Morale
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Il termine morale in funzione di sostantivo deriva dal latino moralia ed ha lo stesso significato di etica, oppure è essa stessa interpretata come oggetto dell'etica. In questo caso la morale rappresenta la condotta diretta da norme, la guida secondo la quale l'uomo agisce.
Il termine morale in funzione di aggettivo deriva dal greco ηθικος (moralis in latino) ed assurge a valore di ciò che è attinente alla dottrina etica, oppure significa ciò che è attinente alla condotta e quindi suscettibile di valutazione e quindi di giudizio.
Qui verrà usato il concetto di morale come moralità, cioè come assieme di convenzioni e valori di un determinato gruppo sociale in un periodo storico (o semplicemente di un individuo), concetto ben distinto da moralismo con il quale si intende la corruzione della moralita'e rimandando ad etica per la filosofia morale, cioè per la disciplina filosofica.
[modifica] Le correnti della morale
Nell'ambito della morale esistono due correnti fondamentali:
- la corrente laica
- la corrente religiosa
All'interno della speculazione religiosa troviamo la legittimazione e l'efficacia della norma morale come proveniente da Dio.
Al contrario, la filosofia moderna si distingue per la produzione di una morale laica, iniziata da Ugo Grozio, la quale sostiene l'esistenza di norme morali anche in assenza di Dio dal momento che le norme si basano sulla natura dell'uomo (da qui il nome stesso della corrente in questione, il giusnaturalismo). Il concetto di natura umana risulta, però, ambiguo e offre un notevole spunto di riflessione per tutta la filosofia morale: Thomas Hobbes, ad esempio, riteneva l'uomo come malvagio di natura, Rousseau, in modo altrettanto convincente, ce lo descrive come buono. In realtà, ciò che caratterizza l'uomo, non sembrerebbe essere la sua realtà ontologica, la sua natura intrinseca, quanto piuttosto il fatto stesso di esistere.
[modifica] La morale antica, la nascita del δαιμονος e l'immortalità dell'anima
I movimenti religiosi più antichi hanno ritenuto necessario, per esplicare e giustificare il concetto di salvezza, la formazione di un pensiero forte dell'anima. Il processo di tale formazione comincia con la concessione all'uomo mortale dell'immortalità dell'anima. Ecco che troviamo una prima divinizzazione dell'anima che viene, dunque, vista come vero e proprio daimon. In questo modo si offre un senso della vita mortale: se, infatti, l'anima è immortale, e viene solamente ospitata in corpi mortali, essa non potrà che compiere il cammino assegnatole attraverso un'indeterminata pluralità di corpi. Da ciò nasce la dottrina della metempsicosi, che, nella sua forma iniziale, ritiene l'anima moralmente neutra, senza rapporti con la vicenda della colpa, della purificazione e della salvezza.
È solo scontrandosi con le esigenze della salvezza che questa dottrina si carica, necessariamente, di una forte valenza morale; infatti, l'unione di anima e corpo, di ciò che è puro e ciò che è impuro, di ciò che è imperituro e quindi divino con ciò che è mortale e quindi terrestre, costituisce un decadimento della parte superiore dell'anima stessa. Ci si avvia verso l'idea che ha reso il mondo senziente, pensante e sofferente: l'idea che siamo mortali e imperfetti (ma tutto sommato con un non-so-che di Assoluto che ci rivela la nostra vera e ben più nobile, nonché nobilitante, origine) perché dobbiamo aver combinato qualcosa di così brutto (quello della colpa è uno dei concetti, insieme a quello di responsabilità e coscienza, senza cui la filosofia stessa perderebbe davvero molto), da dover essere puniti mortalmente. Eppure, sostenevano già gli antichi saggi, c'è una via di uscita. Eppure, dicevano loro, c'è una salvezza: la morale ci guiderà alla purificazione e/o al mantenimento della purezza.
Questa svolta moralistica viene fatta risalire dai pitagorici a Filolao. La morale arcaica è legata alle virtù guerriere, alla società aristocratica formata dai migliori (gli aristocratici, ossia i migliori, dal greco αριστοι). Per essere i "migliori" bisogna essere certamente καλοσ και αγαθοσ (letteralmente "bello e buono"). Possedere tali virtù significa soprattutto mettere in risalto le proprie qualità psicofisiche, quali il coraggio, il valore guerriero e tutte quelle attitudini che caratterizzano gli eroi omerici. Da questi elementi cardine, si sviluppa un'altra qualità fondamentale, la buona eloquenza, che così rientra nel cerchio dell'αρετη (la virtù). Il virtuoso, nell'antichità, è tale fin dalla nascita. E tale è, potremmo dire, per questioni di genetica. Ed è così tanto una questione di famiglia che i nobili d'animo, lo sono anche di ceto (ossia gli aristocratici sono i più ricchi sia di virtù che di ricchezze squisitamente venali).
[modifica] Voci correlate
Storia della filosofia | Filosofi | Discipline filosofiche | Opere filosofiche