabernacolo" in pietra di Saltrio. Si tratta di un trittico a loggetta centrale, illusoriamente prospettico (uso dello "stiacciato donatelliano"), ai lati della nicchia, due eleganti angeli - con influssi risalenti al monumento del cardinale Nicola de Cusa in S. Pietro in Vincoli a Roma, di Andrea Bregno da Osteno - sono sovrastati dall'immagine di Dio Padre; negli scomparti laterali, i Santi Stefano e Lorenzo (ma di bottega); entro il timpano sopra la cornice, il pellicano simbolico e, al sommo, il Cristo Risorto. L'opera è databile agli anni (1469)-(1470). Un ulteriore sviluppo del modello dell'angelo con rigonfiamento della veste lo si ritrova nei due "angeli inginocchiati" della collezione Kress a Washington D.C.

Nel (1468) è attivo a Milano nella Cappella Portinari nella chiesa di S. Eustorgio ove scolpisce le “lesene con figure a rilievo”. Il Middeldorf gli attribuisce pure il rilievo della "Madonna con tre angeli" conservato a Firenze nella sagristia dell'Arciconfraternita della Misericordia, eseguito nel (1470). Altre sue opere (decorazioni in cotto, medaglioni, ghirlande, formelle, stemmi e una serie di 11 rilievi con "Storie della Genesi" e del "Nuovo Testamento") sono conservate a Pavia nelle sale del Museo di scultura nel Castello Visconteo. Allo stesso anno gli vengono assegnati due rilievi. "la Madonna col Bambino" (ora al Victoria & Albert Museum di Londra) e "la Madonna col Bambino e un santo certosino", collocato al Museo del Castello Sforzesco di Milano, e nella sagrestia della chiesa pavese di Santa Maria del Carmine l"Incoronazione di Maria", una sua delicata scultura posta sopra il lavabo. A questo periodo può risalire anche l'esecuzione dei due "Cibori" collocati nel presbiterio della parrocchiale di San Colombano al Lambro e della statua del beato Baldassarre Ravaschieri, conservata nella parrocchiale dei SS. Giovanni Battista e Stefano a Binasco.

Questi era un ligure, nato nella famiglia dei conti di Lavagna, a Chiavari, sulla Riviera di Levante, nel (1419). Figlio devoto di una nobile famiglia, entrò giovane tra i Francescani dell'Osservanza, si laureò in teologia, venne ordinato sacerdote e si dedicò al ministero della predicazione. Fu dapprima guardiano di un convento, poi maestro provinciale a Genova, quando la gotta lo colpì in una forma acutissima, paralizzando quasi del tutto i suoi movimenti. Nel convento di Binasco veniva portato in chiesa quasi a braccia e vi rimaneva lunghissimamente, solitario, pregando e meditando. Oppure si faceva portare in un bosco, dove confessava i fedeli, li consigliava, li consolava; lì lo sorprese un giorno una forte nevicata e chi per primo gli venne in soccorso ebbe la sorpresa di verificare che la neve aveva evitato di cadere sul suo corpo. Morì il 17 ottobre (1492).

Sicuramente tutta la famiglia Amadeo ebbe modo di conoscerlo personalmente e di apprezzarne le grandi doti spirituali, rimanendone profondamente influenzata: il figlio di Giovan Antonio fu battezzato col nome del Beato. In tutte le grandi opere milanesi dell'Amadeo si avverte un particolare fervore spirituale dettato dagli ideali francescani, sia nel Duomo dedicato alla Vergine Assunta, sia in Santa Maria delle Grazie, sia nell'Ospedale maggiore, sia nel Lazzaretto e nel santuario di Santa Maria della Fontana ove i milanesi accorrevano per trovare una possibile guarigione.

[modifica] I rapporti con il Benzoni

Nel (1469) stipula con lo scultore Martino Benzoni - dal (1460) al (1462) autore, con Luchino Cernuschi, dell'Arca Torelli in Sant'Eustorgio a Milano, pure scultore di uno scudo marmoreo recante le insegne sforzesche per il portale dell'Ospedale Maggiore di Milano - un contratto per 110 ducati: la commessa della "Deposizione o Mortorio con otto statue di legno" per la chiesa di S. Giovanni Battista di Monza; qui occorre ricordare che il Benzoni (autore per la chiesa di S. Agata di Martinengo del tabernacolo col "Cristo morto con angeli", ora alla Walters Art Gallery di Baltimora) non solo è anche l'esecutore della scultura equestre di "S. Vittore a cavallo reggente le insegne della Trinità" che denota la conoscenza del Gattamelata di Donatello - ordinata nel (1460) e terminata nel (1462), posta originariamente sul torrione rotondo del castello visconteo di Locarno, fatto erigere dal conte Franchino Rusca, poi collocata (1531) sulla torre campanaria della chiesa di S. Vittore di Muralto - , ma pure con ogni probabilità del mortorio con otto statue di legno del "Compianto di Cristo" per la cappella del S. Sepolcro nella chiesa conventuale di S. Francesco a Locarno.

Quel manipolo di frati, aggiornati culturalmente da uno spirito di modernità non potevano certo ignorare l'artista prescelto dal conte, poiché l'opera stava lì vicino, sotto i loro occhi! Visto poi il corrispettivo precedente mortorio di Monza, c'è da chiedersi se anche questo di Locarno non sia frutto della collaborazione con l'Amadeo. Per poter ricostruire meglio l'intreccio delle relazioni tra persone che si muovevano tra Milano, Lugano e Locarno, basti ricordare che il notaio Ospinolo de Amadeo di Lugano - nipote di Signorino, docente di diritto a Pavia, Padova e Torino - nel (1451) abitava a Locarno, e l'arciprete della collegiata di S. Vittore di Muralto era Pietro de Grigli (Grilionibus) di Ascona, appartenente al casato di Giovanna Grigli, madre del Nostro. Un ulteriore indizio dei legami tra i due artisti è dato dalla loro lunga collaborazione sul cantiere del Duomo di Milano e dal fatto che Damiano Benzoni, il figlio di Martino, nel (1479) verrà accolto come apprendista scultore nella sua bottega milanese: uno scambio di ruoli legato alla commessa del S.Vittore del (1460), quando forse il quattordicenne Amadeo era occasionale apprendista presso il padre?

Il mortorio, ora collocato al Santuario della Madonna del Sasso di Locarno, s'apparenta con la drammatica dialettica del dolore espressa nelle terrecotte della "Pietà" di Agostino de Fondulis realizzata nel (1483) nella chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano, sicuramente ammirate da Giovan Antonio, in quanto direttore principale dell'edificazione, col Bramante nella veste di collaboratore. Anche la statua lignea del Merzagora che fin dal (1485) raffigurò sull'altar maggiore "la Madonna del Sasso" ha una grande affinità d'intaglio col gruppo del "Compianto". Ancor più affine ai modi dell'Amadeo appare il coevo gruppo ligneo dell'altare appartenente all'antico sacello della "Pietà", ora conservato nel locale museo, attribuibile a Giacomo del Maino per la potenza espressiva dei personaggi, la resa della volta a lacunari, i medaglioni, la classicità delle cornici, tutta improntata alla cultura umanistica esemplificata da Vincenzo Foppa nella cappella Portinari in Sant'Eustorgio a Milano; ne troviamo un'eco nelle "terracotte figurate" dell'ala rinascimentale del Castello di Branduzzo di Bergonzio Botta.

Il Maino collabora tra il (1469) e il (1471) alla realizzazione degli stalli del coro di S. Ambrogio a Milano; autore dal 1480 al 1483 dell'ancona dell'Immacolata Concezione in San Francesco Grande a Milano, egli designa come arbitro in caso di controversia proprio l'Amadeo. Nel (1483) Leonardo e i fratelli de Predis s'impegnano a dipingerne le ante; perciò Leonardo nel (1506) termina la prima versione della Vergine delle rocce, venduta a re Luigi XII, oggi al Louvre. La seconda versione è alla National Gallery di Londra, vedasi P. Venturoli, "L'ancona dell'Immacolata Concezione in San Francesco Grande a Milano", 421-450; nel 1486 riceve 80 lire per l'ancona di Gravedona e nel (1496), in collaborazione col figlio Giovan Angelo incassa 76 lire per il Crocefisso di Castel S. Giovanni, vedi in A. Guglielmetti, L'attività di Giacomo del Majno “magister a lignamine” cap. II; e tuttavia. nel 2000 Casciano ha avanzato un'ulteriore ipotesi attributiva, facendo il nome dei fratelli de Donatis.

Pure qui si notano ricordi plastici riconducibili ad Agostino de Fondulis e alle caratteristiche stilistiche riscontrabili nel grande lavabo marmoreo della Certosa di Pavia. Ritroviamo la caratteristica dei pilastri a nicchie sovrapposte nei portali dei due fianchi del Duomo di Como, scolpiti nel (1484) da Tommaso Rodari, allievo del Nostro. Qui gli influssi diretti del cantiere della Certosa sono particolarmente evidenti nel portale detto "della rana" e nelle "cornici dei finestroni" del fianco settentrionale. Altro episodio significativo che collega i vari scultori: il (3 novembre) (1469) il Benzoni si mette in società con i fratelli Mantegazza in vista dell'esecuzione a Bergamo di un sepolcro per il Colleoni! La stretta collaborazione coi Mantegazza è confermata anche nel (1481) quando Martino figura come teste nel patto di divisione dei lavori di scultura per la facciata della Certosa tra i fratelli Mantegazza e Gabriele e Giovan Pietro da Rho.

[modifica] Il gran condottiero fa la giusta scelta

la cappella Colleoni
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la cappella Colleoni

Superando il rifiuto opposto dai canonici della basilica, il condottiero Bartolomeo Colleoni fa demolire dai suoi soldati la sacrestia di Santa Maria Maggiore, dando così inizio ai lavori protrattisi tra il 1470 e il 1476, con una decisione che a prima vista appare sorprendente, se si considera la giovane età dell'architetto e quindi le sue (supponibili) scarse referenze nel campo edilizio, affida all'Amadeo l'edificazione della Cappella Colleoni nell'acropoli di Bergamo.

Le migliori raccomandazioni e garanzie derivavano dal fatto che il progetto sulle prime era stato assegnato ai fratelli Guiniforte e Francesco Solari che in qualità di maestri dell'Amadeo già l'anno precedente l'avevano cooptato nell'allestimento del progetto, poi i sopraggiunti impegni alla Certosa di Pavia di Guiniforte e la morte di Francesco nel 1470, lo avevano designato quale unico garante, agli occhi del committente, della prosecuzione celere dei lavori. Così il destino volle che a Bergamo alta sorgesse il primo esempio in Lombardia di edificio concepito non più nella tradizione tardogotica, ma secondo stilemi derivanti dal rinascimento toscano, assimilato mediante gli influssi di Antonio Averulino detto il Filarete.

Sopra il tamburo ottagonale viene impostata una cupola estradossata sul modello del progetto filaretiano delle facciata per la Cattedrale di Bergamo come appare nel f. 123 del MS Magliabechiano. La cappella ha una pianta quadrata per la tomba; il corpo di fabbrica sopravanza l'attiguo protiro campionese: la geniale soluzione esalta la cappella ai danni del protiro con l'aggiunta della miglior visibilità dell'alta facciata policroma, ricca di medaglioni, colonnine e lesene scolpite, busti e figure, e nel basamento, formelle con "scene del Vecchio Testamento" e "storie di Ercole". La facciata con la sua decorazione "all'antica" con l'abbondante uso della pietra colorata, è totalmente lontana dai modelli offerti dal suo maestro Boniforte e dai suoi predecessori, poiché è l'esatta applicazione delle nuove suggestioni teorizzate e proposte dal Filarete nel suo trattato "De architettura" e ricorda pure la decorazione policroma della volta della cappella del Cardinale del Portogallo nel fiorentino San Miniato al Monte: invenzione di Luca della Robbia. Alcuni hanno persino ravvisato influssi lagunari del pittore veneto Jacopo Bellini.

Considerando la sua predilezione per i medaglioni di eroi dell'antichità e di imperatori romani, si è tentati di ipotizzare un breve soggiorno sia a Ferrara, presso la bottega di Amadio Amadei da Cadegliano-Viconago, orafo e medaglista alla corte degli Estensi: di lui sono rimaste le medaglie (del (1441)) coi ritratti dei marchesi Lionello e Borso, sia a Venezia presso Pietro Lombardo che era pure lui un membro della grande famiglia dei Solari da Carona! Sulla laguna i modelli non mancavano, basti pensare ai palazzi e ai fondachi che prospettano sul Canal Grande. Accanto a queste ipotesi v'è tuttavia la certezza che il Filarete, suo maestro sul cantiere della Ca' Granda, aveva tratto i suoi motivi scultorei dai principali monumenti romani quali l'Arco degli Argentari, l'Arco di Costantino, la Colonna Traiana e quella di Antonino Pio, il colonnato di S. Lorenzo al Verano.

Le novità stilistiche apportate a Venezia dai Lombardo-caronesi avevano creato un nuovo modo di concepire sia la pianta e sia l'ornamentazione esterna degli edifici per cui appare del tutto plausibile che il Colleoni v'abbia voluto conformare il progetto per la sua tomba, affidandolo ad un giovane promettente, magari incontrato proprio a Venezia nella bottega di Pietro, dove aveva saputo dar prova concreta delle sue acquisite capacità. Diversamente non si potrebbe capire come il condottiero potesse affidare un tale arduo compito ad un giovane scultore, fino ad allora poco esperto d'architettura.

Non va poi dimenticata l'importanza della sua formazione architettonica sul cantiere della Ca' Granda di Milano sotto le diretive di Boniforte, ma realizzando il progetto del Filarete e una sua probabile partecipazione all'ornamentazione della Chiesa di Villa a Castiglione Olona: edificio che, nel suo impianto "ad quadratum", richiama la fiorentina Cappella de' Pazzi del Brunelleschi; sempre in questo angolo di Toscana trapiantato nel Varesotto, nel palazzo del cardinale Branda Castiglioni poteva ammirare gli affreschi con i profili degli imperatori Vespasiano, Adriano, Tito e Traiano: prototipi per i suoi futuri medaglioni in marmo e per i busti a tutto tondo di Giulio Cesare e di Traiano - grandi condottieri dell'antichità - collocati al sommo della facciata della Cappella Colleoni proprio per simboleggiare le virtù del valoroso committente. I loro antecedenti possono esser ravvisati nelle sculture del "portale del Banco Mediceo" e del "palazzo Vimercati" a Milano, eseguite tra il (1462) e il (1466) quando il nostro era un apprendista scultore, per cui non sembra azzardato credere che ci possa aver messo mano. Altro motivo simbolo di forza e coraggio, presente in facciata, è il bassorilievo di "Ercole contro il leone", che riecheggia i modi di Antonio Bregno - nato a Righeggia, frazione di Osteno, ridente villaggio sul Ceresio da cui si sale per raggiungere la Val d'Intelvi.

Nella "Cappella Colleoni" che lo terrà impegnato a Bergamo fino nel (1473), poi occasionalmente fino al (1476), anche il "Monumento funebre" di Medea Colleoni – posto inizialmente ad Urgnano, a sette km da Bergamo, nella chiesa domenicana di S. Maria della Basella - è un esempio di preziosità formale vicina ai modi di Pietro Lombardo o di Luciano Laurana; la relativa progettazione gli viene affidata già nel marzo del (1470): sul fronte del sarcofago è il rilievo della "Pietà", tra due stemmi entro ghirlande; sul coperchio la figura di "Medea" e sopra la statue della "Madonna col Bambino" e delle "SS. Caterina e Chiara". A sostegno del sarcofago sottostanno testine di serafini come nel monumento del beato Lanfranco; più sotto eleganti mensolette, sulla inferiore voluta, reggono genietti allusivi alla di lei virtù, ed al dolore ispirato dalla sua morte.

La "Tomba del Condottiero" è meno unitaria in quanto opera di collaborazione. Dello stesso anno è il rilievo con "Cristo alla colonna" per la cappella della Rocca di Soragna nel Parmense, commissionatagli da Diofebo Lupi tramite l'abate Antonio Meli, suo parente residente a Cremona.

[modifica] Il ritorno alla Certosa di Pavia

Seymour afferma che le forme più piene, monumentali e semplificate della lunetta della Collegiata di Castiglione Olona trovano il loro ultimo corollario nelle forme arrotondate del primo stile dell'Amadeo che è quindi la risultanza di un'eredità artistica che attraverso il suo maestro Francesco Solari, risale alle produzione di Filippo e di Andrea Solari, figli di Marco da Carona, maestri attivi pure nel santuario di Nôtre-Dame di Hall nel Brabante e a Tournai, chiamati a Castiglione Olona dal cardinale Branda. Tuttavia la Gatti Perer per giustificare la presenza di stilemi fiamminghi, deve escogitare la presenza in loco d'un maestro d'Oltralpe poiché verosimilmente sottovaluta l'estrema mobilità degli artisti del laghi.

Per la Certosa di Pavia il (1473) è un anno decisivo; Guiniforte Solari dopo aver completato l'imponente parte absidale, – che già offre un mirabile effetto di compattezza, di solidità ottenute con elegante giustezza di proporzioni - dà inizio all'erezione del tiburio e della "facciata" che fa corpo a sé e per stile e per materia: un capolavoro della scultura lombarda rinascimentale. Il Calvi fornisce la seguente versione: "Era l'Amadeo da circa tre anni occupato in quei lavori e lungi dalla Certosa, quando, contro le speranze non senza ragione concepite, venne a sua saputa che il priore Filippo da Rancate aveva allogate ai fratelli Mantegazza tutte le opere di scultura della facciata di quel tempo, che allora preparatasi a costruire […] Il disegno di tale facciata, se non era già predisposto dal primo architetto del tempo, Bernardo da Venezia, havvi fondamento per crederlo di Guiniforte Solari che da vari anni assisteva a quella fabbrica". Quindi per ottenere almeno una parte della commessa, sollecita l'appoggio del Colleoni, e infatti, mediante atto notarile del 7 ottobre (1473), gli viene assegnata per l'espresso intervento del duca Galeazzo Maria Sforza, la metà dei lavori di scultura per la parte destra della "facciata" della Certosa di Pavia: notevoli bassorilievi in marmo ove s'individuano i già segnalati rapporti con la scultura di Andrea Bregno e Antonio Bregno da Osteno: quest'ultimo è conosciuto per il suo capolavoro: la "Tomba Foscari" in Santa Maria dei Frari a Venezia.

Per la loro esecuzione, occorre sottolineare l'importanza del patto di collaborazione del (15 settembre) (1473) tra il Nostro e altri quattro artisti: il veterano Antonio Piatti, il luganese il Dolcebuono di Tesserete ?, (amico già dai primi anni d'apprendistato ed abiatico dell'ingegner Giacomo Antonio Dolcebuono che nel 1396 ideò uno dei primi progetti della facciata della Certosa di Pavia), Lazzaro Palazzi (suo cognato) e Angelo da Lecco (nato a Lugano!, figlio di Cristoforo): accomunati in una consorteria determinata dai legami parentali e dalle comuni origini comacine: consuetudini risalenti all'editto di Rotari che spiegano la secolare specializzazione delle popolazioni dell'Insubria nelle arti murarie e il suo affermarsi sui cantieri medioevali di tutta Europa.

I frutti di questa intesa sono i bassorilievi raffiguranti: la "Creazione di Adamo", la "Creazione di Eva", la "Cacciata dal Paradiso terrestre", "Adamo ed Eva dopo la cacciata dal paradiso terrestre", "Ercole ed Anteo", "Ercole e il leone nemeo", "Ercole e il toro di Creta", "Ercole e l'Idra", "Figura di Condottiero", "Figura femminile", "La caduta", "Lamec uccide Caino", "Lamec uccide il fanciullo", "L'offerta di Caino e Abele" e il "Sacrificio di Isacco".

[modifica] Scultore e architetto a Milano, Pavia, Cremona, Bergamo...

un particolare della facciata della certosa di Pavia
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un particolare della facciata della certosa di Pavia
un particolare dello stesso monumento
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un particolare dello stesso monumento

Tornato a Milano, per espresso incarico di Ludovico il Moro, esegue in Duomo alcune "figure" per l'"altare di S. Giuseppe", tra cui una a tutto tondo: la "statua di S. Elisabetta".

Il 9 giugno (1475) acquista per 123 lire da Rainaldo de Tortis una bottega a Pavia, in porta Ponte, parrocchia di San Marino "ubi nunc fit apotheca scatollarum" è sita in "angulo domus fratrorum de Trevano" presso il famoso ponte coperto. Dello stesso periodo è il già citato "Monumento funebre di Bartolomeo Colleoni", morto nel Castello di Malpaga nel (1475): sono suoi solo i rilievi dei due sarcofagi, "Cristo davanti a Pilato", "Salita al Calvario", "La crocifissione", "La deposizione", "La resurrezione" e, sul sarcofago superiore più piccolo, "L'annunciazione", "L'adorazione del Bambino", "L'Epifania" e le soprastanti sette statue delle "Virtù".

Nel maggio (1476) sposa Maddalena Solari da Carona, figlia di Guiniforte Solari, l'architetto ed ingegnere che ha curato la sua formazione artistica. Già nel (1472) aveva iniziato ad acquistare proprietà agricole a Giovenzano e nel (1479) prende in affitto dalla Certosa la proprietà di Binasco: simili imprese finanziarie si moltiplicarono e gli garantirono sempre una notevole entrata.

Dal (1477) al (1478) è attivo di nuovo alla Certosa ove esegue un'elegante "acquasantiera", "il portale della sagrestia vecchia", per l'altare della Sala del Capitolo dei Fratelli scolpisce la statua di "S. Giovanni Battista", un "giovane santo" e, per il tiburio della chiesa, due medaglioni con i Dottori della Chiesa, tra cui un "San Gregorio" e varie "sculture" per i pennacchi.

Per inciso, sarà utile ricordare che ad Abbiategrasso in quel torno di tempo si va allestendo il complesso di "S. Maria Nuova"; esso è costituito dalla chiesa, dal quadriportico rinascimentale e dal pronao, dai tipici tratti amadeeschi.

Il (9 novembre) (1478) gli viene commissionata da Gian Galeazzo Sforza l'esecuzione, nel Duomo di Milano, della "edicola" per Alessio Tarchetta (capitano di ventura e suo favorito) in ornamento della Beata Vergine, la cui esecuzione fu rinviata al (1480); ora è ridotta in frammenti al Museo del Castello Sforzesco, nelle Civiche Raccolte d'Arte. Dello stesso anno è il "Ritratto del duca Gian Galeazzo Maria Sforza", un calco in gesso di doccione absidale rappresentante una "Giuditta", un "S. Sebastiano", un "Santo guerriero romano", un "Ercole in lotta con Cerbero", oggi conservati al Museo del Duomo. Al Victoria and Albert Museum è conservato un suo modellino di legno per una statua di "S. Sebastiano" e al Museo del Castello Sforzesco un suo rilievo in marmo avente il medesimo soggetto.

L'abate del monastero dei Padri Olivetani di San Lorenzo a Cremona, Antonio Meli, che già nel (1470) (grazie forse al fatto di esser stato allievo del maestro ceramista Raimondi) gli aveva commissionato "il Cristo alla Colonna", nel (1480), alla morte del Piatti, lo incarica di terminare l'ornamentazione dell'avello dei Santi Mario e Marta e dei loro figli Audiface e Abaco, martiri in Persia, detta "Arca dei martiri persiani": scolpisce "otto formelle", poi riutilizzate in Duomo nel (1813) per adornare due pulpiti ottocenteschi, tranne "l'Annunciazione" ora conservata al Louvre. L'anno dopo i fabbricieri del Duomo, bene impressionati, gli commissionano un rilievo di "S. Imerio elemosiniere" per il frontale dell'arca di S. Imerio in cui riecheggia lo stile di Antonio Mantegazza.

Ancora a Cremona nel (1481) esegue la statua di "S. Gerolamo" per la fabbrica del Duomo e nel (1482) il canonico del Duomo Isaac Restalli lo incarica di scolpire "l'arca di Sant'Arialdo". Negli stessi anni alla periferia della città dal (1463) si stava realizzando la "chiesa di San Sigismondo" e la sua costruzione ed ornamentazione si protrassero per ben cinquant'anni; molte parti architettoniche e scultoree sembrano scaturite da un suo più che probabile intervento, sollecitato dai già citati committenti o dall'architetto esecutore, Bartolomeo Gadio.

Nella vendita di mobili ed oggetti d'Arte provenienti dalle successioni di Carlo de Carlo e Mary Pavan de Carlo realizzata a Venezia da Franco Semenzato prima a Venezia e poi a Firenze tra aprile e dicembre (2001), due statue in marmo raffiguranti "S. Bernardo di Chiaravalle" e un bel rilievo di "San Sebastiano dentro un'edicola architettonica" sono definiti come opere dell'Amadeo che risentono di probabili influssi di Francesco Cazzaniga; e proprio nel (1483) i due artisti citati progettano l'esecuzione della "tomba di Carlo Sforza", figlio naturale di Galeazzo Maria. La data del (1484) con la sua firma sta su quattro rilievi marmorei della smembrata Arca, ossia "San Gerolamo penitente", "S. Francesco stigmatizzato", "Noli me tangere", "Gesù alla colonna".

Nel palazzo del Comune di Cremona il "portale rinascimentale" della Sala del Consiglio reca sculture ornamentali con le statue della "Giustizia" e della "Temperanza" che rivelano il suo stile. A quel fecondo periodo cremonese si può ascrivere la decorazione del "portale del palazzo Stanga", oggi conservato al Louvre. Nel Museo Nazionale d'Antichità di Parma sono conservati due suoi rilievi, "l'Adorazione dei Magi" e la "Fuga in Egitto" che il Fabriczy data al (1484).

La regola dell'impresa di famiglia si conferma quando, nello stesso anno accetta come apprendista convivente il figlio della sorella di Maddalena Solari, il nipote Antonio della Porta, da Osteno, detto il Tamagnino.

Nel (1485) torna a collaborare all'edificazione dell'Ospedale Maggiore (Ca' Granda) di Milano secondo il progetto del Filarete, portato avanti da Boniforte, e nel (1481), alla sua morte, ripreso dal figlio Pietro Antonio Solari, cognato del Nostro, essendo fratello della moglie Maddalena. Nella "chiesa di Villa" a Castiglione Olona il "monumento funebre del conte Guido Castiglioni" del (1485), porta i caratteri del suo stile e, nel Battistero "di Masolino" presso la Collegiata, il "fonte battesimale" posto al centro, è sorretto da un fusto ornato da una bella teoria di putti, simili a quelli della sua "fontana Trivulzio", ora a Bellinzona.

Per la parte destra della base della zoccolatura della facciata della Certosa di Pavia esegue vari medaglioni in marmo di Candoglia raffiguranti figurazioni allegoriche e grandi personaggi dell'antichità. A Crema l'ex chiesa di "S. Spirito e di S. Maddalena", squisita opera rinascimentale, può essere considerata come frutto della collaborazione del Nostro con Agostino de' Fondulis, chiamato alla decorazione della chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano. Anche il "Santuario di Santa Maria della Croce", lungo la statale per Bergamo, edificato tra il (1490) e il (1493) su progetto di Giovanni Battagio, denota caratteri architettonici rinascimentali di derivazione amadeesca. A Lodi il "palazzo Varesi-Mozzanica", col suo bel portale in pietra a pieno centro e l'elegante fregio in cotto con motivi desunti dalla mitologia classica, è uno dei più significativi edifici civili del Rinascimento lombardo e denota la felice invenzione di un architetto che può vantare una solida base solariana, aggiornata dai fermenti della nuova sensibilità umanistica.

[modifica] La problematica collaborazione col Bramante

I deputati della chiesa di "Santa Maria presso San Satiro" nel (1486) gli affidano il delicato compito della costruzione della "facciata" della chiesa, collaborando con Bramante cui viene affidata la sola scelta del colore delle pietre e la loro collocazione: un'attività in subordine. Non è noto esattamente quando Bramante abbia iniziato la sua attività in questo complesso, probabilmente intorno al 1480, dato che nel 1482 è nominato per la prima volta come "testimone". In questa chiesa la sua presenza è più volte documentata: nel 1483 quando Agostino De Fondulis è incaricato di eseguire la decorazione scultorea per la Sagrestia, e ancora nel 1486 quando G.A. Amadeo inizia la facciata e poi nel 1497/98 per la Cappella di San Teodoro mai costruita. In Lombardia ci si aspettava che un architetto fosse soprattutto un buon scultore e non bastava certo esser buon pittore!!; tuttavia la fama poi acquisita a Roma dal Bramante, negli anni successivi sarà tale da esplicare un curioso effetto retroattivo, per cui a Milano e in Lombardia , secondo generazioni di critici d'arte che finivano per copiarsi a vicenda, ogni edificio vagamente rinascimentale doveva per forza esser "bramantesco", persino contro l'evidenza documentaria che ne dimostra chiaramente la diversa paternità.

Alcuni esempi: la controversa attribuzione "bramantesca" del milanese "Palazzo Fontana" a Porta Orientale ove l'uso della pietra d'Angera, le proporzioni dei colonnati, le candelabre, le cornici in cotto parlano un linguaggio amadeesco e così dicasi per il "palazzo di G. F. Bottigella", per "la chiesa di Santa Maria di Canepanova" a Pavia, per "i chiostri di Sant'Ambrogio" e "il tiburio di Santa Maria delle Grazie" a Milano, per "la loggia delle Dame" al Castello di Vigevano, per la "Santa Incoronata" a Lodi, e l'elenco potrebbe continuare per un bel tratto. Va detto che negli ultimi vent'anni la critica s'è fatta sempre più agguerrita anche grazie a fortunate ricerche d'archivio, dovute all'encomiabile archivista Grazioso Sironi, per cui col tempo c'è da sperare che la grandezza dell'operato dell'Amadeo venga conosciuta nella sua pienezza.

Nello stesso anno esegue un tondo colla "Creazione di Adamo ed Eva" posto originariamente nella facciata di Santa Maria presso San Satiro, ora al Museo del Castello Sforzesco; e il Valentiner gli attribuisce una "Annunciazione", una "Natività", una "Adorazione dei Magi", una "Circoncisione", una "Fuga in Egitto", ora nella collezione Hirsch a New York.

A Fidenza, nel Duomo romanico dedicato a San Donnino, la navata destra presenta l'aggiunta di un'intrigante cappella quattrocentesca; nella cripta sotto l'altar maggiore, sul luogo ove il Santo fu martirizzato, si conserva l'urna con "fatti della vita S. Donnino" in rilievo, di scuola amadeesca. E in periferia, in direzione di Parma, l'ex "chiesa di San Michele" denota caratteristiche architettoniche definite “bramantesche” per convenzione ma senza alcun serio fondamento. A Cortemaggiore nella navata sinistra della collegiata di Santa Maria delle Grazie, iniziata nel (1481) su disegno di Giberto Manzi, la cappella di S. Lorenzo contiene "due tombe Pallavicino", erette nel (1499) da Orlando II Pallavicino; particolarmente quella a destra, contenente i resti di Gian Ludovico e della moglie Anastasia Torelli, è ricca di decorazioni scultoree di buona fattura, tali da poter essere attribuite ad un allievo del Nostro.

Il "portale mediano" della basilica di San Francesco a Piacenza reca al sommo una lunetta con il rilievo di "S. Francesco stigmatizzato", e all'interno, sulla parete destra del deambulatorio, v'è un bassorilievo con "Rettore in cattedra e frati", eseguiti nella bottega del nostro intorno al (1490). Anche nel Duomo piacentino, dedicato all'Assunta, nella navatella sinistra del presbiterio v'è un'edicola amadeesca con candelabre e nella cripta della chiesa di San Savino, ai lati, entro nicchie, "quattro santi" eseguiti nel (1481) denotano lo stesso stile. E così dicasi del "sepolcro" di Guglielmo da Saliceto del (1501), posto nel chiostro della chiesa domenicana di San Giovanni in Canale. Troppo sbrigativamente o per consuetudine tutte queste opere d'arte vennero spesso considerate il frutto di uno stile rinascimentale bramantesco, col risultato di allontanare la ricerca da altre piste, sicuramente più promettenti e apportatrici di vere e solide attribuzioni.

[modifica] Il progetto del Duomo di Pavia e la facciata di Santa Maria dei Miracoli a Brescia.

Nel (1488) per volere del cardinale Ascanio Sforza, sul luogo delle due gemelle basiliche romaniche di Santo Stefano e di Santa Maria del Popolo si dà avvio alla costruzione del nuovo Duomo di Pavia, perciò in collaborazione con l'architetto Cristoforo Rocchi da Como prepara ed invia "certi modelli" per il Duomo di Pavia al cardinale, fratello del Moro che, dopo lo scavo delle fondamenta, il 29 giugno (1488) posa la prima pietra. Nell'agosto dello stesso anno il Nostro, col Rocchi e il Bramante, prepara un "progetto" più articolato, approvato da Ambrogio Ferrari, capo degli ingegneri ducali; costui esige dal Rocchi un modello in legno che questi però non esegue poiché non vien pagato. A questo punto il deputato della Fabbrica, Cristoforo Bottigella (docente di diritto e collega di Signorino Amadeo nel pavese Studium generale), propone l'interruzione dei lavori finché non sia completato un modello, poiché i disegni, in assenza del Nostro, designato "principalis inzignerius", non sono dettagliati al punto di garantire la sicurezza delle fondamenta! Per i committenti, l'Amadeo era l'unico tra i progettisti che avesse acquisito le competenze necessarie a garantire la staticità dell'opera e perciò si meritava il titolo di ingegnere principale.

In seguito vengono consultati vari esperti, tra i quali, il Dolcebuono, Francesco di Giorgio Martini e Leonardo, ma senza gran frutto: i lavori procedono a rilento per il successivo decennio. Alla morte dell'architetto Rocchi, nel (1488) l'Amadeo è confermato come ingegnere principale del Duomo di Pavia che, nell'articolazione delle membrature del perimetro, in stretto rapporto con le coperture, rivela una logica strutturale debitrice delle lezioni di Filippo Brunelleschi, di Leon Battista Alberti o (più semplicemente e direttamente) di un Francesco di Giorgio Martini.

Nello stesso anno con Giovanni da Verona collabora alla progettazione della "facciata di Santa Maria dei Miracoli" a Brescia, secondo il Karpowicz "addirittura un'applicazione monumentale delle colonne a candelabro", e ancora "la Certosa di Pavia, fu nel Cinquecento una vera fucina di modelli e di motivi artistici per gli artisti dei Paesi dei Laghi e, grazie a loro, di tutta l'Europa". La primitiva modestissima cappella a protezione dell'affresco della Madonna col Bambino vien sostituita da un sacello marmoreo, la parte centrale dell'attuale facciata, con finissime decorazioni a bassorilievo, cui attorno al (1500) si aggiunge il peristilio: 16 scultori collaborano alle decorazioni interne ed esterne, tra cui il nipote Antonio della Porta, detto il Tamagnino. Sempre a Brescia nella chiesa romanico-gotica di San Francesco nel paliotto dell'altar maggiore un "bassorilievo marmoreo", rappresentante "il Presepio", porta i caratteri del suo stile.

[modifica] La nuova attività di ingegnere ducale

In quel torno di tempo entra nei ranghi degli ingegneri ducali e nel (1488) si reca prima a Chiavenna poi a Piattamala (frazione di Tirano) per procedere al "restauro delle fortificazioni" locali e collabora a dirimere le controversie sorte per la costruzione del nuovo ponte sull'Adda a Ganda, frazione di Morbegno. In Valtellina i vari compiti - costruzione e riparazione di strade e ponti - lo assorbono a tal punto che il segretario ducale Bartolomeo Calco ordina al commissario di Pavia di curarne gli affari in sua assenza.

Il Covini sottolinea che “aveva dato prova di qualità che per un ingegnere ducale contavano forse di più delle capacità tecniche. […] In quell'occasione non solo aveva svolto con serietà e professionalità il suo incarico, ma soprattutto aveva saputo mantenersi equanime nella lunga disputa che si era scatenata tra le parte e i centri d'interesse locale, a Morbegno e nelle terre vicine"[…]. L'Amadeo annotò: "Li volle più ingenio a condurre la mente deli homine che nonne a mettere zoxo quisti pilloni del dicto ponte". Ancora nel (1499) Francesco Balicandi da Morbegno, che ha quasi ultimato il ponte progettato dall'Amadeo, informa il duca di Milano, d'aver sostenuto lui solo tutte le spese della costruzione, perché Bernardino de Saltrio, suo socio nell'appalto dei lavori, è fuggito dal ducato di Milano, portandosi via il denaro percepito per far la sua parte; supplica pertanto il Duca di prendere dei provvedimenti, come il sequestro dei beni del reo, che lo costringano alla restituzione del denaro maltolto.

Nel (1490) è eletto ingegnere del Duomo di Milano a 16 lire mensili di stipendio e in seguito si reca sul cantiere del duomo di Pavia insieme a Leonardo da Vinci per cavargli dei consigli utili a correggere i difetti statici causati dal primitivo progetto del Rocchi. Il 13 aprile l'arcivescovo e i deputati della Fabbrica del Duomo di Milano, considerato che nessun ingegnere si dichiara in grado di finire "il tiburio", ritengono che in tutto il ducato non vi sia nessuno meglio di lui e del Dolcebuono, adatto all'arduo compito e li incaricano di portare a termine uno dei modelli presentati. Il modello deve però essere avallato da Francesco di Giorgio Martini e Luca Fancelli.

Il Bramante viene escluso dal concorso per aver proposto un tiburio a base quadrata anziché ottagonale. Il 31 maggio Francesco di Giorgio partecipa ad una riunione consultiva generale, che non approda a nessuna decisione; il 21 giugno è a Pavia, insieme a Leonardo, chiamato per dare il suo parere sul Duomo di Pavia; il 27 dello stesso mese presenzia alla riunione nel Castello di Milano in cui si delibera di affidare all'Amadeo e al Dolcebuono, con la sua partecipazione, l'esecuzione di un nuovo modello del tiburio.

L'8 giugno il duca scrive a Bartolomeo Calco che i deputati pavesi insistono sulla contemporanea perizia sul cantiere del Duomo di Leonardo, Francesco di Giorgio e soprattutto dell'Amadeo, ma il Calco riferisce due giorni dopo che il nostro risulta impegnato sul lago di Como per impresa di non picol momento . Quasi sicuramente si tratta dell'edificazione a Bellagio della nuova villa del nobile cremonese e segretario ducale Marchesino Stanga (per Ludovico il Moro quasi un ministro delle arti), oggi detta villa Serbelloni. L'edificio sorge nel luogo dove la tradizione vuole che esistesse quella di Plinio il Giovane. Nel Medioevo il sito era occupato da un castello, fatto demolire da Galeazzo II Visconti nel (1375), sui cui resti fu costruita nel XV sec. una residenza di campagna da D. Baserga, commendatario dell'abbazia di Piona. La casa passò nel 1485 al marchese Stanga che la trasformò in villa quando ricevette da Ludovico il Moro il feudo di Bellagio.

E qui si potrebbe avviare un dibattito sulle vicissitudini delle attribuzioni relative al famoso "portale" del cremonese "Palazzo Stanga", oggi conservato al Louvre, vero compendio di tutti gli artifici decorativi introdotti dalla scuola amadeesca. L'autore più accreditato dalla critica è quel Giovan Pietro da Rho che il (19 gennaio) (1495) firma un patto di collaborazione con l'Amadeo per la ricerca di pietre di qualsiasi colore, ma non bianco, da lavorare e porre in vendita .

L'insistenza con cui Ludovico il Moro, di lì a due giorni richiede di verificare se Ambrogio Ferrari non possa sostituirlo per consentirgli d'esser presente a Pavia indica quanto importante fosse giudicata a corte la competenza dell'Amadeo, indispensabile per poter illustrare al Martini la Fabbrica pavese. La significativa assenza del Bramante in questo riunione al vertice la dice lunga sulla pretesa sua progettazione dello scurolo nel Duomo di Pavia! E lo stesso può dirsi della costruzione della tribuna di S. Maria delle Grazie, per la quale sono ricordati varî consulti fra architetti, senza far mai il nome del Bramante, e di cui sono state individuate le responsabilità dell'Amadeo .

Da una testimonianza settecentesca si può ipotizzare pure un sopralluogo del Martini e dell'Amadeo alla Certosa poiché la sua cupola era il modello di quanto si poteva realizzare per il Duomo di Milano, senza ovviamente tralasciare di ammirarne le opere scultoree dei chiostri e delle facciata. Un rilievo sul lato sinistro del "portale" nord-ovest del chiostro grande, raffigurante un "San Sebastiano" entro un'edicola architettonica classicheggiante, trova un preciso riscontro in uno dei disegni di Francesco di Giorgio che illustrano la seconde redazione del suo trattato, databile dopo il (1490). Lo stesso Amadeo non aveva disdegnato di utilizzare una medaglia di Francesco di Giorgio raffigurante "Bellerofonte" per alcuni suoi "tondi" nel pozzo del lavabo della Sacristia, nel basamento della facciata della Certosa (nel riquadro con l'"Adorazione dei Magi", sul sedile su cui siede la Vergine) e, finalmente, nel "portale" nord-est del chiostro grande della Certosa . Sul culto di Francesco di Giorgio per l'antico basti ricordare la sua perfetta conoscenza del trattato di Vitruvio o l'episodio del Caradosso, orafo e compratore di antichità per Ludovico il Moro, che l'accompagna in giro per Milano per ammirare i numerosi reperti d'età romana.

Il duca Ludovico il Moro, di conseguenza, il (27 luglio) (1490) convoca nel castello di Porta Giovia il suo consiglio segreto, le principali autorità civili ed ecclesiastiche per esaminare i relativi "modelli in legno": vien preferito quello presentato dall'Amadeo e dal Dolcebuono con le modifiche apportate - non è sicuro poiché mancano i relativi pagamenti all'architetto senese - da Francesco di Giorgio Martini . L'affermazione, cui sono pervenuti alcuni studiosi, è che Leonardo e Francesco di Giorgio abbiano contribuito in maniera rilevante all'edificazione del tiburio del Duomo nella sua forma attuale, ma essa non è comprovata né dall'evidenza documentaria né in relazione allo studio della struttura architettonica effettivamente realizzata!

Hanno pure sostenuto che il Nostro, verso il (1490), abbia diviso col Bramante la progettazione della "tribuna di S. Maria delle Grazie" a Milano , tuttavia la documentazione giunta sino a noi non menziona sul cantiere la presenza dell'urbinate; e non risulta che anche Leonardo, certamente interessato alla progettazione architettonica, abbia mai diretto sul cantiere la realizzazione di un edificio civile o religioso durante la sua permanenza in Lombardia; anzi la sua presenza in veste di consulente non produsse alcuna modifica nella progettazione del Duomo di Pavia o nel compimento del tiburio della cattedrale milanese. Il Nostro in qualità di architetto e ingegnere ducale poteva vantare nei confronti dei due celebri personaggi una consolidata tradizione architettonica lombarda, sostanziata dai segreti del mestiere trasmessigli dal Solari, dalla personale esperienza acquisita, inoltre vantava un reticolo di relazioni e di conoscenze negli ambienti della Corte sforzesca, per cui a Milano poteva accaparrarsi la maggioranza delle commissioni in campo edilizio, diventando ben presto uno dei più ricchi impresari.

[modifica] Dal tiburio del Duomo al cantiere di S. Maria presso S. Celso

Dalla nomina avvenuta nel (1490) alla sua morte nel (1522) fu uno degli architetti generali del Duomo di Milano. L'impegno principale come architetto-capo sarà quello di progettare e di dirigere, insieme all'amico Dolcebuono, "la costruzione del tiburio". Sempre dello stesso anno è l'edificazione del "chiostro del capitolo" alla Certosa e la sua pala marmorea con "L'adorazione dei Magi con Gian Galeazzo e Filippo Maria Visconti" collocata nel capitolo dei Padri e una bella "Annunciazione" nell'attiguo capitolo dei Fratelli.

Nel (1491) inizia le sculture dello "zoccolo della facciata " con le "scene dell'Antico e Nuovo Testamento", in collaborazione col nipote Antonio della Porta e altri; i rilievi decisamente suoi sono "Il Cristo deriso", "Gesù tra i dottori" e "La resurrezione di Lazzaro" ove negli sfondi vi è un'attenta ricostruzione degli ambienti architettonici d'epoca classica e tuttavia ricchi d'invenzioni nei dettagli proprie d'uno stile lombardo aggiornato su modelli toscani e veneti.

Nel suo bassorilievo del 1491 di "Gesù ritrovato dai genitori" vi compaiono, mescolati: lateralmente, i motivi del loggiato classico "alla romana" e, nel corpo centrale aggettante, le colonne cerchiate, i piedestalli ruotati di 45 gradi e la testa all'interno del timpano, come nell'Incisione Prevedari. Al di sopra è impostata una cupola ottagonale con alto tamburo a grandi oculi. È la stessa cupola che sovrasta il tempio a pianta centrale nell'affresco di Bernardino Zenale e Butinone nella cappella Grifi in San Pietro in Gessate a Milano (1490).

Del suo vezzo decorativo basato sull'imitazione di medaglioni marmorei con effigi d'imperatori romani, presente nella decorazione, v'è un'eco a Brescia nel "mausoleo" di Marc'Antonio Martinengo, nei portali dei "palazzi Porcellaga e Calzavellia'". Sempre a Pavia nella cripta della basilica di San Michele suo è il "monumento al beato Martino Salimbeni", realizzato con aiuti.

Appena fuori dalla porta meridionale di Soncino sorge la "Chiesa di Santa Maria delle Grazie", notevole esempio di architettura rinascimentale, eretta nel (1492) per i Carmelitani, da ammirare soprattutto per l'elegante interno che presenta una ricca decorazione in terracotta in puro stile amadeesco che richiama i modi di Agostino de' Fondulis.

Nel (1492) figura come direttore dei lavori alla "tribuna in Santa Maria delle Grazie"; alla sua scuola appartengono i "medaglioni con busti degli Evangelisti e dei Dottori della Chiesa" nei pennacchi delle arcate e dei lunettoni del presbiterio e, nell'angolo del portico del chiostrino, un medaglione ovale del (1495) col "ritratto di Lodovico il Moro", e nelle facce interne dei pilastri dell'arcata dell'abside della Sagrestia vecchia, dei "rilievi in marmo" raffiguranti Lodovico il Moro e Massimiliano, suo figlio. Nello stesso anno il Moro aveva deciso di finanziare la ripresa dei lavori per "l'altare di S. Giuseppe" in Duomo, perciò dal (1493) al (1499) gli commissiona parecchie statue tra cui un "San Giuseppe in ginocchio", "quattro angeli", una "Adorazione col Bambino" e vari rilievi, tra cui "Ercole e Anteo".

Considerata la grandiosità e la qualità dell'esecuzione, il gruppo scultoreo richiese l'intervento di vari scultori della cerchia degli abituali collaboratori dell'Amadeo e costituì un modello per altre opere aventi il medesimo soggetto, ad esempio per il "Polittico di S. Giuseppe" ora collocato nella chiesa della Madonna Addolorata di Vigevano, molto vicino ai modi dell'Amadeo; si è ipotizzato come esecutore anche Lorenzo da Mortara, per poi escluderlo, e va notato che entrambi figurano come periti richiesti dai fratelli Ambrogio e Giovanni de Donati per il loro "Sepolcro di Cristo", valutato 200 lire, nel novembre (1504). Nel (1521) Francesco Niguarda, figliastro dell'Amadeo riceverà un primo pagamento per "´´foyetis duasmillle-quinquecentum nonaginta auri positi in opere ad altare sancti Josep" e un secondo per "ornamenti anchonam altari sancti Josep" e ne dipinse pure il coperchio.

L'altare di S. Giuseppe venne in seguito smembrato e parte delle originarie sculture vennero collocate in fondo alle absidi dei transetti del Duomo. Con l'Amadeo avevano collaborato parecchi scultori della sua cerchia: Il Dolcebuono, Filippo Castelli, Pietro Briosco, Antonio de' Conti, Bartolomeo Briosco, Simone de San Protasio, Luigi Comi, Filippo de San Florano, Samuele Luvoni, Balsarino Solari, Giovanni da Locate, Giovanni Pozzi, Lazzaro Palazzi, Brunoro da Bergamo, Ambrogio Comi, Gabriele da Rho e Giovanni Antonio Piatti.

Tali molteplici impegni non gli impedirono di proseguire il lavoro di condirettore (con Antonio Mantegazza e il nipote Antonio della Porta) della decorazione della facciata della Certosa di Pavia di cui fornisce un "modello" che gli procura 200 lire. A Vigevano Ludovico il Moro gli affida la realizzazione della "Loggia delle Dame" sul retro del palazzo ducale all'interno del Castello. Nell'ospedale maggiore di Milano esegue nel (1493) le due statue di "Sant'Ambrogio" e di "San Giuseppe" nel portico "versus cappellam".

Anche a Crema – città che a quel tempo apparteneva alla repubblica veneta – l'ex chiesa di Santo Spirito e Santa Maddalena, squisita opera rinascimentale, benché attribuita da alcuni ad Agostino de Fondulis, testimonia inequivocabili influssi amadeeschi; gli stessi che si possono scoprire nel santuario di Santa Maria della Croce, poco fuori città sulla strada per Bergamo, edificato dal (1490) al (1493) da Giovanni Battagio.

Per assolvere tale impegnativo compito assume alcuni scultori-assistenti: Benedetto Briosco, Pace Gaggini (da Bissone), Girolamo Viscardi (da Laino in val d'Intelvi), Stefano da Sesto (fratello della futura sposa Zaccarina ?) e Antonio Romano. Nel (1496) eseguirà in terracotta un "nuovo modello" della facciata. In questi anni aumenta la sua fama di architetto di grido e nel (1494) vien nominato ingegnere della fabbrica di "Santa Maria presso San Celso", dirigendone la costruzione col Dolcebuono fino al compimento del tiburio. I molteplici impegni non gli impedirono di progettare a Pavia il "cortile a portici e logge" del "palazzo Bottigella" al n. 15 di corso Mazzini e la bella "facciata con fregi, lesene e candelabre in cotto" dell'altro "palazzo Bottigella" in corso Cavour, e il "Chiostro" dell'ex monastero di San Maiolo.

L'(11 febbraio) (1493) i frati del convento di San Francesco Grande a Milano, riuniti in capitolo dal padre guardiano Francesco da Lugano, concedono a Domenico Salvatico di costruire una cappella sepolcrale nella loro chiesa rispettando le misure che saranno indicate dall'Amadeo, che qui si conferma come l'architetto di fiducia dei frati; infatti in precedenza gli avevano affidato la ristrutturazione e l'ampliamento di tutto il complesso conventuale.

[modifica] L'edificazione dei chiostri della Ca' Granda di Milano

Come si sa dai documenti già il (5 aprile) (1493) incassa un pagamento da parte dell'Ospedale Maggiore per lavori eseguiti per il portico "versus cappellam" e l'11 giugno è pagato per aver scolpito in pietra d'Angera una statua di "S. Ambrogio" e una di "“S. Giuseppe" per lo stesso portico. Poi il 22 agosto Bartolomeo Calco scrive al referendario di Como, ordinandogli di andare a vedere con l'Amadeo una strada nuova che si sta facendo in Val Malenco per controllare se è vero che essa potrebbe dare facile adito in Valtellina ad eventuali invasori del ducato di Milano.

Il 6 novembre alla Certosa gli scultori Pace Gaggini e Antonio della Porta ( in rappresentanza dell'Amadeo, suo zio, e di Antonio Mantegazza) stipulano un patto di collaborazione per i lavori sulla facciata, valevole per quattro anni solo nel caso che ad Antonio della Porta e soci non venga a mancare il lavoro alla Certosa o in qualsiasi altro luogo. Degni di menzione sono i patti del (6 dicembre) (1493) in cui l'Amadeo si fa garante del maestro Bernardino da Borgomanero e il prete Galeazzo Castiglioni stipulante a nome di due ambasciatori dello Zar di Russia Ivan I; Bernardino partirà da Milano e andrà con loro in Russia per lavorare in opere architettoniche come aiutante del maestro Luigi Carcano, architetto dello Zar; fra i testi convocati c'è Vanono fu messer Giorgio da Castronago (Viconago): borgo fortificato dei Rusca situato sopra Ponte Tresa che nella faida sottocenerina tra guelfi e ghibellini al tempo dei Sanseverino (metà del XV sec.), aveva offerto rifugio a parecchie famiglie ghibelline luganesi. E non va dimenticato che il già menzionato Amadio Amedei attivo come orefice a Ferrara alla corte degli Estensi trae da lì le sue origini.

Finalmente il (20 marzo) (1495) in seguito alla morte dell'architetto Ambrogio da Rosate, il (20 marzo) (1495) viene eletto architetto della fabbrica dell'Ospedale Maggiore di Milano ove trent'anni prima era già stato attivo come giovane apprendista scultore sotto la guida di Boniforte; realizza "i tre cortili: della Legnaia, della Ghiacciaia e dei Bagni", "il porticato del grande cortile interno" e pone "medaglioni" con figure tra gli archi, tra le quali "l'Arcangelo Gabriele" e la "Vergine Annunziata". Degni di nota sono pure gli altri 18 medaglioni raffiguranti personaggi biblici e del Nuovo Testamento: "Eliachim", "Azor", "Sadoc", "Achimelec", "Eliud", "Eleazar", "Mathatia", "Giacobbe", "Giuseppe l'ebreo", "il Battista", "gli Apostoli", "i 4 Evangelisti" e "S. Ambrogio". Il restauro del (1990) ha permesso di osservare come le cornici dei busti che portano una decorazione incisa erano ornate con motivi in piombo. L'uso di questa tecnica particolare appare anche nell'"abside di Santa Maria delle Grazie", sulla "facciata della Certosa di Pavia" e in "Santa Maria dei Miracoli" a Brescia.

L'anno precedente , esattamente il (1° febbraio) (1494) i fabbricieri della chiesa di "S. Maria presso S. Celso" lo avevano eletto come ingegnere della Fabbrica, in effetti ne dirige la costruzione col Dolcebuono fino al compimento del tiburio. Per incarico commissionatogli dal Duca, deve fare provvista a Saltrio di pietre tagliate per il "tiburio di Santa Maria delle Grazie", e il Capitano di Lugano deve prestargli ogni aiuto e togliere ogni dazio sul trasporto.

[modifica] A cinquant'anni è il più affermato architetto lombardo

Nel maggio del (1497) i fabbricieri del Duomo di Pavia decidono di richiamare lui e il Dolcebuono per riprenderne l'edificazione; incarica quindi il suo scultore-assistente Giovan Pietro Fugazza (da Curio) di preparare un nuovo modello in legno della cattedrale, seguendo le sue precise direttive (per perfezionarlo ci volle più di un quarto di secolo!): attualmente è conservato nella Pinacoteca del Castello Visconteo di Pavia. I modelli lignei erano di estrema importanza come "speculum" per i lapicidi: nel contratto si esigeva che si evidenziasse perfino la decorazione in rilievo, con tutti i particolari esattamente in scala.

Proseguendo bene i lavori, i deputati della fabbrica del Duomo il (15 gennaio) (1498) decidono di affidare solo all'Amadeo la piena responsabilità dell'edificazione. Ancora il (23 luglio) (1505) Giovan Pietro Fugazza si mette a disposizione come ingegnere della Fabbrica del Duomo di Pavia e promette di operare d'accordo con l'Amadeo. La cupola del Duomo in ordine di grandezza è la terza in Italia dopo quella di S. Pietro e quella del Brunelleschi a Firenze. Malgrado il moltiplicarsi degli impegni, trova anche il tempo di ricostruire la chiesetta romanica di S. Salvatore (del VII sec.) posta alla periferia di Pavia.

Nel terzo centenario della morte di S. Lanfranco il marchese Pietro Pallavicino da Scipione lo incarica di progettare, non solo il grande chiostro orientale del complesso monastico pavese del S. Sepolcro, ma anche per l'omonima chiesa, un moderno presbiterio dalla pianta rettangolare e copertura a botte con spicchi di vela, terminante con un'abside semiesagonale (ricorda il progetto coevo per la porta del Duomo di Milano verso Compedo), i lavori termineranno solo nel (1509); Un capitello del chiostrino di San Lanfranco è datato: "Hoc opus f.f. Lucas abbas S. L. a. 1467". Occorre ricordare che l'Amadeo aveva solo vent'anni, a quell'epoca. La stessa iscrizione si ritrova nel chiostro del Seminario di Pavia (ex monastero della Pusterla), decorato in parte con formelle analoghe a queste. In Santa Maria del Carmine poi "il lavabo" è di sicura esecuzione dell'Amadeo; gli sono attribuiti anche i due grandi rosoni delle testate del transetto, i cui motivi a puttini appaiono chiaramente collegati a questi di San Lanfranco (i rilievi sulle due porte laterali della facciata del Carmine furono qui portati nel sec. XIX, e provengono dalle arcate distrutte del chiostrino di San Lanfranco).

La chiesa deve ospitare un nuovo monumento sepolcrale per degnamente onorare le spoglie del Santo, ossia "L'Arca di S. Lanfranco". Iniziata nel (1498), a causa delle molteplici attività del maestro nella direzione del lavori del Duomo e della chiesa di S. Maria di Canepanova a Pavia, è celermente terminata solo nel (1508) , grazie al concorso di parecchi collaboratori, alcuni dei quali dotati di grande personalità artistica: Benedetto Briosco, i fratelli Stefano e Giovan Battista da Sesto, Biagio Vairone, Antonio della Porta, Pace Gaggini, Andrea Fusina.

Così la descrive la Malfatti: "Essa è costituita da un grande sarcofago sorretto da sei colonne esili inferiormente rigonfie a vaso (citazione delle romane urne cinerarie), poggianti su piccoli e snelli plinti, Questi sono ornati da medaglioni all'antica che riproducono teste d'imperatori romani, di santi e di monaci. Il sarcofago di marmo bianco è decorato con otto rilievi che narrano al vita e i miracoli di S. Lanfranco. Sul sarcofago è posto un alto parallelepipedo raccordato con volute, è diviso in due zone, nell'inferiore reca due epigrafi e nella superiore rilievi con episodi della vita della Vergine e di Cristo che compongono una breve "historia salutis". Esso è sormontato da una piramide tronca, ornata di stemmi e di delfini stilizzati, sulla quale svetta una leggera edicola sostenuta da quattro colonnine. L'edicola ricoperta da una cupoletta embricata a base quadrangolare".

È l'ultima sua grande opera scultorea certa; tra le formelle compare la soluzione delle paraste affiancate: sul fianco però c'è una parasta sola di larghezza doppia, che rimanda alle similari soluzioni presenti nella tribuna di S. Maria delle Grazie e in S. Maria presso S. Satiro. I rilievi del sarcofago denotano una nuova dolcezza di modellato (della terza ed ultima maniera) d'impronta leonardesca.

I tre riquadri frontali hanno la caratteristica che le figure e gli sfondi sono posti in prospettiva lungo i bracci di una X che ha il suo punto focale proprio al centro del pannello mediano (suggerimento già realizzato da Leonardo nel refettorio di Santa Maria delle Grazie). Il pannello centrale è quello che ha riscosso i migliori apprezzamenti della critica, in esso è rappresentato "San Lanfranco che rientra a Pavia, accolto festosamente dal popolo" e alle spalle del vescovo spunta la testa d'un anziano (l'autoritratto dello scultore). Nel pannello di "S. Lanfranco che incontra i consoli pavesi" la scena è ambientata a Pavia, le cattedrali doppie di S. Stefano e di S. Maria del Popolo, sorgono ancora sull'area prevista per il nuovo Duomo e compare la statua equestre del Regisole, posta sulla sua colonna e forse dedicato alla memoria di Settimio Severo. Va detto che nessuna statua equestre rinascimentale era posta in cima ad una colonna (anziché su un piedestallo): né il Gattamelata di Donatello (1450), né il Colleoni del Verrocchio (1488), né il monumento ferrarese a Borso d'Este (1461); e neppure i monumenti progettati da Filarete e da Leonardo.

Nella parte posteriore dell'arca è raffigurato "il miracolo dell'impiccato": al centro del pannello si staglia l'eccezionale figura d'un cavaliere, citazione puntuale di un disegno che Leonardo aveva realizzato verso gli anni Novanta quando era a Milano alla corte di Ludovico Il Moro. Evidentemente ciò comprova l'aggiornamento della cultura del nostro scultore e le sue frequentazioni con artisti di spicco attivi nella capitale del ducato, e non solo per momentanei e distaccati momenti di lavoro.

L'anno successivo, in compenso per tutte le sculture eseguite per "l'altare di San Giuseppe" nel Duomo di Milano, riceve dalla fabbrica del Duomo 1306 lire, ossia la metà del valore d'una casa da gentiluomo. Nello stesso anno avvia la costruzione del "Santuario della Madonna dei Miracoli di Saronno", sita sulla destra del vecchio tracciato della Varesina, sul luogo in cui avvenne una portentosa guarigione proprio nell'anno della sua nascita: il (1447).

Nel (1498) avvia la costruzione del Santuario della Madonna dei Miracoli di Saronno, sita sulla destra del vecchio tracciato della Varesina, sul luogo in cui avvenne una portentosa guarigione proprio nell'anno della sua nascita: il (1447). Sempre alla ricerca di nuove imprese, è coinvolto col Dolcebuono nell'edificazione del coronamento del Santuario dell' Incoronata a Lodi, iniziata dal suo allievo Giovanni Battagio; presta pure la sua opera anche nella fabbrica di S. Francesco Grande a Milano che farà da modello - nel (1523) - alla ricostruzione della chiesa di San Francesco a Locarno. A questo punto per eccesso di incarichi deve cedere ai fratelli Tommaso Rodari e Giacomo Rodari da Maroggia (scultori cresciuti alla sua scuola) l'incarico di completare la "trahina" della chiesa di San Maurizio di Ponte in Valtellina ove il suo collaboratore ed amico Giacomo del Maino (autore dell'ancona in San Michele Maggiore a Pavia) esegue per l'altar maggiorel'elegante icona lignea della Vergine.

Spesso viene consultato, spesso in collaborazione col cognato Lazzaro Palazzi, come perito, ad esempio nel (1494) valuta il marmo portato alla Certosa di Pavia da Manfredo Vassalli di Riva S. Vitale. Nel (1505) come consulente dei fabbricieri del Santuario di Santa Maria dei Miracoli di Saronno stila un contratto dettagliato per la costruzione del tiburio, ove il capomastro Beltramo de Bregno di Osteno s'impegna a seguirne le istruzioni.

[modifica] Ipotesi di influssi amadeeschi presso i conti Rusca di Locarno

"Fu adunque sullo scorcio del XV secolo, o poco dopo, che l'altare ex-voto della famiglia Orelli, venne eretto nella chiesa dei frati di S. Francesco in Locarno. Coi frammenti di marmo rinvenuti […] nelle cantine di quel convento, alcuni dei quali lavorati finemente, fra i quali due capitelli, parti di lesene, cornicione, basamento di una grande serraglia, si è potuto, combinandoli, ricostruire il preciso disegno di un altare di stile rinascimento", così dà notizia il Simona di un altare marmoreo oggi conservato in frammenti presso il Museo del Castello Visconteo di Locarno: la sua cifra stilistica richiama opere coeve milanesi realizzate sotto il diretto influsso amadeesco.

Denota pure il suo stile architettonico l'impianto della chiesuola di S. Maria Annunciata, eretta nel (1497) e sita ai piedi della rupe ove ora sorge il Santuario della Madonna del Sasso di Locarno: concepita come prima cappella di un Sacro Monte locarnese (attuato poi solo nel Seicento quasi in concorrenza con il Sacro Monte di Varese). La planimetria articolata "ad quadratum", la novità della copertura di due coppie di crociere abbinate, la cupola sul coro terminante in un tiburietto ottagonale, la sagoma delle lesene angolari, la foggia degli eleganti capitelli a grandi foglie all'imposta della cupola, palesano influssi della sua scuola.

Già nel (1500) l'altare maggiore era ornato dalla pregevole ancona dell'Annunciazione di Bernardino de' Conti: in alto l'Eterno, al centro l'Annuncio a Maria e nel paliotto l'Annuncio alle anime purganti. Nel (1522) le pareti sono gratificate da una campagna di affreschi tra cui quello nella parete nord del coro, raffigurante La Madonna in trono col Bambino, attribuibile a Domenico Pezzi detto Sumvicus, pittore pendolare tra Lugano e Genova, documentato nelle chiesa conventuale di Santa Maria degli Angeli a Lugano, nella parrocchiale di Santa Maria del Sasso a Morcote, nel portico antistante la parrocchiale di Villa Luganese, nel San Biagio di Ravecchia e a Gravedona; sulla parete sud della navata, Cristo fra i Dottori, attribuito ai fratelli della Rovere detti Fiammenghini. Inoltre la presenza nel castello di Locarno del busto di Jacopo Rusca, ora collocato nel locale Museo del castello visconteo - opera firmata di Antonio della Porta, allievo e nipote del Nostro - e tre tondi marmorei (ritratto di Lodovico il Moro e due ritratti muliebri, di cui uno al Museo nazionale svizzero di Zurigo) postulano stretti rapporti di committenza delle famiglie nobili locarnesi con artisti milanesi, appartenenti alla sua cerchia, ancor prima dell'arrivo del Bramantino.

A Locarno in capo al Verbano i conti Rusca tenevano una piccola corte sforzesca continuamente aggiornata grazie anche agli stimolanti apporti di una comunità di frati dell'Osservanza francescana particolarmente attiva e in stretto contatto con l'ambiente culturale milanese.

La paternità del progetto del rivellino del castello di Locarno, recentemente è stata attribuita a Leonardo da Vinci secondo un'ipotesi risalente al novembre (2003) dello studioso Marino Viganò, pubblicata con altri indizi ritenuti altamente probanti sul Corriere del Ticino del 3 novembre (2004), del 18 febbraio (2006) e del 29 aprile (2006), da cui cito: "La fondazione del baluardo locarnese durante l'estate 1507 è ora provata, la costruzione sotto il dominio francese, la committenza del gran maître Charles II d'Amboise […]. Un funzionario del governo francese dell'epoca, Giorgio Floro, ci elenca le fortezze munite dietro suo pagamento: Chiavenna, Como, Locarno, Domodossola, Tirano, Piattamala, […] nell'estate del 1507 Floro asserisce che si è provveduto a munire quelle fortezze […]".

Alla luce della documentazione sino ad ora pubblicata, l'ipotesi sembra replicare l'errata attribuzione a Leonardo della chiesa milanese di santa Maria alla Fontana, insomma il frequente errore di prospettiva dovuto da una parte al prestigio universale acquisito dal genio vinciano e dall'altra al perdurare di una tenace “sfortuna critica” che ancor oggi, malgrado gli svariati studi rivalutativi, confina in un stereotipo riduttivo tutta l'attività artistica dell'Amadeo, escludendolo a priori da verosimili nuove attribuzioni.

Innanzitutto i documenti dimostrano che nel triennio 1488-'90 il Nostro vien designato quale ingegnere ducale, inviato in Valtellina per provvedere al miglioramento delle strade, al rinforzo della "murata di Chiavenna" e della "fortezza di Piattamala" a nord di Madonna di Tirano, all'imbocco della grigionese valle di Poschiavo e per progettare il "ponte di Ganda" in quel di Morbegno. Di conseguenza, in base ai documenti che attestano le sue capacità ingegneristiche e alla comprovata collaborazione con Francesco di Giorgio Martini, appare più probabile una sua consulenza a Locarno che non quella di Leonardo, di cui legioni di studiosi si sono da sempre occupati, non riuscendo per ora a scoprire un solo documento che ne attesti la presenza sulle rive del Verbano.

Inoltre da Firenze, con una licenza di tre mesi, Leonardo ritorna saltuariamente a Milano nel maggio 1506, abitando nei pressi di San Babila, ma deve rientrare a Firenze anche per regolare pendenze ereditarie coi fratelli che lo escludono dall'eredità di ser Piero. Solo a partire dal 1508 si fissa stabilmente a Milano e ottiene per quasi un anno una provvigione di 390 soldi e 200 franchi dal re di Francia e un privilegio per lo sfruttamento d'acqua del Naviglio per cui fosse presente nel Ducato e disponesse di maestranze alle sue dipendenze capaci di realizzare un simile progetto. Le caratteristiche del rivellino locarnese presuppongono la conoscenza aggiornata degli ultimi sviluppi dell'artiglieria d'assedio e delle relative contromisure architettoniche per farvi fronte, mutuate dai disegni del collega Francesco di Giorgio Martini. Anche se dall'analisi dei codici vinciani si deduce la conoscenza del "Trattato di architettura militare e civile" del Martini, è anche vero che l'opera era nota pure all'Amadeo con cui il celebre costruttore di fortezze ebbe modo di collaborare a Pavia e Milano a più riprese. Anzi nella biblioteca leonardesca s'è ritrovato un testo d'architettura prestatogli proprio dall'architetto milanese più ricco ed affermato: l'Amadeo.

Per suffragare l'attribuzione leonardesca s'è invocata la committenza dell'opera, da ascrivere al governatore di Milano, il maresciallo francese Charles II d'Amboise, che, guarda caso, proprio in quel torno di tempo, affida all'Amadeo (e non a Leonardo) l'erezione del santuario milanese di Santa Maria alla Fontana (per anni erroneamente attribuita a Leonardo, come si dirà più avanti) e decide di commissionare il proprio ritratto ad Andrea Solari da Carona, parente dell'Amadeo. Va poi aggiunto che il Nostro era conosciuto dai conti Rusca di Locarno sia per aver peritato il "monumento funebre" della beata Beatrice Casati-Rusca, moglie del conte Franchino Rusca, morta a Milano nel (1490), sia perché Loterio Rusca aveva sposato Eleonora Correggio, abbiatica di Bartolomeo Colleoni: tutti personaggi ed ambienti ben collegati con le attività del nostro scultore ed architetto.

Marino Viganò, ad ulteriore riprova, cita poi il leonardista Edmondo Solmi che, basandosi su un documento d'inizio Novecento, poi andato perso, scrisse: "Leonardo rivede Pavia nel 1497 durante una gita a Genova. Nel 1506 soltanto vi può poscia ritornare in occasione di visitarvi i nuovi baluardi che i Francesi, per ordine di Carlo d'Amboise, signore di Chaumont e protettore del Vinci, vi stavano erigendo per ricostruire le fortezze danneggiate dalle guerre recenti". Da lì ad arguire la paternità delle opere al Toscano ce ne corre!, il testo dimostra solo che le opere erano già costruite o in costruzione e comunque progettate da altri!

D'altro canto è pur vero che su commissione del re di Francia, Leonardo nel suo Codice Atlantico (f. 117 r) ci ha lasciato lo studio della trasformazione della rocca di Bajedo in Valsassina con apprestamenti (tra cui un rivellino) atti a consentire che li provisionati possino essere battuti dal castellano. Essa fu poi rasa al suolo col consenso del maresciallo Gian Giacomo Trivulzio, governatore di Milano, essendo diventata arnese di oppressione contro i valsassinesi che invece occorreva ingraziarsi come alleati contro le mire espansionistiche della Repubblica di Venezia, tuttavia l'imponenza delle sue fondamenta sono ancor oggi ben visibili .

Proprio tenendo conto dei documenti, degli indizi e della cerchia di personaggi evocati da Viganò, valido storico, esperto di architettura militare, grazie allo studio sull'ingegnere morcotese Francesco Paleari detto il Fratino, mi parrebbe più sostenibile un'ipotesi attributiva orientata verso il luganese Amadeo. Certo sarebbe augurabile, come dice il prof. Carlo Pedretti, direttore dell'"Armand Hammer Center for Leonardo da Vinci Studies" dell'Università della California a Los Angeles, che un bravo e fortunato archivista alla Sironi scopri quella fatidica strisciolina di carta che fughi ogni dubbio.

[modifica] Dai chiostri di S. Ambrogio al compimento del tiburio del Duomo

veduta del Duomo di Milano con in evidenza il tiburio
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veduta del Duomo di Milano con in evidenza il tiburio

Nel (1497) Donato Bramante progetta i quattro chiostri della riedificazione dell'ex monastero cistercense di Sant'Ambrogio, ma alla caduta del Moro nel (1499) abbandona Milano per recarsi a Roma, per cui la realizzazione dell'opera viene assegnata al Nostro con la collaborazione di Bartolino da Rosate, Paolino Cenderano e di Cristoforo Solari detto il Gobbo (autore in Santa Maria delle Grazie del "monumento tombale a Beatrice d'Este e a Lodovico il Moro", poi traslato alla Certosa di Pavia). Quanto spetti al primo progettista o all'Amadeo è oggetto di controversia tra gli specialisti, tuttavia le incontestabili capacità e la personalità artistica non lo potevano certo relegare al livello di un semplice esecutore di progetti altrui, poiché i documenti comprovano semmai la sua caparbietà nel procedere, sui principali cantieri a noi noti, seguendo i dettami della tradizione solariana, arricchiti da una particolare cultura umanistica sempre aggiornata da un suo innato eclettismo, anch'esso abbastanza tradizionale nelle maestranze originarie della zona dei laghi lombardi. Nello stesso anno a Pavia, per il primo ordine della facciata della Certosa, esegue "quattro bifore a candelabro". Il (26 aprile) (1498) alla Certosa l'Amadeo e il nipote Antonio della Porta affidano la stima delle loro sculture marmoree da loro eseguite per la facciata della chiesa al priore e ad alcuni monaci della Certosa, tra cui il frate e chierico Giovan Pietro Piatti , ma già l'anno dopo l'Amadeo rinuncia ad occuparsi come scultore ed architetto della facciata, percependo dai frati una liquidazione di 400 lire, però rimane al loro servizio come ingegnere consulente per un compenso di 4 fiorini al mese.

Dopo la morte della prima moglie Maddalena Solari (madre di Francesco, Baldassarre e Ludovica), si risposa nel (1500) con Zaccarina da Sesto, vedova dell'orefice Giovan Antonio de Niguarda (omonimo, e forse nonno, del pittore cui viene attribuita la "Dormitio Virginis" dipinta sotto il Tramezzo della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Bellinzona). Si noti che uno dei principali collaboratori del Nostro sul cantiere della Certosa è lo scultore Giovan Stefano da Sesto (autore della statue di S. Pietro e di S. Paolo nei primi salienti del portale maggiore della Certosa di Pavia, le statue dell'Assunzione della Vergine ai lati dell'altar maggiore, e il pergamo del Refettorio)! Dei figli avuti nel precedente matrimonio si sa che Francesco muore ancor giovane, Ludovica entra in convento e Baldassarre, avviato agli studi di medicina nell'ateneo pavese (a norma degli statuti occorreva la patente di nobiltà), verrà ferito a morte in un litigio da un compagno di studi: una sorte tragica che oltretutto priverà il Nostro dell'unico erede diretto.

Particolarmente ricca di soddisfazioni è la giornata del 24 settembre (1500) in cui porta a termine il tiburio del Duomo di Milano. Non bisogna dimenticare l'intenso e travagliato dibattito sulle modalità da adottare che avevano avuto solo l'effetto di ritardare l'inizio dei lavori fino al (10 luglio) (1497) quando i deputati del Duomo, vista l'urgenza dei lavori al tiburio, ordinano che siano assunti per quei lavori tanti 'lapicidi' quanti ne siano allontanati senza licenza. Vogliono anche che a sceglierli provveda l'Amadeo, che non sembra desiderare altro che porre finalmente fine alla costruzione del tiburio. Ancora il (20 giugno) (1498) i deputati del Duomo, desiderando ardentemente di porre termine al tiburio della chiesa al più presto possibile, e vedendo che mancano gli archi necessari per le finestre, decidono di affidarne l'esecuzione a Pietro Nostrani e all'Amadeo . Infatti il (26 ottobre) (1499) i deputati del Duomo pagano all'Amadeo 392 lire per sette archetti da lui scolpiti a sue spese per le finestre del tiburio e collaudati dal Dolcebuono. Tuttavia i deputati della fabbrica erano sempre ossessionati dall'idea che l'enorme peso del tiburio gravante sui piloni minacciasse rovina, perciò il (19 aprile (1501) incaricano l'Amadeo di recarsi nei dintorni di Bergamo e della Valcamonica per una provvista di ferro per forgiare degli stangoni di rinforzo; il (3 giugno) (1501) i deputati della Fabbrica approvano l'operato dell'Amadeo per la provvista del ferro comprato da Betinono di Bornio in Valcamonica per 200 lire imperiali, e gli versano un compenso di 9 lire imperiali .

In questo torno di tempo a Cremona si stava trasformando in senso rinascimentale la facciata del Duomo e il luogotenente ducale richiede al segretario ducale la presenza dell'Amadeo e di Cristoforo Solari detto il Gobbo, ma il Calco gli risponde che non li può mandare prima delle feste di Natale . A conferma dei suoi oculati investimenti nell'acquisto e nell'affitto di terreni agricoli, v'è la nota del 3 settembre 1500 in cui la Fabbrica del Duomo si dichiara disposta ad accettare fino a 200 brente di vino dell'Amadeo, purché di buona qualità; il (30 aprile) (1501) i deputati del Duomo gli accreditano 31 lire e un soldo e il (25 agosto) 60 lire 9 soldi otto denari per vino venduto alla Fabbrica del Duomo nel (1501), più due pagamenti, di 94 lire e 4 soldi e di 17 lire e 12 soldi, per il vino fornito l'anno precedente; il (15 novembre) (1502) gli versano 77 lire imperiali per la fornitura di vino del mese di ottobre; (17 settembre) (1504) è calcolato un credito di 70 lire per il vino venduto alla fabbrica; il ([[18 giugno[[) (1505) il credito riconosciuto per il vino fornito è di 71 lire; il (14 agosto) sono calcolati a credito 103 lire e 16 soldi; l'11 ottobre la Fabbrica gli accredita 140 lire; altri pagamenti sono del (25 ottobre) (1507).

Nella città di Pavia la chiesa di Santa Maria di Canepanova è il più rilevante monumento cinquecentesco. La chiesa fu eseguita dal (1500) al (1507) dal Nostro all'apice della sua fama per aver compiuto l'ardua impresa di erigere il tiburio del Duomo di Milano e quindi essere stato invitato dal cardinale Ascanio Sforza, fratello di Ludovico il Moro, a dirigere la costruzione del Duomo di Pavia. In questa opera pavese egli riprende il suo stile costruttivo "ad quadratum" derivante dal suo maestro Guiniforte Solari, già utilizzato tra il 1470) e il (1476) per realizzare la famosa Cappella Colleoni a Bergamo: si tratta di un volume cubico impostato sul quadrato, su cui poggiano un tiburio ottagonale e quattro piccoli campanili. All'effetto di compattezza prodotto dall'apparato esterno quasi completamente privo di aperture e di decorazioni, fa da contrappunto la movimentata disposizione dell'interno. Lo spazio a pianta centrale è generato dagli otto lati della cupola proiettati entro il perimetro quadrato della chiesa; la figura così inscritta crea una successione di nicchie sostenute da un arcone per ciascuna delle facce dell'ottagono. A pochi passi, al n. 4 di via Mentana, il "palazzo del Maino" conserva "il portale" e ambienti rinascimentali molto vicini all'arte amadeesca.

Prima dell'agosto (1501) termina le Figure in rilievo di scene della storia dei Certosini e della vita di S. Brunone per il portale maggiore della Certosa di Pavia, da lui disegnato ed eseguito in concorso con Benedetto Briosco.

Il documento del (27 novembre) (1501) lascia intendere che l'Amadeo e l'ingegnere del comune di Milano Ambrogio Della Valle, chiamati a stimare i lavori fatti nel Palazzo Arcivescovile di Milano dagli impresari Antonio da Cannero e Antonio da Rosate, siano responsabili del progetto. Il (3 marzo) (1502) con Lazzaro Palazzi, Ambrogio della Valle e Maffiolo Giussani diventa ingegnere idraulico e procede alla misura dell'altezza dell'acqua del Naviglio Grande, che esce dal fiume Ticino, in vari punti del suo corso, e alla stima dei lavori necessari per meglio renderlo navigabile; il (2 settembre)(1503) la Fabbrica del Duomo invia l'Amadeo e il Dolcebuono a prendere informazioni sul naviglio della Martesana; il (13 maggio) (1504) per ordine dei deputati del Duomo si reca a Gudo col Dolcebuono per esaminare l'argine d'una roggia, la cui rottura ha provocato gravissimi danni alla possessione della Fabbrica, e a determinarne a chi spetti la spesa del riassetto.

Come architetto capo del Duomo di Milano nel (1503) fornisce il modello della porta verso Compito (Compedum); il (22 giugno) i deputati del Duomo decidono di convocare un buon numero di cittadini autorevoli di Milano, intenditori d'arte, per la scelta di un modello in legno fra quelli approntati; il (7 agosto) (1503) i fabbricieri del Duomo premiano il modello della porta verso Compedo fornito in collaborazione col Dolcebuono. Instancabile, prepara i progetti per la "guglia maggiore" e dà avvio alla sua costruzione, malgrado le opinioni contrarie di alcuni detrattori che alla fine avranno l'effetto di interrompere i lavori; è significativo che fosse il primo a concepire in termini concreti la sua realizzazione, anticipandone gli studi e le premesse. Molti deputati della fabbrica continuavano a sostenere che la cupola non era solida e proponevano addirittura che fosse demolita; gli amministratori ne discutono e affidano la decisione a Bernardino Zenale di 83 anni!

Alla fine la responsabilità del cantiere viene assegnata a Cristoforo Solari detto il Gobbo, collaboratore del Nostro, ma ciò costituiva un immeritato gesto di sfiducia per chi aveva realizzato un'opera che sfidava le leggi della staticità, seguendo gli arditi indirizzi concepiti dal suo maestro Guiniforte e contrastando i pareri di Bramante espressi nella sua "Bramanti Opinio".

[modifica] Il tiburio del Santuario di Saronno e altri numerosi incarichi

Costruita tra il (1504) e il (1513) la basilica di San Magno a Legnano presenta gli stessi elementi architettonici riscontrabili a Saronno, Qui infatti i deputati del locale Santuario di Santa Maria dei Miracoli il 10 marzo (1505) lo incaricano di progettarne il tiburio: il contratto prevede che il lapicida Beltramo fu Giovanni Bregno da Osteno, abitante a Saltrio fornisca le pietre della locale cava, da consegnare a Castelseprio; il campanile, prototipo per le realizzazioni successive non solo nell'ambito milanese, è eretto fra il (1511) e il (1516) da Paolo della Porta da Osteno.

Il tiburio presenta esteriormente 24 eleganti finestre, determinate da 12 bifore corrispondenti al tamburo dodecagonale che copre una cupola di 8 lati generati dall'inserimento di 4 spicchi angolari su un alzato fondato su 4 piloni d'angolo, secondo il tradizionale schema costruttivo ad quadratum già messo alla prova in tanti cantieri solariani, secondo una semplice formula aritmetica: 4+8+12 = 24. Il tutto configura una specie di quadratura del cerchio, dal vertice alla base, dall'alto verso il basso, dal Cielo alla Terra.

In questo periodo sono numerose le sue trasferte a Candoglia per sorvegliare i lavori nelle locali cave di marmo, ne progetta i miglioramenti e organizza il trasporto dei carichi sia sul Verbano che sul Naviglio Grande fino al "laghetto di S. Stefano" presso il cantiere del Duomo di Milano. Di questo anno nella cripta del Duomo di Cremona, è "l'Arca dei SS. Marcellino e Pietro" ornata del suo bassorilievo con "il Cristo risorto". La Fabbrica di Santa Maria presso S. Celso il 14 giugno (1505) paga a lui e a Cristoforo Solari (il Gobbo) il dovuto compenso per l'esecuzione del modello ligneo della chiesa. Nel (1507) è riconosciuto creditore per lavori da lui eseguiti come ingegnere nella fabbrica di [[Santa Maria di Canepanova]] a Pavia, iniziati nel (1500) quando Bramante era già a Roma.

Il (17 luglio) (1507) figura come teste nei contratti degli scultori Nicolao Marzorati (da Albogasio?), di Pietro Dunesi, Battista Anon e Sebastiano Castelli (da Melide?) operanti sul cantiere del Duomo di Pavia fornisce i modelli per i "due sepolcri in marmo per Giovan Matteo Bottigella e Bianca Visconti", come appare dal lascito di 1200 lire di Filippo Bottigella ai frati della chiesa di S. Tommaso di Pavia e progetta e dirige l'edificazione di Palazzo Bottigella: la bella facciata è scandita da fregi, lesene e candelabre in cotto. Nell'ex monastero di Santa Maria Teodote, oggi Seminario vescovile, il bel "colonnato del chiostro" reca sue decorazioni in cotto, (da notare il bel portale decorato nell'angolo SO); sul lato Est si apre il pregevole oratorio di San Salvatore, ovviamente già attribuito al Bramante, ma che alla luce dell'intensa attività pavese del nostro, appare sempre di più un mirabile esempio dell'evoluzione della sua arte.

In merito al "santuario di Santa Maria alla Fontana" (precedentemente e a lungo attribuito a Leonardo), l'archivista Grazioso Sironi nel 1982 ha pubblicato il contratto del (17 marzo) (1508) da lui ritrovato dove il Nostro appare come il vero progettista ed esecutore: un esempio lampante di come generazioni di studiosi si siano lasciati sedurre dai nomi altisonanti di Leonardo e di Bramante per sostenere attribuzioni sovente approssimative, ma molto appaganti per la loro "vendibilità".

Ricco d'informazioni in merito è l'articolo di G. B. Sannazzaro ove tra l'altro si precisa che "Come confermava il Cesariano (1521), insieme alla Ca' Granda e al Lazzaretto, S. Maria alla Fontana era uno dei tre capisaldi su cui si articolava la struttura sanitaria della città. Al governatore di Milano, Charles II d'Amboise, la tradizione riferisce la fondazione di S. Maria alla Fontana dove potevano essere trasportai "li richi che forse de ogni negritudine vorano essere curati". Nella planimetria, infatti, è stata anche individuata un'applicazione in scala ridotta, dello schema che, sotto certi aspetti, appare effettivamente alla Ca' Granda: la disposizione aperta del sacello su tre quadrati sarebbe stata studiata per consentire ai malati di assistere alla celebrazione dei sacramenti, vicino alla fonte, origine prima di tutto il santuario. […] Anche questi legami stanno a confermare le affinità più volte rilevate fra l'Amadeo e il Filarete, che si possono ugualmente estendere al disegno planimetrico, nel Trattato filaretiano (1461-1464), dell'Archidomus, o collegio per i putti.

Se è stata riscontrata la presenza della proporzione aurea, ma limitatamente nelle specchiature della parte alta del sacello, l'intera planimetria è idealmente condotta sulla relazione canonica di 1:2. Gli studiosi vi hanno infatti sottolineata l'applicazione delle allora dibattute proposte ad quadratum, nonché dei loro riflessi metafisici, sia nello schema planimetrico che di alzato, dove il quadrato e il cerchio sembrano avere significati religiosi e cosmici. Anche in S. Maria alla Fontana appare quello stretto rapporto fra l'impianto centrale e la dedicazione alla Madonna comune a molte chiese rinascimentali, e importante ne appare la disposizione a dodici lati della volta del sacello: questo dato riconduce alla teoria dei poliedri del Pacioli e ai significati simbolici del 12 nelle interpretazioni neoplatoniche cristianizzate, non esclusi i dibattiti relativi alla Gerusalemme celeste.

Questa applicazione di principi intellettuali trova conferma anche in altre due cupole dodecagonali per chiese ugualmente dedica te alla Madonna miracolosa: i santuari di S. Maria dei Miracoli a Saronno (della cui cupola l'Amadeo presentò i disegni di progetto nel 1505) e, anche in S. Maria dei Miracoli presso S. Celso a Milano, per la quale l'Amadeo ne aveva procurato un modello (1494), nonché, più tardi (1498), colonne e capitelli per il tiburio. Dal momento che nel 1492 aveva lavorato anche alla tribuna di S. Maria delle Grazie, non è casuale che nel sacello di S. Maria alla Fontana riappaia simile misura di base della cappella del coro" .

Sono stati citati quali possibili modelli di riferimento: il Canopo e il criptoportico della Villa Adriana a Tivoli, il ninfeo degli Orti sallustiani, il cortile del romano Palazzo della Cancelleria di Baccio Pontelli, e a Milano la Canonica di S. Ambrogio, il chiostro di S. Pietro in Gessate, i chiostri di S. Ambrogio, la facciata di S. Maurizio al Monastero Maggiore, il fianco di S. Maria presso S. Celso, la facciata della chiesa di Castelnovo dei Fogliani: insomma una solida tecnica costruttiva lombarda aggiornata su modelli romani forse mediati da Cristoforo Solari.

In esecuzione di un patto contenuto nel documento del (17 marzo) (1508), gli impresari della chiesa eleggono un arbitro che, insieme all'Amadeo, dovrà decidere sulle eventuali controversie tra loro e i deputati alla costruzione

Il (15 gennaio) (1508) presenta il nuovo modello della cupola del tiburio del Duomo di Milano, culminante con la guglia superiore, terminandone, con la collaborazione di Andrea Fusina e di Cristoforo Solari, una delle basi ottagonali, ossia il "gugliotto" detto poi "dell'Amadeo". Nel merito Marco Rossi nel (1993) esprimeva il seguente giudizio: "Solo negli ultimi tempi (1989) gli studi sul tiburio hanno offerto nuovi e ampi materiali d'indagine, ma ancora una volta sfiorando, nella maggior parte dei casi, l'Amadeo e concentrandosi su Bramante, Leonardo e Francesco di Giorgio. L'apice della sfortuna critica penso comunque sia tuttora mantenuto dal gugliotto che, attraverso una straordinaria transenna riccamente decorata, fungeva anche da scala per il tiburio; si tratta di un'importante testimonianza di architettura gotica del primo Cinquecento e – allo stesso tempo – della contaminazione (o meglio rinnovamento) di essa con motivi ormai rinascimentali" . E, scorrendo la letteratura, cita Ferrari da Passano e Brivio che vedono "un inno all'Incarnazione" nelle transenna e il "trionfo dell'Eucaristia" nella cuspide del gugliotto.

Nel documento del (9 febbraio) (1506) l'Amadeo, architetto del Duomo dal (1490), custodiva "metrum, architecturam, secreta et ingenium fabrice mediolanensis cathedralis" e questo spiega come abbia sempre progettato sia transenna che gugliotto tenendo ben ferme le indicazioni del primitivo progetto di Giovannino de' Grassi, utilizzando i solidi dettami sanciti da Matthäus Roritzer risalenti all'arte edificatoria del tardo-gotico. Da qui nasce il contrasto con Cristoforo Solari e Andrea Fusina che nel (1508) criticarono il suo progetto per la guglia maggiore poiché ancor troppo fedele a canoni tardogotici . Comunque i caratteri rinascimentali appaiono nella decorazione esterna avvolgente che sale a spirale che scandisce l'effetto ascensionale del gugliotto, nell'uso di marmi policromi (rosso d'Arzo e nero d'Oira) nella transenna e nel primo ordine oltre la loggetta, che si richiamano a suggestioni venete e al gusto per il colore già presente nella facciata della Cappella Colleoni, e nell'insieme della statuaria, incentrata sui temi dell'Incarnazione e della Passione.

Quasi sicuramente autografi sono i putti della transenna che richiamano quelli della cappella Colleoni, della Certosa e dei fianchi del Duomo milanese, reggenti i piedestalli delle statue. A ricordo perenne di questa sua opera non so se più grande, ma certo più sofferta, rimane il tondo con il suo ritratto, posto all'ingresso della loggetta superiore del gugliotto che, insieme all'iscrizione in lettere capitali "IO ANTONIUS HOMODEUS VENER(AND)E FABRICE MEDIOLANI ARCHITECTUS", attesta la grande dignità conferita all'architetto, nuovo umanista; sul retro è rappresentata la "Madonna col Bambino e S. Giovannino" (calco al Museo del Duomo).

Non va dimenticato che tiburio e gugliotto obbediscono ad una precisa prospettiva teologica già indicata nella seduta della Fabbrica del (25 gennaio) ([[1400]¨) ("quasi per istum exemplum in paradixo Dominus Deus sedet in medio troni, circha tronum sunt quatuor evangelistae secundum Apocalissim") per cui il gugliotto è il simbolo di un evangelista che, insieme ad Apostoli, Santi, Profeti e Sibille farebbe da mediatore fra storia terrena e storia celeste. La genialità della soluzione architettonica sta "sia nella definizione ottagonale della pianta - secondo una costruzione sul quadrato adottata anche per il tiburio – sia nella proporzione "ad figuram" dell'alzato sulla base di un rapporto di 1:6 con la pianta; va pure osservata la fedeltà al sistema basato sul modulo di 12 braccia, ripreso nella cupola del tiburio (24 braccia) e nel gugliotto (circa 30 braccia), entrambi impostati ad un'altezza di 84 braccia" (Marco Rossi).

Sollecitato dal committente, Pietro Pallavicino da Scipione, commendatario dell'Abbazia di San Lanfranco di Pavia, promette di terminare l'Arca di San Lanfranco entro luglio: l'opera con la sua composizione unitaria e il dolce modellato delle figure costituisce un esempio dell'evoluzione stilistica compiuta nell'arco di tempo – 27 anni - che la separa dal "Sant'Imerio", qui gli influssi dell'arte di Leonardo e del Borgognone sono palesi. Si tratta di una raffinata struttura rinascimentale, momento avanzato di un'evoluzione tipologica che trae origine da modelli quali l'arca di S. Pietro Martire di Giovanni di Balduccio, la tomba di Giovanni e Vitaliano Borromeo, quella di Camillo Borromeo, i monumenti funerari Della Torre e Castiglioni in S. Maria delle Grazie , e Brivio in S. Eustorgio, terminato da Benedetto Briosco e Tommaso Cazzaniga (ma nel contratto fra il committente e gli scultori si fa anche il nome dell'Amadeo).

Giunto ormai alla veneranda età di 61 anni, talvolta palesa eccessiva insofferenza alle novità stilistiche che più si manifestano allo scorcio del nuovo secolo e alle critiche di chi lo ritiene troppo ancorato alle tradizioni architettoniche della passata generazione; bisogna pur ricordare il suo continuo aggiornamento sul gusto nuovo di rappresentare l'uomo, le sue opere, gli eventi, il paesaggio, tuttavia tutto questo sforzo era purtroppo confinato nell'ormai ristretto ambito milanese o lombardo. Per essere al passo con i tempi nuovi, occorreva un soggiorno di studi a Roma, a Venezia e a Firenze, e questo non rientrava più nelle sue possibilità. Quindi era fatale che nascessero non pochi attriti con gli ingegneri del Duomo formatisi in quelle capitali, e allora si comprende perché il 3 aprile 1508 l'Amadeo e il Gobbo, che per qualche tempo si sono trovati in discordia, si stringono le mani davanti ai deputati del Duomo di Milano e promettono che fra loro non ci sarà più discordia soprattutto per quanto concerne il bene della Fabbrica del Duomo.

Nello stesso anno costituisce una società per lo sfruttamento di un monte di marmo bianco da lui scoperto; suoi soci sono: Benedetto Briosco e Giovan Angelo Marinoni; ogni socio deve investire una somma di 50 ducati d'oro ed impegnarsi a dividersi equamente l'utile o l'eventuale perdita . Ciò non gli impedisce di continuare la sua attività di architetto a Milano, progettando e occupandosi della costruzione di un nuovo edificio nella Canonica del Duomo e il (14 agosto) i deputati della fabbrica lo incaricano di misurare e valutare i lavori eseguiti dall'affittuario nella tenuta di Palazzolo di proprietà della Fabbrica, lo stesso incarico si ripete il 6 novembre per la tenuta di Corsico. Occorre tener presente che questo è solo un pallido esempio delle attività straordinarie, poiché quelle ordinarie connesse al cantiere del Duomo (trasferte 'a cavallo' alle cave di Candoglia, ispezioni delle entrate e costruzione delle rampe, stime del marmo, stime delle opere, salari da corrispondere, assunzioni, arbitraggi, acquisti per i ponteggi, collaudi, perizie, contratti, ecc…) sono talmente numerose che qui non possono essere compiutamente elencate. Se poi aggiungiamo le incombenze derivanti dalle sue proprietà immobiliari (case acquistate o cedute in affitto , tenute agricole produttrici di vino , riso, cereali vari, bestiame), v'è proprio da domandarsi dove poteva trovare ancora le necessarie energie per dirigere un cantiere così impegnativo come quello del Duomo .

Ma i deputati di quella Fabbrica lo sollecitano a preparare un modello per il coro e il (12 marzo) (1509) ordinano che sia eseguito in conformità e come se non bastasse, il (14 giugno) (1509) decidono di organizzare i festeggiamenti in occasione della venuta a Milano del re di Francia Luigi XII dopo la sua vittoria contro i Veneziani, e gli affidano la preparazione di trionfi .

Il vescovo di Como, il governatore Gruerio, i Canonici del capitolo i Presidenti di provvisione e molti altri cittadini il (4 aprile) (1510) sul luogo stesso dove sarà fondata la cappella maggiore del Duomo, richiedono la sua consulenza per decidere in merito secondo l'ultimo modello depositato nella bottega del suo allievo Tommaso Rodari da Maroggia. In quell'occasione, con ogni probabilità, gli fu commissionata la statua in marmo della "Vergine col Bambino" che attualmente troneggia al centro dell'altare dell'Assunta – progettato intorno al 1640 da Francesco Richino - nel transetto destro del Duomo di Como: la finezza del modellato, la studiata ricerca espressiva del volto della Vergine, una più morbida trattazione del panneggio rispetto ai modelli del Mantegazza attestano con sufficiente evidenza la sua cifra stilistica.

A Milano il (21 ottobre) (1510), dopo un anno e mezzo dal conferimento dell'opera, i deputati indicono una riunione alla 'cassina' per valutare l'esecuzione degli stalli del coro del Duomo di Milano; sono presenti: l'Amadeo, il Fusina, Cristoforo Solari e Leonardo 'fiorentino'. Il 22 e (23 maggio) (1511) riceve i pagamenti per i casamenti da lui progettati a Mergozzo (presso le locali cave di marmo) per ordine della Fabbrica del Duomo. In collaborazione col cognato Lazzaro Palazzi mette mano all'edificazione del "Lazzaretto" di Milano, reso celebre dalle pagine manzoniane dei "Promessi Sposi".

Dal (1511) al (1513) realizza il "coronamento della chiesa della SS. Incoronata a Lodi": chiesa iniziata dal Battagio, edificata successivamente in collaborazione col Dolcebuono (anch'egli prematuramente morto nel 1506): il campaniletto disegnato dal Dolcebuono è costruito nel (1503) da Lorenzo Maggi.

A Castelleone il "Santuario della Madonna della Misericordia", eretto dal (1513) al (1516) da Agostino de' Fondulis presenta forme rinascimentali, con il tiburio di chiara ispirazione amadeesca.

[modifica] Gli anni del crepuscolo e di un controverso capolavoro luganese

Rimasto privo di eredi diretti, nel (1514) dispone che le sue terre di Giovenzano passino alla fabbrica del Duomo di Milano, disponendo che parte delle entrate servano a costituire delle doti per le figlie degli scultori poveri e per creare una scuola di disegno nella sua casa in Camposanto (dietro l'abside del Duomo).

Al fine di assegnare finalmente una attribuzione più che probabile, considerate le sue origini famigliari, vista la sua generale notorietà non solo a Milano, ma anche a Como per i pareri dati per la costruzione dei fianchi e delle tribune rinascimentali del Duomo, per la presenza a Lugano dell'oratorio rinascimentale di S. Antonio da Padova, ora traslato pietra su pietra a Brugherio di Monza, posto a lato dell'antica chiesa conventuale di S. Francesco in via Canova (ora demolita), appare del tutto verosimile che nel (1516)) venga incaricato della progettazione (anche in collaborazione con Cristoforo Solari) della nuova "facciata rinascimentale della collegiata di S. Lorenzo di Lugano" che nelle proporzioni riecheggia quella del Duomo di Pavia e quella di S. Maria alla Fontana e, nella sua giustamente rinomata decorazione scultorea, i chiostri alla Ca' Granda di Milano o i medaglioni del fregio della sacristia di S. Maria presso S. Satiro.

Le sue documentate relazioni del 1518 con cittadini luganesi, oltre ai già citati rapporti famigliari e di consorteria, durati tutta una vita, con numerosi artisti "laghisti" suffragano questa ipotesi; ad esempio: il (19 luglio) (1518) dà in affitto la sua casa in parrocchia di S. Babila a Giovanni Marco fu Pietro da Lugano, mastro da muro, e il (12 novembre) gli paga 44 lire per lavori di miglioria eseguiti in quella dimora.

La facciata rinascimentale è stata giudicata da alcuni critici troppo lontana dal facile (presunto) decorativismo del Nostro, quasi che il suo stile fosse sempre rimasto fermo agli esiti della Cappella Colleoni del (1476)! Altri invece la attribuiscono ai fratelli Rodari, a Giovan Gaspare Pedoni, a Cristoforo Solari o persino a Leonardo; credo invece di poterla interpretare come un mirabile punto d'arrivo di una continua evoluzione stilistica, arricchita da fecondi contatti con una committenza nobile milanese perfettamente aggiornata dalla cultura umanistica ampiamente condivisa anche dal clero: essa ha i caratteri di una sublime applicazione degli studi del Nostro sulla sezione aurea, - grazie alla frequentazione del grande matematico fra' Luca Pacioli residente a Milano - sfociata nella progettazione delle giuste partizioni architettoniche, già posta in opera col suo maestro Boniforte nelle absidi e nel tiburio della Certosa di Pavia, poi nei loggiati dei cortili della Ca' Granda a Milano, nei fianchi e nelle tribune del nuovo Duomo di Como.

Per risalire ai probabili modelli di questa luganese "facciata a vento" si è voluto evocare quelle del "San Bernardino" o quella di "Santa Maria di Collemaggio", entrambe all'Aquila, o altre di chiese abruzzesi o marchigiane, dimenticando che una tale tipologia di facciata è un tipico portato dell'architettura religiosa lombarda del Trecento, già visibile nel "San Francesco" a Lodi e nel San Bassiano a Lodi Vecchio. Ovviamente in più di un secolo, la trasformazione del gusto, la riscoperta della classicità romana ha fatto la differenza.

La semplicità dell'impianto, la vigorosa plasticità dei profeti e delle sibille, il programma iconografico dei fregi dei portali, tutto lascia intendere un nuovo modo di concepire la funzione dell'arte proprio di un architetto ispirato dalle vette raggiunte dall'inventiva di Leonardo; purtroppo però, a detta dei critici del passato, il Nostro a Milano non ebbe alcun contatto col grande Maestro! Quanto tale affermazione sia ingannevole l'han dimostrato gli studi più aggiornati quali quelli di Schofield, Shell, Sironi, Spiriti, Patetta, Castelfranchi, Morscheck, Covini, et alii. La vicenda dell'errata attribuzione di Santa Maria alla Fontana ne fa fede.

Diamo la parola al Karpowicz: "[...] il portale della sacrestia della Certosa di Pavia, opera di Amadeo, ma con la partecipazione del Briosco, a noi già noto, e di Alberto Maffioli, eretto negli anni 1478-1498. Presenta quattro medaglioni con ritratti di profilo nella parte della travatura. Fu indubbiamente il prototipo del portale della cattedrale di Lugano" e lo fu anche per il "portale con medaglioni" di Brzeg in Polonia. La nomina di Cristoforo Solari ad architetto capo della Fabbrica del Duomo di Milano, avvenuta il (7 novembre) (1519), lo pone immeritatamente ormai in secondo piano e la sua opera ne sarà fortemente condizionata e ridotta: ne rimase profondamente accorato.

Realizzato il tiburio del Duomo di Milano, a lui dobbiamo ancora il gugliotto di Nord-Est, che porta il suo nome, il secondo in ordine di tempo dopo il gugliotto Carelli, dove ritorna anche sommo scultore come agli inizi, scolpendovi alla base una delicata "Natività". A ricordo perenne di questa sua opera non so se più grande, ma certo più sofferta, vicino alla base del suo gugliotto, alla base della guglia maggiore che sorregge al sommo la Madonnina, è stato collocato un medaglione in bassorilievo con la sua effigie sul recto, e una Madonna col Bambino sul verso (calco al Museo del Duomo).

Il (20 maggio) (1520) fa testamento: i suoi averi passano in eredità a Giovan Maria de Amadeo fu Giovan Antonio, nobile di Milano, e consigliere della Fabbrica del Duomo, suo parente più stretto dopo la premorienza dei due figli maschi: il pittore Protasio e il più giovane, Baldassarre, che, come già detto, a soli 21 anni era spirato a Pavia, ucciso da un compagno di studi il 10 luglio (1511): il Nostro troverà la forza d'animo di concedere il perdono all'uccisore.

Muore a Milano il (28 agosto) (1522). Il necrologio porta l'indicazione: 1522 die XXVIII aug. Jo. Antonius Homodeus Venerande fabrice msi. architectus.

[modifica] Opere principali

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