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Repubblica Sociale Italiana

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Bandiera di combattimento delle Forze Armate della RSI
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Bandiera di combattimento delle Forze Armate della RSI
Campagna d'Italia (1943-45)
Husky – Baytown – 8 settembreAvalancheAchse – Occupazione di Roma – Repubblica SocialeRegno del SudVolturno – Montelungo – Shingle – MontecassinoLiberazione di RomaLinea gotica – Insurrezione di Aprile – Liberazione

La Repubblica Sociale Italiana, popolarmente nota anche come Repubblica di Salò, fu un ente statuale autonomo costituito il 23 settembre 1943 nei territori dell'Italia settentrionale; di ispirazione apertamente fascista, fu guidata da Benito Mussolini per tutto il periodo della sua esistenza, conclusasi nell'aprile del 1945.

Come Stato fu riconosciuto soltanto dalla Germania nazista (che ne aveva sostenuto la costituzione) e dall'Impero giapponese, il terzo alleato dell'Asse.

Indice

[modifica] Gli antefatti

Durante la Seconda Guerra Mondiale l'Italia andava inesorabilmente incontro ad una schiacciante sconfitta militare, mentre per sostenere lo sforzo bellico il Paese andava vieppiù impoverendosi. In calo di consenso ed in pieno dramma, furono a molti livelli cercate soluzioni per uscire dalla crisi.

Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo, organismo costituzionale e direttorio politico del PNF, con l'Ordine del Giorno Grandi aveva invitato Mussolini «a pregare la Maestà del Re [...] affinché Egli voglia, per l'onore e la salvezza della Patria, assumere – con l'effettivo comando delle Forze Armate [...] – quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state [...] il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia». Nell'approvazione dell'o.d.g. c'era stato il voto, se non decisivo almeno assai significativo, di Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri e genero del Duce, e di Dino Grandi, il raffinato intellettuale e diplomatico che aveva rappresentato nel mondo il prestigio dell'Italia fascista.

Nel pomeriggio dello stesso 25 luglio Mussolini era stato ricevuto dal Re nella sua residenza di Villa Ada. Dopo un breve colloquio (il cui contenuto è sempre rimasto misterioso), che si era concluso con la richiesta delle dimissioni da Capo del Governo, Mussolini fu arrestato e condotto alla caserma dei Carabinieri di via Legnano, dove dormì tre notti. Non fu trasferito nella sua residenza di Rocca delle Caminate, come egli stesso sperava, ma dal 28 luglio sull'isola di Ponza, dal 7 agosto sull'isola della Maddalena e infine dal 28 agosto ai piedi del Gran Sasso per poi salire il 3 settembre a Campo Imperatore dove restò, controllato da 250 Carabinieri e Guardie di Pubblica Sicurezza, sino alla liberazione da parte di Paracadutisti tedeschi.

Al posto di Mussolini il Re aveva nominato Pietro Badoglio il quale subito aveva sedato l'euforia popolare e spente le speranze di pace, eventualmente connesse alla caduta del capo del fascismo, con il famoso proclama radiofonico caratterizzato dall'impegno: "La guerra continua".

Dopo lunghi mercanteggiamenti, l'8 settembre si giunse alla proclamazione dell'armistizio di Cassibile con gli Alleati (già firmato il 3 settembre). Ne seguì un generale sbandamento, durante il quale la famiglia reale fuggì da Roma insieme a Badoglio, rifugiandosi a Brindisi. Le autorità e i dirigenti dello Stato, compresi (e forse soprattutto) gli stati maggiori delle forze armate, si smembrarono, scomparvero, si resero irreperibili. La Penisola restava divisa in due, occupata dalle forze alleate al Sud e dalle forze tedesche al Centro Nord, con Roma, "città aperta", e il solo Pontefice rimasto a rappresentarvi una qualche autorità.

[modifica] Dal Gran Sasso al Garda, passando per la Germania

La liberazione del Duce era stata minuziosamente organizzata dai tedeschi, fortemente voluta da Hitler (anche per motivi di personale affezione), e venne realizzata il 12 settembre da un plotone di truppe scelte al comando del maggiore Otto Skorzeny, che dopo aver preso possesso dei luoghi e scarcerato il prigioniero, lo condusse a Monaco di Baviera; qui il deposto dittatore si mise subito al lavoro per riorganizzare il partito fascista, che nel frattempo pareva essersi rapidissimamente dissolto sotto il peso degli avvenimenti.

Rimessa mano al programma dei Fasci di Combattimento del 1919, enfatizzandone quei contenuti meglio affini a quelli dei movimenti repubblicano e socialista, il 17 settembre Mussolini proclamò attraverso Radio Monaco (un'emittente raggiungibile in buona parte dell'Italia settentrionale) la prossima costituzione del nuovo Stato fascista. Questa sarebbe stata formalizzata il giorno 23 ed il 27 il neonato Governo si insediò nella nuova sede di Salò, sino ad allora soltanto una "amena e ridente località" sul Lago di Garda a relativamente poca distanza da Milano.

Qui ebbero sede la Presidenza del Consiglio, il Ministero degli esteri, il Ministero della cultura popolare, la Direzione Generale della Pubblica Sicurezza e l'Agenzia di stampa Stefani. Gli altri uffici governativi, con un necessario decentramento amministrativo furono distribuiti fra le località delle vicinanze.

Il circondario non era solo di grande bellezza paesaggistica, ma era anche strategicamente assai importante: oltre alla vicinanza con le fabbriche d'armi (ad esempio a Gardone Val Trompia, ove avevano sede la Beretta e altre fabbriche minori) e con le industrie siderurgiche (che continuarono a produrre per i nazi-fascisti), vantava prossimità alla "capitale del Nord" tanto quanta ne aveva per la frontiera tedesca ed oltre ad essere riparato dall'arco alpino risultava equidistante dalla Francia e dall'Adriatico. Era nel cuore dell'ultima parte dell'Italia ancora in grado di svolgere la produzione e dunque capace di creare merci da poter vendere, ancorché sottoprezzo e soltanto alla Germania.

[modifica] Il governo repubblicano

Per approfondire, vedi la voce Governo della Repubblica Sociale Italiana.

La Repubblica Sociale Italiana ebbe un Governo de facto, un tipo di governo riconosciuto dalle convenzioni internazionali quando, in mancanza di una Costituzione, lo stesso possiede le prerogative essenziali per essere considerato sovrano: potere legislativo, autorità sul territorio, esclusività della moneta e disponibilità di forze armate. In vacanza di Costituzione in Italia sono stati Governi de facto tutti quelli in carica dal 26 luglio 1943 all'1 gennaio 1948. Benito Mussolini ne fu Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio e Ministro degli esteri. Il Partito Fascista Repubblicano (PFR) fu retto da Alessandro Pavolini.

Fu creata la Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.), comandata da Renato Ricci ed erede della MSVN e comprensiva dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia Africa Italiana, con compiti di polizia giudiziaria e di polizia militare.

Il 13 ottobre 1943 fu annunziata l'imminente convocazione di un'Assemblea Costituente che avrebbe dovuto redigere una Carta costituzionale nella quale la sovranità sarebbe stata attribuita al popolo. Dopo la prima assemblea nazionale del PFR, svoltasi a Verona il 14 novembre 1943, questo annuncio fu annullato da Mussolini avendo deciso di convocare detta Assemblea Costituente a guerra conclusa.

[modifica] Lo stato occulto

La RSI fu in realtà un ente del tutto dipendente dalla Germania nella sua costituzione e durante la sua sopravvivenza, e lo sarebbe stato anche nei suoi destini.

Voluto dal Terzo Reich come apparato per amministrare i territori occupati del Nord Italia, lo Stato della RSI era in realtà una struttura burocratica dotata di scarso potere effettivo. Il vero Stato si nascondeva fra le sue pieghe, nella forma di quei meccanismi di cui la Germania lo aveva sin dall'origine dotato perché non rischiasse di perderne il controllo.

L'intero apparato della Repubblica di Salò era infatti pesantemente controllato dai militari tedeschi, nel timore di un altro tradimento da parte degli italiani, dopo quello dell'8 settembre; alla Repubblica Sociale fu permesso di avere un esercito composto esclusivamente da reclute addestrate in Germania, e le poche truppe che furono messe a disposizione della Repubblica di Salò furono impiegate in operazioni di repressione, sterminio e rappresaglia contro i partigiani e le popolazioni accusate di offrir loro supporto.

[modifica] Finanze e Moneta

Ministro delle finanze del nuovo governo fascista fu nominato il professor Domenico Pellegrini Giampietro, insegnante di diritto costituzionale presso l'Ateneo di Napoli. Suo compito principale, per l’intera durata del suo incarico, sarebbe stato quell di difendere le casse del nuovo Stato dalle pretese tedesche e trovare una soluzione per la situazione che il comportamento delle truppe naziste d’occupazione aveva creato.

Armi alla mano le SS di Herbert Kappler avevano "rapinato" le riserve della Banca d'Italia il 16 ottobre 1943, facendo un bottino di circa tre miliardi di lire (due miliardi in oro e un miliardo in valuta pregiata). Il tutto era stato trasferito a Milano. A questa somma si dovevano sommare molti altri milioni, prelevati dalle altre banche pubbliche e private. L’economia rischiava un disastro per motivi legati all'inflazione, a causa della moneta d’occupazione, una sorta di carta straccia denominata "Reichskredit Kassenscheine", controparte delle "Am-Lire". A queste manovre si aggiunsero le pretese tedesche di ottenere che la nuova repubblica "pagasse" la guerra che la Germania conduceva in sua vece da quando era stato firmato l’Armistizio. Fin dai primi giorni dopo la sua costituzione, il Governo della R.S.I. si preoccupò di riprendere saldamente il controllo dell’economia, per salvaguardare il potere d’acquisto della moneta ed evitare fenomeni inflazionistici.

Il Ministro delle Finanze Domenico Pellegrini Giampietro condusse una politica economica e monetaria di assoluto rigore. Appena insediato dovette occuparsi di un serio problema. I tedeschi, nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre, avevano messo in circolazione dei marchi di occupazione. Ciò avrebbe potuto innescare dei processi inflattivi, per cui il problema andava rapidamente risolto. Ci furono delle trattative che, alla fine, lo risolsero. In data 25 ottobre 1943 viene stipulato l’accordo monetario repubblicano-tedesco, in forza del quale i marchi di occupazione non hanno più valore e vengono ritirati. I provvedimenti a sostegno dell’attività agricola furono numerosi ed efficaci. Non è un caso se il raccolto del grano dell’anno 1945 fu uno dei maggiori dell’Italia. E che il paese avesse conservato fiducia nello Stato e nelle sue istituzioni lo dimostra questo fatto: Il 2 aprile 1944 il Comune di Milano lanciò un prestito da un miliardo. Il prestito fu coperto in pochissimi giorni e il Comune di Milano incassò 1.056.000.000.

Le spese complessive della Repubblica Sociale, come dichiarato dallo stesso Pellegrini nell’articolo “l’Oro di Salò" (riportato da Silvio Bertoldi nel suo libro “Salò - Vita e morte della Repubblica Sociale Italiana”) si possono suddividere come segue:

Miliardi di lire
Spese ordinarie e straordinarie della Repubblica 170,6
Spese di guerra (contributi pagati al Terzo reich) 189
Totale spese 359,6
Entrate ordinarie 50,4
depositi e conti correnti presso enti e istituzioni pubbliche 47
Buoni del tesoro 74,3
Anticipazioni della Banca d'Italia 183
Anticipazioni da altri istituti di credito 25,2
Totale entrate 380,5
Risultato netto 20,9

[modifica] La socializzazione dell’economia

Già nel Manifesto di Verona (il cui testo fu elaborato da Angelo Tarchi, Alessandro Pavolini, Nicola Bombacci, l'avv.Manlio Sargenti, sotto la supervisione di Benito Mussolini) erano presenti riferimenti "socialisteggianti" alla gestione statale delle aziende di rilevanza bellica ed alla ripartizione degli utili fra gli azionisti e i lavoratori. Questi accenni alla "socializzazione" avevano scatenato le proteste di qualcuno, preoccupato che vi si nascondessero tendenze di tipo collettivistico.

Mussolini, che al congresso era tra quelli che avevano espresso la loro perplessità, era consapevole della portata che poteva avere la socializzazione delle attività economiche, con l'introduzione del lavoro nella gestione dell'impresa, limitando così il potere del capitale, e sperava di riportare il proletariato industriale fra i sostenitori attivi del fascismo. Inoltre, da una parte sarebbe stata una sapida vendetta nei confronti della borghesia, alla quale aveva lasciato una cospicua libertà di manovra durante il Ventennio trascorso dalla sua ascesa al potere, e dalla quale si sentiva tradito e vilipeso; dall’altra poteva essere anche una rivalsa nei confronti dei tedeschi e della loro economia di rapina, basata sulla requisizione delle materie prime quanto dei prodotti finiti. Non mancava, in questo programma, una componente nostalgica, un desiderio di ritorno al fascismo "delle origini", antiborghese ed antimoderno, ed alle sue teorie sulle società organiche e sulla collaborazione fra capitale e lavoro – teorie, queste, presenti anche in molti movimenti stranieri affini al fascismo.

La manovra per applicare la socializzazione ebbe il suo punto di partenza nel decreto di nomina dell’ingegner Angelo Tarchi a ministro dell’economia corporativa. Tarchi avrebbe voluto i suoi uffici a Milano, come li aveva il generale Leyers (sovrintendente della produzione industriale italiana per conto del ministero degli armamenti del Reich), avrebbe ambito a che il suo ministero si trovasse nel cuore di quel sistema industriale che era il principale bersaglio della socializzazione. Fu invece mandato a Bergamo.

Per l’11 gennaio ’44 il programma sintetico della socializzazione era pronto. Seguirono altri documenti, il più importante dei quali fu un decreto (Decreto Legge sulla Socializzazione) approvato il 12 febbraio 1944, in quarantacinque articoli, che definì con maggiore precisione la desiderata nuova forma dell’economia di Salò, nella quale sarebbero stati fondamentali i seguenti istituti:

  • possibilità, per le aziende che estraevano materie prime, producevano energia o che erano impegnate in altri settori importanti per l’indipendenza dello Stato, di essere acquisite alla proprietà di quest’ultimo;
  • consigli di gestione che deliberassero sull’organizzazione della produzione e la ripartizione degli utili;
  • consigli di amministrazione formati da rappresentanti degli azionisti e dei lavoratori;
  • responsabilità personale dei dirigenti d’impresa di fronte allo stato;
  • nuove regole sulle nomine dei sindacalisti, dei commissari governativi e sui compiti di un nuovo ente pubblico, l’Istituto di gestione finanziamento.

Le reazioni al decreto furono quelle che chiunque avrebbe potuto prevedere: gli industriali italiani erano naturalmente, fisiologicamente ostili a una riforma così vasta e così drastica che avrebbe sensibilmente ridotto il loro enorme potere – ma non lo diedero a vedere ed a parole sostennero invece l’utilità del programma. Le autorità tedesche, civili e militari, videro nella riforma un possibile intralcio alle loro requisizioni (il mutamento di assetto poteva provocare riduzioni nelle quantità prodotte) e protestarono ufficialmente, riservandosi la facoltà di impedire l’applicazione del decreto.

La risposta più sincera, ed anche più forte, provenne dal mondo del lavoro: dal 1° marzo gli operai (compresi, al gran completo, quelli della Fiat) entrarono in sciopero. Le ragioni della protesta erano molte – gli scarsi salari, le pessime condizioni di vita, l’umiliazione di dover lavorare sotto la minaccia delle armi tedesche – ma lo sciopero fu anche una reazione a quel programma di socializzazione che gli operai, tra i quali vi erano molti agenti di indottrinamento del PCI che tentavano di preparare il campo per quello che sarebbe stato il dopoguerra. Lo sciopero si esaurì da sé nel giro di una settimana, senza ritorsioni da parte dei Tedeschi, anche se Hitler, per rappresaglia, avrebbe voluto far deportare in Germania il 20% degli operai.

Una settimana di produzione industriale ridotta agli sgoccioli rese gli occupanti ancora più ostili al progetto di Mussolini e la socializzazione, rifiutata dai lavoratori quanto dai capitalisti, finì per essere applicata solo da poche aziende di nessuna importanza per la produzione bellica.

[modifica] Le forze armate

Milite repubblicano
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Milite repubblicano

[modifica] L’esercito nazionale repubblicano

Secondo rilevamenti dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito Italiano nel periodo 1943-1945 l'Esercito della Repubblica Sociale contò 558.000 effettivi. I caduti in Italia di questo esercito furono circa 12.000 militari e 2.500 civili.

[modifica] La fondazione

Il proposito di “continuare la guerra” era sempre stato presente nella natura del nuovo regime fascista. Durante i colloqui svoltisi il 14 e 15 dicembre 1943 al Quartier Generale del Führer, Mussolini e Hitler concordarono la formazione di un nuovo esercito fascista: Hitler aveva intenzione, inizialmente, di far istituire un’armata di circa 10 o 15 divisioni, ma poi nella sua direttiva per l’attuazione del piano ne furono previste solo 4.

Intanto Mussolini tornò in Italia e ad ottobre partecipò a un convegno, insieme al neo-nominato ministro della difesa maresciallo Rodolfo Graziani (capo di stato maggiore fu il generale Gastone Gambara), sulla ricostituzione dell’esercito: venne considerata realistica la prospettiva di arruolare ben 500.000 militari, con i quali armare 25 divisioni, delle quali 5 corazzate e 10 motorizzate. Il progetto, però, da subito apparve alquanto pretenzioso, poiché nemmeno un massiccio sostegno tedesco – tra l’altro difficile da ottenere in quel momento – avrebbe potuto portare ad un risultato numericamente così imponente.

I risultati, come prevedibile e previsto, furono notevolmente inferiori alle aspettative. Le trattative con i tedeschi portarono solo alla costituzione delle 4 divisioni originariamente previste dal piano di Hitler, più altri reparti minori destinati al supporto delle forze armate tedesche, specialmente di genieri e artiglieri.

Nell’aprile del 1944 gli arruolati (volontari e coscritti – erano anche state richiamate alcune classi di leva) erano circa 200.000. Di questi, molti erano destinati ad altre mansioni: lavoratori nelle industrie della Germania soprattutto, e ausiliari per la Flak. Alla fine dell’anno, grazie alla minaccia della pena di morte per i renitenti, vennero arruolati 250.000 soldati, di cui 50.000 ceduti alla Luftwaffe. Il personale dell’apparato territoriale, il cui compito principale era quello di assicurare l’arruolamento e i servizi logistici, passò da circa 29.000 unità al momento dell’istituzione a 47.000 a metà del ’44; dopo, a causa dell’avanzata alleata, la riduzione del numero di comandi militari regionali portò anche alla riduzione del personale, che finì per stabilizzarsi sulle 27.000 unità.

[modifica] I vertici dell’organizzazione militare

Ai vertici dell’organizzazione militare della R.S.I. stava il Ministero della Difesa Nazionale che, dal 6 gennaio 1944 si chiamò Ministero delle Forze Armate. Il Ministro, che fu il Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, deteneva anche la carica di Capo di Stato Maggiore Generale. Collaboravano col Ministro un Sottosegretario per l’Esercito, uno per la Marina e uno per l’Aeronautica. Esisteva, poi, un Capo di Stato Maggiore per l’Esercito, uno per la Marina e uno per l’Aeronautica.

[modifica] L’organizzazione militare territoriale

Il territorio della R.S.I. effettivamente controllato dal governo fu organizzato, fin dal Settembre 1943, in Comandi Militari Regionali (C.M.R.) e Comandi Militari Provinciali (C.M.P.) I C.M.R. furono:

200° Roma

201° Firenze

202° Bologna

203° Padova

204° Trieste

205° Milano

206° Torino

207° Perugia

208° Macerata

209° Chieti – L’Aquila

210° Alessandria

Ogni C.M.R. constava di un Comando, un Quartier Generale con una Delegazione di Intendenza e una Compagnia (in alcuni casi un Battaglione) Regionale. Ogni Provincia ebbe un C.M.P. con un proprio Quartier Generale, una Compagnia (o un Battaglione) provinciale e il Distretto Militare. Furono, infine, attivati (e rimasero attivi fino all’aprile 1945) tutti i servizi necessari: le Scuole Ufficiali, il Servizio Artiglieria, il Servizio Automobilistico, il Servizio Chimico, il Servizio di Commissariato, il Servizio Genio, il Servizio Sanitario, il Servizio Trasporti, il Servizio Veterinario.

[modifica] Le 4 divisioni regolari

I volontari ed i coscritti (compresi i prigionieri italiani, pochi per la verità, che si offrirono di combattere per il nuovo regime) furono mandati in Germania per l’addestramento. Lì furono anche costituite effettivamente le divisioni: I divisione “Italia”, II divisione “Littorio”, III divisione “San Marco”, IV divisione “Monte Rosa”.

Ognuna di queste divisioni avrebbe avuto un organico ricalcato su quello delle divisioni Jager tedesche: 2 reggimenti di fanteria (o di alpini) di tre battaglioni ciascuno ed un reggimento di artiglieria, più i reparti di supporto che comprendevano un'ulteriore forza di fanteria, reparti da ricognizione, compagnia di cannoni controcarro, comunicazioni, sanità, genieri etc, per un totale di circa 14.000 uomini.

La “San Marco” e la “Monte Rosa” furono le prime a tornare in Italia, pur con carenze di organico e specialmente di mezzi di trasporto e armi. Iniziarono presto le diserzioni, che raggiunsero picchi del 10% nel settembre del ’44. Le altre due divisioni ebbero una vita più travagliata: per poco non vennero sciolte d’autorità dai Tedeschi ed i loro soldati spediti come ausiliari nella Flak. Tornarono in Italia nell’ottobre del ’44, anch’esse debilitate da gravissime carenze nell’organico quanto nei mezzi.

[modifica] Impiego al fronte

La maggior parte delle azioni compiute da queste unità furono dirette contro il movimento partigiano: i comandanti tedeschi, poco inclini a fidarsi dei militari italiani dopo i fatti dell’8 settembre, preferivano evitare di coinvolgerle nei combattimenti del fronte, e si convinsero ad usarle solo nei momenti e nei settori più tranquilli della Linea Gotica.

Ad ogni buon conto, specialmente per il rilievo propagandistico che la cosa avrebbe potuto suscitare, Mussolini insisteva perché le divisioni repubblicane fossero schierate di fronte agli alleati. Ottenne di più: la partecipazione ad una piccola controffensiva nel settore occidentale della Linea Gotica, con la quale i Tedeschi speravano di poter riprendere Lucca e Livorno durante l’inverno. L’operazione, denominata “Wintergewitter” ("temporale d’inverno"), scattò alla mezzanotte del 25 dicembre, con l’obiettivo iniziale di occupare la valle del Serchio.

Nonostante le pretese della propaganda fascista, che voleva far passare l’operazione “Wintergewitter” come una sorta di controffensiva delle Ardenne italiana, la battaglia fu di proporzioni quantomeno limitate, sia per i risultati ottenuti (far ripiegare un gruppo di combattimento reggimentale americano) sia per le dimensioni dei reparti impegnati (tre battaglioni tedeschi e tre repubblicani, più i supporti d’artiglieria). Entro il 31 dicembre il fronte si sarebbe nuovamente stabilizzato sulle posizioni di partenza, senza alcun mutamento strategico o tattico di rilievo.

[modifica] L’aeronautica nazionale repubblicana

Insegna alare dei velivoli dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana
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Insegna alare dei velivoli dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana
Emblema distintivo applicato sulle derive e le fusoliere degli aerei della Repubblica Sociale Italiana dall'ottobre 1943 al maggio 1945.
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Emblema distintivo applicato sulle derive e le fusoliere degli aerei della Repubblica Sociale Italiana dall'ottobre 1943 al maggio 1945.
Emblema della Luftwaffe, sino al 1944 essa comparì simultaneamente per un certo periodo anche sugli aerei dell'A.N.R. come i Macchi M.C.205 poiché alla data dell'Armistizio di Cassibile tutti gli aerei rimasti al Nord furono inizialmente sequestrati dai tedeschi.
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Emblema della Luftwaffe, sino al 1944 essa comparì simultaneamente per un certo periodo anche sugli aerei dell'A.N.R. come i Macchi M.C.205 poiché alla data dell'Armistizio di Cassibile tutti gli aerei rimasti al Nord furono inizialmente sequestrati dai tedeschi.
Adriano Visconti, asso degli assi[citazione necessaria] sia con la Règia Aeronautica che con l'Aeronautica Nazionale Repubblicana, ucciso da una raffica di mitra alla schiena nel cortile della caserma "Savoia Cavalleria" a Milano in circostanze mai chiarite. Era di ritorno da un incontro con i rappresentanti del CLN con i quali aveva trattato la resa.[citazione necessaria]
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Adriano Visconti, asso degli assi[citazione necessaria] sia con la Règia Aeronautica che con l'Aeronautica Nazionale Repubblicana, ucciso da una raffica di mitra alla schiena nel cortile della caserma "Savoia Cavalleria" a Milano in circostanze mai chiarite. Era di ritorno da un incontro con i rappresentanti del CLN con i quali aveva trattato la resa.[citazione necessaria]

L’istituzione di un’aviazione per la nascente repubblica fascista si fa in genere risalire alla nomina del tenente colonnello Ernesto Botto a sottosegretario per l’aeronautica il 23 settembre 1943, durante la riunione del consiglio dei ministri della RSI.

Botto si insediò nel suo ufficio al ministero dell’aeronautica il 1° ottobre e si trovò di fronte una situazione assai ingarbugliata, le cui cause erano da ricercare nella mancanza di collegamenti e nelle iniziative tedesche: il comandante della Luftflotte 2, il Feldmaresciallo Wolfram von Richthofen, aveva già iniziato a radunare il personale della Regia Aeronautica da arruolare nella Luftwaffe. Il Feldmaresciallo Albert Kesselring, a sua volta, aveva nominato il tenente colonnello Tito Falconi “ispettore della caccia italiana”, con il compito di rimettere la suddetta caccia in condizione di combattere. Per di più Richtofen aveva nominato un comandante per l’aviazione italiana nella persona del generale Müller.

Tra reciproche incomprensioni, distanze e differenze di vedute, la costituzione dell’Aeronautica Repubblicana dovette attendere l’autorizzazione personale di Hitler in novembre, dopo che le proteste ufficiali di Botto avevano risalito l’intera scala gerarchica tedesca. Nel gennaio del 1944 si iniziava così la formazione dei reparti: un gruppo per ogni specialità (caccia, su Macchi M.C.205 Veltro, aerosiluranti, su Savoia-Marchetti S.M.79 e trasporto) con una squadriglia complementare. Il tutto, per le operazioni, dipendeva dai comandi tedeschi. In aprile veniva formato un ulteriore gruppo di caccia, su Fiat G.55 Centauro.

Nel giugno dello stesso anno iniziò il passaggio ai velivoli tedeschi Messerschmitt Bf-109G-6, che avrebbero dovuto armare anche il nuovo 3° gruppo. Questa espansione della caccia fu dovuta sia al crescente disimpegno della Luftwaffe dal settore meridionale, sia dai buoni risultati conseguiti inizialmente. Ma questi terminarono ben presto ed il tasso di perdite cominciò a farsi in breve tempo superiore al numero di abbattimenti ottenuto.

Il gruppo aerosiluranti ottenne risultati ancora peggiori, subendo forti perdite mentre attaccava la flotta alleata che supportava la testa di ponte di Anzio. Nonostante le numerose navi colpite (secondo i bollettini ufficiali), la vita operativa del gruppo fu piuttosto avara di riconoscimenti: l’unico siluro messo a segno dopo tanto impegno, fu quello che danneggiò un piroscafo britannico, colpito a Nord di Bengasi, nel periodo in cui il reparto operava da basi ubicate in Grecia. Da segnalare il raid, anch’esso senza risultati di sorta, che il gruppo fece contro la piazzaforte di Gibilterra, prima di tutto per procurare argomenti alla propaganda repubblicana.

Quanto al gruppo dei trasporti (al quale se ne aggiunse un secondo), fu utilizzato dalla Luftwaffe sul Fronte Orientale e poi sciolto nell’estate del 1944.

Anche gli altri reparti, in sostanza, subirono la stessa sorte nello stesso momento: in quei mesi i rapporti fra i vertici militari repubblicani e tedeschi erano peggiorati notevolmente, anche a causa dei sempre minori risultati raggiunti dai reparti dell’Aeronautica Repubblicana, i cui mezzi e piloti subivano un eccessivo logorio. Von Richtofen, che doveva ridurre ulteriormente la presenza aerea tedesca in Italia, pensò di risolvere la questione sciogliendo i reparti repubblicani e sostituendoli con una sorta di “legione aerea italiana” , strutturata secondo il modello del Fliegerkorps tedesco, il cui comandante sarebbe stato il generale di brigata aerea Tessari (che avrebbe così lasciato la carica di sottosegretario che ricopriva dopo il dimissionamento di Botto), affiancato da uno stato maggiore germanico che avrebbe permesso alla Luftwaffe di mantenere il suo controllo sulle attività di guerra aerea in Italia.

Le solite rivalità interne e incomprensioni fecero bloccare il piano, lasciando la RSI di fatto senza aviazione fino a settembre, quando si riuscì a rimettere in moto il processo. Da ottobre fino al gennaio del 1945, quando il 1° gruppo tornò dall’addestramento in Germania, il 2° fu l’unico reparto di caccia disponibile per contrastare l’azione degli Alleati. Ma l’arrivo della nuova unità mutò di poco la situazione complessiva, che vedeva la caccia repubblicana subire perdite sempre maggiori.

Le ultime missioni di volo vennero svolte il 19 aprile, quando i due gruppi intercettarono dei bombardieri e dei ricognitori, probabilmente statunitensi: uno dei ricognitori venne abbattuto, a prezzo di un caccia; quanto allo scontro con i bombardieri, questo fu disastroso e gli aerei repubblicani, colti di sorpresa dalla reazione della scorta, subirono cinque perdite senza ottenere alcun abbattimento. Nei giorni successivi, impossibilitati a compiere decolli per mancanza di carburante e sottoposti a continui attacchi da parte dei partigiani, i reparti distrussero il materiale di volo e si arresero.

[modifica] La marina nazionale repubblicana

La formazione di una nuova marina fu un’operazione assai più lenta e difficoltosa rispetto alla pur travagliata vicenda della costituzione della altre due armi.

Il primo e più grosso problema che si poneva sulla via era quello di reperire i mezzi: il naviglio pesante e gran parte del naviglio leggero, in ottemperanza alle clausole armistiziali, si era messo in navigazione alla volta del Grand Harbour della Valletta per consegnarsi agli Alleati; i mezzi che erano stati abbandonati nei porti italiani avevano subito l’ormai usuale operazione di sabotaggio ad opera degli equipaggi, in modo che le truppe tedesche non se ne potessero impossessare.

Si schierarono con la nuova repubblica il comandante Grossi, che aveva autorità sui sottomarini della base di Betasom (Bordeaux) ed il principe Junio Valerio Borghese, comandante la Xª MAS. Il caso della Xª MAS merita un discorso a parte in quanto il suo comandante aveva preso accordi pressoché privati con gli alti comandi della Kriegsmarine e, pur appartenendo lui ed il suo reparto a quella che era stata la Regia Marina, non intesero divenire parte dell’organigramma della futura marina repubblicana, mantenendosi a sicura distanza, almeno nella fase iniziale, dal coinvolgimento politico.

Il sottosegretario per la marina, capitano di fregata Ferruccio Ferrini, nominato il 26 ottobre, tentò fin da subito di inglobare la "Decima" direttamente nella sua forza armata (come arma subordinata), ma con scarso successo e scatenando pericolosi incidenti che per poco non spinsero i "marò" del principe Borghese all’insurrezione armata contro il governo (questo fu peraltro uno dei motivi del successo e della popolarità della Flottiglia, che solo contando sull'immagine del comandante e sulla sua "indipendenza" politica, riuscì a raccogliere un numero impressionante di arruolamenti volontari e crebbe, allargandosi anche ad attività di terra, sino a divenire una sorta di esercito autonomo). Questi accadimenti, uniti alla scarsità del materiale navale rimasto in mano ai fascisti, portarono i comandi tedeschi ad arroccarsi su posizioni di diffidenza e di non collaborazione. La sostituzione di Ferrini con Sparzani (già capo di Stato Maggiore) dissolse le reticenze tedesche circa l'istituzione della nuova arma navale, che comunque sarebbe avvenuta alla condizione di mettere i reparti della marina repubblicana alle dipendenze tedesche.

La marina di Salò, oltre ai "Comandi di zona servizi" della marina (che ne costituivano l’organizzazione territoriale), aveva previsto l’istituzione di Comandi navali per l’impiego delle unità militari: uno per le unità di superficie, uno per i sommergibili, e infine uno per le unità anti-sommergibile. L’ultimo fu l’unico effettivamente funzionante; i sommergibili per il secondo furono impiegati principalmente per trasportare spie e agenti oltre le linee alleate; il primo non venne mai istituito in quanto non vi sarebbero state navi da assegnargli. Le uniche navi che videro un limitato impiego furono due incrociatori che vennero usati come navi anti-aeree ormeggiate nel porto di Trieste.

[modifica] Le brigate nere

Le Brigate Nere furono l’ultima creazione armata della Repubblica.

L’idea di un “esercito fascista”, politicizzato, di partito, era sempre stata uno dei cavalli di battaglia del segretario Pavolini, che aveva proposto l’istituzione di un corpo con queste caratteristiche sin dai primi del ’44, ma aveva ottenuto ben poco: il suo “centro di arruolamento volontario”, nel quale si sarebbero dovuti presentare in massa i fascisti non ancora sotto le armi, rimase deserto: in circa tre mesi, solo il 10% degli iscritti rispose alla chiamata, circa 47.000 su 480.000. La Guardia Nazionale Repubblicana fu sempre a corto sia di uomini che di mezzi.

Pavolini riuscì però a sfruttare due opportunità che gli si offrirono una di seguito all’altra: l’occupazione di Roma da parte degli Alleati a giugno, e l’attentato a Hitler a luglio. Mussolini, scosso da questi avvenimenti, cedette ed emanò il decreto (pubblicato sulla Gazzetta il 3 agosto) per l’istituzione del "Corpo ausiliario delle Camicie Nere". Il nuovo corpo, sottoposto a disciplina militare ed al codice penale militare del tempo di guerra, fu costituito da tutti gli iscritti al Partito Fascista Repubblicano di età compresa tra i diciotto e sessanta anni non appartenenti alle Forze Armate, organizzati in Squadre d’Azione; il segretario del Partito dovette trasformare la direzione del Partito in un ufficio di Stato Maggiore del Corpo ausiliario delle Squadre d’Azione delle Camicie Nere, le Federazioni si trasformarono in Brigate del Corpo ausiliario, il cui comando fu affidato ai capi politici locali. Il decreto, in poche parole, come recitava il testo, faceva sì che “la struttura politico-militare del Partito si trasformasse in un organismo di tipo esclusivamente militare”.

Fu Pavolini a coniare l’espressione "Brigate Nere", con la quale voleva esprimere la loro contrapposizione alle "Brigate Rosse", "Brigata Garibaldi", "Brigata Matteotti", etc, classici nomi da reparto della Resistenza. Essendo segretario del Partito, e quindi comandante delle Brigate, spettò a lui compito di scegliere i suoi collaboratori: Puccio Pucci, funzionario del CONI, fu il suo più stretto aiutante, ed il primo capo di Stato Maggiore fu il console Giovanni Battista Raggio. Il loro tentativo di riesumare lo squadrismo degli inizi (ma su scala più vasta) non si rivelò molto efficace: dei 100.000 uomini millantati da Pavolini se ne reperirono formalmente circa 20.000, e di questi solo 4.000 furono combattenti, militi cioè realmente operativi. Furono inquadrati nelle cosiddette Brigate Nere mobili, che sarebbero risultati gli unici reparti di questa milizia a combattere contro i partigiani.

Per le armi e i mezzi di trasporto le Brigate mobili dipendevano dai militari tedeschi, inizialmente più che contenti di poter contare sui fascisti repubblicani per le imprese antipartigiane, e specialmente per il "lavoro sporco". Le Brigate avrebbero composto un poco invidiabile e davvero poco commendevole curriculum: paesi incendiati, donne e bambini passati per le armi, deportazioni, sequestri, torture, esecuzioni sommarie. Ai crimini tipici delle azioni di contro-guerriglia, si aggiunsero quelli tipici di reparti che avevano arruolato ogni sorta di elemento, includendo anche più di un criminale: i rapporti della Guardia Nazionale Repubblicana elencano numerosi casi di saccheggio, furto, rapina, arresto illegale, violenze a cose e persone.

L’indisciplina delle Brigate è restata, tristemente, leggendaria; gli stessi comandanti tedeschi persero il loro iniziale entusiasmo registrando che le Brigate erano incapaci di coordinarsi con i reparti della Wehrmacht, non obbedivano agli ordini (che generalmente ignoravano), le loro violenze erano tali che, nelle zone in cui operavano, per reazione popolare i partigiani aumentavano di numero. Il comandante in capo delle SS in Italia, generale Wolff, forse per evitare un ulteriore aggravio del problema (ma anche perché stava per prendere iniziative di colloqui separati con gli Alleati e voleva operare un gesto di “distensione") decise di mettere fuori combattimento le Brigate Nere mobili, prosciugando i loro canali di rifornimento.

[modifica] I Servizi Speciali della RSI

I servizi Speciali Furono organizzati diversi organismi che preparavano volontari per missioni di sabotaggio e di informazione nei territori liberati. Si trattava di missioni naturalmente molto rischiose e diversi volontari furono catturati e fucilati o condannati a pene detentive.

I servizi speciali della Marina Furono quelli del Btg. NP della X^ MAS.

I servizi speciali dell’aeronautica Anche l’aeronautica ebbe i suoi servizi speciali (Coordinatore il Ten.Col. Ferruccio Vossilla) che, con personale addestrato all’aviolancio, compì missioni in territorio liberato.

Il nucleo paracadutisti dalmati Fu creato per iniziativa del Col. Giovanni Host Venturi e comandato dal S.Ten. Paracadutista Ruggero Benussi. Operò nei Balcani con lanci di uomini che compirono azioni contro i partigiani di Tito e a sostegno dei cetnici di Re Pietro II che combattevano contro i titini.

I servizi speciali della polizia Uno di questi servizi fu organizzato dal Comando della Legione E. Muti e fu denominato “Squadra servizi speciali”. Distaccato presso il comando della Divisione “Herman Goering”, operò sul fronte di Bologna compiendo azioni oltre le linee. Furono organizzati anche altri Servizi Speciali di Polizia dal Ministero dell’Interno, per addestrare squadre di sabotatori.

[modifica] La caduta

Per approfondire, vedi la voce Caduta della Repubblica Sociale Italiana.

La caduta della Repubblica Sociale Italiana ebbe due tempi:

  • il 25 aprile 1945, con lo scioglimento dal giuramento per Militari e Civili, quale ultimo atto di governo di Mussolini;
  • il 29 aprile 1945, con la Resa di Caserta. Una resa incondizionata, congiunta ai Comandi tedeschi e relativa al territorio italiano, che impose alle Forze Armate repubblicane la consegna delle armi, oltre il passaggio in prigionia a discrezione dei vincitori della Campagna d'Italia.

Nel 1944 gli angloamericani erano riusciti a superare le linee di resistenza lungo la penisola e alla conquista del Nord Italia si frapponeva soltanto la linea gotica. Quello che restava dello Stato Repubblicano istituito il 28 settembre 1943 a Rocca delle Caminate di Meldola, trafitto da bombardamenti, guerriglie, razionamenti, requisizioni e sabotaggi, era sempre più in difficoltà.

La fine politica della RSI avvenne la sera del 25 aprile 1945 nella sede della Prefettura milanese. Determinanti furono la disfatta tedesca del 21 aprile a Bologna e la decisione di Mussolini di non difendere Milano, aggiunte al fallimento di accordi di resa tramite esponenti moderati del Partito Socialista o, in extremis, tramite l'Arcivescovo Schuster.

Traduzione in tedesco della delega di Graziani a Wolff per una resa delle Forze Armate della RSI identica a quella dei Comandi tedeschi in Italia.
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Traduzione in tedesco della delega di Graziani a Wolff per una resa delle Forze Armate della RSI identica a quella dei Comandi tedeschi in Italia.

Dopo aver trasferito i poteri governativi al Ministro della Giustizia e aver disimpegnato tutti dalla fedeltà alla RSI, Mussolini partì per Como, disarmato e con intenti affidati al caso anche se pronto a quell'incontro, da tempo desiderato, con un emissario di Churchill.

Giustiziato il 28 aprile a Giulino di Mezzegra (Como), l'indomani Mussolini sarà portato a Milano insiene ai fucilati sul Lungolago di Dongo e appeso a testa in giù alla pensilina di una stazione di servizio nei pressi del luogo nel quale il 10 agosto 1944 era stata consumata la Strage di Piazzale Loreto, che aveva visto la fucilazione da parte dei nazifascisti di 15 partigiani ed antifascisti lasciati esposti con ludibrio e per intimidazione per tutto il giorno a seguito di un attentato di dubbia origine a causa del quale avevano perso la vita alcuni cittandini innocenti e nessun tedesco.

Alle ore 14.00 dello stesso 29 aprile 1945 le Forze Armate della RSI risultarono definitivamente sconfitte secondo le Convezioni dell'Aia e di Ginevra perché, dopo un impegno firmato da Graziani per una resa militare alle stesse condizioni imposte ai tedeschi, in modo esplicito erano state incluse in un documento a validità internazionale, passato alla Storia come Resa di Caserta.

Detto documento era attinente alla capitolazione del Comando tedesco del Sud Ovest e di quello delle SS und Polizei in Italia (per le retrovie) e fissava dopo tre giorni, alle ore 14.00 del 2 maggio, la cessazione delle ostilità sull'intero territorio di competenza.

Per la guerra dichiarata dall'Italia il 10 giugno 1940 alla Francia e alla Gran Bretagna e l'11 dicembre 1941 agli Stati Uniti d'America era l'inizio della fase di armistizio, necessaria premessa per un Trattato di Pace, che sarà firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. Nella forma e nella sostanza, un vero e proprio diktat che entrerà in vigore in Italia il 16 settembre 1947.

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