Terza guerra di indipendenza italiana
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Conflitto concomitante con la guerra generalmente nota come Guerra austro-prussiana.
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[modifica] Premesse
Quando Vittorio Emanuele II di Savoia divenne re d'Italia il 17 marzo 1861, il nuovo Regno ancora non controllava né Venezia, né Roma. La situazioni delle terre irredente (come si sarebbe detto alcuni decenni più tardi) costituiva una fonte di tensione costante per la politica interna italiana e chiave di volta della sua politica estera.
Valga per tutti l'episodio dell' Aspromonte, nel 1862, quando Garibaldi partì da Genova con dei volontari per sbarcare a Palermo e tentare la liberazione di Roma, confidando sulla neutralità del re. Seguito da 2'000 volontari, s'imbarcò a Catania per sbarcare a Melito il 24 agosto e raggiungere l'Aspromonte. Il generale Enrico Cialdini, però, inviò una divisione comandata dal colonnello Pallavicino per fermare l'esercito di volontari. Nello scontro Giuseppe Garibaldi fu ferito, per poi essere dichiarato prigioniero insieme ai suoi seguaci. Dopo la guarigione, gli venne concesso di tornare alla sua residenza di Caprera.
[modifica] L'interesse convergente di Prussia ed Italia
Le crescenti tensioni fra Austria e Prussia per la supremazia in Germania, sfociate infine nel 1866 nella Guerra austro-prussiana offrì l'opportunità di effettuare un consistente guadagno territoriale a spese degli Asburgo. L' 8 aprile 1866 il Governo Italiano (guidato dal generale Alfonso La Marmora) concluse una alleanza militare con la Prussia del principe di Bismarck, grazie anche alla mediazione della Francia di Napoleone III.
Infatti, si era creata un'oggettiva convergenza fra i due Stati che vedevano nell'Impero Austriaco l'ostacolo ai disegni di unificazione nazionale. Secondo i piani prussiani, l'Italia avrebbe dovuto impegnare l'Austria sul fronte meridionale. Nel contempo, forte della superiorità navale, avrebbe portato una minaccia alle coste dalmate, distogliendo ulteriori forze dal teatro di guerra nell' Europa centrale.
[modifica] La preparazione bellica italiana
Allo scoppio delle ostilità la situazione militare italiana era fortemente condizionata da fattori negativi:
- la non perfetta fusione fra il già esercito del Regno Sardo e quello del fu Regno delle Due Sicilie, frutto della forte resistenza che si sviluppò dopo la resa di Gaeta, innescata anche dall'eccessiva asprezza della lotta nella sue fasi finali (si veda in proposito Messina e Civitella del Tronto).
- la fortissima rivalità fra le principali marinerie confluite nella Regia Marina, le marine piemontese e napoletane erano scarsamente disposte a riconoscersi "primogeniture" di alcun tipo.
- l'irrisolto problema del comando supremo, già fonte di dissidi fra il Re e Cavour nel 1859, era ora aggravato dalla modesta statura dei successori del Conte. Il Re, il cui coraggio non era in discussione, era però del tutto impari al compito di Comandante supremo che, per contro, intendeva esercitare effettivamente.
Date le premesse, gli insuccessi colti tanto sul fronte terrestre che per mare furono quasi inevitabili.
[modifica] Il primo tentativo di invasione italiana
Il 16 giugno 1866 la Prussia iniziò l’ostilità contro alcuni principati tedeschi alleati dell’Austria. Il 19 dichiarò guerra anche l’Italia, con inizio delle ostilità al 23 giugno.
All'inizio del conflitto, l'esercito venne diviso in due armate: la prima, al comando del La Marmora, era stanziata in Lombardia ad ovest del Mincio verso le fortezze del Quadrilatero; la seconda, al comando del generale Enrico Cialdini in Romagna, a sud del Po, verso Mantova e Rovigo.
Il capo di Stato Maggiore generale La Marmora mosse per primo, incunenandosi fra Mantova e Peschiera, ove subì una sconfitta a Custoza il 24 giugno.
Il Cialdini, al contrario, per tutta la prima parte della guerra non assunse alcuna posizione offensiva, limitandosi a dimostrazioni, sino a neppure iniziare l'assedio della fortezza austriaca di Borgoforte, a sud del Po.
Custoza segnò, infatti, un generale arresto delle operazioni, con gli Italiani che rioganizzavano nel timore di una controffensiva austriaca. Gli Austriaci ne profittarono per compiere due piccole puntate offensive in Valtellina (Operazioni in Valtellina (1866)) ed in Val Camonica (Battaglia di Vezza d'Oglio). L'esito generale della guerra venne, tuttavia, determinato dalle importanti vittorie prussiane sul fronte tedesco, in particolare quella di Sadowa (detta anche battaglia di Königgrätz ) del 3 luglio 1866, ad opera del generale von Moltke. A seguito di questi avvenimenti gli Austriaci ritirarono su Vienna uno dei tre corpi di armata schierati in Italia e diedero priorità alla difesa del Trentino e dell'Isonzo.
[modifica] La determinazione del rinnovato sforzo offensivo
Il 5 luglio, giunse notizia di un telegramma dell’imperatore di Francia Napoleone III, il quale prometteva di avviare una mediazione generale, che avrebbe permesso all'Austria di ottenere condizioni onorevoli di fronte alla Prussia ed all’Italia di recuperare Venezia. La situazione appariva particolarmente imbarazzante, in quanto le forze armate non avevano saputo guadagnare alcun successo sul campo. Le forze disponibili, d’altra parte, apparivano consistenti, mentre gli Austriaci andavano ritirando truppe verso la difesa di Vienna. Il governo italiano cercò quindi di guadagnare tempo, ingiungendo, al contempo, al generale La Marmora di ottenere "...una buona battaglia e per essere in condizioni ancora più favorevoli per la pace".
Il 14 luglio, nel corso di un consiglio di guerra tenuto a Ferrara, si stabilì, finalmente un nuovo atteggiamento al proseguio della guerra: (i) il Cialdini avrebbe guidato un esercito principale di 150.000 che avrebbe avanzato attarverso il veneto, mentre il La Marmora, con circa 70.000 uomini, avrebbe mantenuto il blocco sulle fortezze del Quadrilatero. (ii) la marina italiana dell’Ammiraglio Persano avrebbe dovuto cercar gloria, uscendo da porto di Ancona (cosa che fece, trovando solo, il 20 luglio, una disastrosa sconfitta alla battaglia di Lissa). (iii) il corpo dei volontari di Garibaldi, rinforzato da una divisione, avrebbe dovuto penetrare a fondo in Trentino, avvicinandosi il più possibile al capoluogo.
Infatti, ora che l’acquisizione del Veneto era certa, appariva soprattutto urgente procedere all'occupazione del Trentino, per non vederselo sfuggire alle trattative di pace.
[modifica] La ripresa delle operazioni italiane
Nelle settimane che seguirono al Cialdini venne affidato il grosso dell'esercito e seppe guidare l'avanzata italiana dal Po di Ferrara ad Udine. Egli passò il Po ed occupò Rovigo l'11 luglio, Padova il 12 luglio, Treviso il 14 luglio; San Donà di Piave il 18 luglio, Valdobbiadene ed Oderzo il 20 luglio, Vicenza il 21 luglio, Udine il 22 luglio. Nel frattempo i volontari del Garibaldi si erano spinti dal Bresciano in direzione della città di Trento (Invasione del Trentino (Garibaldi - 1866)) aprendosi la strada il 21 luglio alla battaglia di Bezzecca, mentre una seconda colonna italiana arrivava, il 25 luglio, in vista delle mura di Trento (Invasione del Trentino (Medici - 1866)).
Queste ultime vittorie italiane vennero tuttavia oscurate, nella coscienza collettiva, dalla sconfitta della Marina a Lissa il 20 luglio, e non permisero di ottenere la tanto cercata 'buona battaglia'. Il 9 agosto Garibaldi rispose con il celebre e celebrato "obbedisco" e si ritirò dal Trentino. Non che gli rimanessero altre scelte.
La cessazione delle ostilità venne sancita all'Armistizio di Cormons, il 12 agosto 1866, seguito il 3 ottobre 1866 dal trattato di Vienna.
[modifica] Conseguenze
Le condizioni del trattato di pace erano state, comunque, già stabilite prima dell'entrata in guerra. Secondo i termini del trattato di pace, l'Italia guadagnò Mantova, l'intera antica terraferma veneta (che comprendeva l'attuale Veneto, salvo l'ampezzano e il Friuli occidentale). Rimanevano in mano austriaca il Trentino, il Friuli orientale, la Venezia Giulia e la Dalmazia. In considerazione della pessima condotta italiana in guerra, gli Austriaci ottennero di consegnare le provincie perdute alla Francia, che ne avrebbe fatto dono al Regno d'Italia.
Il 4 novembre 1866 i Savoia ebbero trasferita dagli Asburgo la Corona Ferrea, già corona dei re longobardi, degli Imperatori del Sacro Romano Impero Germanico e dallo stesso Napoleone I in quanto re d'Italia, dai sovrani del Lombardo-Veneto.
Come di prassi, l'annessione venne sancita da un plebiscito (a suffragio universale maschile) che, il 21 e 22 ottobre, sancì l'adesione di queste terre redente all'Italia.
Per approfondire, vedi la voce Carabinieri nel Risorgimento. |