Privacy Policy Cookie Policy Terms and Conditions Libertà e diritti fondamentali - Wikipedia

Libertà e diritti fondamentali

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Con l'espressione libertà e diritti fondamentali si indicano le posizioni giuridiche soggettive che l'ordinamento giuridico italiano riconosce e si impegna a garantire. Secondo le più note ricostruzioni teoriche, si può avere di essi una nozione storicistica (sono tali i diritti consuetudinari), individualistica (sono tali i diritti che spettano, in base al diritto naturale, all'individuo), statualistica (sono tali i diritti che l'ordinamento definisce).

In quasi ogni ordinamento, sono presenti elementi di queste teorie.
Significativa al riguardo è la Costituzione degli Stati Uniti d'America che alla nozione storicistica propria della madrepatria inglese accosta quella individualistica (dovuta a una diffidenza di fondo nei confronti dell'onnipotenza del legislatore) e quella statualistica (che si concreta soprattutto nel ruolo della Costituzione rigida così come riconosciuto dalla Corte suprema a partire dalla sentenza Marbury vs. Madison del 1803).

Similmente, nella Francia rivoluzionaria, pur eliminando radicalmente ogni riferimento alle nozione storicistiche, in polemica opposizione all'ancien regime, sono ben presenti sia le nozioni individualistiche (laddove si affermano, nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, i «diritti naturali e imprescrittibili dell'uomo») che quelle statualistiche (valorizzate soprattutto dalla funzione attribuita alla legge), in un contesto dominato dal principio della rappresentatività politica e dalla connessa petizione di principio che nega la possibilità di contrasti tra Costituzione e legge.

La successiva evoluzione dello Stato liberale nel corso del 1800 determinerà l'accentuazione degli elementi statualistici già presenti nel modello rivoluzionario francese, giungendo a ritenere la legge non più l'espressione della sovranità popolare, ma l'esercizio di una funzione pubblica e - nelle degenerazioni dittatoriali e totalitarie - concependo lo Stato come l'evoluzione storica della Nazione, che trova quindi in sé stesso la sua legittimazione, e i diritti funzionalizzati al perseguimento degli scopi dello Stato, superiori ed indipendenti rispetto a quelli dei singoli.
Il costituzionalismo contemporaneo, infine, stabilisce nella Costituzione la fonte e la garanzia dei diritti di libertà, rafforzata - sulla scorta del modello nordamericano - dalla distinzione tra potere costituente e poteri costituiti e dalla conseguente rigidità e giustizia costituzionale, come anche la base programmatica comune e sottratta alle dinamiche politiche, con particolare riguardo alle libertà così dette positive.

Indice

[modifica] I diritti fondamentali nello Statuto albertino

Lo Statuto albertino è una costituzione ottriata, ossia concessa dal sovrano, e anche se dichiarato «perpetuo» ed «immutabile» viene molto presto considerato una costituzione flessibile, ossia liberamente modificabile dal Parlamento, che così assume le funzioni di una costituente perpetua.

Per ciò che concerne i diritti di libertà, posta l'enunciazione del principio di eguaglianza formale, essi sono codificati, con una tecnica normativa che, dopo l'affermazione del diritto, rinvia al legislatore la determinazione dei limiti del suo esercizio (con una riserva di legge che, oltre a prestarsi a facili abusi da parte del legislatore, rapidamente involve tendendo a coincidere con il principio di legalità formale). In alcuni casi, viene stabilita, a maggior garanzia delle libertà individuali, anche una riserva di giurisdizione, la cui portata è però drasticamente limitata dalla scarsa indipendenza dei giudici nei confronti dell'esecutivo.

Nell'evoluzione storica, successivamente ad una prima fase in cui, pur in presenza di interpretazioni spesso restrittive delle libertà, si registra un sostanziale equilibro tra principi garantisti e statualisti, si afferma, con la dittatura fascista, una concezione funzionale dei diritti che, senza procedere alla loro negazione, ne limita profondamente la portata.

[modifica] Gli articoli 2 e 3 della Costituzione

Dispone l'art. 2 della Costituzione che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Questa norma, insieme a quella contenuta nell'art. 1 («l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione») definisce l'attuale forma di Stato, e presenta una particolare importanza a livello sistematico.

Il soggetto dell'enunciato («Repubblica») vale a indicare sia lo Stato-apparato sia lo Stato-comunità. Il termine «uomo» ivi impiegato si presta, invece, a due possibili interpretazioni. Parte della dottrina sostiene che esso valga come sinonimo di «cittadino», essendo una Costituzione un atto politico che presuppone lo status di cittadinanza, e perdendo altrimenti di significato la disposizione di cui all'art. 10 comma 2 («la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali»).

A questa tesi si ribatte soprattutto considerando i principi individualisti ed universalisti presenti nel testo costituzionale, ed espressi nello stesso articolo 10, al terzo comma («lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge»). Con un approccio maggormente pragmatico, si può comunque considerare irrilevante la soluzione di questo problema interpretativo, posta la quantità e qualità delle norme internazionali che disciplinano i diritti dell'uomo (tra le quali assumono particolare rilevanza la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948, e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo del 1950).

Altra questione particolarmente delicata è quella della qualificazione dell'art. 2 come norma a fattispecie aperta ovvero norma a fattispecie chiusa. Nel primo caso, per il tramite dell'art. 2 verrebbero introdotti nell'ordinamento diritti non previsti dal testo costituzionale, ed emersi dall'evoluzione economica, sociale e politica della comunità (ossia, dalla costituzione materiale). Nel secondo caso, questo non sarebbe possibile. Posto il fatto che la configurazione di un nuovo diritto comporta, in un ordinamento costituzionale contemporaneo, anche la configurazione di un nuovo obbligo, a carico non solo dello Stato ma anche di privati, è da ritenersi preferibile la tesi che vede nell'art. 2 una norma a fattispecie chiusa, pur con i temperamenti derivanti da una interpretazione quanto più estensiva possibile dei diritti nominati dalla Costituzione nonché dell'art. 2 medesimo.

L'art. 3 della Costituzione, invece, enuncia i due principi di eguaglianza formale («tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali») e sostanziale («è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»).
Il principio dell’uguaglianza formale è stato molto approfondito ed ha assunto il valore di criterio al cui controllo sono sottoposte tutte le volontà del sistema giuridico. Il destinatario dell’art. 3 è in prima istanza il legislatore, che deve considerare eguali tutti i cittadini. Il legislatore deve parificare le situazioni giuridiche eguali e distinguere le situazioni giuridiche diverse, senza mai assumere come criterio di diversificazione quelli enunciati nell’art. 3 comma I.
La discrezionalità del legislatore nel diversificare le situazioni giuridiche si deve arrestare di fronte a questi criteri enunciati dal costituente. Inizialmente si è ritenuto che i criteri di discrezionalità del legislatore nel diversificare le situazioni giuridiche diverse fossero insindacabili, fermi restando i divieti imposti dalla Costituzione , come ribadito dalla legge n. 87 del 1953 che all’art. 28 dice “il controllo di legittimità non può avere ad oggetto l’esercizio di discrezionalità del legislatore”.
La Corte costituzionale nelle prime sentenze ha mostrato ossequio a tale disciplina (sentenza n. 28 del 1957), in seguito ha ribaltato completamente tale opinione dichiarando con le sentenze n. 7 del 1973 e n. 7 del 1975 che nell’esercizio di discrezionalità del legislatore deve essere rinvenibile una ragionevolezza di fondo. Il legislatore può parificare e diversificare, ma nei limiti della ragionevolezza e degli altri principi costituzionali. Una scelta del legislatore deve essere valutata rispetto a due requisiti di validità : nella legge deve essere individuabile una finalità e questa deve essere una finalità apprezzabile costituzionalmente. La Corte costituzionale agisce da sindacato rispetto a questi due requisiti di validità.

[modifica] I singoli diritti

In base alla loro struttura, i diritti possono essere classificati come assoluti (quando possono essere fatti valere nei confronti di qualsiasi soggetto), relativi (quando possono essere fatti valere nei confronti solo di soggetti particolari; nei casi in esame, principalmente lo Stato) o funzionali (quando il loro esercizio è strumento e non già conseguimento del bene della vita).

Tra i diritti assoluti, vanno annoverati i classici diritti di libertà (libertà personale, libertà e inviolabilità del domicilio, libertà di circolazione e soggiorno, libertà e segretezza della corrispondenza, libertà di manifestazione del pensiero), oltre al diritto alla vita e all'integrità psicofisica, il diritto al mantenimento della cittadinanza e della capacità giuridica, il diritto al nome e all'immagine, i diritti matrimoniali e le potestà familiari, la proprietà, i diritti reali e quelli successori.

Tra i diritti relativi (o diritti di prestazione), vi sono i diritti sociali, i diritti a comportamenti omissivi e il diritto al pari trattamento.

Tra i diritti funzionali, infine, sono da ricordarsi i diritti politici, i diritti di autotutela (tra questi, l'unico che gode di un espresso riconoscimento costituzionale è il diritto di sciopero) e il diritto alla tutela giurisdizionale.

[modifica] Garanzie dei diritti costituzionali

Si può definire garanzia ogni strumento di protezione di determinati interessi contro l'eventualità di offese, strumento che, per ciò che riguarda i diritti fondamentali, la Repubblica si impegna ad apprestare in virtù di quanto disposto dall'art. 2 della Costituzione.

Le garanzie, a loro volta, possono essere giursidizionali, quando presuppongono un procedimento giurisdizionale (e queste saranno dirette o indirette), oppure non giursdizionali, quando, anche avvenendo al suo interno, non lo presuppongono.

Le garanzie giurisdizionali indirette consistono nell'indipendenza (che attiene all'ufficio giurisdizionale, ed è sia organica che funzionale), terzietà (che attiene alla persona del giudice) e imparzialità (che costituisce un requisito modale relativo all'attività giurisdizionale) del giudice, nonché nella naturalità e precostituzione, cui si affiancano il divieto di istituzione di giudici straordinari e speciali.

Le garanzie giurisdizionali indirette sono quelle che, già ricavate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, sono state esplicitate dal legislatore costituzionale nella riforma dell'art. 111, che ora espressamente prevede nel nostro ordinamento i principi del giusto processo (contraddittorio, ragionevole durata, obbligo di motivazione).

Le garanzie non giurisdizionali, invece, sono date dai ricorsi amministrativi, dalla partecipazione al procedimento amministrativo, dalle autorità amministrative indipendenti, dalla responsabilità civile della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti, dalla inutilizzabilità processuale delle prove illecite.

[modifica] Limiti e restrizioni

Per ciò che concerne la spettanza dei diritti, oltre a richiamare quanto detto supra con riguardo al concetto di «uomo» richiamato dall'art. 2 della Costituzione, va richiamata l'attenzione anche a quello di «capacità». Essa, infatti, non può risolversi semplicemente nella categoria civilistica, ma pur riaffermando il principio per cui tutte le persone fisiche sono soggetti di diritto, e quindi in quanto tali potenziali centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, va notato come, per i diritti consistenti nell'esplicazione di attività materiali, essa debba essere ricondotta alla capacità naturale, ossia alla concreta capacità di autodeterminarsi in relazione all'attività materiale stessa (con i limiti, per il minore, derivanti dall'esercizio della potestà genitoriale, finché questa si esprima in misure dotate di capacità educativa), mentre per i diritti consistenti nel compimento di atti giuridici essa corrisponde alla capacità d'agire determinata per essi.

Per ciò che riguarda i limiti dei diritti di libertà, essi devono essere ricondotti necessariamente a quelli previsti dal testo costituzionale, o quelli dal medesimo consentiti (per i diritti individuali) o necessari al conseguimento della funzione connessa (per i diritti funzionali), essendo estremamente ambigua l'affermazione, pur avvallata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, per cui il legislatore sarebbe libero di apporre limiti di esercizio ma non di contenuto, non avendo senso - al riguardo dei diritti di libertà - porre in essere una distinzione tra esercizio e contenuto degli stessi.

Per quanto invece riguarda la sospensione dei diritti costituzionali da adottarsi in stato di emergenza, fattispecie non prevista dalla vigente Costituzione, considerando l'inutilizzabilità di alcuni degli strumenti proposti (come la delega legislativa, lo stato di guerra, una legge costituzionale e, in ipotesi di estrema rottura, pericolose fonti extra ordinem), si deve ritenere preferibile lo strumento della decretazione d'urgenza, con una interpretazione forse più aderente all'intento del costituente delle straordinarie ipotesi di necessità ed urgenza.

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