Teatro greco
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Per teatro greco, in letteratura a nella storia del teatro, si intende l'arte teatrale nel periodo della Grecia classica.
Le forme teatrali che oggi conosciamo discendono da quelle che si praticavano e che vennero perfezionate nella Atene del V secolo a.C..
Gli Ateniesi svilupparono la consuetudine di organizzare regolarmente grandi festival in cui i maggiori autori teatrali dell'epoca gareggiavano per conquistarsi il favore del pubblico. Gli attori, esclusivamente uomini anche nelle parti femminili, indossavano maschere che ne ampliavano la voce. La recitazione era rigorosamente in versi, e alle parti soliste si accompagnava un Coro, gruppo di attori che assolveva la funzione di collegamento delle scene, commento e narrazione della trama. La forma d'arte di ispirazione più elevata era considerata la tragedia, i cui temi ricorrenti erano derivati dai miti e dai racconti eroici. Le commedie, che spesso fungevano da intermezzo tra le tragedie, di carattere più leggero e divertente, prendevano spesso di mira la politica e i personaggi pubblici del tempo.
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[modifica] Origini
La tradizione attribuisce le prime forme di teatro, a Tespi, giunto ad Atene dall'Icaria, verso la metà del VI secolo. Tradizione vuole che sul suo carro trasportasse i primi attrezzi di scena, arredi scenografici, costumi e maschere teatrali.
Le Lenee, le feste popolari dell'antica Grecia, erano caratterizzate da agoni drammatici, e venivano organizzate nei piccoli centri. Le Dionisie, di maggiore importanza, avevano caratteristica panellenica e l'evento principale consisteva nelle tragedie, preparate durante i mesi estivi e che venivano finalmente rappresentate durante i mesi invernali.
[modifica] Il teatro e la Polis
Per approfondire, vedi la voce Tragedia greca#Il teatro tragico come fenomeno di massa. |
I Greci consideravano il teatro non come una semplice occasione di divertimento e di evasione dalla quotidianità, ma piuttosto come un luogo dove la polis (πόλις, la città) si riuniva per celebrare le antiche storie del mito, patrimonio comune della cittadinanza, che lo spettatore greco conosceva, insieme a tutte le informazioni specifiche sullo spettacolo dedotte dal Proagòn. Ciò che non poteva sapere era come le vicende del mito, codificate dalla tradizione, sarebbero state nuovamente interpretate e declinate dal drammaturgo. Lo spettatore greco si recava a teatro per imparare precetti religiosi, per riflettere sul mistero dell'esistenza, per rafforzare il senso della comunità civica.
L'evento teatrale aveva dunque la valenza di un'attività morale e religiosa da assimilare ad un vero e proprio rito; non è un caso, allora, che il sacerdote del dio Dioniso sedesse sul sedile centrale del teatro, che una thumele (un altare sacrificale) facesse parte del corredo indispensabile dell'edificio teatrale, ma soprattutto che le rappresentazioni facessero parte delle numerose feste in onore degli dei, in particolare di Dioniso, che ricorrevano tra l'inverno e l'inizio della primavera.
Il teatro era per i greci uno spettacolo di massa, molto sentito e vissuto da parte dei cittadini di ogni classe sociale e condizione economica: esso era infatti un rituale di grande rilevanza religiosa e sociale, considerato uno strumento di educazione nell'interesse della comunità, tant'è che da Pericle in poi è la tesoreria dello stato a rimborsare il prezzo del biglietto.
Gli spettacoli teatrali ad Atene si svolgevano in occasione delle grandi Dionisie, feste in onore di Dioniso celebrate verso la fine di marzo. Le Dionisie erano organizzate dallo Stato e l'arconte eponimo, appena assunta la carica, provvedeva a scegliere tre dei cittadini più ricchi ai quali affidare la "coregia", cioè l'allestimento di un coro tragico: nell'Atene democratica i cittadini più abbienti erano tenuti a finanziare servizi pubblici come "liturgia", cioè come tassa speciale (oltre alla coregia una delle liturgie più importanti era ad esempio l'allestimento di una nave per la flotta). Agli spettacoli la popolazione partecipava in massa e probabilmente già nel V sec. a.C. erano ammessi anche donne, bambini e schiavi.
La rappresentazione teatrale non è dunque soltanto uno spettacolo: è un rito collettivo della pólis che si svolge durante un periodo sacro in uno spazio sacro (al centro del teatro sorgeva l'altare del dio). Il teatro, proprio per questo suo carattere collettivo, assunse la funzione di cassa di risonanza per le idee, i problemi e la vita politica e culturale dell'Atene democratica: se è vero infatti che la tragedia parla di un passato mitico, è anche vero che il mito diventa metafora dei problemi profondi che Atene vive. Aristotele a questo proposito formula il concetto di "catarsi" (kàtharsin, purificazione), secondo cui la tragedia pone di fronte agli uomini gli impulsi passionali e irrazionali (matricidio, incesto, cannibalismo, suicidio, infanticidio...) che si trovano, più o meno inconsciamente, nell'animo umano, permettendo agli individui di sfogarli innocuamente, in una sorta di esorcizzazione di massa.
[modifica] Tragedia
Per approfondire, vedi le voci Tragedia greca e Struttura della tragedia greca. |
La tradizione attribuisce a Tespi la prima rappresentazione tragica. Delle sue tragedie sappiamo poco, se non che il coro era ancora formato da satiri e che fu certamente il primo a vincere un concorso drammatico. I più importanti e riconosciuti autori di tragedie furono però, nell'Atene del V secolo a.C., Eschilo, Sofocle ed Euripide. Nei diversi momenti storici, affrontarono i temi più sentiti dell'epoca. Mentre i primi due vennero considerati come i depositari dei valori della polis, Euripide espresse le contraddizioni di una società che stava cambiando: nelle sue tragedie spesso le motivazioni personali entrano in profondo contrasto con le esigenze del potere, e con i vecchi valori fondanti della città greca. Il personaggio di Medea, ad esempio, arriva ad uccidere i propri figli pur di non sottostare al matrimonio di convenienza di Giasone con la figlia del re. Aristofane, il maestro riconosciuto della commedia, ci offre ne le Rane la cronaca del tempo riguardo alla disputa fra i tragediografi, e del pubblico che parteggiava con l'uno o con l'altro, presentando Euripide come un rozzo portatore di nuovi costumi.
Sarebbe stato Eschilo a fissarne le regole fondamentali: La tragedia inizia generalmente con un prologo (da prò e logos, discorso preliminare), che ha la funzione di introdurre il dramma; segue la parodo, che consiste nell'entrata in scena del coro attraverso dei corridoi laterali, le pàrodoi; l'azione scenica vera e propria si dispiega quindi attraverso tre o più episodi (epeisòdia), intervallati dagli stasimi, degli intermezzi in cui il coro commenta, illustra o analizza la situazione che si sta sviluppando sulla scena; la tragedia si conclude con l'esodo (èxodos).
Il motivo della tragedia greca è lo stesso dell'epica, cioè il mito, ma dal punto di vista della comunicazione essa sviluppa mezzi del tutto nuovi: il mythos (μύθος, parola, racconto) si fonde con l'azione, cioè con la rappresentazione diretta (δρᾶμα, dramma, deriva da δρὰω, agire).
Della grande produzione tragica dell'Atene democratica ci sono rimaste solamente alcune tragedie dei tre maggiori autori. Poco o nulla si sa della veste che i romani dovettero dare alla tragedia greca se non che dovesse ricalcarne da vicino il modello. L'unica fonte romana sicura è Seneca, che però accentuò l'aspetto dell'orrore e della violenza, pur evitando di rappresentando le scene cruente sulla scena.
[modifica] Commedia
[modifica] Voci correlate
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