Antifonte
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La critica antica distingue due persone di nome Antifonte, entrambe cittadini ateniesi della seconda metà del V secolo:
- Antifonte (480 - 441 a.C.) del demo (villaggio) di Ramnunte, oratore, maestro di retorica e personaggio politico, cui si attribuiscono vari Discorsi;
- Antifonte il sofista (e tragediografo), cui si attribuiscono gli scritti di natura politica Contro Alcibiade, Politico, La verità (in due libri), La concordia, il Libro dei sogni, nonché le tragedie Andromaca, Meleagro, Giasone, Filottete.
La critica moderna si mostra invece oscillante tra chi ritiene necessaria la distinzione, per motivi stilistici e contenutistici, e chi la considera inopportuna o inammissibile.
[modifica] Antifonte l'oratore
Di Antifonte politico e retore si possiede una attenta descrizione di Tucidide (VIII, 65), il quale, dopo avergli attribuito la responsabilità dell'elaborazione e dell'attuazione, quale principale artefice, del colpo di stato oligarchico dei Quattrocento, messo in opera ad Atene nel 411 a.C., così lo presenta:
- "Uomo non secondo a nessuno per qualità tra gli Ateniesi del suo tempo e il più capace a riflettere e a esprimere il contenuto del suo pensiero. Non partecipò mai spontaneamente all'assemblea generale o a qualche altro dibattito pubblico, ma, in sospetto al popolo per la fama di grande abilità di cui godeva, fu l'unico in grado di aiutare nel modo migliore, con i suoi consigli, chi avesse qualche cosa da discutere nell'assemblea o nel tribunale".
Antifonte, presentato da Tucidide come logografo, ossia scrittore per conto terzi di discorsi politici, da pronunciarsi in sostegno di leggi all'assemblea generale, o giudiziari, in difesa o in accusa di qualcuno nelle cause presso il tribunale dell'eliea, contraddice il modello del cittadino ateniese che si espone in prima persona animando i dibattiti parlamentari o le contese in tribunale. Preferisce invece agire nell'ombra dei simposi aristocratici, durante i quali elabora i piani del colpo di stato.
Di lui parlano anche Platone nel Menesseno (236a), dove è presentato come maestro di retorica, e Senofonte nei Memorabili (I, 6), quale avversario di Socrate.<(br> All'attività di logografo appartengono i trentacinque discorsi considerati autentici dal grammatico Cecilio di Alatte, mentre i filologi alessandrini gliene attribuivano sessanta. Di questi discorsi ne sono pervenuti tre sicuramente autentici, di carttere giudiziario: un discorso di accusa da parte di un giovane nei confronti della matrigna per tentativo di omicidio tramite avelenamento e due discorsi difensivi sempre in cause per omicidio.
La testimonainza di Tucidide riferisce, inoltre, che Antifonte stesso scrisse e pronunciò il discorso in sua difesa quando, al termine del governo dei Quattrocento, rimase volontariamente in città e fu sottoposto a processo per tradimento e attentato alla democrazia: secondo Tucidide questo discorso, di cui un papiro ha restituito qualche frammento, fu il più bello tra tutti quelli pronunciati fino ad allora, anche se non servì a risparmiargli la condanna a morte.
I frammenti delle opere filosofiche consentono di delineare i tratti di un pensiero che sviluppa in maniera originale tematiche sofistiche. Riprendendo il motivo caro a Protagora e Ippia della contraèpposizione tra la convenzionalità della legge (nomos), che varia in dipendenza delle convenienze e delle società che la esprimono, e l'organicità della natura (physis), che si mantiene uguale a sé stessa, Antifonte ricava interessanti conclusioni che si possono così schematizzare:
- la natura è un organismo preordinato rispetto all'uomo: il danno inferto all'ordinamento legislativo non produce effetti sul colpevole, se questi non viene scoperto, mentre il danno arrecato alla natura permane in tutti i suoi effetti;
- la natura è un ente omogeneo e coerente, al contrario della legge che è contraddittoria, perché, ad esempio, impone di testimoniare e, conseguentemente, di arrecare del male all'imputato, anche se non si ha alcuna relazione con lui, mentre la tradizione vuole che si faccia del bene agli amici e del male solo ai nemici;
- la natura è superiore alle leggi particolari e non istituisce differenze tra uomo e uomo, per questo in niente un barbaro è differente da un greco.
[modifica] Antifonte il sofista
Chi sostiene la necessità di distinguere l'Antifonte retore, logografo e politico dall'Antifonte sofista si basa soprattutto su quest'ultima affermazione (presente nell'opera La verità), veramente straordinaria per un ateniese del V secolo, che sembrerebbe incongrua se attribuita all'oligarca che si distingueva dagli altri per le sue qualità, disprezzava il popolo e aveva elaborato una costituzione che assegnava di diritto il potere ai migliori.
A questo aspetto si aggiungono anche considerazioni stilistiche, in quanto i discorsi del logografo sembrano molto diversi, per lessico e costruzione, dai trattati filosofici.
Chi invece ritiene inappropriato separare le due figure ritiene che l'esiguità dei frammenti a disposizione non possa costituire valido fondamento per instaurare differenze di stile, tanto più che eventuali difformità tra un discorso giudiziario e un saggio filosofico potrebbero essere attribuite anche alla diversità di genere.
Per quanto riguarda l'aspetto etico-filosofico, si ritiene che nulla possa essere ricavato da una singola affermazione estrapolata da un contesto più ampio che non possediamo.
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