Vita di Galileo
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La Vita di Galileo (in tedesco: Leben des Galilei) è un'opera teatrale di Bertolt Brecht, di cui esistono parecchie versioni e revisioni. Le principali (versione danese, versione americana e versione berlinese) risalgono rispettivamente agli anni 1938/39, 1943-45 e 1956. L'opera si concentra sulla vita di Galileo Galilei, con particolare attenzione al processo dell'inquisizione e all'abiura dello scienziato.
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[modifica] La storia dell'opera
La figura di Bertolt Brecht, mentre era ancora in vita e durante i decenni della contrapposizione ideologica della guerra fredda, è stata forse una di quelle che più ha prestato il fianco ad interpretazioni e studi parziali e fallaci. Questo fatto, se da una parte ha comportato la nascita di una bibliografia che può essere avvicinata a quella shakespeariana, ha avuto il disdicevole inconveniente di rallentare od ostacolare la ricerca non di bandiera e ha sicuramente contribuito al disinteresse pressoché totale di questo ultimo decennio, che ha impietosamente avvolto uno dei più grandi drammaturghi del nostro secolo.
A maggior ragione, questo discorso riguarda Leben des Galilei, una delle opere più importanti di Brecht, che può vantare un apparato critico invidiabile dal punto di vista quantitativo, ma ancora oggi abbastanza influenzato dalla necessità di piegare il messaggio dell’autore agli schemi ora del blocco occidentale, ora di quello orientale.[1]
Dal canto suo, anche il modo di lavorare di Brecht non facilita certo il compito degli studiosi: egli, infatti, ha lasciato non una serie di opere, scritte e stampate come soluzioni definitive, ma dei Versuche[2], come sottolinea chiaramente lo stesso titolo della raccolta sotto cui i suoi scritti sono stati pubblicati in prima edizione. Questo titolo è, probabilmente, una vera e propria dichiarazione d’intenti che ben esprime la poetica di Brecht: egli riscriveva in continuazione ogni sua opera, adattandola al tempo e alla situazione. L’amico Feuchtwanger, in un'uscita speciale della rivista Sinn und Form, interamente dedicata al drammaturgo di Augsburg, ricorda:
Lo stesso Brecht riteneva tutto ciò che aveva scritto un perpetuo provvisorio ancora nella fase di creazione. Libri che aveva fatto stampare da tempo, pezzi teatrali che aveva inscenato innumerevoli volte, non erano in alcun modo terminati e proprio quei lavori che gli stavano più a cuore […] considerava dei frammenti.[3]
Come si può ben capire, questo metodo riguardava soprattutto i pezzi teatrali, che subivano spesso delle vere e proprie rivoluzioni durante le prove o a seguito di avvenimenti particolari. Egli, infatti, non era solito indicare come definitiva una stesura di un’opera, considerando ogni variante, in un certo senso, come quella definitiva. Questo, naturalmente, ha comportato non pochi problemi editoriali e, di conseguenza, critici.
Agli inizi di questo nostro, come è stato definito dagli storici, "secolo breve", i punti di riferimento ereditati dal positivismo di fine ottocento sono ormai sentiti come vacui e, parallelamente alla relatività di Einstein, Brecht impone la sua relatività, con questo suo modo di fare letteratura, in cui ogni opera, pur sempre inserita e considerata nel Corpus dell’opera omnia, è, in sé, “relativamente definitiva”.[4]
Queste considerazioni non vanno dimenticate nel momento in cui si vuole procedere ad un’analisi, come è qui il caso, di un'opera come il Galileo. È quindi sbagliato, o comunque non giusto, in quanto riduttivo in sede di analisi, affermare categoricamente che le versioni di quest’opera drammatica sono tre [5]. A questo proposito, perciò, si potrebbe rovesciare la posizione sostenuta da Werner Mittenzwei, uno dei massimi studiosi di Brecht, il quale afferma[6]:
«Nella passata letteratura vengono riconosciute tre versioni del "Galileo": la versione danese (1938), quella americana (1945/46) e quella berlinese (1955). Ma una cataloghizzazione di questo tipo non rende l'idea in modo dovuto del lavoro di Brecht; al contrario ne aggiunge confusione. La cosiddetta versione berlinese non apporta nessun cambiamento al testo ma solo cancellazioni che Brecht apportò per la rappresentazione al Berliner Ensemble. [...] in ogni caso revisioni di un proprio pezzo per una specifica messa in scena ce ne sono anche per altre opere, senza essere state indicate come versioni a sé stanti. [...] Per questo è lecito parlare solo di due versioni le quali contengono realmente differenze nelle dichiarazioni: quella creata nel 1938 in Danimarca e quella del 1945/46 in America.»
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(Werner Mittenzwei)
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Se da una parte è vero che il riadattamento di un’opera non conduce necessariamente alla stesura di un nuovo lavoro, è altrettanto vero che con Brecht questo è quasi sempre il caso (si pensi, fra i tanti, a Baal). A maggior ragione questo discorso è verificato se si tratta di opere teatrali, in cui la morale, il messaggio di un pezzo non viene mediato solo dal testo, ma da mille altri caratteri che spaziano su diversi piani sensoriali[7]. Per quanto riguarda il Galileo, lo stesso autore, pochi mesi dopo averlo completato, riconosce che il lavoro non gli piace e che andrebbe riscritto da capo. In data 25 febbraio 1939, sul suo diario di lavoro, scrive[8]:
Come già si è avuto modo di sottolineare, in ogni discorso riguardante i lavori brechtiani, non bisogna mai perdere di vista il loro carattere principale, che è quello di essere dei semplici “tentativi”, in quanto altrimenti andrebbe persa, la vera tensione poetica che è alla base dell’opera intera. Il Galileo dell’ultima versione è, ad esempio, così profondamente diverso da quello della prima, che la morale (se in Brecht di morale in senso aristotelico si può parlare) dell’ultima stesura, simmetricamente opposta a quella della prima, può finire per influenzare comunque il giudizio su questa, secondo un errore comune a tanta critica superficiale che tende a dimenticare di inserire i dati a sua disposizione in una sequenza cronologica, col risultato che l’idea di un autore viene ricostruita "col senno di poi". Per esemplificare meglio questo ragionamento è ora necessario addentrarsi nel tema specifico e ricostruire la genesi di quest’opera drammatica.
[modifica] La versione danese
Brecht scrisse nei Versuche, a riguardo del suo dramma[9]:
Questa ipotesi sarebbe senz’altro affascinante, in quanto permetterebbe di stabilire un contatto diretto tra una delle tematiche della prima e dell’ultima versione, ma non bisogna per questo lasciarsi tentare da chimere ammaliatrici. La citazione appena portata tenderebbe a instaurare una sorta di consequenzialità tra le nuove scoperte nel campo della fisica e la figura brechtiana dell’opera: Galileo sarebbe, nelle intenzioni del suo autore, fin dalla prima versione, il personaggio destinato a esemplificare paradigmaticamente il conflittuale rapporto tra scienziato e società, assumendo, già a partire dalla stesura danese, quella valenza prettamente negativa che gli sarà propria dalla versione americana in poi.
Ma Brecht ci conduce qui ad uno di quegli errori di retrospettiva storica a cui si è appena accennato: profilare la divisione dell’atomo di Uranio come punto di partenza o causa scatenante del suo dramma implica l’ipotizzare che lo stesso Brecht ne fosse a conoscenza già prima di scrivere il Galileo. Ora così non è, come ha ottimamente dimostrato Christian Nørregaard[10]. Ci si limiterà qui a ricordare i dati principali, rimandando al suo saggio per una trattazione completa ed esaustiva dell’argomento.
Sia Schumacher che Mittenzwei considerano come primo accenno ad un’opera teatrale inerente la vita del grande scienziato italiano del XVII secolo, una lettera della collaboratrice e amante di Brecht, Margarete Steffin, che, il 17 novembre 1938, così scriveva a Walter Benjamin[11]:
Fino al 1986] questa è stata la versione concordata da tutti, tanto che lo stesso Zimmermann non esita a citare la versione dello Schumacher nel suo libro sul Galileo brechtiano[12]. Secondo le ricerche di Nørregaard, però, il primo accenno al Galileo è retrodatabile al 14 novembre 1938, quando, sempre in una lettera di Margarete Steffin, questa volta indirizzata al giornalista danese Knud Rasmussen, troviamo scritto[13]:
«Qui non succede nulla. Oppure si: Brecht ha quasi terminato in 8 giorni un pezzo su Galileo che è molto divertente e molto bello [...].»
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(Margarete Steffin)
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Se a queste due testimonianze aggiungiamo quella dello stesso Brecht, che nel suo giornale di lavoro, compilato in maniera sistematica a partire dal 20 luglio di quello stesso 1938, in data 23 novembre, aveva segnato[14]
«Completata la Vita di Galileo. Tempo utilizzato: tre settimane.»
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I dati non sono concordi, in quanto, prendendo queste citazioni alla lettera, avremmo rispettivamente come data di inizio il 7, il 4 e il 2 di novembre, ma le ultime due date sembrano venire smentite da un’altra lettera di Brecht allo scrittore e sceneggiatore americano Ferdinand Reyher. I due si incontrarono ripetutamente a Copenaghen tra il 28 ottobre e il 4 novembre di quel 1938 e tra le altre cose discussero proprio di un “progetto-Galileo”. Secondo questa lettera, la stesura cominciò al ritorno del drammaturgo a Svendborg, il suo primo domicilio in terra danese[15]. Con ogni probabilità, quindi, la prima pagina del dramma su Galileo Galilei fu scritta tra il 5 e il 7 di novembre, e comunque nella prima settimana di quel mese.
Ma il problema non è così facilmente risolto.
Innanzitutto bisogna sottolineare come sia quasi impossibile, anche per uno scrittore dotato di un sapere enciclopedico, comporre un dramma così complesso e ben bilanciato come il Galileo. Brecht era solito informarsi a fondo prima di cominciare a scrivere qualcosa e dai libri presenti nella sua biblioteca, vediamo che i volumi inerenti questo argomento sono diversi[16]. Ammesso e non concesso che egli non li abbia letti tutti prima di approntare il manoscritto della prima versione, il tempo a disposizione rimane comunque piuttosto misero. Inoltre dobbiamo considerare un fatto, e cioè che la Steffin, nella lettera a Benjamin appena citata, ci informa che questo progetto riguardante Galileo, Brecht lo aveva già in testa da tempo (vorrei sottolineare quanto sia carico di significato il verbo scelto dalla Steffin -spuken- quasi ad indicare una presenza trascendentale che tormenta senza sosta lo scrittore). Ora, sembra strano che Benjamin, forse uno dei pochi veri amici di Brecht (sicuramente uno dei più fidati e cari, negli anni dell’esilio danese), fosse completamente all’oscuro di questo progetto. Ma se Benjamin lascia la Danimarca domenica 16 ottobre 1938[17] e se ipotizziamo che i contatti tra i due si siano interrotti da quel giorno, lo “spettro” di Galileo deve fare la sua comparsa nei pensieri di Brecht più o meno a partire dalla metà di ottobre; dal giorno della partenza di Benjamin fino al 23 novembre passano esattamente trentotto giorni: è questo il lungo tempo di gestazione del dramma? Non abbiamo altri dati per asserire il contrario, ma rimane un forte dubbio su cui sarà il caso di tornare in seguito.
Non ci si deve lasciar ingannare, comunque, dall’attestazione dell’autore citata poco prima, perché essa si scontra, come abbiamo dimostrato, con l’evidenza dei fatti:
- La prima stesura del Galileo (per ammissione dello stesso autore) fu terminata il 23 novembre 1938
- La scissione dell’atomo di uranio fu ottenuta da Otto Hahn e dal suo assistente Fritz Strassmann a Berlino il 19 dicembre 1938 e la notizia venne diffusa in Danimarca, dove Brecht risiedeva, solo all’inizio del 1939.
Non è dato sapere se Brecht fosse a conoscenza, già nei mesi precedenti la scoperta, degli esperimenti che in tale direzione venivano fatti, ma la cosa è almeno improbabile, tanto che possiamo qui senza troppe remore affermare che l’intestazione preposta dall’autore sui Versuche sembra essere un affascinante gioco di prestigio letterario.
Tutti i dati fino ad ora prodotti non fanno altro che confermare che Brecht, nei mesi a cavallo tra il 1938 e il 1939, si cimentò con la figura di Galileo. Ma ciò non implica che l’interesse dello scrittore per lo scienziato sia nato in quel periodo. Spero sia a tutti evidente come qui non si tratti di pignoleria critica, ma di dati indispensabili per poter corroborare poi una qualsiasi opinione critica sul significato di una delle più grandi figure del teatro brechtiano.
Sappiamo con certezza che già nel 1933 Brecht stava lavorando, assieme ad altri scrittori di ispirazione socialista come Feuchtwanger e Heinrich Mann, ad un progetto per la trasposizione scenica dei processi dei più grandi personaggi della storia, tra i quali egli annoverava Socrate, Catilina, Gesù, Hus, Martin Lutero, Maria Stuarda e, appunto, Galileo Galilei[18]. Un primo contatto con la figura dello scienziato italiano sembra dunque da retrodatare almeno all’inizio degli anni trenta, poco prima che Brecht, minacciato dal potere nazista, lasciasse la Germania. A sostegno di questa tesi va riportato anche un altro episodio della vita dell’artista: pochi giorni dopo il 30 gennaio del 1933 (Hindenburg proclama Hitler nuovo Reichskanzler e lo incarica di formare il nuovo governo), Brecht e altri scrittori di sinistra si incontrano a casa di Bernard von Brentano (sono presenti, tra gli altri, Heinrich Mann, Johannes R. Becher e Hermann Kesten) per discutere i modi e i tempi di un’opposizione comune al Führer. Kesten, ritornando su quell’incontro, ebbe a ricordare come Brecht si fosse subito dichiarato disponibile e come[19]
«Se ci fosse bisogno di proclami, appelli, discorsi, azioni, pezzi teatrali sono a disposizione.»
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L’interesse per i grandi processi della storia viene qui legandosi con il tema, a mio parere, dominante del primo Galileo, che è quello della propagazione della verità in condizioni di censura e violenza, tema ripreso anche da una breve prosa dello stesso Brecht che va sotto il titolo di Fünf Schwierigkeiten beim Schreiben der Wahrheit, scritta nel 1935, e avente come argomento le difficoltà che chi vuole combattere la menzogna e l’ignoranza e scrivere la verità deve superare. Come avremo modo di vedere in seguito, la parentela tra questo breve scritto e il primo Galileo è piuttosto stretta. Non è da considerare una semplice coincidenza nemmeno il fatto che nel novembre del 1937 Brecht scriva, sulla falsariga della tematica galileiana, la Rede über die Widerstandskraft der Vernunft[20], o che il 26 maggio dell’anno successivo esca la prima stampa della futura settima scena del dramma Furcht und Elend des III. Reiches, dal titolo alquanto significativo Physiker 1935.[21]
Dimostrando che i testi sopra citati sono tematicamente assai affini al Galileo della prima stesura, e che quindi esso nasce, nelle intenzioni dell’autore, non come il rappresentante degli scienziati macchiatisi di gravissime colpe alle soglie dell’era atomica, ma come l’eroe che riesce ad eludere la censura della Santa Inquisizione (e cioè, estrapolando, colui che riesce a propagare la verità nel mondo dell’inganno), verrebbe nuovamente confermato il ribaltamento del giudizio espresso da Brecht stesso e da me riportato all’inizio del discorso. Considerando per ora come fondato il mio ragionamento, per la dimostrazione del quale rimando al prossimo capitolo, mi sembra di poter concludere che nulla dimostra l’infondatezza della estrema velocità annunciata sia da Margarete Steffin che dall’autore stesso nella composizione del Galileo, che bisogna quindi supporre essere stato scritto veramente nel breve volgere di tre, quattro settimane, ma è al contempo lecito partire dall’ipotesi che Brecht già da almeno cinque anni avesse cominciato ad occuparsi dell’argomento, avendo quindi in mente tutt’altro che un atto di accusa verso gli scienziati che, solo dopo che il Galileo era già stato ultimato, per la prima volta riuscirono nella scissione dell’atomo di uranio, dando inizio all’era nucleare. Come si vedrà in seguito questa cronologia spiegherà perfettamente la debolezza scenica della figura nella prima stesura dell’opera.
[modifica] Critica e messaggio dell'opera
Una fra le più importanti opere per capire a pieno la cultura del nostro secolo, il XX, appena scorso fra grandi guerre mondiali, totalitarismi multicolore e neocapitalismo, è sicuramente Vita di Galileo, scritto da Bertolt Brecht. La commedia trova luce intorno al 1938-1939 e tratta della vita del grande scienziato pisano, dall’invenzione del cannocchiale, alla scoperta dei satelliti di Giove, fino al processo istituito dal Sant’Uffizio, al suo atto di abiura e agli ultimi anni della vecchiaia. Sicuramente dissonante da quella tramandataci dagli storici, qui la figura di Galileo Galilei assume caratteri più umani, mettendone in evidenza paure, timori e incertezze, delineando un uomo logorato dalla voglia di combattere e cedere di fronte al potere.
A Galileo Galilei la tradizione attribuisce innumerevoli intuizioni, soprattutto in campo astronomico, quali le montagne della Luna, la scoperta della macchie solari, i satelliti di Giove, gli anelli di Saturno, le fasi di Venere e l’intuizione della presenza di un ulteriore corpo celeste al di la di Saturno, ovvero Nettuno. Inoltre la sua figura riveste fondamentale importanza dato che fu fra i primi a contribuire allo sviluppo e alla diffusione della teoria copernicana basata sull’eliocentrismo; in opposizione al non opinabile geocentrismo professato sia da Platone sia da Aristotele, in quanto, rivestiti i due filosofi da grande considerazione dalla Chiesa cattolica, rappresentava una perfetta giustificazione alla grandezza di Dio e l’esistenza della figura di Dio Creatore. La Terra, in quanto creazione di Dio, doveva rappresentare il centro di tutto l’universo, pianeta “prescelto” e “superiore” rispetto ad una stella o ad un altro corpo celeste.
Al di là delle faccende personale narrate nel dramma, Brecht focalizza la sua attenzione sul rapporto tra la ricerca scientifica e il potere, e, ampliando gli orizzonti, il rapporto lacerante e tutt’oggi lacerato che si interpone fra la cultura nascente e la cultura del potere.
Ciò che fece la sfortuna di Galileo, all’epoca, era la sua mentalità diversa, basata su un metodo scientifico. Due linguaggi diversi: il primo, quello di Galilei, basato sull’empirismo, quale pilastro fondamentale e colonna portante del metodo scientifico, sullo studio del particolare fenomeno dal quale formulare una legge universale; il secondo, quello convenzionale dell’epoca, basato su dogmi della fede e della Chiesa.
Fondamentalmente, la ottusità dell’Inquisizione appare superiore alla cecità fisica del nostro pisano, e, per questo, nonostante la sua fede negli uomini e nella loro ragione, sarà sconfitto dall’auctoritas della Chiesa e delle teorie tolemaico-aristoteliche, condannato alla pena di morte nel 1633, pena tramutata in isolamento forzato grazie all’abiura delle sue tesi.
La sconfitta della scienza coincide con la stessa vittoria: Galileo soccombe al Santo Uffizio ma allo stesso tempo gli è concesso di vivere quel poco che basta per portare avanti innumerevoli altri studi, nel campo della fisica e della dinamica.
Inserendo in terza lettura questo dramma, cioè nel suo contesto storico, possiamo capire quanto sia intriso di verve sarcastica e pungente questa opera del drammaturgo tedesco, edita in un prima stesura nel 1938, dato che gli importanti progressi che la scienza compie in questo periodo (scissione dell’atomo, nascita della balistica applicata), vengono utilizzati dai governi mondiali a fini bellici. Rimane fondamentalmente uno il messaggio che Brecht vuole far arrivare: la scienza deve risultare libera da ogni cappio ideologico e politico e deve essere strumento di progresso degli uomini e non fonte della loro distruzione.
[modifica] Note
- ^ Per quanto riguarda la (esigua) critica in lingua italiana sul Galileo di Brecht, basti qui ricordare il commento di Rosa Giannetta Trevico, “Galileo” – Il cielo negato (D’Ars, Milano 1980), infarcito, almeno nella parte storica, di numerose inesattezze e spesso, in quella di analisi critica, piegato ad un fine ultimo che con il personaggio brechtiano ha poco a che vedere. Ad esempio:L’opera viene pubblicata in “Versuche 19” e in “Heft 14”. (pag. 7). Non bisogna essere ricercatori troppo esperti per sapere che in realtà il Galileo viene pubblicato come diciannovesimo Versuch nel quattordicesimo quaderno della serie.
- ^ Sotto il titolo Versuche sono usciti quindici quaderni più un Sonderheft, in un primo momento presso l’editore berlinese Kiepenheuer (dal 1930 al 1933), quindi, nel secondo dopo guerra (dal 1950 al 1957), in concomitanza, presso la Suhrkamp nella Germania Ovest e presso la Aufbau-Verlag nella Germania Est (Il Sonderheft contenente l’opera teatrale Die Gewehre der Frau Carrar è uscito nel 1953 solo presso l’Aufbau-Verlag). Per una trattazione sistematica delle edizioni delle opere di Bertolt Brecht si rimanda all’apparato bibliografico di uno dei tanti volumi scritti sull’autore; per la Primärliteratur, ad esempio, vedi E. Schumacher, Drama und Geschichte – Leben des Galilei und andere Stücke, Henschel Verlag, Berlino 1965, pag. 497 ss. (da ora in poi citato come “Drama”).
- ^ Lion Feuchtwanger, Bertolt Brecht, in: Sinn und Form – Beiträge zur Literatur, Zweites Sonderheft Bertolt Brecht, Hrsg. Deutsche Akademie der Künste, 9. Jg., Hf. 1.-3., 1957, pag. 103.
- ^ La ricostruzione della genesi di ogni opera brechtiana non è mai scontata, anche perché Brecht era solito, per fare un solo esempio, riutilizzare e modificare materiale già scritto, che veniva quindi caricato ogni volta di un valore diverso a seconda del contesto in cui veniva inserito. È il caso di tante poesie e canzoni dei suoi drammi (si confronti - è solo il primo esempio che mi viene in mente – Der Choral vom großen Baal o le canzoni di Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny).
- ^ Le versioni stampate del Galileo sono effettivamente tre e sono ora fruibili in un unico volume in: Bertolt Brechts Leben des Galilei – Drei Fassungen, Modelle, Anmerkungen; in: Spektakulum 65 – Sonderband zum 100. Geburtstag von Bertolt Brecht, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1998 (da ora in poi citato con la sigla “3F”). La versione che normalmente viene stampata o rappresentata in teatro è la terza, la cosiddetta “berlinese”, nata dalla rappresentazione della Berliner Ensamble nel 1957, a cui lo stesso Brecht non poté assistere, in quanto morì poco tempo prima. A quanto mi risulta né la cosiddetta versione “danese” (1938/39), né quella “americana” (1947), sono disponibili in traduzione italiana.
- ^ W. Mittenzwei, Bertolt Brecht – Von der “Maßnahme” zu “Leben des Galilei”, Aufbau-Verlag, Berlino e Weimar 1965, pag. 262.
- ^ Per quanto riguarda la rappresentazione di Leben des Galilei, riporto solo un breve aneddoto: secondo il resoconto di Brecht, Laughton, che recitò nel ruolo di Galileo nelle due prime rappresentazioni del dramma negli Stati Uniti, si presentò sul palco per la messa in scena californiana senza barba, mentre per la rappresentazione di New York con la barba. Brecht annotò: Nello stesso tempo si modificano naturalmente le sembianze. Come spettatori comunicarono allo scrittore […], L.[aughton, D.S.] recito' leggermente diversamente. […] L'esperimento si puo' prendere ad esempio dello spazio che ha la liberta' di azione e che viene riposta nelle mani del singolo individuo. (B. Brecht, Aufbau einer Rolle – Laughtons Galilei, in 3F, cit., pag. 271 s.).
- ^ Bertolt Brecht, Arbeitsjournal, curato da W. Hecht, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1973, pag. 41 (da ora in poi citato con la sigla “AJ”).
- ^ B. Brecht, Leben des Galilei, in B. Brecht, Versuche, Heft 14, Berlino ovest 1955, pag. 6.
- ^ C. Nørregaard, Zur Entstehung von Brechts “Leben des Galilei”, in Bertolt Brecht – Die Widersprüche sind die Hoffnungen – Vorträge des Internationalen Symposiums zum dreißigsten Todesjahr Bertolt Brechts in Roskilde 1986, curato da W. Wucherpfennig e K. Schulte, volume 26 della serie Text und Kontext, Wilhelm Fink, Kopenhagen-München 1988, pagg. 65-88.
- ^ In: E. Schumacher, Drama, cit., pag. 16. L’originale della lettera si trova in: Deutsches Zentralarchiv Potsdam, Lascito di Walter Benjamin, Cartella 23, foglio 22.
- ^ Cfr.: W. Zimmermann, Bertolt Brecht Leben des Galilei – Dramatik der Widersprüche, Ferdinand Schöningh, Paderborn-München-Wien-Zürich 1985, pag. 10.
- ^ C. Nørregaard, Zur Entstehung von Brechts ”Leben des Galilei”, cit., pag. 68; le lettere di Margarete Steffin a Knud Rasmussen si trovano nel Bertolt Brecht-Archiv a Berlino.
- ^ B. Brecht, AJ, cit., pag. 35 (23.11.38).
- ^ Cfr.: C. Nørregaard, cit., pag. 68 s.
- ^ Fra gli altri citiamo qui: E. Wohlwill, Galilei und sein Kampf für die copernikanische Lehre, 2 vol., Amburgo e Lipsia 1909, 1926; H. Mineur, Element de statistique mathematique applicables à l’étude de l’astronomie stellaire, Parigi 1930; J. Jeans, Die Wunderwelt der Sterne, Stoccarda-Berlino 1934; A.S. Eddington, Das Weltbild der Physik und ein Versuch seiner philosophischen Bedeutung, Braunschweig 1931; G. Galilei, Unterredungen und mathematische Demonstrationen über zwei neue Wissenszweige, die Mechanik und die Fallgesetze betreffend (“Discorsi”), 2 vol. Lipsia 1890, 1891 e F. Bacon, Neues Organon, Berlino 1870.
- ^ Cfr.: Brecht Chronik – 1898/1956, curata da W. Hecht, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1998, pag. 554. (Da ora in poi citata come “Chronik”).
- ^ Cfr.: W. Zimmermann, op. cit., pag. 9 e W. Hecht, Brechts Leben des Galilei, Suhrkamp Taschenbuch, Materialien, Frankfurt a.M. 1981, pag. 221 (da ora in poi citato come “Materialien”).
- ^ Riportato in W. Hecht, Chronik, cit., pag. 342.
- ^ A questo proposito mi sembra di riscontrare un possibile parallelismo tra il Galileo che fa dono ai veneziani, del cannocchiale, da lui inventato, perché essi possano avvistare prima i nemici in battaglia e la frase di questo discorso:Il fisico deve essere in grado di costruire per la guerra congegni ottici che permettano la visione in grande lontananza […]. B. Brecht, Ausgewählte Werke in sechs Bänden, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1998, vol. VI, pag. 282 (da ora in poi citato con la sigla “AW” seguita dal numero romano del volume).
- ^ Cfr.: W. Hecht, Chronik, cit., pag. 539.