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Etica

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«Il primo passo nell'evoluzione dell'etica è un senso di solidarietà con altri esseri umani»

L'etica (il termine deriva dal greco έθος, ossia "condotta", "carattere", “consuetudine”) è quella branca della filosofia che studia i fondamenti di ciò che viene vissuto come buono, giusto o moralmente corretto, in contrapposizione a ciò che è male, o è sbagliato. Si può anche definire l'etica come la ricerca di una gestione adeguata della libertà.

Spesso viene anche detta filosofia morale. In altre parole, essa ha come oggetto i valori morali che determinano il comportamento dell'uomo.

È consuetudine differenziare i termini 'etica' e 'morale'. Sebbene essi spesso siano usati come sinonimi, si preferisce l'uso del termine 'morale' per indicare l'assieme di valori, norme e costumi di un individuo o di un determinato gruppo umano. Si preferisce riservare la parola 'etica' per riferirsi all'intento razionale (cioè filosofico) di fondare la morale intesa come disciplina.

L'etica può essere descrittiva se descrive il comportamento umano, mentre è normativa (o prescrittiva) se fornisce indicazioni. In ogni caso l'indagine verte sul significato delle teorie etiche.

Può essere anche soggettiva, quando si occupa del soggetto che agisce, indipendentemente da azioni od intenzioni, ed oggettiva, quando l'azione è relazionata ai valori comuni ed alle istituzioni.


Indice

[modifica] Filosofia pratica e Metaetica analitica

Per comprendere l'oggetto dell'etica è utile mettere a confronto due modelli teorici.

[modifica] Metaetica analitica

Essa trova la sua prima esemplificazione nei Principia Ethica di Moore. Moore si propone di analizzare in modo rigoroso il linguaggio morale e di definire il significato dei concetti propriamente morali (quali buono, doveroso, obbligatorio etc.). Moore, quindi propone una distinzione fra vita morale e sapere e, di conseguenza, propone una distinzione fra vita morale ed etica. L'etica non costituisce alcuna forma di conoscenza, ma ha solo a che fare con emozioni, raccomandazioni e prescrizioni. La questione posta dalla metaetica relativa alla giustificazione dei princìpi morali, è necessaria per dipanare l'intreccio di motivi e di princìpi che sono alla base della stessa conflittualità morale. La metaetica vuole dunque operare una chiarificazione concettuale in modo tale da ridimensionare le pretese accampate da prospettive morali particolari. Essa delimita l'ambito dell'etica rispetto alle diverse espressioni dell'ethos.

[modifica] Filosofia pratica

La filosofia pratica reagisce contro la pretesa neutralità rivendicata dalla metaetica analitica. Infatti, pur rinunciando ad una sua propria scientificità, non si può, secondo la filosofia pratica, pretendere dall'etica il medesimo rigore e la medesima precisione che si richiedono alla matematica. Le dimostrazioni della matematica sono sempre valide, quelle etiche lo sono per lo più. Quindi, l'etica non è una scienza fine a sé stessa, ma vuole orientare la prassi. In definitiva, la filosofia pratica concepisce il sapere pratico come strettamente agganciato all'esperienza.

[modifica] Teorie teleologiche e deontologiche

Il problema da cui nascono queste due opposte ramificazioni è insito nella domanda:

"Come possiamo stabilire che cosa è moralmente giusto fare per un certo agente?"

  • Seguendo la teoria teleologica scopriamo che un atto è giusto se e solo se esso, o la norma in cui rientra, produce, produrrà o probabilmente produrrà, tende a produrre almeno una rimanenza di bene sul male pari a qualsiasi altra alternativa accessibile. Quindi il fine dell'azione è posto in prima istanza rispetto al dovere e all'intenzione.
  • Seguendo invece la teoria deontologica'', scopriamo che il criterio della modalità dell'azione è l'azione stessa. Ne deriva che il dovere e l'intenzione sono poste prima del fine dell'azione.

Le teorie deontologiche possono asserire che i giudizi basilari di obbligo sono tutti e solamente particolari e che i giudizi generali sono inutilizzabili o inutili o derivanti da giudizi particolari (in questo caso abbiamo una teoria deontologica dell'atto). Un'altra teoria deontologica (detta teoria deontologica della norma) sostiene invece che il codice del giusto e del torto consiste in una o più norme e, quindi, che le norme sono valide indipendentemente dal fatto che esse promuovano il bene. Tali norme sono basilari e non sono derivate per induzione da casi particolari.

[modifica] Il Bene e il Giusto

Riguardo alla questione se sia prioritario il bene o il giusto, vi sono diverse teorie:

  • il Liberalismo vede il primato del giusto sul bene, da cui è doverosa quell'azione che è conforme ad una norma giusta, per cui dobbiamo scegliere in base ai princìpi di giustizia. Tale teoria vede una sua nascita in Locke e in Kant ed una ripresa in John Rawls e nel suo neocontrattualismo.
  • per il Comunitarismo la giustizia non è una questione di regole e procedure, ma qualcosa che concerne il comportamento delle persone rispetto ai propri simili, la giustizia è una virtù della persona.
  • Taylor, invece, ritiene illusorio immaginare che il giusto possa prescindere dal riferimento al bene. Egli vede, dunque un primato del bene sul giusto, dove per bene non si intende l'utile, ma "tutto ciò che spicca sulle altre cose in virtù di una distinzione qualitativa". La moralità non concerne solo obblighi e regole pubbliche, ma concerne prima di tutto le distinzioni qualitative.
  • l'Assiologia, ovvero lo studio del valore, ovvero della qualità. La teoria dei valori si occupa principalmente della natura del valore e della bontà in generale.

[modifica] L'utilitarismo

L'utilitarismo sostiene come criterio ultimo quello del princìpio di utilità, per cui il fine morale da ricercare in tutto quanto facciamo è la maggiore rimanenza possibile del bene sul male. In questo caso si parla, evidentemente, di bene e male non-morali. Ci sono tre tipi fondamentali di utilitarismo

[modifica] Utilitarismo dell'atto

Il principio base rimane sempre quello della rimanenza del bene sul male, ma diviene fondamentale sottolineare il particolarismo, ossia che la domanda da porsi è cosa io debba fare in questa determinata situazione e non cosa tutti dovrebbero fare in certi tipi di situazioni. Quindi anche la rimanenza che si ricerca è riferita immediatamente al soggetto singolo e non è una rimanenza di bene generale.

[modifica] Utilitarismo generale

Questo si basa su due caratteristiche fondamentali:

  • il principio base dell'utilitarismo
  • il princìpio dell'universalizzabilità.
  • il principio naturalista

Quindi nell'agire, io mi devo chiedere cosa accadrebbe se tutti agissero così in tali casi. L'idea sottostante l'utilitarismo generale è relativa al fatto che, se è giusto che una persona in una certa situazione faccia una certa cosa, allora è giusto che quell'azione sia fatta da qualsiasi persona in situazioni simili.

[modifica] Utilitarismo della norma

Esso pone in evidenza la centralità delle norme ed asserisce che generalmente, se non sempre, dobbiamo stabilire che cosa fare nelle situazioni particolari, appellandoci alle norme. Si differenzia dal deontologismo perché aggiunge a questo il fatto che dobbiamo sempre determinare le nostre norme domandandoci quale norma promuoverà il maggior bene generale per tutti. Quindi tutta la questione, nell'utilitarismo della norma, ruota intorno alla domanda: quale norma è più utile per il maggior numero di persone?.

[modifica] Etica laica ed etica religiosa

Alla base di ciascuna concezione dell'etica sta la nozione del bene e del male, della virtù ed una determinata visione dell'uomo e dei rapporti umani. Tali idee sono spesso correlate ad una particolare religione, o comunque ad una ideologia.

L'etica a base religiosa infatti, fissa norme di comportamento che pretende valide per tutti, mentre l'etica laica non mira ad imporre valori eterni e si dimostra solitamente attenta alle esigenze umane che tengano conto delle condizioni e delle trasformazioni storiche.

Il fondamento dell'etica cristiana è l'esercizio dell'amore verso il prossimo, mediante il quale si esprime l'amore verso il Creatore. Per il cristiano, il problema morale coinvolge quelli della salvezza dell'anima e del libero arbitrio. Etica della verità ed etica della carità, laddove per carità intendiamo un concreto rapporto di dedizione che si esprime in concreti atteggiamenti, azioni e rapporti di compassione, mentre per verità si intende un insieme di preposizioni dottrinali che si esprime in codici di credenze e comportamenti astratti.

La carità è vissuta, agisce dall'interno delle coscienze e considera ogni essere umano come individuo irriducibile ed inconfondibile (persona), non sopporta regole generali, si incarna negli esseri umani, rifugge dalle condanne, perdona e riconcilia. La verità conosciuta, agisce dall'esterno, considera ogni essere come individuo riconducibile e assimilabile ad altri, classi categorie, produce regole generali, formula precetti e commina sanzioni, separa i buoni dai reprobi.

[modifica] Etica cristiana

Per etica cristiana si intende la vita nuova in Cristo che viene partecipata al discepolo che ha ricevuto il Battesimo (si confronti la dottrina di Paolo apostolo nel Nuovo Testamento) Attraverso il Battesimo, il Cristo rende partecipe il credente del suo stesso amore. In ragione di questo evento, il credente non appartiene più a se stesso ma al Cristo che è morto per lui e riceve in dono il comandamento di amare come ha amato Gesù il Cristo.

  • Lo Spirito Santo, che abita nel cuore del credente, è il principio di tutta la vita in Cristo, perché è Colui che interiorizza la verità dell'Amore di Cristo.

I fondamenti dell'etica cristiana per tutte le chiese sono dati dall'etica neotestamentaria (che discende dagli insegnamenti di Gesù il Cristo). Per l'etica cattolica dobbiamo poi aggiungere il pensiero espresso nella Tradizione e nel Magistero della Chiesa lungo i secoli, oggi racchiuso, attualizzato e sviluppato nei più recenti documenti come quelli del Concilio Vaticano II (Gaudium et spes, ...), nelle varie encicliche dei papi del Novecento e soprattutto di Papa Giovanni Paolo II (tra cui Fides et Ratio e Veritatis Splendor), e nell'approfondimento dei teologi che indagano le verità cristiane e le verità morali. In maniera simile anche nella altre chiese l'etica ha ricevuto supporti successivi (e ancor oggi li riceve): basti pensare all'attenzione riservata ai Padri orientali da parte dell'ortodossia, ai sinodi delle chiese protestanti e ortodosse, alle prese di posizione ufficiali delle varie Chiese nella loro conciliarità, ...

L'etica cristiana non considera se stessa un'imposizione al "mondo". A fondamento dell'etica cristiana sta l'"avvenimento" Cristo e il suo mistero pasquale; all'origine di tutto ciò che il cristiano deve fare, sta il suo essere collocato dentro l'avvenimento del mistero pasquale di Cristo. Per cui l'etica cristiana è una

  • etica cristocentrica: ha al centro l'"avvenimento" Cristo, mistericamente presente e partecipato;
  • etica della grazia: perché il dono di Dio precede e rende possibile ciò che il cristiano è chiamato a portare avanti nel comandamento dell'amore;
  • etica della fede: solo nella fede essa trova il suo significato.

Questa etica, così particolare e specifica, vuole essere in dialogo con ogni altra etica, perché ha il compito di servire e liberare l'uomo dall'egoismo. Essa si "ritrova" in tutto ciò che di buono e di degno va a fondare l'azione degli uomini, perché riconosce fermamente che lo Spirito agisce anche al di fuori del popolo dei battezzati.

Certamente questa etica difende la sua identità, perché fondata sulla parola di un Cristo, ritenuto nella fede di tutte le chiese cristiane il Figlio di Dio. Essa non può essere cambiata secondo il "sentire" delle epoche o il fluttuare delle mode e dei modelli di comportamento, alcune volte creati ad hoc da strumenti di potere che controllano l'economia, la cultura o altro, perché avrà sempre il suo diretto riferimento alla parola del creatore.

[modifica] Valore morale e responsabilità

Quando si parla di buono o cattivo, possiamo farlo in termini morali o non-morali. Possiamo infatti parlare di una buona vita o di una vita buona e solo nel secondo caso intendiamo dare un giudizio morale sulla condotta della vita, mentre nel primo la felicità della persona, può non dipendere dalla persona stessa. Nel corso della sua storia, la moralità si è occupata di coltivare certe disposizioni dell'uomo, tra cui figurano certamente il carattere e la virtù:

  • le virtù sono disposizioni, o tratti, non interamente innate. Esse devono essere acquisite, almeno in parte, attraverso l'insegnamento e la pratica continua di tali insegnamenti. Di fatto la moralità dovrebbe essere concepita primariamente come acquisizione e coltivazione di tali tratti, ossia il fare delle virtù un vero e proprio habitus.

[modifica] L'etica della virtù

Un'etica della virtù si basa evidentemente sul concetto di virtù. Con questo termine si intende una disposizione, un habitus, una qualità o un tratto del carattere che un individuo ha o cerca di avere. Questa etica non assume i princìpi deontici come base della moralità, ma considera basilari i giudizi areteici. I princìpi deontici derivano da quelli areteici e se non derivano da questi, sono superflui. Un'etica della virtù considera i giudizi areteici sulle azioni come giudizi secondari e basati sui giudizi areteici sulle persone e sui loro motivi o tratti del carattere. Quindi per l'etica dei valori la moralità non ha a che fare con l'obbligatorietà dell'azione. Per essere morali bisogna essere un certo tipo di persona, non semplicemente agire in un certo modo. Si guarda, dunque, primariamente alla persona ed al suo essere piuttosto che all'azione che essa compie. Le disposizioni del carattere che sono virtù morali, secondo questa etica, sono:

  • egoismo del tratto: le virtù sono quelle disposizioni che maggiormente contribuiscono al bene o al benessere personale; (la virtù cardinale è qui il bene personale)
  • utilitarismo del tratto: le virtù sono quei tratti di carattere che maggiormente promuovono il bene generale (la virtù cardinale è qui la benevolenza).

[modifica] Responsabilità morale

Con questo termine generalmente si vuole attribuire un'azione ad un agente. Possiamo operare tale attribuzione in tre modi fondamentali:

  • dicendo che una persona è responsabile
  • dicendo che una persona X è responsabile di un'azione Y
  • dicendo che una persona X è responsabile di un'azione Y, intendendo con Y qualcosa ancora da farsi, intendendo quindi che la persona X ha la responsabilità di fare Y.

Il problema è: "a quali condizioni è corretto giudicare o dire che X è responsabile di Y?" Ci sono convenzionalmente due condizioni necessaria tramite le quali possiamo definire X responsabile:

  • che X sia abile a compiere Y
  • che X faccia Y

Ora, il problema è: queste condizioni sono necessarie. Ma sono anche sufficienti? Aristotele riteneva che un soggetto è responsabile nel momento in cui

  • la causa dell'atto è interna al soggetto, cioè se il soggetto non è costretto ad agire da qualcuno o qualcosa di esterno
  • l'atto non è risultato dalignoranza, cioè se il soggetto è anche cosciente dell'azione che compie.

Da queste problematiche nascono anche le teorie del determinismo etico e quella dell'indeterminismo etico.

[modifica] Bioetica

Il termine bioetica, coniato nel 1970 dal cancerologo statunitense Van Rensselaer Potter, indica un'etica non incentrata sugli esseri umani e le loro azioni reciproche, quanto piuttosto sull'assunzione di responsabilità dell'uomo per il sistema complessivo della vita. Con lo stesso termine, in seguito, si venne a delineare lo studio della condotta umana nell'area delle scienze della vita e della cura della salute, esaminata alla luce di valori e princìpi morali. La bioetica si sviluppa negli anni Settanta fra il Kennedy Institute of Ethics (a Washington) e l'Hastings Center (a New York), in cui nasce la più importante rivista di bioetica "The Hastings Center Report". La bioetica nasce perché lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie biomediche hanno posto problemi che travalicano l'ambito del sapere scientifico per investire quello della responsabilità morale e della regolamentazione giuridica. Possiamo elencare alcune importanti novità che effettivamente hanno portato alla nascita della bioetica:

  • la scoperta della struttura a doppia elica del DNA (1952)
  • la conseguente ingegneria genetica
  • la preparazione della pillola di Pincus per la contraccezione ormonale (1953)
  • lo sviluppo del trapianto d'organo (1967)
  • il sostegno artificiale delle funzioni vitali (1968 - 1970)
  • il concepimento in vitro (1978)
  • la clonazione (1997).

Queste sono le questioni che hanno dato luce alla bioetica e che fondamentalmente la tengono in vita dando origine a due posizioni:

  • la bioetica può assumere la figura di una riaffermazione di alcuni valori centrali già presenti nell'etica tradizionale di derivazione ippocratica (dignità della vita umana individuale e sua inviolabilità) e quindi può porre un argine allo sviluppo indiscriminato delle tecnologie;
  • può diventare il luogo di una nuova etica per molti aspetti rivoluzionaria sic et simpliciter.

[modifica] Etica dell'ambiente e Ecosofia

La riflessione dell'etica dell'ambiente riguarda la qualità ontologica della relazione con la natura. L'esigenza dell'etica dell'ambiente è sorta quando il quadro generale delle condizioni del pianeta ha registrato un netto deterioramento delle risorse disponibili rinnovabili e non. L'uomo, soprattutto a partire dal Novecento, ha fatto in modo che la vita della natura fosse sotto il suo controllo diretto, sconvolgendo quella che da sempre era stata la visione della natura. La natura è così divenuta un "ente disponibile", manipolabile e controllabile. Ne deriva che l'uomo è passato da una concezione qualitativa ad una percezione tendenzialmente quantitativa, da una percezione naturale ad una tecnologica, dall'idea del prodotto di Dio, all'idea del prodotto dell'uomo, all'artificio. Appurato che l'ambiente appartiene alla sfera dell'etica, in quanto partecipante della trascendentalità umana, restano basi portanti per la dimostrazione che c'è un rapporto fondamentale tra ambiente e uomo (mezzo attraverso cui si conferma ancora l'ingresso di diritto dell'ambiente nel mondo dell'etica) le sequenzialità che:

  • si considera etica tutto ciò che nella prassi umana importa l'idea di fine e mai di mezzo.
  • poiché trascendentalità ed eticità formano un circolo, come sostiene anche Carmelo Vigna un essere umano, che non è solo trascendentalità, ma anche empireia, non apparterrebbe al mondo dell'etica se il rapporto tra il suo lato trascendentale e quello empirico non implicasse una certa necessità.
  • se possiamo indicare un'inevitabile relazione tra l'uomo e la natura, guardando al lato della corporeità, allora, in certo modo, anche la natura entra nel cerchio dell'eticità, perché proprio per il nesso con la corporeità, entra nella trascendentalità.

L'etica dell'ambiente pone come basi di tutta la sua logica tre concetti:

  • rispetto, che si ha per tutto quello che deve essere lasciato essere, cioè per tutto quello che reca in sé il sigillo della trascendentalità. In questo senso è sempre fine e mai mezzo.
  • cura responsabile, che si ha per qualcosa che dipende in qualche modo da noi o qualcosa che ci appartiene o ci è affidato.
  • amore per la natura, il rispetto e la cura responsabile da soli, infatti, non sono sufficienti. L'etica è sempre una dottrina dell'amore per l'altro oggetto.

[modifica] Etica ed Economia

La separazione fra economia ed etica consiste nel fatto che l'economia generalmente non discute dei fini, ma dei mezzi per realizzare i fini. La normatività dell'economia consiste nel fatto che essa deve cercare di ottenere i suoi fini col minor costo possibile (cioè esiste indubbiamente una ricerca di efficienza). Di fatto l'efficienza ha delle implicazioni in termini di etica delle istituzioni e dei comportamenti. Il punto di partenza dell'analisi economica è l'individuo considerato come essere razionale e di massimizzare tali preferenze. Ora, le preferenze fanno certamente riferimento al miglioramento nella disponibilità di beni e di servizi. In questo modo l'efficienza non viene giudicata in base ai criteri della giustizia distributiva. Esiste un dibattito a proposito dell'etica e del mercato economico. Infatti sotto il profilo del rapporto tra mezzi e fini, il mercato si presenta come un mezzo e l'etica che ne deriva è un'etica dei mezzi.

John Locke attribuiva al mercato un valore morale in nome di una teoria della legge naturale. In economia il fine assegnato al mercato è l'efficienza nella produzione e nello scambio di beni privati tra individui le cui preferenze sono basate sull'interesse proprio. Qualsiasi intervento pubblico, secondo tale visione, che ostacolasse il libero svolgere degli scambi dei diritti privati di proprietà, entrerebbe in conflitto con la stessa legge naturale. Completamente opposta a tale visione, quella che vuole l'operare di istituzioni di controllo del mercato (controllo tra le imprese, tra le imprese e i consumatori, tra le imprese e i lavoratori) e che altrettanto chiama a gran voce lo sviluppo di codici etici, senza i quali gli stessi risultati di efficienza sono destinati a essere messi in crisi.

[modifica] Etica del lavoro

Negli ultimi due secoli il concetto di lavoro è venuto a scontrarsi con quello di etica dando origine a due posizioni davvero interessanti:

  • critica all'alienazione nel lavoro; si tratta della speculazione derivante dal filone marxista e neomarxista. Segue la logica di svuotamento del lavoro e di alienazione rese idee concrete da Marx, secondo cui il lavoratore viene ad essere uno strumento dello strumento.
  • critica dell'alienazione al lavoro; questa denuncia la connotazione alienata di un lavoro non misurato nella sua giusta dimensione e portato a schiacciare l'umano, e con esso l'ambiente naturale. Ne deriva che l'imperativo sia quello di avere una comprensione del lavoro come momento parziale dell'umano. Infatti l'alienazione da lavoro non può essere superata se non guardando e proiettandosi in ciò che è altro-dal-lavoro.

Il modello ideale del lavoro deve soddisfare ad una triplice relazione:

  • con il proprio mondo
  • con il mondo degli oggetti prodotti
  • con il mondo degli altri soggetti.

Il lavoro, secondo le correnti di etica del lavoro, è autentico (in senso heideggeriano) solo se offre al soggetto la motivazione per esprimere la propria personalità in ciò che fa lavorando.

[modifica] Cenni storici

La storia dell'etica è costituita dalla successione delle riflessioni sull'uomo e sul suo agire. I filosofi hanno da sempre riservato un notevole spazio ai problemi etici. Tra essi si citano in particolare Socrate, Platone, Aristotele, Niccolò Machiavelli, Ugo Grozio, Jean-Jacques Rousseau.

Inoltre furono interessati pure Giovanbattista Vico, Immanuel Kant, Johann Gottfried Herder, Friedrich Schiller, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Ralph Waldo Emerson, Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud.

L'etica laica nasce con Platone ed Aristotele (quest'ultimo "recuperato" dai pensatori cristiani della Scolastica), ma si afferma in modo deciso soprattutto con Niccolò Machiavelli e Georg Wilhelm Friedrich Hegel, che pongono l'accento sulla struttura statuale alla quale dovrebbe essere subordinato il comportamento dell'individuo.

[modifica] Senofane e Solone

Senofane, Solone e i poeti della comunità, misero in rilievo come il valore del virtuoso si delinei attraverso l'arte del buon governo. La virtù diviene capacità di esprimere e seguire le leggi. La civiltà ateniese è la patria, dunque, della virtù e dei virtuosi, dal momento che spiccava per la sua stabilità. Atene era basata su buone leggi fatte da persone che si potevano affiancare per virtù ai guerrieri omerici.

[modifica] I sofisti

I sofisti svolgono un ruolo di eccezionale importanza. Essi distinguono fra virtù arcaiche e virtù del cittadino. Il compito del cittadino è, nella loro visione, quello di porsi come mediatore fra i cittadini comuni e la legge (ognuno deve essere giudice di sé e degli altri). I sofisti sono dunque i primi educatori civili, perché sono i primi a sostenere che le virtù sono molteplici e insegnabili. I sofisti sono dei relativisti morali, ossia ritengono che le leggi siano relative all'uomo che le emana (quindi le contestualizzano, privandole della sfera di Assoluto di cui fino ad ora esse godevano). Le leggi, e quindi la morale, sono convenzioni che dobbiamo creare per il buon vivere civile.

[modifica] Socrate e Platone

Socrate vuole superare la convenzionalità dei sofisti per cercare una stabilità maggiore. Per questo suo scopo torna, in un certo senso, alla tradizione per estrapolare da essa gli elementi che rendono l'uomo costante. Socrate tenta di stabilire la natura stessa della virtù, si pone il problema della definibilità della virtù e giunge alla determinazione concettuale della definizione attraverso il τι εστι(il "che cosa è?"). Socrate basava anche la sua morale sull'argomentazione (la famosa maieutica socratica) e sull'interpretazione della natura umana, ma, a differenza dei sofisti, per Socrate la natura umana non è relativa. Platone ritiene che il nesso fra sema e soma (corpo e tomba dell'anima che deve espiare la colpa attraverso la punizione del corpo) debba essere fatto risalire alla tradizione orfica.

Empedocle fornisce, invece, una testimonianza di quanto sia moralizzata la dottrina orfico-pitagorica parlando di una pena dolorosa che l'anima-daimon deve scontare per una colpa (amartema è il termine corretto) che consiste nell'uccisione e nello spergiuro (si pensi al mito di Prometeo). Il corpo mortale è, dunque una punizione alla colpa, ma è anche l'unico mezzo di riscatto per arrivare alla salvezza. Infatti, è solo mediante l'esercizio ascetico condotto durante la vita corporea che l'anima può purificarsi, scontare la sua colpa, uscire dal ciclo e tornare presso il divino da cui proviene.

Platone nel Fedro sostiene che l'anima possa uscire provvisoriamente dal ciclo della reincarnazione, per poi tornarvi in forma degenerata, oppure, in alternativa uscirne definitivamente e tornare presso gli dèi. Nel Fedone, invece, Platone si mantiene più vicino alla tradizione orfica e sostiene che l'anima o raggiunge gli dèi o si reincarna sempre. Reincarnarsi o salvarsi, siamo a questo punto alla vera e propria svolta moralistica per cui non si può essere felici senza essere morali. Socrate a proposito di morale, sosteneva che dentro di noi c'è un giudice, al quale davvero non si può sfuggire, che valuta la nostra condotta con severità e giustizia. L'anima diventa così, al contempo, giudice e organo della felicità. L'anima diventa così moralità.

[modifica] Aristotele e la sua Etica

Aristotele (vissuto fra il 384 ed il 322 a.C.) ha dedicato molti scritti alla questione dell'etica, tanto da esserne considerato il fondatore. Fra queste, le opere più importanti sono:

  • Etica Nicomachea
  • Etica Eudemia
  • Grande Etica, conosciuta anche come Magna Moralia
  • Περι Αρετων και Κακιων, conosciuta come De Virtutibus et vitiis.

In realtà, della paternità aristotelica dell'Etica Nicomachea ha dubitato Cicerone e nel XIX secolo si è cominciato a pensare che l'Etica Eudemia fosse stata scritta da Eudemio Rodio, un discepolo di Aristotele. I Magna Moralia sono comunemente considerati uno scritto di scuola, probabilmente successivo agli anni dell'insegnamento di Aristotele. Tralasciando le questioni di autenticità, possiamo sostenere che le opere di Aristotele hanno una struttura simile e i temi principali vengono affrontati sempre nella medesima successione:

  • Il concetto del Bene Supremo e della Felicità
  • La virtù etica in generale e le virtù etiche in particolare
  • Le virtù dianoetiche o intellettuali
  • I vizi, la mancanza di autocontrollo
  • L'amicizia
  • La virtù perfetta, la felicità completa.

Lo scopo dell'etica aristotelica è la realizzazione di ciò che è il bene per il singolo individuo. Egli non pensa che il fine dell'etica sia il raggiungimento del bene assoluto. In Aristotele cade l'idea platonica per cui il bene del singolo è il bene assoluto che è l'essere. L'etica non è più scienza dell'essere, ma scienza del divenire. Aristotele, dunque si propone la fondazione dell'etica come sapere pratico autonomo. Egli, dunque è un cognitivista etico, al pari di Kant. La filosofia deve, quindi, formare l'uomo nel suo scoprire il modo di agire per raggiungere il bene. L'Etica Nicomachea innanzi tutto non è destinata alla lettura dei giovani, per la mancanza dell'esperienza necessaria alla comprensione dell'opera e per il loro lasciarsi trasportare dalle passioni. L'opera è rivolta a chi già possiede le virtù, ma è incapace di operare una scelta morale. Il testo parte proprio dal concetto di praxis, poiché in essa è insita l'etica stessa. Aristotele si domanda in primo luogo cosa è il bene per l'uomo, cosa è l'ευδαιμονια (generalmente tradotta come "felicità", ma forse questa è una traduzione un po' riduttiva). E il bene per l'uomo è "ciò verso cui ogni cosa per natura tende". Ogni cosa, per Aristotele è in costante evoluzione, proprio perché ogni cosa si evolve, cerca di raggiungere un fine superiore alla posizione in cui si trova, tende, dunque, ad un fine ultimo che è il suo proprio fine naturale. Ogni cosa tende a realizzare sé stessa, per essere sé stessa. Aristotele propone una distinzione fondamentale fra virtù etiche e virtù dianoetiche:

  • sono etiche quelle virtù della orexis, della zona desiderante e passionale;
  • sono dianoetiche quelle virtù che si conseguono attraverso l'insegnamento, per cui il loro spazio è quello della scuola e del sapere teorico.

Ciò che è fondamentale per Aristotele è la phronesis, la prudenza, perché questa è il sapere che orienta all'azione e solo la phronesis, facendosi habitus (o disposizione morale), consente non solo di discernere i fini da perseguire, ma anche di individuare i mezzi con cui realizzarli. Aristotele critica duramente Platone e la sua concezione della morale. Platone sosteneva che l'immortalità dell'anima è il vero soggetto della felicità morale; Aristotele rinuncia ad una concezione dell'anima come individualmente immortale. Il premio per chi agisce bene è, per Aristotele, la felicità in questa vita e in questo mondo e, di conseguenza, non vi sarà altro dolore e punizione per chi agirà male che l'infelicità in questa vita ed in questo mondo. Aristotele critica Platone anche per la sua idea che il bene sia qualcosa di comune che si dice con una sola idea. Per Aristotele ogni forma di sapere, ogni praxis, ogni scelta sono orientate ad un loro specifico fine e, dato che il bene è ciò verso cui ogni cosa tende, la molteplicità fattuale di questa tendenza produce un'altrettanto irriducibile molteplicità di fini, e quindi, di beni. Non è possibile parlare di bene in senso unitario se non per analogia, come di una posizione fondamentale comune che designa ciò che costituisce il fine di ogni singola azione orientata. Infatti per Aristotele ci sono due tipi di bene:

  • il bene in sé, vale a dire l'eudaimonia
  • il bene per altro, ossia un effetto desiderato in funzione di un altro fine, per cui questo bene risulta essere un mezzo più che un vero e proprio fine.

[modifica] Stoicismo ed Epicureismo

Il termine di riferimento nella speculazione stoica ed epicurea è senza dubbio la natura. Per gli stoici la natura è un qualcosa da cui salvarsi; è come un ordine razionale ed il prezzo da pagare per l'uomo, per entrare in questo ordine, è l'ascetismo. Per gli epicurei, invece, la natura è indifferente all'uomo, essa non può nè salvarlo, nè danneggiarlo. Il rapporto con la natura per gli stoici si configura come un "vivere secondo natura che è vivere secondo virtù". La virtù è quindi razionale, è tutto ciò che si oppone alle emozioni. Essa è una sola, perché le altre virtù non sono altro che una manifestazione d'intelligenza in situazioni diverse e con scopi diversi. Le emozioni che vengono a turbare l'anima sono, per gli stoici, quattro:

  • dolore
  • piacere
  • desiderio
  • paura.

L'uomo deve tagliare di netto con queste emozioni e vivere di dovere. Il dovere è una prescrizione, una regola.
Gli epicurei, invece, vivono la natura come causale, per cui non si distingue tra vizio e virtù. Le azioni dell'uomo vanno valutate in se stesse, per la loro immediata fruibilità. Il criterio di misura attraverso cui giudicare le azioni è il piacere. Esso è princìpio e fine della vita beata e consiste fondamentalmente nella mancanza di dolore. il piacere è, dunque, direttamente collegato con l'atarassia

[modifica] Abelardo

Il pensiero medioevale vede come uno dei massimi problemi la diatriba dialettica fra fede e ragione. Il compito che la filosofia scolastica si propone è proprio quello di risolvere tale questione. Abelardo insegna per un lungo periodo logica a Parigi. Egli segna l'avvio ad una teologia sistematica attraverso l'applicazione che egli fa dell'analisi logica alla riflessione del dato rivelato. Nel testo Sic et Non, Abelardo esamina 158 casi in cui le autorità patristiche e conciliari si trovano in disaccordo e, per risolvere tali questioni, propone di mettere in atto una ricerca personale, la sola capace di portare alla scoperta della verità. L'applicazione di tale metodo è definibile "socratica" ed è rintracciabile nella tipica Disputatio dei XIII-XVI secc. Vale a dire che dato l'argomento di discussione (Quaestio) si studiano le argomentazioni ad essa favorevoli (videtur quod sic) e quelle contrarie (sed contra) per arrivare poi alla conclusione (Respondeo). Abelardo non intende in questo modo mettere in discussione le autorità o sottomettere la fede alla ragione, dal momento che egli difende costantemente la superiorità del dato rivelato, mentre invoca la dialettica per definire le questioni non chiaramente stabilite dalla Sacra Scrittura. Per Abelardo, dunque, il criterio della moralità degli atti non è fissato dalla sola norma esteriore, ma anche dalla coscienza, dall'intenzione con cui il soggetto compie un'azione: buono è solo l'atto che sia rettamente inteso e voluto come tale.

[modifica] Bernardo di Chiaravalle

Bernardo di Chiaravalle è in un primo ordine di considerazioni un mistico medioevale. Ciò significa soprattutto che per Bernardo non è importante parlare di Dio o dimostrarne l'esistenza, ammesso che si possa, ma è importante parlare con Dio, discretamente, in silenzio. Essere un mistico nel medioevo significa anche credere nella "mortificazione del corpo" (il termine ascesi è infatti direttamente collegato al "mortum facere corpum", ossia al distacco dal corpo e da tutto quello che ad esso è collegato). L'uomo per questo autore, non si salva se non attraverso la mistica e l'ascesi. In Bernardo di Chiaravalle l'uomo è rappresentato dal basso, è "generato dal peccato, peccatore e generatore di peccatori. È ferito fin dall'ingresso in questo mondo, quando ci vive, quando ne esce. Dalla sommità del corpo alla punta dei piedi non ha nulla di sano".

[modifica] Gioacchino da Fiore

Nel XIII sec. Gioacchino da Fiore esercitò una notevole influenza sulla filosofia scolastica, soprattutto quella di origine francescana, ed esercitò un ruolo di importanza strategica fra Papi e sovrani, che lo consideravano quasi un profeta o un indovino. Fu così clamoroso il suo annuncio dell'imminente fine del mondo. Il monaco cistercense scrisse un testo in cui espose un'Apocalisse nuova. Nella sua escatologia, Gioacchino da Fiore insiste in modo particolare sul fatto che il Vecchio Testamento anticipi il Nuovo e che il Nuovo Testamento sia a compimento del Vecchio. Egli sostiene la fine di una vecchia Chiesa, di un vecchio mondo e di una vecchia età. Ne seguirà necessariamente l'avvento di una nuova spiritualità.

[modifica] Tommaso d'Aquino

Nel quarto libro della sua Summa contra Gentiles, Tommaso d'Aquino spiega il concetto di etica e quello di felicità come concetti cristiani, teonomizzati, ossia sotto la legislazione di Dio, non autonomi. Dio è il sommo bene che dà la felicità suprema. La concezione della vita non si riferisce ai beni immediati, materiali, ma a quelli superiori, alle virtù che in Aristotele sono soprattutto virtù dianoetiche. Per Tommaso d'Aquino la felicità suprema dell'uomo non si realizza su questa terra. La morale, l'etica, vanno quindi, in Tommaso d'Aquino, oltre la prospettiva rigorosamente intellettualistica aristotelica, anche se la concezione dell'uomo è ripresa in gran parte proprio da Aristotele.

[modifica] Montaigne

Nel Rinascimento abbiamo una corrispondenza fra microcosmo e macrocosmo. L'uomo è al centro del mondo. Nasce la scienza e con essa, l'etica si ritira nei luoghi della saggezza. Montaigne costruisce una "morale del dotto", secondo cui gli uomini agiscono in base alle abitudini acquisite. Egli opera un'accurata descrizione dell'uomo nella sua variabilità d'animo. Montaigne nutre una smisurata sfiducia nel fatto che la scienza possa stabilire un rapporto univoco fra microcosmo e macrocosmo: la parte, secondo il filosofo, non può conoscere il tutto di cui è parte. Variabilità e varietà sono, dunque le due caratteristiche della conoscenza morale, proprio in quanto consubstanziali dell'uomo.

[modifica] Il giusnaturalismo

Il giusnaturalismo ricerca fondamentalmente una legge dell'agire umano come descrizione (ossia una legge con valenza conoscitiva dell'etica) ed una legge dell'agire umano come prescrizione (ossia una legge con valenza regolativa). Questa linea di pensiero si basa sul presuposto che il diritto abbia un fondamento oggettivo insito nella natura stessa. Ne deriva che è necessario prescrivere a ciò che è, ciò che deve essere. Il diritto, quindi, ha fondamento nella costituzione naturale dell'uomo.

[modifica] Ralph Waldo Emerson

Ralph Waldo Emerson è stato tra i primi a proporre un'etica individuale basata sulla fiducia in se e della messa in discussione dei valori tradizionali, e uno dei pochi ad averlo fatto mantenendo il rispetto per la vita e l'esistenza, contrariamente, ad esempio, ad alcuni pensatori del nichilismo europeo.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Altri progetti

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