Tecnica
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[modifica] Premessa
In questa sede verrà trattata la 'tecnica' in generale, come orizzonte di significati e valori, come elemento costitutivo della nostra civiltà. Riferita al nostro presente essa vale come sinonimo di ‘tecnologia’. Verranno invece ignorati i significati settoriali (tecnica pittorica, piuttosto che nautica, o medica etc.). Questa voce non ha alcuna pretesa di completezza né storica (viene trascurato tutto il Medioevo) né tematica: ha la semplice funzione di riassumere i passaggi salienti della riflessione occidentale sulla tecnica.
[modifica] I Greci e la tékne
Il termine greco "tékne" indica l'"arte" nel senso di "perizia","saper fare", "saper operare", e quindi si potrebbe tradurre con "abilità specifica". Nella Atene di Pericle abbiamo la affermazione sociale e politica del "démos", nuova classe sociale portatrice di una nuova cultura basata appunto sulle conoscenze tecniche. Quindi fin dal suo apparire come concetto specifico, la "tékne" acquisisce un insieme di connotazioni più ampie del semplice "saper fare". Nelle discussioni di Socrate con i suoi concittadini si ha il primo confronto tra tecnica e filosofia. Nel noto passo centrale della "Apologia", Socrate riferisce di aver interrogato gli uomini politici, i poeti ed infine gli artigiani o "démiourgoi"; solo questi ultimi hanno evidenziato delle reali capacità e conoscenze, ma limitate al loro specifico campo professionale. Il "démos" insomma ha una sua dignità ed una sua cultura, ma non per questo può avanzare pretese sul controllo della pòlis. In Platone la polemica contro la tecnica (di cui gli esponenti più criticati sono i Sofisti) è volta contro una concezione interessata, strumentale e utilitaristica del sapere. Per esempio nel "Gorgia" platonico, l'opposizione tra filosofia e tecnica viene assimilata a quella tra medicina e culinaria (bene del corpo/adulazione del corpo), o a quella tra dialettica (dimostrare il vero) e retorica (convincere senza riguardo alla verità). Neppure Aristotele considera la tecnica come vero sapere, poiché essa si limita ad operare negli ambiti particolari senza curarsi delle cause.
[modifica] Età moderna
Solo nel ‘600 ha inizio la tecnica nel senso moderno, non più contrapposta alla ‘vera’ scienza, ma parte integrante di essa. Nei secoli successivi, ed almeno fino ai primi del Novecento, la tecnica viene alternativamente vista in una luce positiva (Illuminismo, Positivismo), o negativa (Romanticismo, Idealismo). E’ noto che il Positivismo, specie nella formulazione di Comte, affida agli scienziati il ruolo di guide della società, e prevede uno sviluppo della società in 3 stadi (teologico, metafisico, positivo), alla fine del quale tutta l’ umanità approderà alla scienza come sua unica guida, anche in senso spirituale. Secondo Marx, che su questo tema appare vicino al Positivismo, grazie alla tecnica l’ umanità potrà progressivamente liberarsi dalla servitù del lavoro, delegando alle macchine lo ‘scambio organico con la Natura’ in cui consiste la civilizzazione. Gli avversari della tecnica (prevalentemente letterati, come Leopardi, Tolstoj o T. H. Lawrence) le rimproverano di produrre un mondo volgare e senz'anima. In entrambi i casi la tecnica viene identificata con il progresso e l’ industrializzazione. Poi, nel quadro dell’ irrazionalismo filosofico e della “crisi dei fondamenti” di fine secolo, si va oltre l’ alternativa accettazione/rifiuto. Già in Schopenhauer, poi in Emerson, Nietzsche e Bergson si afferma una concezione pragmatica del pensiero, dove il ‘conoscere’ è un ‘fare’, rivolto essenzialmente alla soddisfazione di bisogni (individuali e sociali). In questa ottica la tecnica costituisce l’ esito necessario della conoscenza, quando questa si sia liberata dalle pastoie della metafisica (e per alcuni della religione). La ‘morte di Dio’ apre così l’ epoca del nichilismo attivo, dove l’ umanità utilizzerà consapevolmente le forze della Terra in direzione del dominio sulle cose. L'alternativa a questo resta la filosofia dei giorni formulata nel saggio "Le opere e i giorni" di Emerson.
[modifica] Il Novecento
Il panorama culturale di inizio secolo, specie quello tedesco, è impegnato in una indagine critica sul senso della tecnica e della modernità in generale. Sulla scorta di Nietzsche si apre una nuova riflessione. Il concetto-guida è quello di "nichilismo", identificato in vari modi con la tecnica, ed assunto come destino della civiltà occidentale. L’antitesi spengleriana tra "Kultur" e "Zivisation", la profezia weberiana sul "disincanto del mondo" e l’avvento della "gabbia d’acciaio" burocratico-tecnologica, oppure le pessimistiche riflessioni di Freud sul disagio della civiltà moderna, sembrano identificare le linee di fondo della modernità con la decadenza e quest’ultima con l’avvento generalizzato della tecnica. In particolare Max Weber identifica la tecnica con il dominio del "pensiero calcolante", tema poi ripreso da Heidegger. La novità di queste posizioni risiede nella accettazione della tecnica come destino inevitabile ed improcrastinabile della civiltà moderna, che ne fa l’aspetto caratterizzante della nostra epoca.
Gli anni della Repubblica di Weimar sono duri per la Germania; una sensazione generale di fallimento e di crisi, unitamente alla volontà di riscatto dell'umiliazione subìta a Versailles, accentuano le tendenze reazionarie di una parte della cultura. Autori come Ernst Junger o Mõller van der Bruck, raccoltisi negli anni '20 intorno al gruppo della cosiddetta "Rivoluzione conservatrice", rilanciano la tecnica e la tecnologia come "forze nuove", che devono essere usate senza pregiudizi al servizio della potenza tedesca. In Junger l'esaltazione delle forze primordiali e barbariche della "giovane razza tedesca" si uniscono al vagheggiamento di un mondo aristocratico, basato sui valori della tradizione e della eccellenza. Questo inedito cocktail di esaltazione tecnologica e primitivismo sta anche alla base del Futurismo italiano, soprattutto nella elaborazione di Filippo Tommaso Marinetti.
Per restare in Germania, Husserl in "La crisi delle scienze europee" (1936) vede nella concezione oggettivistica della Natura, impostasi a partire da Galileo Galilei, la causa della crisi che avvolge la Civiltà Europea. Si tratta di una crisi di senso e di significato, nel momento in cui la tecnica pare raccogliere i suoi maggiori successi. Scienza e tecnica forniscono sempre nuovi risultati, ma non sanno rispondere alle domande fondamentali che coinvolgono l’uomo e la sua esistenza nel mondo. La tecnica rivolge alle cose uno sguardo distaccato, freddo, che tende ad "oggettivizzare" anche il soggetto che guarda, rendendo l’uomo una cosa tra le cose. Husserl ripropone con forza l’antitesi tecnica-filosofia, nei termini di alienazione-riappropriazione della Ragione da parte dell’Uomo.
[modifica] La riflessione heideggeriana
Con Heidegger abbiamo una profonda riflessione sulla tecnica, a partire da Che cos’ è la metafisica? (1929) e poi con Nietzsche (1936-46). Sulla scia di Nietzsche, la tecnica è vista come l’ esito destinale della civiltà Occidentale, dominata internamente dalla metafisica. L’ esser-ci umano ha disimparato ad interrogarsi sul senso dell’ essere, per volgersi al mondo degli enti, delle cose, che si mostrano già preliminarmente come ‘essere-alla-mano, nella luce della loro utilizzabilità. Man mano che procede la presa di possesso dell’ ente da parte dell’ Uomo, l’ autentico senso del mondo, che Heidegger identifica con l’ essere dell’ente, si ritira sullo sfondo fino a farsi del tutto dimenticare (Emerson diceva, più semplicemente, che "ci furono offerte le opere e i giorni, e noi prendemmo le opere" e descriveva l'allontanarsi dei Giorni). Infine l’ essere si offre solamente come oggetto di manipolazione, ovvero nella luce della Volontà di potenza, che a Heidegger pare il culmine della metafisica, ed il momento in cui essa si risolve nella tecnica. Nietzsche viene letto come colui che conclude la metafisica, mettendone a nudo l’ essenza nichilistica. Anche sul piano della società la tecnica costituisce l’ ultimo atto della metafisica, quando oramai il mondo, nella sua totalità, si identifica con ciò che può essere conosciuto, dominato ed utilizzato. Tale destino è nichilistico, ovvero si apre un’ epoca dove “dell’ essere non ne è più niente” (come notoriamente afferma Heidegger): si è dimenticato non solo il senso dell' essere, ma persino che tale senso è andato perduto; l’ umanità occidentale ha dimenticato non solo la risposta, ma anche la domanda. Il dominio sull’ ente si rivela come fine a se stesso, sprovvisto di un orizzonte o un senso più ampio entro cui essere iscritto. Nella successiva Lettera sull' umanesimo (1947) Heidegger lega l' affermarsi della tecnica a quello del dominio del soggetto, il cui senso recondito è la volontà di controllo totale sull' ente.
Successivamente Heidegger (L’ abbandono, 1959) pare rivedere la propria posizione sulla tecnica: se quest’ ultima è l' essenza del presente, tra le maglie del controllo totale sull’ ente si dis-vela il senso dell’ essere nell' epoca della tecnica. Il discorso di Heidegger ha ancora un taglio ontologico: la tecnica non viene vista solo nel suo rapporto con l’ esserci, ma anche in se stessa come manifestazione-nascondimento dell’ essere, e quindi come l’ essenza stessa della nostra epoca in quanto epoké, sospensione nel darsi dell’ essere. Quindi una autentica (nel senso heideggeriano) interrogazione filosofica non può essere posta contro la tecnica, pena il precludersi del pensiero alla comprensione del senso dell’ essere nell’ epoca della tecnica. L’ inquietudine che la tecnica moderna suscita nel filosofo viene positivamente assunta come ‘apertura al mistero dell’ essere’.
[modifica] Emanuele Severino
Tra i prosecutori della riflessione heideggeriana sulla tecnica occorre nominare Emanuele Severino, il quale si muove all' interno della prospettiva ontologica e della distinzione essere-ente. La lettura dell' Occidente come nichilismo ed il tentativo di un pensiero post-metafisico sono esigenze condivise da molta filosofia contemporanea. In Severino queste istanze si legano strettamente al tema della tecnica. Nel recente saggio sulla tecnica Severino scrive "La storia dell' Occidente é il progressivo impadronirsi delle cose, cioè il progressivo approfittare della loro disponibilità assoluta e della loro infinita oscillazione tra l' essere e il niente...in esso resta pertanto celebrato il trionfo della metafisica" (Techne, Milano 202, p. 257). Tale progetto è totalizzante e totalitario, poiché tende a cosituire come ente tecnico l' uomo stesso: "La civiltà della tecnica...si é già incamminata verso la produzione dell' uomo, della sua vita, corpo, sentimenti, rappresentazioni, ambiente, e della sua felicità ultima." (ibid.) L' aspetto totalizzante della tecnica va a costituire l' orizzonte ontologico entro cui qualsiasi azione, anche rivolta contro la tecnica, non può mai porsi comunque del tutto al di fuori di essa: ""E' all' interno di questo progetto produttivo-distruttivo che si realizza ogni preoccupazione mirante a non rendere disumana la civiltà della tecnica" (p.256).
[modifica] Il secondo Novecento
La Scuola di Francoforte, a partire dalla Dialettica dell’ Illuminismo (1947) di Horkheimer e Adorno, porta allo scoperto la volontà di dominio e di sfruttamento che muove la Ragione illuministica portandola a piena realizzazione nella società capitalistica e ipertecnologica. In questo modo la lettura della tecnica come nichilismo viene ad unirsi ad una critica della società capitalistica che attinge a Marx e Freud. Ne L’ uomo a una dimensione, fortunato best-seller di Herbert Marcuse (1964), la tecnologia viene presentata come l’ essenza totalitaria del capitalismo, che opera attraverso la manipolazione dei bisogni umani da parte del potere costituito. Così la tecnica, da sempre identificata con il progresso e trasformazione sociale, viene al contrario vista come strumento di conservazione dello status-quo. Su tutt’ altro versante si pone il movimento cyber-punk il quale, a partire dagli anni Ottanta, assume le tecnologie digitali e la realtà virtuale come ‘luoghi’ di una possibile liberazione politica e sociale, come nuova agorà nella quale possano svilupparsi un pensiero ed una pratica sociale alternativi rispetto al sistema capitalistico: non più liberarsi dalla tecnica, ma attraverso di essa. In tal modo il movimento cyber-punk oltrepassa la alternativa tra tecnologia come alienazione/ come liberazione, proponendo una sorta di 'iper-alienazione' la quale, in una sorta di rovesciamento dialettico, libererebbe l' uomo dalla alienazione medesima attraverso la tecnica. Di fatto, e al di là delle teorizzazioni di 'guru digitali' come Nicholas Negroponte o William Gibson, la tecnologia digitale é oggi uno strumento elettivo del movimento no-global, i cui membri comunicano tra loro ed imbastiscono iniziative sociali e politiche tramite il tam-tam di Internet, dei suoi blog e dei suoi gruppi di discussione. Viene così a realizzarsi nella pratica almeno una delle profezie del '68, la nascita di quei 'gruppi informali in fusione' nei quali Sartre e il già citato Marcuse vedevano una alternativa veramente rivoluzionaria rispetto alla oramai obsoleta forma del partito politico.