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Epitteto - Wikipedia

Epitteto

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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«Oh Grande Spirito, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capirne la differenza".»
(preghiera Cherokee)

Epitteto (Ἐπίκτητος) è stato un importante filosofo stoico dell'antichità.

Indice

[modifica] Vita

Le notizie certe che si hanno sulla vita di Epitteto sono molto poche. Quasi tutti gli studiosi sono comunque concordi nel fissarne la nascita intorno al 50 d.C. e la morte intorno al 120 d.C. Egli visse dunque sotto l’impero di Nerone, dei Flavi, di Traiano e di Adriano. Furono suoi contemporanei anche Stazio, Tacito, Svetonio, Plinio il giovane e Plutarco.

È certo che fosse nato nella città di Ierapoli, in Frigia. Attualmente questa città si chiama Pamukkale ed è in territorio turco. Dell’antica città sussistono tuttora abbondanti e assai interessanti rovine. È anche certo che Epitteto fosse di madre schiava e che, nato schiavo lui stesso, tale sia rimasto per molti anni. Fu poi comperato da Epafrodito, il potente e ricchissimo segretario di Nerone, essendo al cui servizio ebbe modo di frequentare le lezioni di Musonio Rufo, certamente il più celebre filosofo stoico di quegli anni.

Pare che Epitteto fosse di salute cagionevole e tutti concordano nel ritenere che fosse zoppo. Sulle cause di questo suo difetto fisico le opinioni sono però contrastanti. Essendo egli schiavo, alcuni accettano la versione che lo fa risalire ai maltrattamenti subiti da parte di un padrone. Altri propendono a credere che fosse il risultato di una malattia reumatica.

La condizione di schiavo di Epitteto non andò comunque oltre gli anni 85-90 d.C. Quando infatti l’imperatore Domiziano, in quegli anni, bandì da Roma tutti i filosofi, anche Epitteto fu colpito dal provvedimento. Ciò significa che a quel tempo Epitteto non soltanto era di condizione libera ma ricopriva un ruolo socialmente distinto. In seguito al bando di Domiziano, Epitteto lasciò per sempre Roma e si stabilì in Epiro, nella piccola città greca di Nicopoli. Qui si dedicò all’insegnamento, aprendo una scuola che fu molto frequentata ed ebbe grande successo. È anche possibile che egli abbia compiuto uno o più viaggi ad Olimpia e ad Atene.

Epitteto non ebbe figli ma in tarda età prese con sé una donna che badasse all’allevamento di un bambino che egli aveva adottato. Supremamente indifferente alla gloria letteraria, Epitteto, come Socrate, non si curò mai di scrivere dei libri. Tuttavia un suo discepolo di nome Flavio Arriano, che poi divenne un noto scrittore e una personalità politica di notevole rilievo, ebbe l’ottima idea di stenografare le lezioni alle quali assisteva, trascrivendo fedelmente le parole così come uscivano dalla bocca del maestro. Questa eccezionale documentazione, nota come Manuale di Epitteto, era originariamente contenuta in otto libri, dei quali soltanto i primi quattro sono fortunosamente giunti fino a noi.

Nei suoi ultimi anni di vita, Epitteto godette dell’amicizia personale dell’imperatore Adriano. Marco Aurelio, che per ragioni di età non ebbe modo di conoscere personalmente Epitteto, nei suoi ‘Ricordi’ parla di lui con la massima deferenza e lo annovera tra le sue guide.

[modifica] La filosofia di Epitteto

La filosofia di Epitteto è riconducibile ad alcune idee fondamentali, un nucleo di pensiero che si può esprimere in enunciazioni brevi ed essenziali e che hanno l'obiettivo di esprimere la regola aurea della felicità. La sua filosofia è come una grande casa la cui porta d’ingresso poggia su due cardini. I due cardini si chiamano:

  1. ) Proairesi
  2. ) Diairesi

Di seguito si descrive il percorso, la visita di questo edificio filosofico, premettendo due massime di Epitteto che definiscono - con le sue parole - la regola aurea della felicità.

[modifica] La regola aurea della felicità

  • "Tra le cose che esistono, le une dipendono da noi, le altre non dipendono da noi. Dipendono da noi: giudizio di valore, impulso ad agire, desiderio, avversione, e in una parola, tutti quelli che sono propriamente fatti nostri. Non dipendono da noi: il corpo, i nostri possedimenti, le opinioni che gli altri hanno di noi, le cariche pubbliche e, in una parola, tutti quelli che non sono propriamente fatti nostri".
  • "Ricordati dunque che, se credi che le cose che sono per natura in uno stato di schiavitù siano libere e che le cose che ti sono estranee siano tue, sarai ostacolato nell'agire, ti troverai in uno stato di tristezza e di inquietudine, e rimprovererai dio e gli uomini. Se al contratio pensi che sia tuo solo ciò che è tuo, e che ciò che ti è estraneo - come in effetti è - ti sia estraneo, nessuno potrà più esercitare alcuna costrizione su di te, nessuno potrà più ostacolarti, non muoverai più rimproveri a nessuno, non accuserai più nessuno, non farai più nulla contro la tua volontà, nessuno ti danneggerà, non avrai più nemici, perché non subirai più alcun danno".

(massime 1 e 3 del "Manuale" di Epitteto)

[modifica] La Proairesi

Chiediamoci qual è la facoltà che ci fa aprire o chiudere gli occhi dinanzi a certi spettacoli. È forse l’occhio stesso, la nostra facoltà visiva? Certamente no. Quale facoltà ci spinge ad ascoltare o ad evitare l’ascolto di certi discorsi? È forse l’orecchio in quanto tale, la nostra facoltà uditiva? Certamente no. L’occhio aperto non fa altro che vedere. Ma se si debba guardare la moglie di qualcuno e come la si debba guardare, chi lo dice? L’orecchio non fa altro che sentire. Ma se si diventa indiscreti e ficcanaso oppure si rimane indifferenti ad un discorso, chi lo dice? Se bisogna fidarsi oppure diffidare di certe promesse, chi lo dice? Epitteto chiama ‘Proairesi’ questa nostra peculiare facoltà. Essa non è altro che la facoltà logica, razionale, propria di tutti gli esseri umani, quando sia considerata come facoltà autoteoretica, inasservibile, insubordinabile, capace di usare le rappresentazioni e di comprenderne l’uso ed alla quale tutte le altre facoltà umane sono subordinate.

[modifica] La Diairesi

Chiediamoci se tutto ciò che esiste è in nostro esclusivo potere, oppure nulla di ciò che esiste è in nostro esclusivo potere, oppure di ciò che esiste alcune cose sono in nostro esclusivo potere ed altre non lo sono. Vediamo. Essere sano od ammalarti è in tuo esclusivo potere? Certamente no. Avere molto o poco denaro è in tuo esclusivo potere? Certamente no. Avere un lavoro o un lavoro di un certo tipo è in tuo esclusivo potere? Neppure questo. Chiediamoci allora se esiste qualcosa che sia in nostro esclusivo potere. Può qualcuno farti assentire ad un’affermazione falsa? Nessuno. Può qualcuno costringerti a propendere verso qualcosa che ti ripugna? No, nessuno lo può. Chi può forzarti a desiderare ciò che non vuoi? Nessuno. Resta così dimostrato che delle cose che sono, alcune sono in nostro esclusivo potere ed altre non sono in nostro esclusivo potere. In nostro esclusivo potere sono dunque, ad esempio, valutazioni, progetti, desideri, impulsi. Tutte queste entità sono da Epitteto definite ‘proairetiche’. Non sono invece in nostro esclusivo potere cose come il corpo, il patrimonio, la reputazione, il lavoro, ecc. Tutte queste entità sono da lui definite ‘aproairetiche’, ed egli aggiunge anche che questa è sempre stata, è, e sempre sarà la natura delle cose. Epitteto chiama 'Diairesi' il giudizio che ci fa capaci di distinguere in qualunque situazione quanto è in nostro esclusivo potere e quanto invece non lo è.

[modifica] L'edificio filosofico

Siamo ora in grado di aprire la porta e di entrare nella grande casa dove Epitteto ci attende.

L’edificio è abitato da una moltitudine di esseri umani, pochissimi dei quali si sono dati delle regole che, però, appaiono assai interessanti. Questi pochissimi ritengono, ad esempio, di avere la responsabilità esclusiva del proprio bene e del proprio male. Infatti, essi sono convinti che sia impossibile immaginare un ordine morale in cui una persona faccia il male o il bene ed un’altra ne abbia a soffrire o a godere. Secondo loro, bene e male dipendono esclusivamente dalla proairesi, sono entità proairetiche. Pertanto chi, essendo capace di usare correttamente la diairesi, ha una proairesi atteggiata secondo la natura delle cose, è virtuoso, vive nel bene, gode di felicità e libertà e non ha bisogno d’altro se sa mantenersi in tale stato. Chi invece ha una proairesi atteggiata contro la natura delle cose, essendo incapace di usare la diairesi, è vizioso, vive nel male e soffre di infelicità e schiavitù se si mantiene in tale stato. La stragrande maggioranza degli abitanti della casa appartiene a questa seconda categoria. Essi, infatti, sono convintissimi che il nostro bene e il nostro male siano entità aproairetiche e consistano nel possesso di oggetti materiali e in qualcosa che altri possono fare per noi o contro di noi. La loro vita è un indefesso affannarsi per conseguire o per evitare cose ed eventi che non sono in loro potere, ma dipendono da altri o dalla pura e semplice fortuna.

Mentre mi assicura che tutti gli abitanti della casa, senza eccezione alcuna, sono creature dotate di Proairesi, Epitteto mi invita adesso ad avvicinarli liberamente ed a cercare di capire come vivono. Sono tre gli aspetti della loro esistenza quotidiana ai quali Epitteto mi suggerisce di porre particolare attenzione.

Il primo ambito è quello degli assensi e dei dissensi, ossia del loro dire di sì oppure di no alle rappresentazioni che la nostra mente si forma degli avvenimenti di ogni giorno. Ci sono tanti che, quando vedono abbondanza di denaro o anche soltanto la immaginano, rimangono a bocca aperta e muggiscono un ‘sììììììì’ che sale loro in bocca dalle più intime viscere. Altri, quando vedono una bella ragazza o un bel giovanotto subito ammiccano: ‘Beato chi ci va a letto!’ Altri ancora, quando sentono parlare di onori e cariche, si dichiarano in cuor loro senz’altro disposti a qualunque bassezza pur di raggiungere quel traguardo. Se poi vedono qualcuno piangere, subito confidano: ‘Poverino, andò in malora!’ Se incontrano un parlamentare, borbottano: ‘Beato lui!’ Se si fa loro incontro qualcuno povero di denaro lo compiangono e piagnucolano: ‘Meschino, non ha di che mangiare!’ Tutti costoro formano l’immensa schiera di coloro che, non applicando la Diairesi, dicono di sì al giudizio che i nostri beni e i nostri mali sono entità aproairetiche. Alcuni pochi, invece, prima di dire di sì o di no ad una rappresentazione, la analizzano come si deve, usando la Diairesi. Uno di costoro ha incontrato poco fa un industriale ricchissimo di denaro. Si è subito chiesto se il denaro sia una entità proairetica o aproairetica e si è risposto che è aproairetica. Ne ha concluso che il denaro non è né un bene né un male e così ha salutato quella persona senza servilismo e senza disprezzo. Un altro si è imbattuto in un conoscente che piangeva per la morte di un figlio. La morte è proairetica o aproairetica? La Diairesi ha risposto senza incertezza: ‘aproairetica’. Egli ne ha tratto la conseguenza che la morte non è né bene né male; mentre il giudizio che la morte sia un bene o un male, ecco questo è male. Ha così potuto esprimere al suo conoscente parole di conforto e di amicizia che purtroppo sono state rifiutate con rabbia. Un terzo ha appena conosciuto uno scienziato pieno di supponenza e di boria perché gli era stato conferito il premio Nobel. Cos’è il premio Nobel? Qualcosa di proairetico o di aproairetico? Certamente aproairetico. Ed egli ha dunque riso di cuore, dentro di sé, per l’insipienza di chi, giudicandosi uno scienziato famoso, mostrava a sproposito una fierezza tanto sdegnosa ed arrogante.

Il secondo ambito è quello dei desideri e delle avversioni. Cosa desiderano i più? Mi è stato raccontato che qualche mese fa, alcuni abitanti della casa sono andati in vacanza in una lontana città e là sono rimasti bloccati qualche giorno a causa di un improvviso sciopero dei mezzi di trasporto. Il forzato cambiamento di programmi e l’impossibilità del ritorno alla data prevista li ha posti in una condizione di tale angoscia e prostrazione che ora hanno giurato di non mettere mai più il naso fuori delle mura domestiche. Epitteto mi fa poi osservare che qui sono numerosissimi coloro che fanno delle vere e proprie processioni al botteghino del Lotto e del Totocalcio nella speranza, sempre frustrata, di una vincita che essi immaginano possa cambiare dall’oggi al domani la loro vita. Che dire, poi, di tutti coloro che desiderano la vita eterna, l’immortalità personale? Essi sono convinti di averne diritto per promessa divina e, seppure con qualche dubbio in cuor loro, nei giorni festivi frequentano compuntamene una serie di riti che promettono di garantirgliela. E cosa avversano? La stragrande maggioranza degli abitanti della casa, essendo pieni di vari acciacchi, avversano la malattia e la ritengono senz’altro un male. Una delle loro espressioni preferite e più comuni è: ‘Basta la salute! Quando c’è la salute c’è tutto!’. Insieme alla malattia essi avversano vivamente la solitudine e si lamentano in continuazione, tanto i giovani che i vecchi, del fatto che nessuno si interessa di loro, dell’abbandono in cui dicono di essere lasciati, di essere trascurati o di non essere abbastanza accuditi. Una cosa per la quale provano poi particolare ribrezzo è la povertà di denaro. Per evitarla farebbero, e spesso fanno davvero, qualunque cosa; anche a scapito della parentela, della lealtà e della dignità personale. Epitteto mi fa anche notare una curiosità: ossia che questa avversione non è caratteristica soltanto di chi è di condizione modesta, ma soprattutto di chi vive nell’agiatezza. Nella casa vivono comunque anche alcune poche persone che pensano diversamente. Di recente uno di costoro ha subito un furto. Guardando le pareti vuote e ripensando ai mobili che erano stati rubati egli ha riflettuto sulla giustezza della legge universale che afferma: ‘Il migliore prevalga sempre sul peggiore’. È vero: un corpo è più potente di un altro corpo; i più dell’uno; il ladro del non ladro. E ne ha concluso che il ladro era stato migliore di lui nel tenere d’occhio l’appartamento. Ma anche il ladro aveva pagato un prezzo per quei mobili. In cambio di quei mobili era diventato una persona sleale e belluina. E questo egli aveva reputato vantaggioso per lui! Un altro per strada, due sere fa, è stato oggetto di ripetuti insulti e di sputi da parte una persona che, del tutto a torto e senza fondamento alcuno, si era sentita offesa da lui. Ebbene egli si è ricordato delle parole indimenticabili con le quali Epitteto bolla a fuoco l’insipienza di rispondere all’offesa con l’offesa e, grazie ad esse, ha saputo mantenersi calmo mentre l’altro, a stento trattenuto dai suoi compari, dava in escandescenze. Ci sono poi alcuni che hanno un comportamento giudicato assai strano in occasione di partite di calcio o di simili manifestazioni sportive. La stranezza consiste nel fatto che essi non parteggiano, per partito preso, per una squadra o per un’altra ma badano al gioco e all’abilità dei contendenti in esso. Non parteggiando, essi riconoscono ed apprezzano la bravura del vincitore, chiunque sia, e sopportano di essere visti di malocchio dagli altri spettatori. C’è una frase di Epitteto che questi pochi ripetono spesso e che dice: ‘Apèkou kai anèkou’. La frase è in greco e può essere tradotta così: ‘Astieniti e sopporta’. Astieniti da cosa? Ovviamente dall’intemperanza. Sopporta che cosa? Ovviamente l’intolleranza altrui.

Il terzo ambito è quello degli impulsi e delle repulsioni. Tutti gli abitanti della grande casa respirano, si nutrono, evacuano, dormono, camminano; e sarebbe impossibile trovare, al riguardo, differenza alcuna tra loro. Tutti provano lo stimolo della fame, della sete, del sonno, del sesso. Anche il necessario soddisfacimento degli impulsi e delle repulsioni naturali è, per la grande maggioranza degli abitanti, condizionato alla loro saldissima credenza che bene e male consistano in oggetti esterni ed aproairetici. Quando si guardano allo specchio, per esempio, tantissimi affermano di scorgere sulla loro pelle mille imperfezioni che li giustificano nel consumo massiccio di prodotti cosiddetti ‘estetici’ e nel ricorso alla chirurgia plastica. Vivendo nella paura di non avere cibo a sufficienza, moltissimi sono affetti da bulimia. Ritenendo il sesso un bene, anzi il solo e supremo bene, essi lo ricercano in ogni momento e sotto qualunque forma; e si valutano tanto più fortunati e realizzati quanti più trofei possono vantare al riguardo. Pochi e mal visti sono invece coloro che si fanno guidare dal giudizio che cibo e sesso non sono né bene né male e che dunque si sforzano di soddisfare impulsi e repulsioni con posizionamento, con razionalità, senza trascuratezza. Anche nel comportamento verso l’ambiente che li circonda si possono notare delle differenze importanti tra gli abitanti della grande casa. La maggioranza si distingue per la sua trascuratezza più totale al riguardo. Cartacce, lattine, bottigliette, residui di cibo, qualunque cosa capiti loro in mano può tranquillamente essere abbandonata in strada. Respirano a pieni polmoni i gas nocivi che inquinano la città e convivono senza alcuna apparente preoccupazione con acque e terre contaminate. Salvo poi ad esigere una pulizia quasi maniacale dell’abitazione in cui vivono ed a provare indicibile repulsione anche per il minimo granello di polvere. Tutti gli abitanti della grande casa sono stati concepiti, partoriti, allevati. Tutti sono figli o padri e madri, fratelli, sorelle, nonni e così via. Raggiunta la maggiore età, tutti hanno diritti politici e fanno parte della società civile. La società civile nella quale sono nato è qualcosa in mio esclusivo potere? La maggioranza ritiene di sì e si affanna per costruire quella che essa è convinta sarà la società ‘giusta’. Ma può esistere una simile società ‘giusta’? Se bene e male, giustizia e ingiustizia, libertà e schiavitù fossero cose esterne ed aproairetiche allora potrebbero anche essere incarnate da organizzazioni istituzionali. In questo caso, pensa una piccolissima minoranza degli abitanti della grande casa, avrebbe ragione la maggioranza. Se invece, come è vero, giustizia e ingiustizia sono giudizi e non istituzioni, allora soltanto l’uomo singolo può essere ‘giusto’ o ‘ingiusto’ a seconda che la sua proairesi sia atteggiata rettamente oppure non rettamente. Epitteto mi fa notare a questo punto che la stragrande maggioranza degli individui, ponendo il bene ed il male fuori di sé, non può che formare una massa di persone nemiche le une delle altre, pronte alla guerra, a litigare per una eredità ed a scannarsi per un tradimento. Soltanto quella piccola minoranza di abitanti che pongono il bene e il male nella proairesi sono attrezzati per vivere e per far sentire chiara e forte la loro voce in qualunque società. Se la società è un gioco con delle regole che vanno rispettate, soltanto questa minoranza è attrezzata per rispettarle, poiché è la sola a non avere paura che possa venirgliene qualche male. Fino a quando? Fino a quando la ragione deciderà che il gioco è ben giocato. Quando il gioco non sarà più ben giocato, costoro lasceranno il gioco e augureranno agli altri buona fortuna. Ma non lo lasceranno mai irragionevolmente, per mollezza o per un pretesto casuale.

[modifica] La "fortuna" del Manuale

Alle prese con il problema di creare un ponte tra due culture lontanissime, il gesuita Matteo Ricci, missionario in Cina, ritenne che la morale stoica fosse quella più vicina al confucianesimo e fosse perciò in grado di aprire le porte del continente asiatico al cristianesimo. Pertanto, egli tradusse in cinese il Manuale di Epitteto. intitolandolo "Il libro dei 25 paragrafi" e parafrasandone in senso cristiano molti passi.

Il Manuale di Epitteto - redatto dal suo discepolo Arriano - racchiude il nocciolo della dottrina etica dello stoicismo, insieme ai successivi "Ricordi" dell'imperatore Marco Aurelio (121 - 180 d.C.). Entrambe questi testi - come buona parte dei libri della filosofia antica - appartengono al genere che più tardi, con Ignazio di Loyola, si sarebbe chiamto degli "esercizi spirituali", pur non contenendo nulla di precisamente religioso: racchiudono massime che, attraverso indicazioni da applicare alla vita pratica, intendono gradualmente condurre verso una vita filosofica.

La sua influenza interessò pensatori ed intellettuali di ogni epoca, dai neoplatonici a Leopardi ed ancor oggi è spesso usata, da chi vuole impiegare una formula per una vita vissuta felicemente, una frase che richiama la regola aurea della felicità di Epitteto: "Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capirne la differenza".

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

Epitteto.com: diairesi, antidiairesi e felicità

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