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Testi non cristiani su Gesù storico

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I testi di autori non cristiani su Gesù sono parte delle fonti utilizzate nella ricerca sulla storicità di Gesù, si tratta di testi di autori greci, romani ed ebrei in gran parte risalenti al II secolo.

Premesso che i testi di cui disponiamo, così come tutti gli altri testi di autori antichi, non sono quelli originali ma copie che nel corso dei secoli sono state soggette non solo alla inclemenza del tempo ma anche a danneggiamenti, cattive riproduzioni, manipolazioni e rimaneggiamenti "ideologici", il dibattito filologico e storico è qui più importante che altrove.

Tra gli storici e scrittori non cristiani antichi se ne conoscono molto pochi che abbiano scritto qualcosa correlata a Gesù o al Cristianesimo, pur essendo a noi pervenuti vari scritti di autori a lui contemporanei. I documenti che si sono conservati sono spesso di autori che avevano poco interesse al Medio Oriente e tantomeno alla Giudea, e probabilmente avevano pochi motivi per scrivere di un leader religioso giudeo che predicò per pochi anni. I testi cristiani su Gesù sono più numerosi e dettagliati.

Va puntualizzato (vedi anche: Appellativi di Gesù al paragrafo Cristo) che un riferimento a Gesù (nome comune di persona) non è in generale equivalente ad un riferimento al Cristo (titolo onorifico in lungua greca dal significato letterale "Unto", traduzione dell'ebraico Messia che dal I sec. a.C. venne attribuito ai capirivolta ebrei del regno di Giuda).

Indice

[modifica] Testi di origine ebraica

[modifica] Giuseppe Flavio in "Antichità Giudaiche"

Per approfondire, vedi la voce Testimonium Flavianum.
Edizione del 1552 di "Antichità Giudaiche"
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Edizione del 1552 di "Antichità Giudaiche"

Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (c.37 - c.100) parla di Gesù in un breve passo della sua opera Antichità giudaiche, la storia del popolo ebraico dalle origini fino al 66, scritto nel 93. In quest'opera ci sono tre riferimenti importanti a Gesù e ai Cristiani: il primo riguarda la morte di Giovanni Battista (XVIII, 116-119); il secondo la morte di Giacomo il Giusto, che Flavio Giuseppe qualifica come "fratello di Gesù chiamato il Cristo" (XX, 200); il terzo, il più noto, è conosciuto come "Testimonium Flavianum"[1].

[modifica] Giustino, in "Dialogo col giudeo Trifone"

Giustino nel "Dialogo col giudeo Trifone" riporta un avvertimento che sarebbe stato inviato dagli ebrei palestinesi a quelli della diaspora[2]

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«È sorta un’eresia senza Dio e senza Legge da un certo Gesù, impostore Galileo; dopo che noi lo avevamo crocifisso, i suoi discepoli lo trafugarono nottetempo dalla tomba ove lo si era sepolto dopo averlo calato dalla croce, ed ingannano gli uomini dicendo che è risorto dai morti e asceso al cielo»
(Tryph. CVIII, 2)

È probabile che Giustino si sia servito di un artificio retorico per riportare l'opinione dei giudei del suo tempo riguardo ai cristiani.

[modifica] Il Talmud di Babilonia

Moderni volumi del Talmud di Babilonia
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Moderni volumi del Talmud di Babilonia

Il Talmud di Babilonia, testo ebraico che raccoglie tradizioni molto antiche, contiene un riferimento in realtà piuttosto tardivo a Gesù, nel quale si dice che egli fu giustiziato alla vigilia di Pasqua perché "praticava la stregoneria". Questo sembrerebbe confermare che Gesù abbia compiuto dei prodigi, che i suoi avversari attribuivano all'opera del demonio.

Esistono scarsissimi documenti storici relativi all'era del Secondo Tempio. A parte i lavori di Giuseppe Flavio, il più antico testo del periodo, il Mishnah, che è più un codice di leggi piuttosto che un registro di procedimenti giudiziari o un testo di storia generale.

Dai documenti giudaici del periodo, sia orali che scritti, venne compilato il Talmud, una collezione di dibattiti legali e di aneddoti che riempiono trenta volumi. In essi non vi è menzionato mai il nome Gesù (ebraico Yehoshuah): il riferimento più vicino è il nome Yeshu presente nel Talmud di Babilonia e riferito ad uno o più individui.

La descrizione di Yeshu non corrisponde comunque a quella biblica di Gesù; inoltre si pensa che la parola sia piuttosto un acronimo di yemach shemo vezichro ("sia cancellato il suo nome e la sua memoria") che indica chi cerca di convertire i Giudei dal Giudaismo. Per giunta, il termine non compare nella versione di Gerusalemme del testo, che ci si aspetterebbe menzionasse Gesù maggiormente rispetto alla versione di Babilonia.

Occorre comunque tener conto che la mancanza di riferimenti a Gesù negli scritti talmudici potrebbe semplicemente essere dovuto al fatto che il Cristianesimo fosse una piccola organizzazione di scarsa importanza ai tempi in cui la maggior parte del Talmud è stato redatto, unito al fatto che il testo è stato concepito più per insegnare la legge che come manuale storico.

[modifica] Le Diciotto Benedizioni

In una delle redazioni pervenute delle "Diciotto Benedizioni", testo liturgico ebraico, compare un riferimento ai cristiani (o "nazareni")

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«Che per gli apostati non vi sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il dominio dell’usurpazione, e periscano in un istante i Cristiani (nôserîm) e gli eretici (minim): siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti con i giusti. Benedetto sei tu, Signore, che schiacci gli arroganti»

La preghiera in se risale alla fine del I secolo, ma non è chiaro quando sia esattamente stato inserito il riferimento ai cristiani, visto che le altre redazioni del testo menzionano solo "gli eretici" [3].

[modifica] Testi di origine romana

[modifica] Corrispondenza tra Plinio il Giovane e l'imperatore Traiano

Circa nel 112, in una lettera[4] tra l'imperatore Traiano e il governatore delle province del Ponto e della Bitinia Plinio il Giovane, viene fatto un riferimento ai cristiani. Plinio chiede all'imperatore come comportarsi verso i cristiani che rifiutano di adorare l'imperatore e pregano "Cristo" come dio.

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«I Cristiani... Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti.»
(Plinio il giovane a Traiano imperatore, Lettere 10.96–97)

Plinio riporta il credo degli arrestati ma non menziona il nome di Gesù.

Nella sua risposta, Traiano dispone che i Cristiani non devono essere ricercati dalle autorità, ma possono essere perseguitati solo se denunciati da qualcuno, purché non anonimo, salvo che, sacrificando agli dei dell'impero, non rinneghino la loro fede.

Luigi Cascioli e Guy Fau, entrambi sostenitori della non esistenza di Gesù di sponda anticlericale [5], ritengono che Plinio non si riferisse a cristiani ma a Esseni e riportano queste considerazioni:

  • la lettera parla di "ancelle che erano dette ministre" (in latino, "Quo magis necessarium credidi ex duabus ancillis, quae ministrae dicebantur, quid esset veri, et per tormenta quaerere")
  • il passo "Cristo come se fosse un dio", "Christo quasi deo" nell'originale, può essere inteso come "Cristo quasi dio", ovvero "Cristo, forma inferiore di dio"; e quindi si riferirebbe al Logos di Filone[6]
  • il nome di "cristiani" era inizialmente un epiteto dispregiativo e non significa "seguaci di Cristo"

[modifica] Svetonio in "Vita dei dodici Cesari"

Più incerto il passo dello storico Svetonio (70-122 d.C.), che nella sua Vita dei dodici Cesari parla di "giudei, che, istigati da Cresto (sic) durante il regno di Claudio avevano provocato dei tumulti", e perciò l'imperatore li aveva espulsi da Roma. Questo passo, comunque, testimonia la presenza di cristiani a Roma in epoca molto antica (Claudio morì nel 54)[7].

Svetonio (c.69140) scrisse nel 112, come parte della biografia dell'imperatore Claudio

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«Iudaeos, impulsore Chresto, assidue tumultuantes Roma expulit»
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«Dato che i Giudei disturbavano costantemente con l'istigazione a Cresto, lui li espulse da Roma.»
(Gaio Svetonio, Vite dei dodici cesari)

Chrestus era un nome comune a Roma, significava buono o utile, un nome comune per gli schiavi, ed il passo tratta di una rivolta di schiavi.

Chrestus può essere interpretato come una distorsione del nome Christus (Cristo) e quindi un possibile riferimento a Gesù; il termine Chrestus appare infatti anche in testi successivi riferito a Gesù, indicando che un errore di scrittura è possibile, ed inoltre pare che le due parole in greco antico venissero pronunciate in modo identico, il che può aver influito nella scrittura.

La scelta delle parole nel passo di Svetonio sembra però implicare la presenza di "Chrestus" a Roma nell'anno 54 dopo Cristo: in questo caso l'identificazione con Gesù sarebbe molto improbabile.

Gran parte degli studiosi non considerano questo passo storicamente attendibile come riferimento a Gesù.

Trattando dell'imperatore Nerone dichiara che egli

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«sottopose a supplizio i Cristiani, razza di uomini d'una superstizione nuova e malefica»
(Vita Neronis XVI, 2)

Alcuni studiosi[5] ritengono che "Chrestus" fosse un esponente di una comunità esseno-zelota presente a Roma di cui avrebbero fatto parte i coniugi Priscilla e Aquila che ospitarono Paolo di Tarso (Atti 17-18); anche egli secondo questa interpretazione sarebbe stato un Nazireo.

[modifica] Cornelio Tacito negli "Annales"

Publio (o Gaio) Cornelio Tacito, conosciuto semplicemente come Tacito (55 - 117), oratore, avvocato e senatore romano, è considerato uno degli storici più importanti dell'antichità.
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Publio (o Gaio) Cornelio Tacito, conosciuto semplicemente come Tacito (55 - 117), oratore, avvocato e senatore romano, è considerato uno degli storici più importanti dell'antichità.

Il nome di Cristo viene citato dallo storico latino Tacito (56-123 d.C.) nel quindicesimo libro degli Annali, quando narra della persecuzione dei cristiani ad opera di Nerone: egli afferma che i cristiani avevano avuto origine da Cristo, il quale era stato condannato a morte sotto Ponzio Pilato[8].

Tacito scrive due paragrafi che menzionano Gesù e i Cristiani nel 116. Il primo afferma che alcuni cristiani erano presenti a Roma al tempo dell'imperatore Nerone (dal 54 al 68 d.C.) e che egli, per evitare di essere accusato dell'incendio di Roma del 64

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«ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissìmi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti, chiamava Crestiani.»
(Annales, XV, 44)

Il secondo che la fede cristiana si era diffusa a Roma e in Giudea e che 'Cristo' fu messo a morte dal 'procuratore Ponzio Pilato'.

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«L'autore di questa denominazione, Cristo, sotto l'impero di Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C.), era stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l'Urbe, ove da ogni parte confluiscono tutte le cose atroci e vergognose»
(Annales, XV, 44)

La descrizione del cristianesimo è fatta in chiave decisamente negativa, bollata come "pericolosa superstizione" e "primitiva e immorale", cosicché è improbabile che il testo sia un'interpolazione di epoca cristiana.

Tacito si riferisce semplicemente a 'Cristo' - traduzione dal greco della parola ebraica "Messia" - invece di nominare esplicitamente "Gesù", e attribuisce a Ponzio Pilato la precisa carica di procuratore, carica differente sia da quelle menzionate nei Vangeli di prefetto e governatore, sia da quella attestata da evidenze archeologiche (un'iscrizione riporta che Pilato era prefetto).

Il secondo paragrafo è una descrizione del credo cristiano. Alcuni studiosi ritengono che Tacito abbia semplicemente citato acriticamente quelle che erano le credenze dei cristiani dell'epoca. Altri, tra cui Karl Adam, ritengono che Tacito, come nemico dei cristiani e storico, avrebbe quantomeno investigato sull'esecuzione di Gesù prima di riportarne la notizia. Una minoranza di studiosi[5] ritiene che il passo sia stato falsificato.

[modifica] Tiberio, riportato da Tertulliano

Tertulliano (150-220 d.C.) fa cenno nell'Apologetico al fatto che l'imperatore Tiberio avrebbe proposto al Senato romano di riconoscere Gesù come dio (i romani spesso incorporavano nel loro pantheon le divinità dei popoli da loro sottomessi). La proposta fu respinta il che, secondo l'autore, costituì la base giuridica per le successive persecuzioni dei cristiani, seguaci di un "culto illecito".

Non tutti gli storici sono concordi nel ritenere attendibile la notizia poiché potrebbe essere stata sia inventata dallo stesso Tertulliano (mai riluttante ad usare qualunque mezzo per sostenere le proprie tesi... con l'attenuante di scrivere oltre 160 anni dopo i presunti fatti, a Cartagine e in un periodo di persecuzioni), sia alterata successivamente.

[modifica] Lo scritto dell'imperatore Adriano

Eusebio di Cesarea, nella sua "Storia Ecclesiastica", riporta la risposta dell'imperatore Adriano al proconsole d'asia Quinto licinio Silvano Graniano che in una lettera aveva richiesto come comportarsi nei confronti dei cristiani che fossero stati oggetto di delazioni anonime o accuse[9].

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«Se pertanto i provinciali sono in grado di sostenere chiaramente questa petizione contro i Cristiani, in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura, e non ad opinioni o clamori. E’ infatti assai più opportuno che tu istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un’accusa. Allora, se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi secondo la gravità del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, stabiliscine la gravità e abbi cura di punirlo»
(Hist. Eccl. IV, 9, 2-3)

La risposta era indirizzata a Caio Minucio Fundano, nuovo proconsole d'asia, che fu in carica dal 122 al 123.

[modifica] L'imperatore Marco Aurelio in "A se stesso"

Marco Aurelio Antonino, imperatore dal 161 al 180, in un'opera intitolata "A se stesso" riporta un accenno ai cristiani[10].

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«Oh, come è bella l’anima che si tiene pronta, quando ormai deve sciogliersi dal corpo, o estinguersi, o dissolversi o sopravvivere! Ma tale disposizione derivi dal personale giudizio, e non da una mera opposizione, come per i Cristiani; sia invece ponderata e dignitosa, in modo che anche altri possano esserne persuasi, senza teatralità»
(Ad sem. XI, 3)

[modifica] Lettera di Publio Lentulo

Per approfondire, vedi la voce lettera di Publio Lentulo.

La lettera di Publio Lentulo è un presunto rapporto di un procuratore romano in Giudea, nel quale egli riferirebbe a Tiberio di Gesù, descrivendone anche l'aspetto fisico. Tutti gli storici concordano però che si tratti di un falso di epoca molto posteriore; questo Lentulo, a quanto si sa, non è mai neppure esistito.

[modifica] Orazione di Frontone

Minucio Felice in Octavius riporta una orazione di Marco Cornelio Frontone[11], che può essere ricostruita in base alle citazioni[12].

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«Qui de ultima faece collectis imperitioribus et mulieribus credulis sexus sui facilitate labentibus plebem profanae coniurationis instituunt, quae nocturnis congregationibus et ieiuniis sollemnibus et inhumanis cibis non sacro quodam, sed piaculo foederatur, latebrosa et lucifuga natio, in publicum muta, in angulis garrula, templa ut busta despiciunt, deos despuunt, rident sacra, miserentur miseri (si fas est) sacerdotum, honores et purpuras despiciunt, ipsi seminudi! [...]
Inter eos velut quaedam libidinum religio miscetur, ac se promisce appellant fratres et sorores, ut etiam non insolens stuprum intercessione sacri nominis fiat incestum. [...]
Audio eos turpissimae pecudis caput asini consecratum inepta nescio qua persuasione venerari [...]
Alii eos ferunt ipsius antistitis ac sacerdotis colere genitalia [...]
Et qui hominem summo supplicio pro facinore punitum et crucis ligna feralia eorum caerimonias fabulatur, congruentia perditis sceleratisque tribuit altaria, ut id colant quod merentur. [...]
Infans farre contectus, ut decipiat incautos, adponitur ei qui sacris inbuatur [...] occiditur. Huius, pro nefas! sitienter sanguinem lambunt, huius certatim membra dispertiunt, hac foederantur hostia [...]
Et de convivio notum est; passim omnes locuntur, id etiam Cirtensis nostri testatur oratio.
[...] infandae cupiditatis involvunt per incertum sortis, etsi non omnes opera, conscientia tamen pariter incesti, quoniam voto universorum adpetitur quicquid accidere potest in actu singulorum»
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«Essi, raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti e le donnicciuole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne per celebrare le sacre vigilie o per banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito, ma per scelleraggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce, tace in pubblico ed è garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari e le tombe, irridono gli dei, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore, essi che sono quasi nudi! [...]
Regna tra loro la licenza sfrenata, quasi come un culto, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicché, col manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. [...]
Ho sentito dire che venerano, dopo averla consacrata, una testa d’asino, non saprei per quale futile credenza [...]
Altri raccontano che venerano e adorano le parti genitali del medesimo celebrante e sacerdote [...]
E chi ci parla di un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e il legno della croce, che costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, attribuisce in fondo a quei malfattori rotti ad ogni vizio l’altare che più ad essi conviene [...]
Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli inesperti, viene posto innanzi al neofita, [...] viene ucciso. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e con questa vittima stringono un sacro patto [...]
Il loro banchetto, è ben conosciuto: tutti ne parlano variamente, e lo attesta chiaramente una orazione del nostro retore di Cirta.
[...] si avvinghiano assieme nella complicità del buio, a sorte»
(Octavius VIII,4-IX,7 [13])

[modifica] Petronio in "Satyricon"

Non c'è accordo tra gli storici sui possibili riferimenti ai cristiani e al vangelo di Marco nel Satyricon[14] di Petronio Arbitro.

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«“Porta anche dell’unguento e un assaggio da quell’anfora, con cui voglio siano lavate le mie ossa” [...] Subito aprì l’ampolla del nardo, unse tutti noi e disse “Spero che possa piacermi da morto quanto da vivo”. Poi comandò che fosse infuso del vino in una brocca e disse “Fate come se foste stati invitati ai miei funerali»

Questo passo è ha delle somiglianze al vangelo di Marco:

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Un altro passo che potrebbe avere riferimenti evangelici:

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«Mentre diceva queste cose, un gallo domestico cantò. Turbato da quella voce, Trimalcione comandò che fosse versato del vino sotto la tavola e che anche la lucerna ne venisse cosparsa. Poi passò l’anello nella mano destra e disse: “Non senza ragione questo trombettiere ha dato il segnale; infatti o dovrà scoppiare un incendio, o qualcuno dei vicini dovrà morire. Lungi da noi! Per cui, chi mi porterà questo accusatore riceverà un premio”. In men che non si dica venne portato un gallo da una casa vicina, che Trimalcione ordinò venisse cotto in pentola”»
(Satyricon LXXIV, 1-4)

Il canto del gallo è visto come un segno di sciagura, contrariamente alla tradizione greca e romana in cui il canto del gallo simboleggia la vittoria ma simile all'episodio del tradimento di Pietro descritto in tutti i quattro vangeli canonici (mostra).

Anche il racconto della matrona di Efeso può essere significativo.

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«Una matrona di Efeso, [...] avendo perso il marito, [...] seguì il defunto persino nel sepolcro. [...] Nello stesso tempo il governatore della provincia comandò che fossero crocifissi dei ladroni proprio accanto al sepolcro nel quale la matrona piangeva il recente cadavere. La notte seguente, quando il soldato che sorvegliava le croci affinché nessuno togliesse i corpi per seppellirli, notò un lume splendere tra le tombe e udì il gemito di qualcuno che piangeva [...] volle sapere chi fosse e che cosa facesse. Scese quindi nella tomba. [...] Dunque giacquero assieme non solo quella notte nella quale fu consumato il loro imene, ma anche il seguente ed il terzo giorno, tenendo certamente chiuse le porte del sepolcro. [...] Ma i parenti di un crocifisso, come videro diminuita la sorveglianza, tirarono giù di notte l’appeso e gli resero l’estremo ufficio. E quando il giorno successivo il soldato [...] vide una croce senza cadavere, atterrito dal supplizio raccontò alla donna quello che era successo. [...] Ella disse allora di togliere il corpo del proprio marito dall’arca e di attaccarlo a quella croce che era vuota. Il soldato approfittò dell’ingegno dell’avvedutissima donna, ed il giorno dopo il popolo si meravigliava di come quel morto avesse potuto salire sulla croce»
(Sat. CXI-CXII)

Tutte questi passi possono comunque essere interpretati in modo indipendente dai vangeli, oppure si possono interpretare i vangeli come dipendenti da Petronio; peraltro se si accetta la possibilità che esista un rapporto tra il Satyricon il cristianesimo altri passi possono essere letti in modo simile.

[modifica] Testi di origine greca

[modifica] Epitteto in "Dissertazioni" di Arriano

In "Dissertazioni" del filosofo stoico Arriano è riportato uno degli insegnamenti del suo maestro Epitteto, che parlando della morte, indica i "galilei" (intendendo probabilmente i cristiani) come persone che non ne hanno paura[15].

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«Anche per follia uno può resistere a quelle cose (atti compiuti dai tiranni, ndr.), o per ostinazione, come i Galilei»
(Diss. Ab Arriano digestae IV, 6, 6)

[modifica] Galeno in "Historia anteislamica" di Abulfida

Abulfida nella "Historia anteislamica" riporta un giudizio di Galeno sui cristiani[16].

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«I più tra gli uomini non sono in grado di comprendere con la mente un discorso dimostrativo consequenziale, per cui hanno bisogno, per essere educati, di miti. Così vediamo nel nostro tempo quegli uomini chiamati Cristiani trarre la propria fede dai miti. Essi, tuttavia, compiono le medesime azioni dei veri filosofi. Infatti, che disprezzino la morte e che, spinti da una sorta di ritegno, aborriscano i piaceri carnali, lo abbiamo tutti davanti agli occhi. Vi sono infatti tra loro sia uomini che donne i quali per tutta la vita si sono astenuti dai rapporti; e vi sono anche coloro che sono a tal punto progrediti nel dominare e dirigere gli animi, e nella più tenace ricerca della virtù, da non cedere in nulla ai veri filosofi»
(De sentent. Pol. Plat[17])

Galeno non ha solo una visione positiva dei cristiani:

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«Nessuno subito da principio, come se fosse pervenuto alla dottrina di Mosè o Cristo, ascolti leggi indimostrate, nelle quali non si deve per nulla credere
[...]
Infatti si potrebbero dissuadere prima quelli che provengono da Mosè e Cristo, che non i medici o i filosofi, i quali si sono consumati sui loro principi»
(De differentia pulsuum libri quattuor II, 4 e III, 3)

[modifica] Lettera di Mara Bar Sarapion

Mara bar Sarapion fu uno stoico siriano che, mentre si trovata in un prigione romana, scrisse una lettera a suo figlio; una copia della sua lettera è stata ritrovata e datata all'anno 73 circa[18]. In questa lettera si tratta dell'uccisione di tre uomini saggi della storia e può sembrare che Gesù sia annoverato tra di essi:

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«A che cosa è servito ai giudei uccidere il loro saggio re, visto che il regno è stato poi tolto loro»
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«Socrate non è morto, grazie a Platone; né Pitagora, per la statua di Hera. Nemmeno il saggio re, per la nuova legge che ha dato»

[modifica] Luciano di Samostata

Luciano di Samostata riporta il suicidio di Peregrino Proteo facendo vari accenni ai cristiani ed al loro "primo legislatore"[19].

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«Allora Proteo venne a conoscenza della portentosa dottrina dei cristiani, frequentando in Palestina i loro sacerdoti e scribi. E che dunque? In un batter d’occhio li fece apparire tutti bambini, poiché egli tutto da solo era profeta, maestro del culto e guida delle loro adunanze, interpretava e spiegava i loro libri, e ne compose egli stesso molti, ed essi lo veneravano come un dio, se ne servivano come legislatore e lo avevano elevato a loro protettore a somiglianza di colui che essi venerano tuttora, l’uomo che fu crocifisso in Palestina per aver dato vita a questa nuova religione.
[...] Si sono persuasi infatti quei poveretti di essere affatto immortali e di vivere per l’eternità, per cui disprezzano la morte e i più si consegnano di buon grado. Inoltre il primo legislatore li ha convinti di essere tutti fratelli gli uni degli altri, dopoché abbandonarono gli dei greci, avendo trasgredito tutto in una volta, ed adorano quel medesimo sofista che era stato crocifisso e vivono secondo le sue leggi. Disprezzano dunque ogni bene indiscriminatamente e lo considerano comune, seguendo tali usanze senza alcuna precisa prova. Se dunque viene presso di loro qualche uomo ciarlatano e imbroglione, capace di sfruttare le circostanze, può subito diventare assai ricco, facendosi beffe di quegli uomini sciocchi»
(De morte Per. XI-XIII)

[modifica] Celso in "Discorso Veritiero"

Il filosofo Celso nella sua opera "Discorso Veritiero" (Alethès lógos) polemizza contro i cristiani, la sua opera è pervenuta attraverso lo scritto di Origene "Contra Celsum" in cui riporta molti passi per confutarli[20].

In alcuni dei passi tratta direttamente di Gesù, ad esempio:

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«Spinto dalla miseria andò in Egitto a lavorare a mercede, ed avendo quindi appreso alcune di quelle discipline occulte per cui gli Egizi son celebri, tornò dai suoi tutto fiero per le arti apprese, e si proclamò da solo Dio a motivo di esse»
(Alethès lógos, I, 28)
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«Gesù raccolse attorno a sé dieci o undici uomini sciagurati, i peggiori dei pubblicani e dei marinai, e con loro se la svignava qua e là, vergognosamente e sordidamente raccattando provviste»
(Alethès lógos, I, 62)
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«Colui al quale avete dato il nome di Gesù in realtà non era che il capo di una banda di briganti i cui miracoli che gli attribuite non erano che manifestazioni operate secondo la magia e i trucchi esoterici. La verità è che tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità. È noto a tutti che ciò che avete scritto è il risultato di continui rimaneggiamenti fatti in seguito alle critiche che vi venivano portate»
(Celso, Contro i Cristiani, traduzione, premessa e note di Rizzo S., Biblioteca Universale Rizzoli, 1989)

[modifica] Riferimenti

  1. Giuseppe Flavio, [1]
  2. Trifone Giudeo, [2]
  3. Tratto da [3]. Fonti: J. MAIER, Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, Brescia, 1994, p. 63, con altri passi paralleli; R. PENNA, L’ambiente storico culturale delle origini cristiane, Bologna, 1984, p. 248. Una trattazione di questa preghiera in E. SCHÜRER, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo, vol. II, Brescia, 1987, pp. 547-554, ove si trova una traduzione delle due recensioni babilonese e palestinese, ed una bibliografia esaustiva
  4. Lettere tra Plinio il Giovane e Traiano, [4]
  5. 5,0 5,1 5,2 Luigi Cascioli, Guy Fau, 1967, Le Fable de Jesus Christ, pag. 235. [5]
  6. Guy Fau. pag. 235
  7. Svetonio, [6]
  8. Cornelio Tacito, [7]
  9. Adriano Imperatore, [8]
  10. Marco Aurelio, [9]
  11. Frontone, [10]
  12. Il problema storico e letterario del testo è affrontato da P. Frassinetti, L’orazione di Frontone contro i Cristiani, in Giornale italiano di Filologia II, 1949, pp. 238-254
  13. Ed. J. P. Waltzing, Louvain, 1903
  14. Petronio, [11]
  15. Epitteto, [12]
  16. Galeno, [13]
  17. d. Fleischer, Leipzig, 1831, p. 109
  18. (EN) Skeptical of Skepticism, [14]
  19. Luciano di Samostata, [15]
  20. Celso, [16]

[modifica] Voci correlate

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