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Autovettore e autovalore - Wikipedia

Autovettore e autovalore

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

In algebra lineare, un autovettore di una trasformazione lineare è un vettore non nullo che non cambia direzione nella trasformazione. Il vettore può cambiare quindi solo per moltiplicazione di uno scalare, chiamato autovalore. L' autospazio è il sottospazio formato da tutti gli autovettori aventi un fissato autovalore, più l'origine. Un esempio è mostrato in Fig.1.

Fig. 1. In questa trasformazione lineare della  Gioconda, l'immagine è modificata ma l'asse centrale verticale rimane fisso. Il vettore blu ha cambiato direzione, mentre quello rosso no. Quindi il vettore rosso è un autovettore della trasformazione e quello blu no. Inoltre, poiché il vettore rosso non è stato né allungato, né compresso, né ribaltato, il suo autovalore è 1. Tutti i vettori sull'asse verticale sono multipli scalari del vettore rosso, e sono tutti autovettori: assieme all'origine formano l'autospazio relativo all'autovalore 1.
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Fig. 1. In questa trasformazione lineare della Gioconda, l'immagine è modificata ma l'asse centrale verticale rimane fisso. Il vettore blu ha cambiato direzione, mentre quello rosso no. Quindi il vettore rosso è un autovettore della trasformazione e quello blu no. Inoltre, poiché il vettore rosso non è stato né allungato, né compresso, né ribaltato, il suo autovalore è 1. Tutti i vettori sull'asse verticale sono multipli scalari del vettore rosso, e sono tutti autovettori: assieme all'origine formano l'autospazio relativo all'autovalore 1.

In matematica, questi concetti fondamentali si applicano in algebra lineare, in analisi funzionale, in geometria. In molti contesti, questi hanno anche un significato fisico importante. In meccanica classica gli autovettori delle equazioni che descrivono un sistema fisico corrispondono spesso ai modi di vibrazione di un corpo e gli autovalori alle loro frequenze. In meccanica quantistica, gli operatori corrispondono a variabili osservabili, gli autovettori sono chiamati anche autostati e gli autovalori di un operatore rappresentano quei valori della variabile corrispondente che hanno probabilità non nulla di essere misurati.

Il termine autovettore è stato tradotto dalla parola tedesca eigenvector, coniata da Hilbert nel 1904. "Eigen" significa "proprio", "caratteristico".

Indice

[modifica] Esempi

Nel movimento di rotazione terrestre, tutti i vettori uscenti dal centro della terra ruotano, eccetto quelli che puntano verso i poli Nord e Sud. Quindi i vettori che puntano verso i poli sono autovettori. Poiché questi vettori mantengono non solo la stessa direzione, ma anche verso e lunghezza, il loro autovalore è 1.

Consideriamo una lastra di metallo che a causa di un riscaldamento si espande di un fattore 2 intorno ad un punto centrale fissato: in questa trasformazione tutti i vettori mantengono la stessa direzione e raddoppiano in lunghezza. Quindi sono tutti autovettori con autovalore 2.

Se passiamo con un mattarello su una base rotonda e piatta di pasta per la pizza, questa si allunga trasformandosi in un'ellisse. Consideriamo i vettori uscenti dal centro della forma rotonda, che supponiamo non si sia mosso. I vettori direzionati lungo il movimento del mattarello si sono allungati di un certo fattore k > 1: sono quindi autovettori con autovalore k. I vettori perpendicolari a questi, paralleli al mattarello, sono invece rimasti fermi: quindi sono autovettori con autovalore 1. Tutti gli altri vettori hanno ruotato, quindi non sono autovettori. In questo esempio ci sono quindi due autospazi: uno parallelo e l'altro perpendicolare al mattarello.

Fig. 2. Un'onda stazionaria in una corda fissata agli estremi è una autofunzione della trasformazione data dallo scorrere del tempo.
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Fig. 2. Un'onda stazionaria in una corda fissata agli estremi è una autofunzione della trasformazione data dallo scorrere del tempo.

Autovettori e autovalori sono definiti ed usati in fisica dentro a spazi più grandi e astratti di quello tridimensionale in cui viviamo, che possono avere dimensione maggiore di 3 o addirittura infinita! Possiamo studiare ad esempio lo spazio delle posizioni di una corda vibrante in una chitarra. Se consideriamo le trasformazioni della corda allo scorrere del tempo, i suoi autovettori (più precisamente, le sue autofunzioni) sono le onde stazionarie, che si ripetono come mostrato in Fig.2.

[modifica] Definizione

Dal punto di vista formale, autovettori e autovalori sono definiti come segue: sia V uno spazio vettoriale su un campo K, che può essere ad esempio il campo dei numeri reali R o complessi C. Sia T un endomorfismo di V, cioè una trasformazione lineare T: VV. Se \textstyle\vec{v} è un vettore non nullo in V mentre λ è uno scalare (che può essere nullo) tali che

T(\vec{v}) = \lambda \vec{v}\;

allora \textstyle\vec{v} è un autovettore della trasformazione T, e λ è il suo autovalore. Notiamo che se \vec{v} è un autovettore con autovalore λ, allora ogni multiplo non-nullo di \textstyle\vec{v} è un autovettore con lo stesso autovalore λ. Più in generale, gli autovettori aventi lo stesso fissato autovalore λ, insieme all'origine, formano un sottospazio di V chiamato l'autospazio relativo all'autovalore λ.

Lo spettro di T è l'insieme dei suoi autovalori.

[modifica] Esempi nel piano e nello spazio

Fra le trasformazioni del piano cartesiano R2 possiamo distinguere i seguenti casi speciali:

  • Rotazione antioraria di angolo θ: se θ è diverso da 0 e π non esiste nessun autovettore: infatti ogni vettore viene ruotato e cambia di direzione. I casi θ = 0 e π sono casi particolari, in cui ogni vettore sta fisso o è ribaltato: allora ogni vettore è autovettore, con autovalore rispettivamente 1 e -1.
  • Riflessione lungo una retta r passante per l'origine: i vettori in r restano fermi e sono quindi autovettori con autovalore 1, quelli della retta s perpendicolare a r e passante per l'origine vengono ribaltati, e quindi sono autovettori con autovalore -1. Non esistono altri autovettori.
  • Omotetia: ogni vettore viene moltiplicato per uno scalare λ e quindi tutti i vettori sono autovettori con autovalore λ.
  • Proiezione ortogonale su una retta r passante per l'origine: i vettori su r restano fermi e quindi sono autovettori con autovalore 1, i vettori sulla retta s ortogonale a r e passante per l'origine vanno tutti sull'origine e quindi sono autovettori con autovalore 0. Non ci sono altri autovettori.

Gli esempi appena elencati possono essere rappresentati rispettivamente dalle seguenti matrici (per semplicità, la retta r è l'asse orizzontale):

\begin{bmatrix}   \cos\theta & -\sin\theta \\   \sin\theta & \cos\theta \\  \end{bmatrix} \quad  \begin{bmatrix}   1 & 0 \\   0 & -1 \\  \end{bmatrix} \quad  \begin{bmatrix}   \lambda & 0 \\   0 & \lambda \\  \end{bmatrix} \quad  \begin{bmatrix}   1 & 0 \\   0 & 0 \\  \end{bmatrix}
  • Non tutte le trasformazioni del piano e dello spazio ricadono in uno degli esempi mostrati opra. In generale, un endomorfismo (cioè una trasformazione) di Rn è rappresentabile tramite una matrice quadrata con n righe. Consideriamo per esempio l'endomorfismo di R3 dato dalla matrice:

    A = \begin{bmatrix}   \; 0 & 1 &   -1 \\   \; 1 & 1 & \; 0 \\     -1 & 0 & \; 1  \end{bmatrix}.

    Usando la moltiplicazione fra matrice e vettore vediamo che:

    A \begin{bmatrix} \; 1 \\ \; 1 \\ -1 \end{bmatrix}  = \begin{bmatrix} \; 2 \\ \; 2 \\ -2 \end{bmatrix}  = 2 \begin{bmatrix} \; 1 \\ \; 1 \\ -1 \end{bmatrix}

    e quindi l'endomorfismo rappresentato da A ha un autovettore con autovalore 2.

[modifica] Il polinomio caratteristico

Per approfondire, vedi la voce polinomio caratteristico.

Un metodo generale per l'individuazione di autovalori e autovettori di un endomorfismo, nel caso in cui lo spazio vettoriale V abbia dimensione finita, è il seguente:

  1. Si costruisce una base per V, così da rappresentare l'endomorfismo tramite una matrice quadrata.
  2. Dalla matrice si calcola un polinomio, detto polinomio caratteristico, le cui radici (cioè i valori che lo annullano) sono gli autovalori.
  3. Per ogni autovalore, si trovano i relativi autovettori con tecniche standard di algebra lineare, tramite risoluzione di un sistema di equazioni lineari.

Il polinomio caratteristico p(x), con variabile x, associato ad una matrice quadrata A, è il seguente:

p(x) = det(AxI)

dove I è la matrice identità con lo stesso numero di righe di A, e det(M) è il determinante di M. Le soluzioni del polinomio sono proprio gli autovalori di A.

Applichiamo quindi il nostro algoritmo all'esempio in R3 descritto sopra. Poiché la trasformazione è già scritta in forma di matrice, saltiamo al punto 2 e calcoliamo il polinomio caratteristico:

p(x) = \det( A - xI) =  \begin{vmatrix} -x &  1  & -1 \\  1 & 1-x &  0 \\ -1 &  0  & 1-x \end{vmatrix} =
x3 + 2x2 + x − 2 = − (x − 2)(x − 1)(x + 1)

quindi gli autovalori di A sono 2, 1 e -1.

Nella pratica, gli autovalori di grandi matrici non vengono calcolati usando il polinomio caratteristico: esistono infatti metodi numerici più veloci e sufficientemente stabili.

Nel punto 1 dell'algoritmo è richiesta la scelta di una base. Basi diverse danno generalmente matrici diverse. I polinomi caratteristici che ne risultano sono però sempre gli stessi: il polinomio caratteristico dipende quindi soltanto dall'endomorfismo T (da cui l'aggettivo "caratteristico"). La dimostrazione di questo fatto poggia sul teorema di Binet.

[modifica] Proprietà

Elenchiamo alcune proprietà importanti degli autovettori, nel caso finito-dimensionale. Indichiamo quindi con T un endomorfismo in uno spazio V di dimensione n su un campo K.

[modifica] Proprietà generali

[modifica] Esistenza di autovalori e autovettori

  • Il polinomio caratteristico di T ha grado n, e quindi ha al più n radici: segue che T ha al più n autovettori distinti.
  • Se K è algebricamente chiuso (ad esempio se K = C è il campo dei numeri complessi), allora il polinomio caratteristico ha sempre qualche radice: segue che T ha sempre qualche autovalore, e quindi qualche autovettore. Notiamo che questo è falso nel caso reale: le rotazioni descritte sopra non hanno autovettori.
  • Se la dimensione n di V è dispari, e K = R è il campo dei numeri reali, il polinomio caratteristico ha grado dispari, e quindi ha sempre almeno una radice reale: segue che ogni endomorfismo di R3 ha un autovettore.

[modifica] Diagonalizzabilità

Per approfondire, vedi la voce diagonalizzabilità.

Un endomorfismo T è diagonalizzabile se esiste una base di autovettori per T. La matrice associata a T in questa base è diagonale. Le matrici diagonali sono molto più semplici da trattare: questa è una delle motivazioni per lo studio degli autovettori di T.

  • Se il polinomio caratteristico di T non ha tutte le radici in K, allora T non è diagonalizzabile. Ad esempio, una rotazione ha un polinomio caratteristico di secondo grado con delta negativo e quindi non ha soluzioni reali: quindi non è diagonalizzabile.
  • Per il teorema spettrale, ogni endomorfismo di Rn dato da una matrice simmetrica è diagonalizzabile, ed ha una base di autovettori ortogonali fra loro. Tra questi rientra l'esempio in R3 mostrato sopra: i tre vettori ortogonali sono

    v_1 = \begin{bmatrix}\; 1  \\ \;1 \\   -1 \end{bmatrix},\quad v_2 = \begin{bmatrix}\; 0\;\\   1 \\    1 \end{bmatrix},\quad v_3 = \begin{bmatrix}\; 2  \\  -1 \\ \; 1 \end{bmatrix}.

    Per quanto detto prima, la trasformazione assume una forma molto semplice rispetto a questa base: ogni vettore x in R3 può essere scritto in modo unico come:

    x = x1v1 + x2v2 + x3v3

    e quindi abbiamo
    Ax = 2x1v1 + x2v2x3v3.
  • Se il polinomio caratteristico di T ha tutte le radici in K con molteplicità 1, allora T è diagonalizzabile.
  • Se il polinomio caratteristico di T ha tutte le radici in K, alcune delle quali con molteplicità maggiore di 1, non è necessariamente diagonalizzabile: ad esempio la matrice seguente, che rappresenta la trasformazione della Gioconda in Fig.1, ha come polinomio caratteristico (x-1)2 e non è diagonalizzabile:
    A=\left( \begin{matrix} 1 & 1 \\ 0 & 1 \end{matrix} \right)

[modifica] Spazi con infinite dimensioni

Il polinomio caratteristico non è uno strumento disponibile nel caso in cui lo spazio vettoriale V abbia dimensione infinita. Questa situazione si presenta ad esempio nell'analisi funzionale, nello studio delle onde (come accennato nell'introduzione), o nella meccanica quantistica. Lo spazio V in questi casi è generalmente uno spazio di Hilbert o di Banach, la trasformazione T viene solitamente chiamata operatore, ed è disponibile una teoria, detta teoria spettrale, che cerca quanto possibile di estendere le tecniche valide in dimensione finita nel caso in cui T abbia delle buone proprietà.

Generalmente, oltre agli autovalori, è conveniente considerare anche quei valori λ per cui l'operatore (T - λid), detto operatore di Green, non è invertibile. Questi valori sono detti valori spettrali di T e formano lo spettro di T, indicato con σ(T). Nel caso finito-dimensionale, le due nozioni coincidono, ma qui no: lo spettro contiene tutti gli autovalori, ma forse anche qualche punto in più. Indichiamo alcuni esempi e risultati.

  • Consideriamo lo spazio di Hilbert \ell^2(\mathbb{Z}) delle successioni bilatere a quadrato sommabile: l'operatore T che sposta con uno "shift" le successioni non ha autovalori.
  • Un operatore limitato su uno spazio di Banach V ha uno spettro compatto e non vuoto.
  • Per un operatore compatto su uno spazio di Banach V, lo spettro coincide con l'insieme dei suoi autovalori. Gli operatori compatti si comportano in modo molto simile agli operatori finito-dimensionali.

[modifica] Applicazioni

Equazione di Schrödinger
Per approfondire, vedi la voce equazione di Schrödinger.
Fig. 4. Le funzioni d'onda associate agli stati di un elettrone in un atomo d'idrogeno sono gli autovettori sia della Hamiltoniana dell'atomo di idrogeno che del momento angolare. Gli autovalori associati sono interpretati come le loro energie (crescenti dall'alto in basso n=1,2,3,...) e momenti angolari (crescenti da sinistra a destra: s, p, d,...). Sono disegnati qui i quadrati dei valori assoluti delle autofunzioni. Aree più luminose corrispondono a densità di probabilità maggiori per la posizione in una misurazione. Il centro di ogni figura è il nucleo dell'atomo, un protone.
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Fig. 4. Le funzioni d'onda associate agli stati di un elettrone in un atomo d'idrogeno sono gli autovettori sia della Hamiltoniana dell'atomo di idrogeno che del momento angolare. Gli autovalori associati sono interpretati come le loro energie (crescenti dall'alto in basso n=1,2,3,...) e momenti angolari (crescenti da sinistra a destra: s, p, d,...). Sono disegnati qui i quadrati dei valori assoluti delle autofunzioni. Aree più luminose corrispondono a densità di probabilità maggiori per la posizione in una misurazione. Il centro di ogni figura è il nucleo dell'atomo, un protone.

Un esempio di operatore definito su uno spazio infinito-dimensionale è dato dall'equazione di Schrödinger indipendente dal tempo in meccanica quantistica:

HΨE = EΨE

dove l'Hamiltoniana H è un operatore differenziale e la funzione d'onda ΨE è una delle sue autofunzioni, corrispondente all'autovalore E, interpretato come la sua energia.

Dati i postulati della meccanica quantistica gli stati accessibili ad un sistema formano uno spazio di Hilbert e quindi deve essere definito un prodotto scalare fra di essi del tipo

\left \langle \psi_1 ( x ) | \psi_2 ( y ) \right \rangle = \int_{V_1} \int_{V_2} \psi_1 ( x ) \psi_2 ( y ) d \vec{x} d \vec{y}.

Questo limita la possibilità di scelta dello spazio di Hilbert allo spazio delle funzioni a quadrato integrabile.

La fig.4 qui a destra mostra le prime autofunzioni della Hamiltoniana dell'atomo di idrogeno.

Autofacce
Fig. 5. Le autofacce sono esempi di autovettori.
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Fig. 5. Le autofacce sono esempi di autovettori.

Nel trattamento di immagini digitali, il disegno di una faccia è un vettore le cui componenti rappresentano la luminosità dei singoli pixel. Gli autovettori di una particolare matrice, detta matrice di covarianza, sono chiamati autofacce. Sono molto utili per esprimere ogni faccia come una combinazione lineare di queste autofacce, e sono quindi anche un ottimo strumento di compressione dei dati per memorizzare ed identificare un alto numero di facce.

Tensore d'inerzia

In meccanica, gli autovettori del tensore di inerzia definiscono gli assi principali di un corpo rigido. Il tensore di inerzia è una quantità chiave, necessaria per determinare la rotazione di un corpo rigido intorno al suo baricentro.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

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