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Vittorio Amedeo II di Savoia - Wikipedia

Vittorio Amedeo II di Savoia

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Vittorio Amedeo II
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Vittorio Amedeo II

Vittorio Amedeo II Francesco (Torino, 14 maggio 1666 - Moncalieri, 31 ottobre 1732) fu marchese di Saluzzo e marchese del Monferrato, Duca di Savoia, Principe di Piemonte e Conte d'Aosta, Moriana e Nizza dal 1675 al 1720. Fu anche Re di Sicilia dal 1713 al 1720, quando divenne Re di Sardegna.

Il suo lungo governo trasformò radicalmente la politica piemontese, basata sulla sottomissione alle potenze straniere quali Francia o Spagna, rivendicando orgogliosamente l'indipendenza del piccolo stato dalle vicine nazioni (si pensi, ad esempio, all'episodio dell'assedio di Torino del 1706). Vittorio Amedeo II seppe progredire in questa sua politica riuscendo infine a farsi incoronare Re di Sicilia prima, e re di Sardegna dopo.


Indice

[modifica] Biografia

[modifica] La giovinezza

Figlio di Carlo Emanuele II di Savoia, Vittorio Amedeo II succedette al padre quando aveva appena nove anni. La reggenza venne affidata alla madre, Giovanna Battista: donna ambiziosa ed energica, si faceva chiamare «Madama Reale». Era imparentata con la corona portoghese, e cercò di indurre il figlio ad un matrimonio lusitano: la prescelta era la figlia di Alfonso VI di Portogallo, una ragazza descritta come di mirabile bellezza. Vittorio Amedeo, che allora aveva soltanto quattordici anni, venne facilmente indotto a sottoscrivere un matrimonio che, tra le varie clausole, prevedeva anche che il giovane duca di Savoia vivesse fino ai sedici anni a Lisbona: prima di quell'età, gli era impedito il ritorno a Torino. Era una mossa politica assai astuta da parte della madre Giovanna Battista di Savoia Nemours: quando il matrimonio fosse stato celebrato, Vittorio Amedeo sarebbe diventato a tutti gli effetti re del Portogallo.

Ma il giovane principe non aveva intenzione di partire: quando il delegato lusitano, il duca di Cadoval, arrivò a Torino, Vittorio Amedeo venne inspiegabilmente colto da un attacco di febbre. Impossibilitato alla partenza, Vittorio Amedeo rinunciò alle nozze. Per i suoi cittadini piemontesi, che avevano visto con terrore la possibilità che il loro duca diventasse re di Portogallo, temendo che il Piemonte si trovasse nella stessa condizione della Lombardia nei confronti della Spagna, fu momento di gran festa.

È in questo momento che avvennero moti insurrezionali in mezzo Piemonte, e specialmente a Mondovì – i cosiddetti Vespri di Mondovì.

[modifica] I Vespri di Mondovì

Le agitazioni erano dovute alle impopolari gabelle sul sale e alle imposte tributarie che tutte le città sabaude dovevano versare alla corona dai tempi di Emanuele Filiberto di Savoia. Il clero ne era ovviamente esentato. Dai tempi del duca “Testa di Ferro” non era cambiato l'ammontare della cifra che ogni comune doveva versare annualmente, e si erano generati grandi squilibri, aumentando il malcontento popolare. Un malcontento che esplose con violenza a Mondovì, dove i popolani si rifiutarono di pagare le imposte all'emissario sabaudo, Andrea Cantatore di Breo. Questi era un ex frate cappuccino che aveva abbandonato la tonaca e che odiava ora con tutte le forze la religione e i preti. I primi monregalesi che egli visitò furono ovviamente i religiosi, cui sottrasse anche tesori. I religiosi cercarono di reagire e si organizzarono in compagnie per stanare il Cantatore, ma non riuscirono a rintracciarlo, anche perché si trovarono di fronte le masnade degli scagnozzi dell'esattore, armati di tutto punto, contro i quali dei semplici frati non potevano sperare di avere la meglio. Intanto l'intera Mondovì era insorta. Da Torino venne richiamato il Cantatore e venne inviato don Gabriele di Savoia con l'esercito per piegare definitivamente i rivoltosi. All'inizio sembrò semplice sottomettere i poveri contadini armati per lo più solo con i loro attrezzi da lavoro. Ma i successi di don Gabriele erano apparenti: quando un paese veniva sottomesso, un altro insorgeva. A Montaldo, uno dei paesi più tenaci nella ribellione, i soldati regi persero più di duecento uomini contro la decina di contadini montaldesi che aveva attaccato per vari giorni con azioni di guerriglia l'esercito sabaudo. Gli stessi montaldini occuparono poi la fortezza regia di Vico.

I moti raggiunsero così rapidamente dimensioni pericolose: c'era la possibilità che tutto il Piemonte insorgesse. Perciò, la Madama Reale dovette cedere alla volontà dei monregalesi, e si rappacificò con loro. I rappresentanti della città di Mondovì si recarono a Torino per stipulare i trattati e furono accolti cordialmente anche dal giovane duca Vittorio Amedeo, ancora costretto a letto da quella febbre che aveva annullato il matrimonio con la cugina portoghese.

[modifica] L'ascesa al trono

Il giovane principe aveva intanto sposato a Versailles la nipote del re Luigi XIV di Francia, Anna d'Orléans. Adesso egli era fermamente intenzionato ad avere un potere effettivo, non soltanto apparente. La Madama Reale aveva infatti continuato a tenere saldamente nelle sua mani le redini del comando anche dopo il raggiungimento della maggiore età di Vittorio Amedeo. Dietro pressione di gran parte della nobiltà, Vittorio Amedeo raggiunse insieme con una scorta armata Rivoli, decretando che da quel momento egli stesso prendeva le redini del potere. Era il 14 marzo 1684. La Madama Reale, informata della risoluzione del figlio e comprendendo di non poterglisi più opporre, gli scrisse una lettera assai affettuosa nella quale lo informava di volergli consegnare spontaneamente il potere che tanto gelosamente aveva mantenuto fino ad allora nelle sue mani. Terminava così, senza particolari incidenti, la reggenza di Giovanna Battista.

[modifica] Le persecuzioni dei Valdesi

Ancora una volta si assistette alle persecuzioni dei valdesi. Era un'espressa volontà di Luigi XIV, infatti, che la minoranza valdese fosse annientata. La corona di Torino era infatti da considerarsi completamente assuefatta ai «consigli» che arrivavano, a guisa di ordini, da Parigi. E Vittorio Amedeo dovette accettare che arrivasse uno squadrone francese in Piemonte per cacciare i valdesi. Gli orgogliosi seguaci della dottrina di Pietro Valdo, infatti, si erano arroccati sui monti intorno a Torre Pellice e avevano fatto della Val d'Angrogna la loro invincibile roccaforte. Ci furono episodi di incredibile ferocia, cui sopravvissero nonostante tutto pochissimi eretici. Gli altri, o condannati sommariamente o incarcerati, tenuti in condizioni durissime e privati di ogni conforto spirituale (se si esclude l'intervento che ebbe il Valfré) vennero liberati solo dopo una lunga prigionia per volontà del governo svizzero, che li accolse come profughi. Da ormai un secolo i valdesi avevano infatti aderito al movimento protestante, cercando il più possibile aiuti in Europa per evitare di venire annientati del tutto. In Svizzera avevano trovato da anni una grande protezione, soprattutto perché considerati come i più antichi protestanti del continente ancora esistenti. Presi ad esempio da tutte le nuove ramificazioni del Cristianesimo, vennero così ospitati per anni tra le montagne elvetiche.

Questo episodio è significativo della sottomissione del Piemonte alle volontà della corona francese.

[modifica] Vittorio Amedeo II si ribella alla Francia

Probabilmente anche per un rimorso di coscienza per le incredibili atrocità che aveva autorizzato, Vittorio Amedeo decise di aderire alla Lega Augusta. Recatosi a Venezia in incognito per poter discutere con i principi della Lega, venne però identificato dalla ramificata rete di spie francesi. Luigi XIV volle mettere in chiaro la situazione: Vittorio Amedeo avrebbe dovuto fornire alla Francia 3000 fanti e 800 cavalieri per non essere dichiarato nemico della nazione francese.

Il generale francese Nicolas Catinat
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Il generale francese Nicolas Catinat

Il duca, preso alla sprovvista, dovette accettare, ma Luigi XIV volle imporre ancora una clausola: la cittadella di Torino avrebbe dovuto passare ai Francesi. Ciò avrebbe significato la rinuncia alla difesa della capitale e alla stessa indipendenza del Piemonte. Vittorio Amedeo tentennò sul da farsi, e Luigi XIV partì per il Piemonte. Messo alle strette, rispose agli ambasciatori del re nemico:

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«Le armate alleate accorrono in mio aiuto, ma ancora più che sulle loro forze io conto sul valore e sulla devozione del mio popolo.»

L'esercito francese, guidato dal generale Catinat, valicò le Alpi e si accampò nei pressi di Staffarda. Vittorio Amedeo decise di non attendere l'aiuto dell'imperatore Leopoldo I, ma di attaccare subito: nella Battaglia di Staffarda subì tuttavia una cocente disfatta. Catinat si impossessò di molte roccaforti tra cui Pinerolo, e la situazione parve da subito critica. La famiglia reale venne costretta a lasciare Torino e a rifugiarsi a Vercelli. Ma Vittorio Amedeo II rimase comandante delle forze belliche.

Dopo l'inutile Assedio di Cuneo del 1691 da parte dei Francesi, le due armate si trovarono impegnate nella battaglia della Marsaglia. Era il 1693: i piemontesi vennero ancora sconfitti. Privo di un esercito, il duca dovette firmare la pace con Luigi. Passava da quel momento dalla parte della corona borbonica.

[modifica] La guerra di successione spagnola

Luigi XIV di Francia
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Luigi XIV di Francia

L'alleanza francese si faceva sempre più pressante. Sostituito nell'incarico di Supremo Generale al servizio di Luigi XIV in Italia, Vittorio Amedeo II decise di riallacciare i vecchi rapporti di alleanza con la Lega di Augusta. Luigi XIV ne fu informato dal suo servizio segreto. Era il 1703 quando venne dichiarato l'ingresso del Piemonte nella Lega di Augusta, con il Trattato di Torino. Il popolo sabaudo lo salutò con entusiasmo. Ma le truppe francesi occuparono rapidamente Vercelli, Susa, Ivrea e Aosta. Torino stessa fu minacciata da vicino, ma nessuno tra i comandanti nemici giudicava fattibile un assedio alla capitale sabauda.

La battaglia di Cassano d'Adda si risolse con una vittoria del duca di Vendôme. Il principe Eugenio di Savoia, cugino del duca, dopo quella disfatta decise di recarsi a Vienna per sollecitare l'arrivo dei rinforzi. Ma, dopo un'altra clamorosa vittoria di Luigi XIV sugli imperiali a Calcinate, si ritenne possibile assediare Torino. Era l'aprile 1706. A capo delle forze francesi era l'incapace conte Marchin.



[modifica] L'assedio di Torino

Per approfondire, vedi la voce Assedio di Torino del 1706.
Il principe Eugenio di Savoia, il cui intervento fu determinante per la vittoria nell'assedio di Torino del 1706
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Il principe Eugenio di Savoia, il cui intervento fu determinante per la vittoria nell'assedio di Torino del 1706

Il dispiegamento di forze da parte dei Francesi era imponente. Dovevano superare le difese della cittadella, una fortezza considerata tra le più inaccessibili d'Europa, voluta da duca Emanuele Filiberto e fiore all'occhiello della difesa sabauda. L'assedio era strettissimo. Presto in città vennero a mancare i beni di prima necessità, ma il popolo resistette. Il bombardamento era incessante, tutti gli edifici più alti delle mura furono dimezzati: in questo quadro tremendo i Piemontesi vennero a trovarsi senza munizioni. Aiuti alimentari e bellici furono fatti pervenire alla città assediata via Po, ma i Francesi si accorsero del trucco e intercettarono i rifornimenti. Aiuti umanitari vennero forniti anche da figure di spicco del clero, come il già citato Sebastiano Valfré. Vittorio Amedeo era rimasto il solo, della famiglia reale, ancora a Torino. La sua presenza infondeva coraggio alla cittadinanza.

L'imponente facciata della Basilica di Superga, fatta erigere per volontà del duca dopo la vittoria nella Battaglia di Torino
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L'imponente facciata della Basilica di Superga, fatta erigere per volontà del duca dopo la vittoria nella Battaglia di Torino

La tecnica militare adottata dai Piemontesi consisteva nello scavare sotto la cittadella lunghi cunicoli, gallerie strette e umide che, fatte arrivare sotto le file degli attaccanti, venivano riempite di esplosivo e fatte esplodere con gran danno avversario. I Francesi, però, resisi conto di quella tecnica intercettarono i cunicoli. Fu proprio in uno di questi che, nella notte del 29 agosto, penetrò un folto gruppo di granatieri francesi: se avessero proseguito, avrebbero avuto in loro mano il forte detto della “Mezzaluna”, e con esso, l'intera cittadella. Fu solo grazie all'eroico sacrificio di Pietro Micca che si riuscì a fermarli.

Il 30 agosto, improvvisamente, venne annunciato l'arrivo del Principe Eugenio. La mattina del 7 settembre la battaglia di Torino iniziò ad infuriare sotto le mura della cittadella. I Francesi furono annientati completamente. Come ringraziamento per la stupefacente vittoria, Vittorio Amedeo fece costruire la basilica di Superga, opera dell'architetto Filippo Juvarra.

[modifica] Vittorio Amedeo II re di Sicilia

Dopo la cocente disfatta francese presso Torino, Vittorio Amedeo II, spinto dall'Inghilterra, che gli aveva fatto balenare l'idea di un titolo regio in caso di vittoria, decise di marciare verso Tolone. Nella campagna, riconquistò le fortezze di Exilles, Fenestrelle e la città di Susa, cadute nelle mani francesi anni prima. L'avanzata piemontese verso il cuore della Francia venne comunque prontamente bloccata. Dopo gli stravolgimenti della politica europea (evento molto importante, ad esempio, fu che in Austria si spense Giuseppe I, al quale subentrò Carlo VI, che già aveva concorso al titolo di Re di Spagna anni prima), le nazioni del continente decisero di risolvere la guerra attraverso un trattato di pace.

A Utrecht, in occasione dei trattati, la Casa Savoia ottenne grandi vantaggi. Vittorio Amedeo II otteneva Alessandria, il Monferrato, Pragelato, Valsesia e i feudi delle Langhe. Inoltre, otteneva il titolo regio e l'intera Sicilia: il 10 giugno 1713, infatti, la Spagna firmò il documento di cessione dell'Isola ai Savoia sotto la pressione dell'Inghilterra. Le condizioni imposte da Filippo V di Spagna per la cessione della Sicilia erano le seguenti:

  1. La Casa Savoia non avrebbe mai potuto vendere l'isola o scambiarla con un altro territorio.
  2. La Sicilia sarebbe stata mantenuta come feudo della Spagna: estinto il ramo maschile dei Savoia, essa sarebbe tornata alla corona di Madrid.
  3. Tutte le immunità in uso in Sicilia non sarebbero state abrogate.

In realtà, solo gli ultimi due punti furono accettati da Vittorio Amedeo II. All'ultimo momento, Filippo V fece aggiungere un ultimo punto, secondo cui:

  1. il Re di Spagna sarebbe stato in grado di disporre a suo piacimento dei beni confiscati ai sudditi siciliani rei di tradimento.

Vittorio Amedeo volle accondiscendere anche a questo punto, per evitare che una protesta del duca potesse rinviare la stesura dei trattati. Il documento con cui si cedeva la Sicilia ai Savoia venne siglato il 13 luglio successivo. Gli araldi lo stesso giorno percorsero Torino annunciando l'acquisizione del titolo regio da parte di Vittorio Amedeo. Una folla esultante si accalcò davanti al palazzo ducale acclamando il re, che uscì dal balcone brindando insieme alla folla.

Il 27 di quello stesso mese, Vittorio Amedeo II, in procinto di partire per la Sicilia, nominò suo figlio, principe del Piemonte, luogotenente degli Stati di terraferma; ma il ragazzo non aveva che sedici anni e fu dunque assistito da un Consiglio di Reggenza. Il 3 ottobre il nuovo re salpò da Nizza alla volta di Palermo, ove sbarcò circa venti giorni dopo. Il 24 dicembre, dopo una sontuosa cerimonia nella Cattedrale di Palermo, Vittorio Amedeo II e la moglie Anna Maria di Orléans ricevettero la corona regia.

Al parlamento siciliano egli così si espresse in una delle prime sedute:

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«I nostri pensieri non sono rivolti ad altro che a cercare di avvantaggiare questo Regno per rimetterlo, secondo la Grazia di Dio, al progresso dei tempi, riportarlo al suo antico lustro e a quello stato cui dovrebbe aspirare per la fecondità del suolo, per la felicità del clima, per la qualità degli abitanti e per l'importanza della sua situazione.»

I buoni intenti del re vennero messi in pratica nella lotta contro il brigantaggio, nello sviluppo della marina mercantile e nella riorganizzazione finanziaria e dell'esercito (per il quale venne preso a modello quello piemontese). La permanenza del re in Sicilia durò fino al 7 settembre 1714.

[modifica] La Sardegna unita al Piemonte

La pace di Utrecht, con tutto ciò che comportò, fu soltanto un evento transitorio nella storia piemontese. La Spagna, infatti, stava fortemente riarmandosi. Intimorite da tanta potenza, Francia, Olanda, Inghilterra e Austria strinsero via via legami difensivi tra di loro. Vittorio Amedeo II, quando ricevette la notizia della creazione di una possibile Quadruplice Alleanza, si sentì nuovamente in pericolo.

Era infatti in progetto, tra i sovrani alleati, di mettere a tacere le mire spagnole in Italia, ma tale progetto si scontrava contro le mire di Casa Savoia. L'Austria, in particolare, progettava di eliminare i Piemontesi dalla Sicilia. Vittorio Amedeo decise di agire con astuzia, inviando messi a Vienna e a Londra per essere costantemente informato delle novità nella politica estera. Se i paesi alleati avessero davvero siglato un'alleanza, allora Vittorio Amedeo sarebbe stato seriamente nei guai, circondato da tutti i fronti.

Dopo aver in ogni modo cercato di allearsi all'Austria (anche ricorrendo ad una proposta di matrimonio), Vittorio Amedeo venne attaccato sul fronte siciliano dagli Spagnoli, che egli considerava alleati. La Sicilia venne invasa da 30.000 soldati stranieri e le poche fortezze piemontesi dovettero desistere dalla difesa.

Da Vienna arrivò la proposta di aderire alla ormai siglata Quadruplice Alleanza in cambio del titolo di Re di Sardegna. La distruzione dell'imponente flotta spagnola e la conseguente vittoria della Quadruplice Alleanza permisero a Vittorio Amedeo di mantenere un titolo regio. Era il 1718 e l'erede di Casa Savoia veniva incoronato Re di Sardegna. La maggiore vicinanza di quest'isola la rendeva meglio gestibile e controllabile della Sicilia, cosicché si può dire che il cambio si sia rivelato vantaggioso per Vittorio Amedeo.

[modifica] La fine

Lentamente, con il passare degli anni, i trionfi politici e militari avevano infastidito e stancato il re. Non presenziava quasi più alle feste e ai ricevimenti, anzι tendeva ad evitare la vita di corte. Amante della semplicità, l'unico lusso che si concedeva era l'elegantissima parrucca stile Luigi XIV.

Verso il 1728 la sua salute peggiorò e decise di abdicare in favore del figlio Carlo Emanuele III di Savoia, pur continuando a controllare la sua politica con consigli perentori e non allontanandosi dalla vita di corte. Concluse per il figlio un matrimonio di rilievo, con la principessa Anna Luigia Cristina, figlia dell'elettore Palatino, e dopo la di lei morte concluse un secondo matrimonio con un'altra principessa tedesca, Polissena di Hesse-Rheifelds. La ferrea mano del padre pressava non poco Carlo Emanuele III: tra le proibizioni impostegli, il divieto di andare a caccia ogni giorno e di convivere negli stessi appartamenti della moglie. L'abdicazione divenne effettiva solo nel 1730. Il re si ritirò in Savoia.

Ma la parte di gentiluomo di provincia non si addiceva al carattere di Vittorio Amedeo II. Presto prese ancora a porre la sua pesante mano sul governo del figlio e, come il marchese d'Ormea ebbe a dire:

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«Qui a Torino c'è il teatro, a Chambéry la mano che muove i burattini.»

Era una situazione insostenibile per Carlo Emanuele, ma egli si rassegnava alla volontà paterna.

Sotto la spinta della seconda moglie, la marchesa di Spigno, Vittorio Amedeo II tentò di riprendere la corona. Il suo isolamento aveva inasprito il suo carattere, e vedeva il suo stato nelle mani di un figlio incapace. Così egli si espresse in riguardo alla sua abdicazione:

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«L'atto è nullo e difettivo nella forma come nella sostanza. Ed è una gran fortuna che sia così; qui è tutto disordine e sono stato costretto a tornare in Piemonte per rimediare a tanta rovina.»

Dichiarato nullo il suo atto di abdicazione, dunque, minacciò anche di far intervenire gli imperiali nelle contese con il figlio. Carlo Emanuele si vide costretto ad usare la forza: con il consenso unanime dei ministri, Vittorio Amedeo II venne arrestato a Moncalieri e accompagnato a Rivoli. La sua residenza venne presidiata da un forte contingente di truppe: gli era impedito di rimanere da solo.

Re Vittorio reagì sulle prime con violenza: si temette persino che il furore lo portasse alla pazzia. Tutte le sue proteste furono inutili. Ottenne, solo dopo umilianti suppliche, che la marchesa di Spigno fosse accompagnata a Rivoli nella sua dimora (essa era stata rinchiusa nella fortezza di Ceva, ove era consuetudine segregare le donne di facili costumi).

Alla fine dell'inverno 1731 la sua salute peggiorò drasticamente e chiese di poter cambiare residenza. Carlo Emanuele III gli concesse di rimanere a Moncalieri, ove fu trasportato nell'aprile 1732 sopra una lettiga scortata da numerosi soldati. Ivi, nella desolazione, si spense la sera del 31 ottobre 1732. Era il tramonto di un uomo che per quasi mezzo secolo aveva dominato la scena politica italiana.

[modifica] Eredità

La Palazzina di caccia di Stupinigi, del 1727, realizzata dallo Juvarra per gli svaghi della corte torinese
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La Palazzina di caccia di Stupinigi, del 1727, realizzata dallo Juvarra per gli svaghi della corte torinese

Vittorio Amedeo II seppe destreggiarsi con abilità nelle complesse vicende politiche dell'epoca. I suoi passaggi di bandiera così repentini, che fecero dire a Luigi XIV che

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«i Savoia non terminano mai una guerra sotto la stessa bandiera con cui l'hanno iniziata,»

furono il capolavoro politico del re. Tra i contributi dati dal re alla città di Torino, si ricordano la riformulazione dell'Università, la costruzione di nuovi monumenti e chiese, affidati agli architetti Bertola e Juvara. In quegli anni il capoluogo sabaudo si ingrandì diventando il maggiore centro del territorio alpino. Nonostante il massacrante assedio del 1706 e le guerre precedenti e successive avessero ridotto la già esigua popolazione piemontese, sotto il governo del primo re di casa Savoia il Piemonte seppe assurgere a maggiore degli Stati italiani. Ciò, bisogna dire, anche grazie all'intervento e alle volontà di Stati stranieri come l'Inghilterra, che vedevano come evento assai favorevole la creazione di una potente e salda monarchia in Italia; meglio ancora se questa nazione fosse stata ai piedi delle Alpi, in modo da frenare qualsiasi altro tentativo espansionistico della Francia. I governatori inglesi videro in Vittorio Amedeo II il personaggio adatto a realizzare questo loro progetto. Non furono certo solo i britannici a stringere accordi commerciali e militari con il Savoia: oltre a Londra, anche Vienna, dove risiedeva il cugino Eugenio, era dalla parte dei Piemontesi. Iniziava quel lento processo di modernizzazione che avrebbe portato, un secolo e mezzo dopo, all'Unità d'Italia.

[modifica] Discendenza

Dal suo matrimonio con Anna d'Orleans nacquero, oltre a Carlo Emanuele III, Maria Luisa di Savoia (futura moglie del re di Spagna Filippo V) e Maria Adelaide, che sposerà Luigi, duca di Borgogna e diverrà madre del re di Francia Luigi XV. Successivamente sposò in seconde nozze Anna Canalis di Cumiana.

[modifica] Bibliografia

  • D. Carutti, Il Primo Re di Casa Savoia: Vittorio Amedeo II, Torino, 1897
  • D. Carutti, Storia del Regno di Vittorio Amedeo II, Torino, 1863
  • R. Palmarocchi, Sardegna Sabauda: il regno di Vittorio Amedeo II, Cagliari, 1936
  • G. Symcox, Vittorio Amedeo II. L'assolutismo sabaudo 1675 - 1730, Torino, 1989
  • V.E. Stellardi, Il Regno di Vittorio Amedeo II in Sicilia, Torino, 1862-1866
  • M. Viora, Storia delle leggi sui Valdesi di Vittorio Amedeo II, Bologna, 1930

[modifica] Voci correlate

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