Statuto albertino
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Lo Statuto albertino, concesso il 4 marzo 1848, si autodefinì come la «Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia» sabauda.
[modifica] L'adozione dello Statuto Albertino
In seguito ai moti promossi dalle classi borghesi, cui talora partecipa anche l'aristocrazia, nelle principali città del Regno di Sardegna, e in particolare a Torino e a Genova, già l'8 febbraio 1848 Carlo Alberto, con il proclama di Moncalieri, annunciava ai sudditi che era sua intenzione concedere uno Statuto, in continuazione con l'esperienza in atto (uno Stato di polizia, tendenzialmente illuministico) e con la novità costituita dal riconoscimento di un Parlamento composto anche da una Camera elettiva.
Il Consiglio di Conferenza, incaricato di redigere lo Statuto, ebbe come principale obiettivo quello di individuare, tra i modelli costituzionali europei, quello maggiormente congeniale al Regno di Sardegna, e che producesse il minor cambiamento possibile all'interno degli assetti istituzionali. Questo modello venne individuato nella Costituzione orleanista del 1830 e in quella belga del 1831.
[modifica] Il suo significato
Essendo lo Statuto albertino una carta ottriata (dal francese octroyée: concessa dal sovrano), riveste una particolare importanza il suo preambolo. L'assolutismo illuminato, ultima evoluzione dello Stato di polizia, è estremamente evidente: «con lealtà di Re e con affetto di padre Noi veniamo a compiere quanto avevamo annunziato ai nostri amatissimi Sudditi», così come è evidente la riserva mentale con cui lo Statuto viene concesso, laddove - celando le forti motivazioni sociali che hanno indotto Carlo Alberto ad emanare questo atto - si afferma «di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue».
È inoltre da notare come lo Statuto non sia mai qualificato con il termine costituzione, ritenuto ancora pregno di significati assiologici e non meramente descrittivi, e come dalle intenzioni espresse dal sovrano esso dovesse intendersi come una costituzione rigida, «perpetua ed irrevocabile». La storia si incaricò però di smentire questa affermazione: fin dall'inizio, lo Statuto - che definiva una forma di monarchia costituzionale pura - tese ad evolversi verso la differente forma di monarchia parlamentare, rivelando quindi una natura di costituzione flessibile (e infatti era modificabile con legge ordinaria). Il sistema costituzionale italiano, quindi, subì un'evoluzione dettata in parte da una scelta costituente compiuta formalmente dal monarca, ma in buona parte legata al concreto divenire del sistema politico.
Lo Statuto albertino corrisponde a ciò che si definisce una costituzione breve: si limita ad enunciare i diritti (che sono per lo più libertà dallo Stato) e ad individuare la forma di governo, ma non si pone il fine di raggiungere obiettivi di convivenza, né di prefigurare i rapporti dei consociati (Stato-comunità) tra di loro e tra questi e lo Stato-apparato. Riconosce il principio di eguaglianza (art. 24: «tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla Legge. // Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessi alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi»), ma si limita ad affermare un'eguaglianza formale. Riconosce formalmente la libertà individuale (art. 26: «la libertà individuale è guarentita. // Niuno può essere arrestato o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme ch'essa prescrive»), l'inviolabilità del domicilio (art. 27: «il domicilio è inviolabile. Niuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della Legge, e nelle forme che essa prescrive»), la libertà di stampa (art. 28: «la Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. // Tuttavia le Bibbie, i Catechismi, i libri liturgici e di preghiera non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo»), la libertà di riunione (art. 32: «è riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz'armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l'esercizio nell'interesse della cosa pubblica. // Questa disposizione non è applicabile all adunanze in luoghi pubblici od aperti al pubblico, i quali rimangono interamente soggetti alle leggi di polizia»), ma le riserve di legge ivi previste si risolvono nel ben più blando e meno garantista principio di legalità, mentre è sconosciuto l'istituto della riserva di giurisdizione: in definitiva, il vero cardine del sistema dei diritti statutari è costituito dal diritto di proprietà (art. 29: «tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili. // Tuttavia quando l'interesse pubblico legalmente accertato le esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto od in parte mediante una giusta indennità conformemente alle leggi»).
Per ciò che invece riguarda la forma di governo, lo Statuto albertino definisce originariamente una monarchia costituzionale pura: l'esecutivo (il governo) è governo del Re, e gode della sua fiducia; lo stesso potere legislativo è condiviso dal Parlamento (composto di una Camera dei Deputati elettiva e di un Senato del Regno di nomina regia e vitalizio) con il sovrano, cui spetta la sanzione delle leggi. Tuttavia, fin dai primi governi dell'epoca statutaria (e sicuramente a partire da Cavour) l'esecutivo si sentì legittimato soltanto in virtù dell'ottenimento, oltre che della fiducia del monarca, anche di quella dell'assemblea elettiva. Similmente, l'istituto della sanzione regia è stato utilizzato solo in pochissime ipotesi per impedire il perfezionamento dell'iter di una legge approvata dal Parlamento.