Salvatore Ventimiglia
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Monsignor Salvatore Ventimiglia (Palermo, 15 luglio 1721 - Palermo, 8 aprile 1797) fu vescovo di Catania dal 1757 al 1776.
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[modifica] Biografia
Nacque a Palermo, in una famiglia di antica nobiltà siciliana da Vincenzo Ventimiglia e Anna Maria Statella[1]. Suo fratello primogenito Giuseppe Emanuele, che aveva acquisito dal nonno il titolo di principe di Belmonte, ebbe elevati incarichi a Palermo e alla corte di Napoli. Il giovane Salvatore entrò a Palermo nel collegio dei gesuiti e dimostrò subito una grande sete di conoscenza, ma il suo carattere cupo ed introverso lo portò presto verso una vita contemplativa, oppresso dalla sua convinzione di essere indegno per i suoi peccati.
All'età di 21 anni si ritirò nella certosa di Santo Stefano del Bosco in Calabria e poi all'Oratorio di San Filippo Neri a Palermo.
Poco si conosce del decennio che trascorse a Roma per gli studi giuridici, che si conclusero con la laurea conseguita all'Università La Sapienza l'8 novembre 1753.
Soltanto alcuni anni dopo il ritorno a Palermo, venne nominato, nonostante la giovane età, vicario generale della curia dall'arcivescovo Marcello Cusani. Il Ventimiglia dimostrò subito di meritare l'incarico che gli venne assegnato ed acquisì presto la benevolenza dei cittadini di Palermo. Nel 1757, alla morte del vescovo di Catania Pietro Galletti, Carlo III lo presentò al papa come nuovo vescovo di Catania. Con bolla papale del 19 dicembre 1757, emessa da Papa Benedetto XIV, veniva nominato vescovo di Catania e quindi ordinato a Roma dal cardinale Portocarrero, il 27 dicembre dello stesso anno.
[modifica] Vescovo di Catania
Il vescovo Ventimiglia assunse il nuovo incarico il 16 gennaio 1758. Egli dimostrò subito un grande dinamismo ed una voglia di innovazione ma si dedicò soprattutto ad una opera di moralizzazione del clero della diocesi che negli ultimi 70 anni era andato assumendo delle consuetudini non molto aderenti al proprio ministero. Appena insediato si attivò per la riorganizzazione della curia catanese, la ricostruzione delle parrocchie dopo il terremoto del 1693, la riforma del seminario, la riorganizzazione dell'Università di Catania e non ultima, la scrittura di un catechismo in siciliano per far sì che la popolazione non istruita potesse accedere alle sacre scritture ed ai principi di una giusta catechesi.
«Poiché non c’era un compendio della dottrina cristiana, redatto in lingua siciliana, che con metodo facile e idoneo contenesse con buona disposizione i primi elementi della fede che è necessario ed utile conoscere (quelli che erano diffusi in Sicilia erano incompleti e scarni), ne ho preparato uno io con un linguaggio semplice e adatto alle persone prive di istruzione: questo ho fatto seguendo le indicazioni e le norme del catechismo del Concilio di Trento, il cui uso è stato raccomandato ai vescovi da Clemente XIII, che in questo momento felicemente presiede la Chiesa cristiana»
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(Salvatore Ventimiglia vescovo di Catania)
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[modifica] La sua azione a favore dei poveri
La sua attenzione fu sempre centrata all'aiuto dei poveri e dei vecchi, spesso privi di ogni cosa, per una vita dignitosa. A questo scopo, nel 1760, fondò l'Ospizio mons. Salvatore Ventimiglia che costituì la prima struttura di questo tipo ad essere realizzata in città. Subito dopo, durante la carestia del 1763, impegnò la sua argenteria per far fronte alle maggiori necessità di ricovero, prendendo in affitto case e magazzini.
[modifica] I suoi dissapori con le autorità locali
Ben presto sia nella curia romana che nelle autorità locali si creò una situazione di scontento per le innovazioni apportate dal vescovo. Iniziano pertanto delle manovre subdole tendenti a limitare il suo potere. Di questo il Ventimiglia si lamentò con le autorità ecclesiastiche ma senza avere grande riscontro. La sua indole caratteriale di tendenza al pessimismo tornò ad affiorare e cominciò ad instillare nel suo cuore il pensiero di essere inadeguato al ruolo che tanto precipitosamente aveva accettato.
[modifica] Le dimissioni
Nel 1762, vista l'inutilità delle sue rimostranze, decise di rassegnare le dimissioni da vescovo di Catania. Il Papa Clemente XIII le respinse ed invitò il Re Ferdinando di Borbone ad intervenire, ma la questione non si risolse. Nel 1773, il Ventimiglia inviò una seconda lettera di dimissioni che il Papa Clemente XIV finalmente decise di accettare. Il vescovo si ritirò quindi nella natia Palermo per perseguire i suoi antichi desideri di solitudine e contemplazione.
[modifica] La sua nuova vita a Palermo
Nel momento in cui vennero accettate le sue dimissioni fu nominato arcivescovo di Nicomedia, titolo non più esistente e puramente onorifico. Poco si conosce degli ultimi 25 anni della sua vita se non che lasciò tutti i suoi beni all'Ospizio per i poveri che aveva fondato a Catania. Per dimostrare la sua devozione a sant'Agata ed ai catanesi, volle donare un cereo per la festa di sant'Agata. Questo cereo esiste tutt'ora ed è quello che apre la processione nei giorni 4 e 5 febbraio di tutti gli anni.
[modifica] Note
- ↑ Fu battezzato lo stesso giorno nella Chiesa di San Nicolò alla Kalsa.
[modifica] Bibliografia
- A. Longhitano, Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1762), in Synaxis 10 (1992) 315-418.