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Guerra antica - Wikipedia

Guerra antica

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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«Sterminare gli abitanti di Gerico, oltre che di Ai, Macheda, Libna, Ebron, Debir e molte altre città. Questo comportamento era considerato così comune che il Libro di Giosuè dedica solo una frasetta a ciascuna strage, come per dire: è ovvio che uccise tutti gli abitanti, cos’altro avrebbe potuto fare?»

La Guerra antica è la guerra condotta tra l'inizio della storia scritta fino alla fine dell'età antica. In Europa, la fine dell'antichità è spesso identificata con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476). In Cina, si può pure collocare alla fine del V secolo, con il crescente ruolo dei guerrieri a cavallo richiesto per contrastare la progressiva minaccia dal nord.

Indice

[modifica] Sinossi

La differenza tra guerra preistorica e guerra antica è soprattutto nell'organizzazione, e non tanto nella tecnologia. Lo sviluppo delle prime città stato, e poi degli imperi, permise un vistoso mutamento nella guerra. A partire dalla Mesopotamia, gli stati produssero un sufficiente surplus nelle risorse agricole, tale da permettere alle elites dei guerrieri a tempo pieno (ed ai relativi comandanti) di emergere. Finché il nerbo delle forze era costituito da agricoltori, la società poteva sostenere il fatto di averli impegnati in campagne militari invece che nel lavoro ordinario per una porzione di ciascun anno. Pertanto, si svilupparono per la prima volta eserciti organizzati.

 Oplita greco
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Oplita greco

Questi nuovi eserciti avevano un ruolo essenziale nell'evoluzione e nell'ingrandirsi degli stati, ed il primo impero, quello dei sumeri, si formò in Mesopotamia. I primi eserciti antichi continuarono ad usare soprattutto archi e lance, ovvero le armi nate nella preistoria per la caccia. In Egitto e Cina si seguì un modello simile per l'impiego di in massa della fanteria, armata nel modo anzidetto.

[modifica] Carri da guerra

Con la crescita degli stati, la velocità di movimento divenne cruciale poiché il potere centrale non poteva essere mantenuto in mancanza di una rapida repressione delle ribellioni. La prima soluzione all'esigenza fu il carro da guerra, che s'iniziò ad usare nel Medio Oriente intorno al 2000 a.C.. Dapprima trainato dall'onagro, dal bue o dall'asino, detto veicolo consentiva il celere attraversamento delle terre del Medio Oriente, relativamente piane. I carri erano leggeri a sufficienza per eseguire agevolmente il guado di un fiume. L'allevamento di cavalli più potenti permise ben presto l'impiego di tali animali per la trazione, ed i carri divennero di conseguenza sempre più veloci ed efficaci.

La duplice natura del carro, quale strumento per il trasporto e per la battaglia, ne fece arma centrale per le genti dell'antico Vicino Oriente nel secondo millennio a.C.. Tipicamente, il carro vedeva all'opera due uomini: l'arciere e l'auriga. In epoca più tarda, furono tuttavia sviluppati carri in grado di ospitare fino a cinque guerrieri, ma è alquanto controverso se tali veicoli fossero realmente efficaci. Anche in Cina i carri furono vitali per la Dinastia Shang, permettendole, peraltro, l'unificazione di una vasta area.

Benché si sia voluto paragonare i carri di cui parliamo con gli odierni carri armati per quanto attiene al ruolo giocato sul campo di battaglia, ossia la forza d'urto, il principale vantaggio di (quegli antichi) carri risiedeva nella mobilità tattica concessa agli arcieri. Poiché la fanteria irreggimentata in rigidi ranghi rappresentava la formazione d'elezione - consentiva ai generali dell'epoca di mantenere il comando e controllo "azione durante", ed al contempo garantiva reciproca protezione tra i commilitoni - una forza di carri poteva restare a distanza ragguardevole dagli avversi schieramenti, ed ugualmente tempestare di frecce i nemici. Considerata la loro velocità, era praticamente escluso che i carri fossero neutralizzati da una carica. Se, d'altronde, un'unità di fanteria si fosse sparpagliata per ridurre il danno cagionato dalle frecce, avrebbe altresì perso il beneficio della protezione reciproca, e di conseguenza i "carristi" ne avrebbero avuto ragione ancor più facilmente.

Da un punto di vista tattico, i carri ponevano una sorta di dilemma, proprio in quanto indispensabili per il contesto operativo del tempo. I carri erano, in ogni caso, arnesi complicati, per la cui manutenzione servivano esperti artigiani. Ne consegue che mantenere i carri era costoso. Quando erano di proprietà privata, tendevano a generare una classe guerriera di specialisti, ed a far virare la società verso forme di feudalesimo (ciò è ben rappresentato dall'Iliade di Omero). Quando invece appartenevano al potere pubblico, erano un puntello della solidità delle istituzioni, concorrendo all'affermazione di un forte governo centralizzato, come nel caso dell'Antico Egitto.

[modifica] Fanteria

I carri, però, erano inutili sui terreni accidentati che caratterizzavano la costa settentrionale del Mediterraneo in Anatolia, Grecia, ed Italia. Pertanto, gli antichi greci erano costretti a fare affidamento tattico sulla fanteria. A differenza dell'Egitto che godeva, in un certo senso, di un utile isolamento, la Grecia era sovente minacciata da forze esterne. Proprio la conformazione geografica anzidetta propiziava la frammentazione politica piuttosto che l'unità nazionale, e ne discendeva una conflittualità pressoché perenne fra le città-stato che ne incarnavano il notorio tessuto politico e sociale. Questa "competitività" del contesto affinò in breve armi e tattiche dei fanti. Nacque la falange: un solido muro di uomini che manovra all'unisono ha un potenziale offensivo esponenzialmente superiore a quello del singolo combattente. I greci usavano le lance più lunghe che si fossero mai viste, e portavano corazze più pesanti. Quando si scontrarono con le tattiche sull'impiego di fanteria in massa invalse presso i persiani nelle omonime guerre, i greci risultarono vincitori, quand'anche inferiori per numero. Lo stesso non avvenne, però, quando la Macedonia affrontò i romani, la cui legione sopravanzava la falange in virtù di una maggiore flessibilità, che consentiva l'aggiramento delle schiere elleniche.
La falange aveva dominato la scena bellica greca, ma alla fine apparve troppo monolitica per avere la meglio su un nemico che si giovava di maggior mobilità.

Nel Medio Oriente, che fu poi soggetto all'Impero persiano, i carri avevano gradualmente perso la loro importanza. Il miglioramento della razza del cavallo era continuato, fino a consentire all'animale di trasportare agevolmente un cavaliere completamente equipaggiato. Perciò i carri cedettero il passo ad arcieri e lanceri a cavallo.

Tale svolta fu dolorosa per chi viveva stanzialmente nelle pianure. In uno scontro di pura fanteria, sarebbe prevalso la maggiore massa critica umana delle lande agricole. L'infrastruttura e l'addestramento necessari all'impiego dei carri erano alla portata delle sole città. I guerrieri isolati a cavallo erano assai più a proprio agio nelle regioni della steppa che fra quelle che avevano conosciuto l'agricoltura. Una volta che quei cavalli più forti cui accennavamo, e tecnologie quali la sella divennero di largo uso, furono anche rapidamente adottate dai nomadi che abitavano zone inadatte alla coltivazione, che al contrario favorivano la pastorizia errante. Questi nomadi trascorrevano gran parte della vita sulle loro cavalcature, ed ovviamente erano efficacissimi cavalieri pure in guerra. Per molti secoli, gli stati d'Europa, Medio Oriente, Cina, e Asia meridionale furono esposti alla minaccia di cavalieri provenienti dalle steppe europee.

[modifica] Cavalleria

Nel IV secolo a.C., la Macedonia di Filippo II e del figlio Alessandro Magno riuscì a coniugare felicemente la cavalleria con la massiccia fanteria greca, creando una forza militare di ineguagliata potenza. Dopo aver conquistato la Grecia, Alessandro rivolse le sue mire al prestigioso Impero Persiano.

All'epoca i persiani avevano già in larga misura abbandonato il carro, sebbene alla battaglia di Gaugamela (331 a.C.) ne fossero stati dispiegati alcuni contro Alessandro. Ancorché il carro fosse sempre in auge quale veicolo da parata dell'imperatore, le milizie persiane consistevano di un miscuglio di fanteria (in parte, perfino, greca) e cavalleria, nonché qualche elemento esotico come gli elefanti. Tale compagine, tuttavia, non si dimostrò in grado di reggere all'assalto macedone, sicché l'armata persiana fu posta in rotta in una serie di tre battaglie.

In Cina, gli imperi della valle erano sempre più esposti alla minaccia delle genti del nord (Mongolia, Manciuria ed Asia centrale). Per salvaguardare i loro possedimenti, i governanti cinesi fecero ampio ricorso alla loro superiorità nell'organizzazione e nel numero di armati. Il risultato più evidente e famoso di quella politica è naturalmente la Grande Muraglia, che aveva proprio la finalità precipua di prevenire incursioni a cavallo. Malgrado la sua monumentale imponenza e la proverbiale estensione, la muraglia non fu mai, in realtà, pienamente efficace, ed anzi le autorità cinesi furono costrette ad integrare il proprio apparato difensivo con reparti di cavalleria, che - per ironia della sorte - in gran parte venivano reclutati giusto tra quei barbari settentrionali che si stava tentando di arginare. (L'analogia con quanto avvenne nella decadenza dell'Impero Romano è immediatamente evidente).

Benché nella maggior parte dell'Eurasia la forza mista (cavalleria più fanteria) fosse divenuta la norma, in Europa e Nord Africa si stava affacciando un metodo di combattimento affatto diverso. La regione mediterranea è circondata da montagne, che rendono la vita difficile ai cavalli. Per di più, la fanteria è in ogni caso più facile da trasportare su una nave, talché ogni società in grado di mettere in campo una fanteria capace di tenere testa a forze "montate" poteva dominare la regione.

Ciò fu messo in pratica nella città di Roma, che presto iniziò un'espansione senza precedenti nel mondo mediterraneo. I romani non presentavano granché di nuovo in fatto di tecnologia; piuttosto, la chiave del loro successo va ravvisata nello scrupolo organizzativo e nell'intenso addestramento. Le forze armate romane erano composte da professionisti che servivano per quasi tutta la vita l'esercito. Con la loro disciplina, abilità, attitudine ad apprestare fortificazioni campali, in una parola, con la saldezza della loro complessiva compagine, riuscirono a debellare ogni avversario della regione. Per risolvere il problema della bassa velocità connaturata al fante, collegarono il loro impero con una rete di strade di ottima qualità e valida manutenzione, così permettendo il celere rischieramento in zona operativa di considerevoli forze. La cavalleria aveva soltanto funzione di esplorazione o ausiliaria.

A dimostrazione di qest'ultimo asserto, è emblematico ricordare come due di quelle che sono state le rarissime ma eclatanti sconfitte subite dai romani, siano ricollegate a scontri con eserciti che disponevano di forze montate nettamente superiori alla loro cavalleria, tanto per l'impiego quanto per l'armamento.

Nel caso della battaglia di Canne, combattuta nel 216 a.C. fra romani e cartaginesi, un fattore preponderante nella vittoria colta da Annibale è rappresentato dall'utilizzo della cavalleria leggera. Gli Iberici e i Numidi che erano stati disposti sulle due ali dello schieramento cartaginese, sfruttarono la propria capacità di manovra per impegnare e mettere in fuga gli avversari romani e, dopo aver liquidato i sopravvissuti, eseguirono una manovra di conversione, prendendo alle spalle i legionari, incalzati sui fianchi e privi della protezione che i cavalieri avrebbero dovuto fornire

Tuttavia, il successo dei romani dipendeva da una vasta organizzazione e struttura del loro impero. Una volta che esso iniziò ad andare in crisi, anche l'esercito principiò a collassare. I cavalieri della steppa non avevano smesso di avanzare, anzi, il miglioramento della razza equina fu accompagnato dall'evoluzione dell'arco, vieppiù letale, e da finimenti per l'equitazione più efficienti. Dal IV secolo in avanti, la cavalleria iniziò a sopravanzare velocemente la fanteria nel ruolo di fulcro delle forze armate di Roma. La lunga transizione dal fante al cavaliere era giunta ad una svolta epocale: non più la cavalleria a sostegno della fanteria, com'era stato per secoli, ma viceversa.

[modifica] Guerra navale

La prima battaglia navale di cui si abbia traccia scritta avvenne verso il 1210 a.C.: Suppiluliuma II, re degli ittiti, sconfisse una flotta di Cipro bruciandone le navi in mare.

Le guerre persiane furono il primo caso di operazioni navali su larga scale: non solo sofisticati scontri tra flotte di decine di triremi per ciascun "partito", ma operazioni anfibie combinate. Le navi nel mondo antico potevano operare solo su specchi di mare (o fluviali) relativamente tranquilli; gli oceani erano del tutto fuori portata. Le marine fungevano quasi sempre da ausiliari degli eserciti, spesso erano essenziali per garantire la catena logistica. Di rado avrebbero condotto attacchi autonomi. Condizionata da armi di breve gittata, la guerra navale era praticata con modalità simili a quelle terrestri, e gli abbordaggi erano il cuore della specifica battaglia.

Le guerre puniche portarono innovazioni per quel che riguarda le operazioni in alto mare. Roma, in precedenza, non aveva pressoché conosciuto la guerra navale, occupata com'era, soprattutto, nella conquista della penisola italiana. Cartagine, viceversa, era una potenza commerciale, e naturalmente disponeva di una gran flotta. I romani poterono davvero costruire una marina efficiente soltanto studiando previamente relitti di navi cartaginesi. Per di più, inventarono un congegno denominato corvo, ovvero una passerella che poteva essere gettata sulla nave avversaria. Questo attribuì a Roma un enorme vantaggio: poterono infatti trarre profitto dalla loro superiorità nel combattimento ravvicinato, nel momento in cui i legionari ebbero l'opportunità di abbordare i vascelli nemici, massacrandone agevolmente gli equipaggi.

[modifica] Tattica ed armi

[modifica] Strategia

L'antica strategia era concentrata ampiamente sui connessi obiettivi di:

 La disfatta di Canne
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La disfatta di Canne

Indurre l'avversario alla resa significava per lo più sbaragliarlo sul campo. Una volta messo in rotta il nemico, la minaccia dell'assedio, le perdite fra i civili, e tutte le altre prevedibili conseguenze, spesso costringevano gli sconfitti al tavolo del negoziato. Tuttavia, lo stesso risultato si poteva ottenere con altri mezzi. Il rogo dei campi nemici avrebbe forzato la scelta di arrendersi o accettare lo scontro campale. Aspettare al varco il nemico finché il suo esercito avrebbe dovuto disperdersi al principio della stagione del raccolto, ovvero perché i mercenari non ricevevano più il soldo, avrebbe comunque posto controparte dinnanzi ad una simile alternativa.

I conflitti eccezionali del mondo antico rappresentarono soprattutto notevoli violazioni delle regole di suddetto schema: come quando spartani ed ateniesi rifiutarono di arrendersi dopo molti anni di guerra del Peloponneso (dal 431 a.C. al 404 a.C.), o l'analoga resistenza romana dopo la disfatta di Canne (2 agosto 216 a.C.).

Uno scopo più personale nella guerra era il mero profitto. Si trattava sovente di denaro, come per la cultura predatoria delle tribù galliche. Ma il tornaconto poteva essere politico, atteso che i grandi comandanti militari erano spesso ricompensati con incarichi di governo per le vittorie ottenute. Queste "strategie" spesso sono in contraddizione con la corrente opinione moderna, secondo cui la guerra dovrebbe essere funzionale ad un qualche interesse pubblico.

[modifica] Tattica

La tattica efficace variava grandemente, in relazione:

  1. Alla dimensione delle forze che il generale comandava;
  2. Alla dimensione delle forze antagoniste;
  3. Al terreno dello scontro;
  4. Alle condizioni meteorologiche

(È giusto premettere ai due paragrafi successivi - a dispetto della retorica che si suol fare circa ipotetiche vittorie conseguite da chi si batte in condizione d'inferiorità numerica - che ancor oggi s'insegna nelle scuole militari il fondamentale principio della massa: nessun abile comandante attacca il nemico, se non ritiene di avere un rapporto di superiorità di circa 3 a 1.)

Spesso, se un generale sapeva di avere un enorme vantaggio in termini di forza, tentava di attaccare il nemico frontalmente con la fanteria, tenendo la cavalleria ai fianchi. Questa manovra sarebbe stata eseguita dopo che arcieri e macchine da guerra (che erano mantenute iin posizione sicura dietro alla fanteria) avessero tirato ripetute "bordate" di frecce o pietre sugli avversari. Dopo che tali bordate avessero "ammorbidito" il nemico, la fanteria sarebbe quindi avanzata caricando il fronte della schiera avversaria. Dopo che la fanteria avesse "fissato" (come si dice nel gergo tattico per intendere "costringere il nemico ad impegnarsi in un combattimento) i nemici, in modo che la loro attenzione fosse concentrata sull'attacco di fanteria in corso, la cavalleria li avrebbe aggirati lateramente (cioè sui fianchi), decimandoli e precludendone la ritirata.

Nel caso che il vantaggio del generale fosse più lieve, poteva tentare di mettere in rotta il nemico, poiché le truppe che fuggono sono molto meno organizzate e più facili da uccidere rispetto a quelle che resistono risolutamente. Lo scopo può essere perseguito attaccando con la propria fanteria più agguerrita le truppe più deboli fra quelle avversarie, sterminandole in gran parte e perciò inducendo (i sopravvissuti) allo sbandamento. Quando un'unità vede un'altra in rotta, è assai più incline al panico. Un risultato perfino più grande sarebbe spezzare la determinazione dello stesso generale nemico, (oppure ucciderlo) con ciò spingendolo alla fuga assieme alla propria guardia del corpo; al suo esercito rimarrà ben poca alternativa che imitarne il comportamento. Questa tattica tende ad avviare un effetto domino, causando l'abbandono del campo dell'intero spiegamento antagonistico. Una volta che un tale fenomeno si fosse manifestato, era piuttosto prevedibile che la cavalleria avrebbe imperversato sui fuggitivi, riducendone vieppiù la residua consistenza.

[modifica] Armi

Le armi antiche comprendevano: arco e frecce; armi inastate su una sorta di bastone, quali la picca ed il giavellotto; armi per il corpo a corpo, quali la spada, la mazza, l'ascia ed il pugnale. La catapulta e l'ariete erano usate negli assedi.

[modifica] Assedio

Le mura e le fortificazioni erano essenziali per la difesa delle prime città nell'antico Vicino Oriente. Le mura erano costruite con mattoni di fango, pietra, legno o una combinazione dei predetti, a seconda della disponibilità locale. La più antica raffigurazione di assedio risale all'Antico Egitto, intorno al 3000 a.C., ma il primo congegno per l'assedio ci è stato svelato da scavi di tombe egizie del XXIV secolo a.C., in cui bassorilievi mostrano scale a pioli da assedio ruotate. Analoghi pezzi (provenienti da palazzi assiri di epoche tra il IX secolo a.C. ed il VII secolo a.C.) rappresentano assedi di parecchie città del Vicino Oriente. Benché un ariete rudimentale fosse invalso nell'uso già nel precedente millennio, gli assiri produssero un progresso nella tecnica ossidionale. La più comune pratica di assedio era comunque circondare i nemici ed attendere che si arrendessero. Per le ristrettezze logistiche, raramente si potevano mantenere a lungo assedi che richiedessero qualcosa più che l'impiego di una forza minore.

[modifica] Civiltà

[modifica] Egiziani

Per approfondire, vedi la voce Storia dell'Antico Egitto.

Per la gran parte della sua lunga storia, l'antico Egitto è stato unito sotto un solo governo. La principale preoccupazione militare per la nazione era tener fuori dai confini i nemici. Le aride pianure ed i deserti che circondavano l'Egitto erano abitati da tribù che occasionalmente tentavano la scorreria o l'insediamento nella fertile vallata del Nilo. Gli egiziani costruirono fortezze ed avamposti lungo le frontiere ad ovest e ad est del delta del Nilo, nel Deserto Esterno, e nella Nubia a sud. Vi erano piccole guarnigioni, atte a respingere incursioni minori; ma in caso di attacchi più consistenti, s'inviava un messaggio che allertava il grosso dell'esercito. La maggior parte delle città egizie non aveva mura, né altre difese.

I primi soldati egiziani portavano un armamento semplice, consistente di una lancia con la punta di rame ed un largo scudo di legno ricoperto di pelle. Nel periodo arcaico, si portava anche una mazza in pietra, che verosimilmente sopravvisse poi solo per un uso cerimoniale, rimpiazzata - sul campo - da un'ascia da battaglia in bronzo. I lanceri erano appoggiati da arcieri muniti di arco composito (più lamine sovrapposte di materiali diversi) e frecce con punte di selce o rame. Nel terzo e nel secondo millennio a. C. non venivano usate corazze. Il principale progresso nella tecnologia delle armi iniziò intorno al 1600 a.C., quando gli egiziani combatterono, sconfiggendoli, gli hyksos, un popolo che pure aveva dominato il Basso Egitto. Proprio a quell'epoca cavalli e carri furono introdotti in Egitto. Altre nuove tecnologie comprendevano la spada ricurva, la corazza per il corpo ed una migliorata fusione del bronzo. Il passo in avanti successivo avvenne nel Periodo Tardo (712 a.C. - 332 a.C.), quando iniziò l'impiego di truppe montate ad armi in ferro. Dopo la conquista ad opera di Alessandro Magno, l'Egitto fu intensamente ellenizzato e la falange assurse alla massima dignità tra le forze armate. Gli antichi egizi non furono grandi innovatori nella tecnologia oplologica, ed al contrario, il coevo progresso registrato in questa branca dell'umana esperienza è ascrivibile, per lo più, all'Asia Occidentale ed al mondo greco.

Nel secondo millennio a.C., l'organizzazione militare egiziana cessò di essere reclutata per mezzo della leva e si trasformò in una robusta struttura di militari professionali. Le conquiste di territori stranieri, come la Nubia, imponevano una forza permanente da stanziare all'estero. L'incontro con altri potenti regni del Vicino Oriente come Mitanni, gli ittiti, e poi assiri e babilonesi rese necessria per gli egiziani la conduzione di campagne in zone lontane dalla madrepatria.

Questi soldati erano pagati con un appezzamento di terra adatto alle esigenze delle loro famiglie. Terminato il periodo di servizio, era concesso ai veterani di ritirarsi in tali fondi. I generali potevano diventare piuttosto influenti a corte, ma, al contrario di quanto succedeva in altri stati feudali, l'esercito era totalmente dominato dal re. Erano reclutati anche mercenari; all'inizio tra gli abitanti della Nubia (i Medjay), poi anche tra i libici e gli sherden al tempo del Nuovo Regno. Nel periodo persiano vi furono mercenari greci tra le fila dei faraoni ribelli. I mercenari ebrei ad Elefantina servirono i satrapi persiani d'Egitto nel V secolo a.C.. Tuttavia, non è escluso che abbiano servito i faraoni egiziani del VI secolo a.C..

Da quanto si evince dalla propaganda reale del tempo, il re, o il principe ereditario capeggiavano personalmente le truppe egiziane in battaglia. L'esercito poteva consistere di decine di migliaia di soldati, così i più piccoli battaglioni con un organico di 250 uomini, condotto da un ufficiale, poteva essere la chiave del comando. La tattica implicava un'iniziale tempesta di dardi da parte degli arcieri, seguita da un attacco eseguito da fanteria e/o carri contro le linee nemiche in tal modo già stravolte. Stando alle narrazioni egizie, comunque, i nemici potevano talora tentare di sorprendere la massiccia formazione egiziana con la tattica dell'imboscata e sabotando la strada.

Anche nella valle del Nilo, navi e chiatte erano importanti elementi militari. Le navi erano vitali per riforniere le truppe. Il fiume Nilo non aveva guadi, perciò si dovevano usare le chiatte per l'attraversamento. Il dominio del fiume si è spesso rivelato necessario per proseguire gli assedi, come nel caso della conquista - da parte egiziana - di Avaris, capitale degli hyksos. Solo nel Periodo Tardo, l'Egitto si dotò di una marina per le battaglie sul mare. Tuttavia, vi fu una battaglia navale sulla costa egiziana nel XII secolo a.C. tra Ramesse III ed i popoli del mare.

[modifica] Cinesi

Per approfondire, vedi la voce Storia della Cina.

L'antica Cina durante la Dinastia Shang era una società dell'Età del Bronzo basata su eserciti muniti di carri da guerra. Gli studi nei siti archeologici Shang di Anyang hanno rivelato diffusi esempi di carri da guerra ed armi in bronzo. La defenestrazione degli Shang da parte della Dinastia Zhou vide la creazione di un ordine sociale feudale, poggiante militarmente su una classe di guerrieri aristocratici su detti carri (士).

Nel Periodo delle Primavere e degli Autunni, la guerra crebbe esponenzialmente. Zuo zhuan descrive le guerre e le battaglie che si svolsero in tale periodo tra signori feudali. La guerra continuò ad essere stilizzata e cerimoniale, pur divenendo sempre più violenta e decisiva. Il concetto di egemone militare (霸) e la sua "via della forza" (霸道) giunsero a dominare la società cinese.

La guerra si fece più intensa, spietata e risoluta durante il Periodo degli Stati Combattenti, in cui un grande mutamento sociale e politico si accompagnò alla fine del sistema dei carri da guerra, soppiantato dalle fanterie di massa. Anche la cavalleria fece il suo esordio, calando dalla frontiera settentrionale, malgrado la sfida culturale che essa poneva ai cinesi che vestivano mantelli. La strategia cinese si evolse ponendo l'enfasi su inganno, intelligence e stratagemmi, come descritto da Sun Tzu ne L'arte della guerra.

[modifica] Indiani

Durante la civiltà Veda (tra il 1500 a.C. ed il 500 a.C.), i Veda ed altri testi correlati contengono riferimenti alla guerra. Le più antiche allusioni ad una specifica battaglia richiamano la Battaglia dei Dieci Re (Mandala 7 del Rigveda). La più antica applicazione mondiale dell'elefante da guerra è collocabile intorno al 1100 a.C. nell'antica India ed è menzionata in diversi inni Veda sanscriti.

I due grandi poemi epici dell'India, Ramayana e Mahabharata (circa 1000 a.C. - 500 a.C.) ruotano intorno ai conflitti e fanno riferimento a formazioni militari, teorie belliche ed armamenti esoterici. Valmiki, l'autore di Ramayana, descrive l'apparato militare di Ayodhya come difensivo piuttosto che offensivo. La città, dice, era difesa energicamente ed era circondata da un profondo fossato: la città abbondava di guerrieri invitti, impavidi e maestri nell'uso delle armi, che assomigliavano a leoni posti a guardia delle loro caverne di montagna. Il Mahabharata descrive varie tecniche militari, compreso il Chakravyuha (una formazione militare).

Dall'India, gli elefanti da guerra furono portati all'impero persiano, dove furono utilizzati in diverse campagne. Il re persiano Dario III - come abbiamo già rammentato - impiegò una cinquantina di elefanti indiani alla battaglia di Gaugamela, che lo oppose ad Alessandro Magno. Nella battaglia dell'Idaspe, il re indiano Poro, signore del Punjab, con un inferiore esercito di 200 elefanti, 2000 cavalieri e 20000 fanti, creò notevoli difficoltà ad Alessandro Magno, che pure si giovava di 4000 cavalieri e 50000 fanti, ed alla fine riuscì in qualche modo a sopraffare Poro. All'epoca, l'Impero Magadha, in una zona più a nord-est dell'India e nel Bengala, contava su 6000 elefanti da guerra, 80000 cavalieri e 8000 carri da battaglia. Se Alessandro Magno avesse deciso di continuare la campagna in India, avrebbe fronteggiato una resistenza eccezionalmente forte da parte di un esercito così poderoso.

Chanakya era un professore di scienze politiche dell'Università di Takshashila, successivamente divenuto primo ministro dell'imperatore Chandragupta Maurya, il fondatore dell'Impero Maurya. Chanakya scrisse l'Arthashastra, che trattava vari argomenti della guerra antica assai dettagliatamente, comprese varie techiche e strategie attinenti alla guerra. Esse includevano i primissimi casi d'impiego dello spionaggio e degli assassinii politici. Queste tecniche furono utilizzate da Chandragupta Maurya, già allievo di Chanakya, e poi da Ashoka il Grande (304 a.C. - 232 a.C.).

Chandragupta Maurya conquistò l'Impero Magadha e si espanse in tutta l'India settentrionale, fondando l'Impero Maurya, che si estendeva dal Mar Arabico al Golfo del Bengala. Nel 305 a.C., Chandragupta sconfisse Seleuco I Nicatore, che governava l'Impero Seleucide e controllava buona parte dei territori conquistati da Alessandro Magno. Seleuco alla fine perse i suoi territori nell'Asia Meridionale, compreso l'Afghanistan, in favore di Chandragupta. Seleuco scambiò i territori ad ovest dell'Indo con 500 elefanti da guerra ed offrì sua figlia in moglie a Chandragupta. In virtù di questa alleanza matrimoniale, l'ostilità si mutò in amicizia, e Seleuco inviò un ambasciatore, Megastene, alla corte Maurya ubicata in Pataliputra. Per effetto di questo trattato, l'Impero Maurya fu riconosciuto quale grande potenza dal mondo ellenistico, ed i re d'Egitto e Siria inviarono propri ambasciatori presso detta corte. A detta di Megastene, Chandragupta Maurya mise insieme un esercito formato da trentamila cavalieri, novemila elefanti da guerra e seicentomila fanti, che era il più grande esercito mai conosciuto nel mondo antico. Ashoka il Grande contiunuò ad espandere l'Impero Maurya fino a tutta l'Asia Meridionale, oltre ad un buon tratto di Afghanistan e parti della Persia. Ashoka alla fine abbandonò la guerra dopo essersi convertito al buddismo.

[modifica] Persiani

L'antica Persia emerse quale potenza militare di primo piano sotto Ciro il Grande. La sua forma di combattimento era basata sull'impiego in massa di fanteria munita di corazza leggera, incaricata di "fissare" (nel senso precisato precedentemente) le forze nemiche mentre la cavalleria si occupava di assestare il colpo mortale. La cavalleria era utilizzata in squadroni enormi ed era spesso dotata di corazze pesanti. I carri erano usati in principio, ma nell'ultimo periodo dell'Impero Persiano furono resi obsoleti dal progresso della cavalleria (come, del resto, abbiamo già visto per altre coeve civiltà). All'apogeo del loro impero, i Persiani arrivarono a possedere elefanti da guerra provenienti dal Nord Africa e dalla lontana India L'elite dell'esercito persiano era costituita dai celebri Immortali di Persia, un reparto forte di 10000 soldati professionisti armati di picca, spada ed arco. Anche gli arceri, tuttavia, erano una componente primaria dell'esercito persiano.

Le tattiche erano semplici: i comandanti persiani si limitavano a sopraffare il nemico con massicci contingenti di fanteria e cavalleria, mentre da tergo avrebbero tempestato i nemici con possenti bordate di frecce. Si diceva che una salva di frecce persiana avrebbe spazzato via il sole. La ragione di questi imponenti numeri era di suscitare "shock e sgomento". Centinaia di migliaia di soldati avrebbero indotto lo sconforto in qualunque nemico, provocandone quasi di certo la resa. Se anche il nemico non si fosse arreso, il comamdante persiano avrebbe inviato la prima ondata, che pressoché sempre sopravanzava numericamente qualunque altra forza. Se questo non avesse funzionato, sarebbe stata mandata la seconda ondata, composta da più truppe di maggiore qualità. Se nemmeno questo avesse raggiunto lo scopo, si sarebbe passati all'ondata finale, la cui punta di diamante era costituita dai leggendari Immortali. Queste tattiche generalmente erano coronate da successo in Medio Oriente, ma quando i persiani iniziarono a spingersi ad ovest, contro i greci, furono massacrati dagli opliti, forti di un miglior addestramento e più pesantemente corazzati.

[modifica] Illiri

Illyria
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Illyria

Ben poco si sa delle tattiche illiriche. Il re illiro Bardyllis trasformò il suo paese in una formidabile potenza locale nel IV secolo a.C.. Le principali città del regno illirico erano Lissa ed Epidamno. La loro potenza, in ogni caso, era indebolita da rivalità e gelosie.

Gli illiri erano notoriamente costituiti da tribù bellicose, che non furono mai veramente unite, e combattevano senza alcun effettivo ordine. La loro tecnica di combattimento pareva fare preminente affidamento sul valore del singolo piuttosto che sull'efficienza di un reparto organizzato. Nel 359 a.C., il re Perdicca III di Macedonia fu ucciso mentre attaccava gli Illiri. Tuttavia, nel 358 a.C., Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno, sbaragliò del tutto gli illiri, impossessandosi del loro territorio e del lago Ohrid.

Durante l'esistenza della civiltà illirica, tale popolo fu conquistato da romani e macedoni, e da ultimo dai turchi ottomani (sebbene in tale ultima epoca gli abitanti del territorio fossero già conosciuti come albanesi).

[modifica] Greci

La tendenza generale dei greci in fatto di tecnologia e tattica militare era condizionata dal fare affidamento sui cittadini coltivatori, che potevano dedicarsi alla guerra solo compatibilmente con le esigenze della produzione agricola. Questi soldati si organizzavano nella falange, una densa struttura di uomini corazzati, armati di lancia e protetti da scudi abilmente giustapposti.

Malgrado che molte città greche fossero ben fortificate e la tecnologia greca non fosse all'altezza di violare tali difese, la maggior parte delle battaglie terrestri si combattevano in campo aperto. Ciò dipendeva dal limitato periodo in cui i soldati greci potevano prestare servizio prima di rientrare alle loro fattorie. Per costringere i difensori di una città a venire allo scoperto, si minacciava di devastarne i raccolti: gli assediati (potenziali) avrebbero rischiato di morir di fame nel successivo inverno, se non si fossero arresi o non avessero accettato lo scontro campale.

Questo schema di guerra fu interrotto durante le guerre del Peloponneso, quando il dominio ateniese del mare permise alla città d'ignorare la distruzione dei propri raccolti per opera di Sparta e relativi alleati: il grano necessario per sopravvivere veniva spedito in città dalla Crimea. Ciò portò ad uno stile di guerra in cui ambedue i contendenti erano costretti ad impegnarsi in ripetuti colpi di mano per parecchi anni senza raggiungere una composizione del conflitto. Rese altresì la battaglia navale una parte vitale dello scontro. Le battaglie navali ai tempi dei greci erano combattute fra triremi - lunghe e veloci navi a remi che impegnavano il nemico con azioni di speronamento ed abbordaggio.

[modifica] Macedoni

Ai loro tempi, i macedoni erano la più completa ben coordinata forza militare sulla terra. Sebbene siano noti soprattutto per i successi di Alessandro Magno, non fu lui, bensì il padre Filippo II, colui che creò e progettò quell'eccellente strumento bellico utilizzato nelle relative conquiste. Esse non avrebbero mai avuto luogo, se l'esercito macedone non fosse già stato preparato in precedenza.

Filippo dotò i soldati macedoni che componevano la falange di sarisse, ossia picche lunghe sei metri. La sarissa, quando era mantenuta eretta dalle ultime file della falange (essa normalmente contava otto file), contribuiva ad occultare alla vista del nemico le manovre che si attuavano a tergo della falange stessa. Quando era tenuta orizzontale dalle file frontali della falange, era un'arma micidiale: si poteva rimanerne trapassati da gran distanza.

Nel 358 a.C. affrontò gli illiri in battaglia con la sua falange macedone riorganizzata, infliggendo loro una totale disfatta. Gli illiri fuggirono in preda al panico, abbandonando sul terreno 7000 morti (tre quarti della loro intera forza). L'esercito macedone dovette sembrare aumentato di numero nottetempo: invase la stessa Illiria, conquistando le tribù illiriche fino al profondo del paese, ed arrestandosi poco prima della costa adriatica.

Dopo la sconfitta degli illiri, la politica estera macedone si fece sempre più aggressiva. La Peonia era già stata integrata a forza nella Macedonia sotto il regno di Filippo. Nel 357 a.C. Filippo ruppe il trattato con Atene ed attaccò Anfipoli che abbandonò ai greci quando giunse al potere.

[modifica] Voci correlate

[modifica] Bibliografia (in inglese)

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