Crepuscolarismo
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Il crepuscolarismo è una corrente letteraria sviluppatasi in Italia all'inizio del XX secolo.
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[modifica] L'origine del termine
Sul quotidiano "La Stampa" apparve il 1° settembre 1910 una recensione del critico Giuseppe Antonio Borghese, dal titolo "Poesia crepuscolare", alle liriche di Marino Moretti, Fausto Maria Martini, Carlo Chiaves, e veniva così introdotto per la prima volta il termine "crepuscolare" per indicare una categoria letteraria.
La metafora del crepuscolo voleva indicare una situazione di spegnimento, dove predominavano i toni tenui e smorzati, di quei poeti che non avevano emozioni particolari da cantare se non la vaga malinconia, come scrive appunto il Borghese ,[1] "di non aver nulla da dire e da fare".
Il termine "crepuscolare" iniziò così ad essere usato dalla critica per delineare quel gruppo di poeti che, pur non costituendo una vera scuola, si trovavano concordi nelle scelte tematiche e linguistiche e che, soprattutto, rifiutavano qualsiasi forma di poesia eroica o sublime.
[modifica] Le nuove esperienze poetiche
Negli stessi anni in cui si assisteva allo spirito di rivolta fondato sul vitalismo e l'individualismo, propenso a vedere nell'intellettuale e nello scrittore il protagonista della storia e il creatore delle forze dell'avvenire, vengono fatte esperienze poetiche differenti che, svalutando la funzione del poeta che considera la sua opera in linea con i grandi disegni collettivi.
Queste esperienze partono da un rifiuto totale della concezione di poesia intesa come impegno sociale, civile e pubblico quale era stato affermato, seppure in modi differenti, da Carducci, D'Annunzio e Pascoli.
I crepuscolari si ispirano al Pascoli e al D'Annunzio del "Poema paradisiaco" e risentono dell'influsso di Verlaine e di alcuni poeti decadenti fiamminghi e francesi, come Maeterlinck e Laforgue, e hanno ormai preso coscienza del logoramento di quella tradizione classica alla quale essi rimanevano fedeli.
[modifica] La ricerca della quotidianità
I poeti crepuscolari evitano la proiezione verso il futuro e non intendono magnificare le forze del mondo, ma elevano a materia della loro poesia la vita quotidiana nei suoi più dimessi e banali aspetti, priva di ogni ornamento e libera dal peso della tradizione.
Essi sono accomunati dal bisogno di compianto e di confessione, dal rimpianto per i valori tradizionali persi e da una perenne insoddisfazione che non si sfoga in ribellione ma cerca solamente tranquilli angoli del mondo e luoghi conosciuti dell'anima in cui rifugiarsi.
[modifica] I temi della poesia
Uno tra i primi poeti crepuscolari, Corrado Govoni, in una lettera del 1904 inviata all'amico Gian Pietro Lucini offre un esempio dei temi di questa poesia:
[modifica] La scelta linguistica
A questi contenuti corrisponde una coerente scelta linguistica. I crepuscolari tendono a ridurre la poesia a prosa e cercano un verso che, pur mantenendo il ritmo poetico, rompa con la metrica tradizionale e rimanga nell'ambito della prosa.
Questo desiderio di un linguaggio prosastico e privo di ogni forma aulica e classicistica conduce alla piena affermazione del verso libero.
[modifica] Gli autori
Tra il 1903 e il 1904 nascono i primi testi crepuscolari ad opera di Govoni e di un gruppo romano raccolto intorno a Sergio Corazzini, mentre, contemporaneamente, inizia a produrre un gruppo torinese che ha come maggiore esponente Guido Gozzano. Oltre questi gruppi operano altri autori, come Marino Moretti e per un certo periodo Aldo Palazzeschi .
[modifica] Voci correlate
[modifica] Collegamenti esterni
[modifica] Note
- ↑ da Antonio Maria Borghese, "La Stampa", 1°settembre 1910,Poesia crepuscolare
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