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Mujāhid al-‘Āmirī

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Mugehid ibn abd Allah al Amiri Al-Muwafaqq, (o Mugìâhid. o Muyahid), noto in Italia come Museto o Musetto (Denia?, 960 - Bona, 1044), fu un emiro e condottiero saraceno, oppure un pirata arabo, e signore di Denia dal 1014 al 1044; la sua fama si lega sinistramente alla distruzione che riuscì in breve tempo a portare sui mari sardi e italiani al principio del secondo millennio. La sua storia è in realtà mescolata con una negativa leggenda, offuscata da lacunose sospensioni del racconto per molte stagioni di cui non abbiamo notizie e da alcune contraddizioni di date.

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«Mugehid ... subdidit insulas prelibatas Baleares, que nunc vulgo Mayoretas et Minoretas vocant»
(Cronaca della consacrazione della chiesa di Santa Cruz y Santa Eulalia di Barcellona, 1058)

Indice

[modifica] Un guerriero di mare

Musetto, che alcuni testi indicano come figlio di madre cristiana, altri come uno slavo (o uno schiavo, ma si tratta forse di errori di traduzione) o addiruttura un sardo, che aveva fatto carriera in armi sotto Al Mansur, apparteneva al popolo degli Amiridi e si era fatto onore da giovane nelle marinerie del Medio Oriente; quasi cinquantenne, aveva basi navali un po' dovunque nel Mediterraneo, e principalmente frequentava le sponde spagnole e delle Baleari.

A Denia (nei pressi di Alicante) si era insediato per conquista (e dopo Denia conquistò Algeciras e le bellissime isole mediterranee) in una prestigiosa corte, una taifa, della quale fu principe e mecenate (favorì ad esempio le arti di Ibn Garcia). La vivezza intellettuale della città portuale divenne presto di gran rinomanza, specialmente in materia di esegesi coranica e di filologia; a Maiorca i due filosofi Al Baji e Ibn Hazm ne discettavano in pubblico, dinanzi a folle di silenziosi spettatori. E preservò la tradizione moresca, iniziata dai suoi predecessori, di emettere la sua corrispondenza ufficiale in prosa rimata. Dal 1017 al 1019 fu, insieme a Labib al-Saqlabi (signore di Tortosa), reggente della taifa di Valencia, reggenza che nei due anni successivi tenne da solo.

Da Maiorca organizzò intorno all'Anno Mille (1015? - alcune fonti indicano il 1004) una spedizione di invasione che permetteva poche probabilità di resistenza: 110 navi, 10.000 uomini, 1.000 cavalli (anche sui numeri della consistenza della flotta vi sono versioni lievemente differenti, ma la proporzione è in buona sostanza confermata da molte fonti). Un'armata di mare che per i tempi doveva incutere, più che rispetto, sgomento. E si diresse verso la Sardegna.

[modifica] In Sardegna

Qui nessuno, fra i pacifici abitanti, aveva motivo di immaginare che un assalto del genere potesse mai insidiarli, e del resto il saracino aveva organizzato la spedizione in gran segreto ed assai rapidamente. Musetto sbarcò presumibilmente in territorio del Giudicato di Torres, nella Sardegna nord-occidentale, cioè in una parte dell'isola raramente sotto attacco, e non ebbe perciò difficoltà a saccheggiare le sguarnite città di mare.

Un tentativo di resistenza, eroico quanto inutile, fu organizzato alla bell'e meglio dal Giudice Malotto (Malut), che fece radunare in spiaggia tutti gli uomini validi e si mise egli stesso al comando delle truppe, affiancato da tutti i curatori e tutti i majori, cioe' da tutti gli amministratori distrettuali e comunali del Giudicato. Questo, col senno di poi, si rivelò un grave errore: dopo il saccheggio, nel quale il Giudice rimase ucciso insieme a buona parte dei suoi amministratori, l'organizzazione del Giudicato aveva perso tutti gli uomini dell'establishment. La popolazione restava dunque sbandata, senza le persone di abituale riferimento, priva di uomini abili nell'organizzazione della resistenza e della ricostruzione. Gli atti di eroismo non servirono a nulla, e nemmeno molti furono i testimoni superstiti.

Torres divenne in una notte la nuova reggia di Musetto, che da qui si organizzò immediatamente per puntare dapprima alla conquista dell'Isola e poi lanciarsi verso il Continente italiano.

[modifica] Verso Pisa

L'attacco a Torres, forse non casualmente, era stato sferrato mentre Pisa aveva gran parte della sua flotta in Calabria, per una missione di rappresaglia contro altri saraceni. Velocemente, dopo aver insediato i suoi luogotenenti (il termine aveva proprio un pieno significato in questo caso), ed accasermato un minimo presidio militare (alcune leggende vogliono che si trattasse di Alghero, il cui nome deriverebbe dall'arabo "al khar", il castello), ripartì velocemente alla volta di Pisa, probabilmente il suo vero obiettivo. Se così fosse stato, la propizia scelta del momento avvalorerebbe l'ipotesi (che più volte vedremo verificata) che l'emiro disponesse di un valentissimo e pronto servizio di informazioni.

Lontane le navi, rilassato l'esercito, a Pisa la strage fu forse anche più feroce. Solo le donne valide vennero risparmiate, ma per esser condotte in schiavitù (la loro vendita ai mercati degli schiavi - il più famoso dei quali era allora quello di Candia - avrebbe infatti fruttato capitali importantissimi per il finanziamento delle flotte). Un intero rione della città toscana fu dato alle fiamme. E prima che le navi pisane tornassero dalla loro incursione a Reggio Calabria, Musetto era già ripartito alla volta di Olbia (allora detta Civita), con le sue prigioniere.

Non si sa se da Torres le sue truppe avessero nel frattempo mosso alla volta di Olbia, né se la cittadina fosse stata già conquistata da una formazione di navi distaccatasi durante il viaggio di andata. Comunque, dopo poco i saraceni avevano il controllo di tutto il territorio compreso fra i due porti sardi settentrionali. Sicuramente l'Arcipelago della Maddalena era già in mano araba; lo sarebbe stato ancora, per molto tempo a venire. Così la Corsica meridionale.

L'avventura mediterranea di Musetto era appena cominciata.

[modifica] Pisa in caccia

Ipotizzando, come detto in precedenza, che Musetto potresse disporre di un servizio di informazioni accurato e veloce nelle comunicazioni, l'incursione nella città toscana si era rivelata un'operazione militarmente di tutto rispetto: prima di approfittare della temporanea leggerezza difensiva di Pisa e di ottenerne un successo peraltro prestigioso, si era conquistato la base di ripiego in Sardegna, e vi si era riparato prima della prevedibile reazione dei toscani.

I pisani infatti inseguirono immediatamente "Muscetto" (così lo chiamavano loro) e, con l'ammiraglio Vittore Ricucchi (o Ricucci) al comando delle operazioni, sbarcarono a Santa Lucia di Siniscola (o, più probabilmente, nel Portus Luguidonis dell'attuale San Giovanni di Posada) per raccogliere l'alleanza dei Sardi, che già per loro conto si stavano organizzando per resistere all'invasore.

Organizzata quindi un'armata mista di caccia, in parte marinara e in parte di terra, sardi e pisani marciarono insieme verso Olbia, ma Musetto esibì per la prima volta una prudente preferenza tattica che più volte lo avrebbe salvato: grazie sempre alla supposta efficienza del suo servizio di informazioni, Musetto seppe in tempo del tentativo di doppio attacco, perciò ripiegò velocemente e silenziosamente ad Ovest, verso il Limbara, in direzione di Tempio Pausania, per poi raggiungere quella Torres ormai fortificata (e dove era rientrato il grosso del suo naviglio) che sarebbe stata un comodo e sicuro quartier generale. Il saraceno sapeva bene che, avendo già sperimentato grazie agli stessi arabi la pericolosità del lasciare la città sguarnita, presto i Pisani avrebbero desistito e avrebbero lasciato i sardi soli (e perciò meno pericolosi) a contrastare l'invasore.

I sardi infatti non lo inseguirono più di tanto, e gli arabi ebbero agio di allestire una rete di pattuglie marittime che si dedicarono alla guerra di corsa nelle acque fra la Sardegna e la Corsica, forti delle inespugnabili basi maddalenine. Nessuna nave, forse nemmeno una piroga, riusciva ad attraversare indenne quei mari e dopo poco l'attività piratesca si spostò verso il Tirreno, dove cominciarono ad essere insidiate e depredate le navi dei genovesi e dei pisani.

I pisani non avevano solo conti economici in sospeso, ma erano animati da un comprensibile desiderio di vendetta, frammisto a sentimenti di pre-crociata. Perciò organizzarono un'armata marinara ad hoc, che potesse contrastare gli arabi con qualche probabilità di successo.

[modifica] Marinai d'altri tempi

Di Musetto si cominciavano a studiare le mosse precedenti nel tentativo di delinearne le caratteristiche tattiche.

Si sapeva ad esempio che il suo naviglio era stato organizzato per essere veloce ed agile, mentre le navi italiche erano pesanti e di lenta manovra. E mentre una flotta araba arrembava per il corpo a corpo in più punti di un'avversaria, quasi un irruzione di assedianti, la superiorità numerica a bordo delle grandi navi si menomava per l'effetto di sopresa e confusione destato dalle tecniche di attacco decentrato.

Si era notato, per restare in acqua, che l'affiatamento fra i singoli comandanti, e fra loro ed il condottiero, era assolutamente ragguardevole e inquietante: con fulminea velocità le navi saracene comunicavano scambiandosi brevi messaggi alla voce (in una lingua "incomprensibile", l'arabo) o alla vista. E immediatamente dopo, a testimonianza di una eccellente preparazione a terra della tattica di squadra, i natanti arabi iniziavano manovre assolutamente disorientanti, spesso all'apparenza prive di logica, comunque sul momento incomprensibili ai comandanti toscani. Velocità, fantasia, efficacia. La picchiata del falco, la fuga della lepre, il bottino della volpe.

La marina musulmana, che aveva già bloccato le Colonne d'Ercole (Gibilterra) ed era di fatto al controllo dei mari greci, aveva ormai sviluppato il grande Progetto, non di fatto così irraggiungibile, di conquistare l'intero Mediterraneo chiudendo le flotte del mondo latino in una morsa sempre più serrata. Per questo, mentre lavorava per allestire una flotta di proporzioni adeguate (sebbene con ritardi dovuti a conflitti terrestri e ad altre scaramucce locali per l'unificazione del grande Islam), manteneva un'insidiosa tensione soprattutto nel Tirreno, utilizzando la pirateria come mezzo di disturbo (e anche di approvvigionamento) prima di sferrare gli attacchi decisivi.

L'avversario non era dunque da sottovalutare. I comandanti di vecchia guardia, come sempre e' successo, anche per semplice brama della quantità di potere personale connesso, davano però più importanza all'armo di flotte imponenti piuttosto che allo studio di specifiche contromisure adatte al singolo caso. Perciò anche per Musetto si approntò una flotta numericamente impressionante.

Ciononostante, la marina pisana non era solo costituita di grandi navi, ma anche di grandissimi marinai. L'ammiraglio Bartolomeo Carletti attese l'estate del 1012 e calcolò con cura le sue date per far coincidere la mancanza di luna con la calma di vento. Richiamò vecchi timonieri esperti di quelle acque, capaci di navigare alla cieca in quelle pericolosissime correnti (ancor oggi si contano sulla punta delle dita di una mano sola quelli che vi si azzarderebbero senza le moderne tecnologie), e nel cuore della notte assaltò con riuscitissimo effetto-sorpresa il porto di Torres, con la bellezza di 120 navi.

Dopo uno scontro di rara violenza, la maggior parte delle navi arabe fu affondata o catturata. Il terribile Musetto però, ancora una volta grazie ad uno dei suoi stratagemmi, riuscì a farla franca comandando alle sue navi di creare confusione manovrando vorticosamente in porto - almeno in apparenza - senza logica: non appena trovò un varco, scantonò fuori di quell'inferno mentre nessuno dei nemici badava a lui. Varcato il fronte dello schieramento dei toscani in direzione di Bonifacio, pensò bene peraltro di scendere a terra per evitare l'ondata di rientro dei pisani che, a ragione, prevedeva a breve termine.

Prima che potessero sopraggiungere rinforzi saraceni da altre acque, e con una vittoria parziale ma pur sempre significativa, i pisani infatti se ne tornarono (avevano recentemente appreso a loro spese, come abbiamo visto, che le missioni in zone lontane non dovevano durare molto) e Musetto dopo poco tornò a Torres. I toscani avevano sorpassato da molto vicino la piccola baia nella quale si nascondevano le veloci navi di Musetto, senza scorgerle.

[modifica] Musetto padrone di terra e di mare

I sardi, che non erano stati informati dai Pisani dell'imminente azione, non poterono intervenire in appoggio da terra, come invece sarebbe stato facile ed utile, e rimasero come prima: soli e dunque poco pericolosi. Di nuovo, nessuno insidiava seriamente Musetto. Qualche studioso vuole che i Pisani fossero ben certi di poter stravincere, perciò si sostiene che il Carletti avrebbe ritenuto che non fosse il caso di diminuire l'imminente trionfo (e la sua gloria personale) chiedendo aiuti che poi si sarebbe dovuto provvedere a compensare. Meglio un mezzo successo esclusivamente personale, che un successo pieno da dividere coi sardi.

Così passò un altro inverno di predonerie saracene. I pisani attendevano, registrando perdite di uomini, di naviglio, di carico. Il clero pisano, non riponendo grande fiducia nei militari, vistane in azione la mentalità, concertò in tempi brevi (solo 4 anni fra progetto e primi insediamenti) la fondazione della tuttora deliziosa città di San Miniato, che venne fondata in collina nel luogo della chiesa dedicata al martirio del Santo, con la prospettiva di potervisi rifugiare nel caso i soldati ed i marinai si fossero nuovamente mostrati inadeguati a proteggerli sulla costa.

L'estate successiva, giustamente supponendo che un tanto valoroso ammiraglio, benché arabo, avrebbe certamente tenuto memoria del precedente attacco, e si sarebbe attrezzato di conseguenza, i pisani attesero che i saraceni si concentrassero in manovra nelle anguste acque delle Bocche di Bonifacio ed attaccarono per l'appunto tra la Corsica e La Maddalena, sicuri di aver calcolato tutto.

Gli arabi, però, grazie alle loro tecniche di manovra ed al loro affiatamento tattico, velocemente riuscirono a disperdersi, sottraendosi al conflitto (in realtà perdendo qualche piccolo battello, stando ai cronisti pisani) e rendendosi in breve tempo irreperibili nonostante un affannoso inseguimento dei toscani. Qui nasce una delle leggende che riguardano l'isolotto di Mortorio, che (secondo Al Himyari) fu chiamato dagli arabi "Giasirat ash Shuhada", l'isola dei martiri, in ricordo di un numro rilevante di marinai rimasti uccisi nelle sue acque.

La leggenda di Musetto si rafforzava in mare e si consolidava a terra: affinché i sardi non osassero sperare in qualche liberatore alleato esterno, e per garantirsi la saldezza dell'appoggio a terra, l'arabo cominciò ad affievolire il morale degli indigeni. Si narra, ad esempio, che per erigere delle fantastiche fortificazioni e dei castelli degni delle più fiabesche ipotesi architettoniche, i saraceni utilizzassero schiavi sardi che, quando giunti allo stremo delle forze, venivano murati vivi nella costruzione. "''... orribili tormenti coi quali quel re pirata sfogava sugli infelici suoi suggetti il furore delle precedute sue male venture" chiosa il Manno riferendo della cronaca che ne diede il veronese Muratori.

Certo, bisogna anche considerare che i cronisti pisani, dai quali tanto apprendiamo, non potevano essere al di sopra di un naturale e spontaneo sospetto di faziosità, e dunque non è dato sapere se effettivamente questa crudeltà fosse davvero di tanto malvagia articolazione. Di quelle gigantesche fortificazioni, in realtà, non resta nei luoghi una traccia nemmeno rudimentale che si possa definire proporzionale alla descritta magnificenza (anche se la storia dimostrò poi che gli arabi erano davvero capaci di sontuosi capolavori). Però la storia si scrive vincendo, e capitò che a guadagnare infine il predominio sul Mare nostrum non fosse l'Islam del terribile Musetto. Non trova a questo proposito molte conferme il presunto attacco di Cagliari, al "capo Sud" dell'Isola, che forse fu assalita e razziata da altri arabi, probabilmente non in relazione con il nostro, né ci sono riscontri della supposta penetrazione di Musetto in paesi del Campidano alquanto distanti dalla costa: il tipo di operazioni in corso a Nord e sul Tirreno, ed il necessario contemporaneo impegno a Sud e nell'interno, non paiono ragionevolmente compatibili.

Musetto, per ora, era ancora in mare libero.

[modifica] La controffensiva

Prima di giungere ad una vittoria, o meglio di ottenere una sconfitta dell'arabo, i pisani dovettero subire nel 1016 il sacco di Luni, fiorente e pacifica cittadina alla foce del fiume Magra. La popolazione fu annientata, la città letteralmente incenerita: data alle fiamme, non ne rimase più traccia se non nel nome della diocesi che vi aveva sede (la Lunigiana).

La strage riuscì a far nascere immediatamente un'alleanza d'emergenza fra pisani, genovesi e Benedetto VIII (papa dal 1012 al 1024); le truppe comuni congiuntamente attaccarono da terra e dal mare. L'alleanza fu in estrema concitazione negoziata dal marchese pisano Adalberto II e dal Vescovo di Genova Giovanni II. Il comando della spedizione fu affidato agli Obertenghi, che riuscirono a raggiungere le acque pisane in brevissimo tempo. Stavolta Musetto, contrariamente alla sua consueta tattica di veloce assalto e rapido ripiego, si era soffermato sul posto più del dovuto, ed ebbe a pagarlo caro.

Dopo tre giorni e tre notti di ininterrotti combattimenti, con rinforzi che senza interruzione giungevano via via al campo di battaglia, da tutte le aree circostanti, per unirsi all'alleanza contro i saraceni, questi furono sconfitti. Senza prigionieri. Nessun superstite, a parte quei pochi che erano riusciti a riprendere il mare.

I cronisti pisani ebbero anche a narrare con toni leggendari che la moglie di Musetto, che lo avrebbe seguito per un inconsueto spirito d'avventura, fosse stata passata a fil di spada. Comunque la cronica non sembra molto attendibile quando descrive il dolore dell'emiro come quello di un qualsiasi marito cristiano: nell'Islam del costume poligamo, un grande condottiero ed un uomo colto ed insieme pragmatico (concesse in moglie una delle figlie a Abu 'Amr 'Abbad al-Mu'tadid, futuro signore di Siviglia, soprattutto noto per essere leggendariamente stato il defloratore di circa 800 vergini) avrebbe - secondo loro - avuto una sola moglie e l'avrebbe amata di amor cortese e struggentemente pianta, e questo brano pare in complesso un po' ingenuo a molti osservatori. Anche del figlio di Musetto, Alì Ikbal al-Daulah, si dice che fosse stato ucciso, ma molte più fonti lo indicano come il suo successore sul trono di Denia.

Il terribile Musetto, forse vedovo, riuscì a scamparla anche questa volta e riparò nuovamente in Torres, dove (sempre per gli stessi cronisti) fece crocifiggere molti sardi, per rappresaglia o per rabbia. La crocefissione non era in realtà fra i modi di esecuzione preferiti dagli arabi, soprattutto se si pensa ai marinai, nondimeno questo è quanto narrato.

Inseguito da Pisani e Genovesi, che in breve lo raggiunsero, stavolta si trovò addosso anche l'ira dei sardi che si sollevarono contro l'invasore. Di nuovo il porto di Torres fu teatro di una feroce battaglia.

Anche qui i saraceni furono sterminati.

I sardi combatterono con invasato ardore, dicono le cronache, con furioso valore, sulle note di un inno che fu molto più tardi ritrovato fra le "Carte di Arborea" (raccolta documentaria della Giudichessa Eleonora) ed un cui brano declamava:

Armemus nos in gherra
Sa patria pò sarvare
curramus juventude,
mostramus sa virtude
                armiamoci per la guerra
per salvare la Patria
corriamo giovani,
mostriamo il valore

Non avrebbe potuto essere una vittoria dei soli sardi, sebbene di fatto il loro intervento sia stato effettivamente quello decisivo. Chiuso infatti inestricabilmente dal mare, il saraceno si vide mancare anche la via di fuga a terra e non poté schivare lo scontro, come forse avrebbe preferito. Né poté raggiungere da terra la sua flottiglia di riserva che pattugliava placidamente al largo dell'Asinara.

Ma di nuovo Musetto riuscì imprevedibilmente a fuggire. Con un manipolo di fedelissimi scampati anch'essi alla rovinosa disfatta, fece rotta finalmente verso l'Africa, dove riparò a Bona (oggi Annaba, nell'attuale Algeria - l'antica Ippona dei Numidi e di Sant'Agostino).

Il papa Benedetto VIII, saputo della ritirata degli arabi e riconoscente per la salvezza dell'isola (Sardegna e Corsica facevano infatti parte delle donazioni carolingie), concesse a Pisa la patente per fregiarsi dello stemma contenente quella che sarebbe divenuta la tipica croce pisana.

[modifica] Sconfitto ma non del tutto

Non domo, il nostro Musetto, rivestiti nel frattempo i panni dell'antico Mugehid, aveva intanto cominciato un'opera di paziente ricostruzione del proprio schieramento. Le gravi perdite delle ultime battaglie lo avevano impoverito, dunque gli ci volle un po' per armare una flottiglia che potesse autofinanziarsi con assalti pirateschi. Ci vollero ben 6 anni perche l'arabo fosse di nuovo al comando di una flotta da guerra capace di affrontare scontri militari di una certa serietà. Non appena ne fu in grado, mosse nuovamente verso le coste meridionali della Sardegna con una flotta piccola eppure insidiosa.

Stavolta però i sardi avevano fatto tesoro dell'importanza, sperimentata sulla propria pelle, di dotarsi di un buon servizio informativo: le mosse di Musetto, che non era mai stato perduto di vista, furono scoperte in tempo e si ebbe il tempo di chiamare in soccorso pisani e genovesi per intercettarlo ed affrontarlo in mare aperto, ben lontano dalle rive di Cagliari. La flotta alleata era ben più solida di quella saracena, della quale peraltro si conosceva ormai bene la tattica di combattimento. I sardi vinsero per l'appoggio degli alleati e per la mancanza di un "effetto-sorpresa" dell'attacco arabo.

Ciò che a suo tempo avevano evitato i pisani, i sardi non evitarono: il "favore" dovette essere ricambiato con oneri che non avrebbero tardato a rivelarsi pericolosi per la stessa indipendenza dei Giudicati. Fatto sta che, combinazione, solo Arborea, il Regno meno implicato nella lotta all'arabo, l'unico le cui coste non avevano sofferto in proprio gli attacchi saraceni, resistette in seguito all'invasione dei continentali. Genova e Pisa entrarono così nella storia di Sardegna. E ne sarebbero uscite a fatica.

Nuovamente rimasto senza flotta, frattanto, l'inestinguibile Musetto ne ricostituì a tempo di record un'altra e subito si rilanciò verso le coste toscane contro i suoi affezionati pisani, ma anche qui venne sconfitto, stavolta forse perché per la velocità di preparazione dell'azione aveva sacrificato l'allenamento e l'affiatamento fra i comandanti. L'effetto-sorpresa c'era stato, nessuno infatti avrebbe potuto temere un attacco così coraggioso ed a così poco tempo dalla precedente sconfitta, ma non fu sufficiente. Certo, l'attacco può sembrare avventato, ma occorre considerare l'ipotesi che altri fattori abbiamo determinato il condottiero ad accelerare l'azione: sarebbe stato infatti importante per tutto l'Islam poter indebolire Pisa nel momento in cui andava consolidando la sua influenza sulla Sardegna (che nel frattempo assumeva un ruolo strategico crescente), e la rischiosissima carta andava giocata. Questa sconfitta, pur se in una piccola battaglia, si rivelò grave per tutto lo schieramento arabo.

In merito alla "cronaca" dell'attacco, a Pisa si narra comunque di una tal Kinzica de' Sismondi che avrebbe eroicamente salvato la città suonando a distesa le campane di San Martino per dare l'allarme.

[modifica] Caccia all'uomo

Riparò nel Lazio il saraceno, nascosto in una grotta (presso Serapo, nella costa di Terracina), e se ne allontanò nel 1025 quando da terra stavano per giungere ingenti truppe per stanarlo. Il duca Sergio IV di Napoli aveva inviato addirittura dei mercenari normanni comandati da Raynulfo Drengot-Quarrel, prossimo Conte di Aversa.

Il cerchio cominciava a stringersi.

Il vento della fortuna di Musetto aveva ormai girato, ed all'arabo andarono assai male tutte le successive imprese militari. Solo la pirateria gli rimase per un certo tempo favorevole, ed in questa opinabile specializzazione continuò a pungolare le flotte di tutte le potenze mediterranee. La sua attività si concentrò su assalti individuali, piccole scorrerie, una sorta di terrorismo marinaro che improvviso dal nulla appariva alle sue vittime, nel nulla rapido volgeva alla fuga.

Contemporaneamente, per riarmare un'ennesima flotta, si spogliò anche di alcuni dei possedimenti più importanti come Denia, Alicante e Majorca, insieme alle rispettive giurisdizioni episcopali, che donò al vescovo di Barcellona Guislaberto.

Il mondo cristiano intanto attendeva col fiato sospeso che passasse l'anno 1033: i catastrofisti esegeti del Libro dell'Apocalisse, infatti, con una reputazione un po' più fievole che in precedenza, quando l'Anno Mille non era stato l'ultimo, continuavano a proclamare l'imminenza della Fine del Mondo. Anche quest'anno passò, come sappiamo, senza che fosse l'ultimo. E la vita riprese, con le sue miserie e le sue grandezze di sempre. E anche nel mare non s'erano fermate le onde.

Sicché, nel 1044 (ma per alcuni nel 1035), dopo aver più volte inviato occulti ricognitori e preparato il tutto con decisiva accuratezza, pisani e sardi uniti sferrarono un mortale attacco congiunto a Bona, roccaforte del pirata.

Gli alleati distrussero non senza mille difficoltà la temibile flotta ed invasero la città con il preciso obiettivo di mettere le mani sull'uomo. Occorreva distruggere il signore del Male marittimo, eliminare l'icona della debolezza militare italica, ripristinare l'immagine rassicurante dell'onnipotenza bellica del mondo cristiano. Fu promessa una grossa taglia su Musetto; che da un sardo fu infatti ben presto in piena notte trovato, riconosciuto, agguantato, trafitto a spada e, per sicurezza, decapitato.

La sua testa, vuole la cronica pisana, fu issata sull'albero di maestra dell'ammiraglia della flotta sarda, poi gettata a mare nel punto più lontano dalla costa.

Trentacinque anni di inquietudine e pericolo erano terminati. Musetto era definitivamente stato sconfitto e cancellato dai mari latini, morto all'età, incredibile per i tempi, di 84 anni, buona parte dei quali spesi in mare a combattere e ad irridere una delle più grandi flotte di tutta la storia della marina militare.

L'incubo dei mari, con tutto il contorno di magico e terribile, di foresto ed oscuro che lo accompagnava, si era dissolto.

L'alba della mattina successiva rischiarava e accantonava la notte più buia delle marinerie latine.

[modifica] Sarà morto davvero?

Malgrado la doviziosa elencazione dei dettagli del trattamento riservatogli, e nonostante sia questa la versione accreditata presso la maggior parte degli storici, vi è stato chi ha sostenuto che invece Museto sia stato catturato e fatto prigioniero (U. Foglietta, Historiae Genuensium). Ma questa novella, che vorrebbe che l'ultima sua spedizione sia avvenuta nel 1050, resta isolata, seppure in coerenza con tanta leggenda.

[modifica] Leggende del nuovo millennio

La romanzesca storia di Musetto, anche detraendone quella parte che certamente proviene dalla cospicua leggenda di cui venne ad ammantarsi, è la storia comunque di un grande comandante di mare, ma anche di terra, e di un astuto stratega, di levatura non comune.

Pirata della guerra di corsa e insieme artista della guerriglia marinara. Illuminato sovrano e mecenate, solitario condottiero che tentava, attraverso ciò che chiameremmo oggi una paziente politica dei piccoli passi, di acquisire il dominio delle acque per consentire all'Islam di chiudere, con la conquista del Tirreno, il cerchio del Mediterraneo. Si tratta di una vicenda che collega impercettibilmente, per tanti piccoli brandelli di riferimento, storie e accadimenti di tanta parte della vita mediterranea, in una fase di grandi cambiamenti.

Nonostante il suo valore militare si esprimesse a tutto danno della incolpevole Sardegna, indubbiamente di grande valore militare si trattava ed in qualche riga, o forse fra le righe, anche alcuni dei commentatori del tempo, certamente di parte avversa, lo lasciarono intuire. E nel ricordo avvelenato del terrore che fu sparso e del sangue che ne macchiò le gesta, i cronisti certamente serbarono un cantuccio di cavalleresco rispetto verso un condottiero abile che, pur nemico, diede ripetute prove di special prodezza.

A titolo di curiosità si registra che Musetto, così vuole una leggenda di ambiente militare, portasse come segno di riconoscimento del suo grado un ornamento del bavero della giubba particolarmente raffinato, a disegni che poi si sarebbero chiamati appunto arabescati. In ogni esercito moderno, in ogni corpo militare, gli ufficiali superiori ancor oggi usano al posto delle mostrine della truppa quegli "alamari" che deriverebbero il loro nome proprio da Mugehid Al Amiri.

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