Giovanni Giolitti
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«l Governo ha due doveri, quello di mantenere l'ordine pubblico a qualunque costo ed in qualunque occasione, e quello di garantire nel modo più assoluto la libertà di lavoro.»
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(Giovanni Giolitti)
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Giovanni Giolitti (Mondovì, 27 ottobre 1842 – Cavour, 17 luglio 1928) è stato un politico italiano.
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[modifica] L'ascesa
Politico privo di un passato impegnato nel risorgimento e latore di idee liberali moderate, entra nel governo già nel 1882 come collaboratore del Ministero di Grazia e Giustizia; dopo essere passato, con la Destra di Quintino Sella , al Ministero del Tesoro (dove, fra l'altro, contribuì al quell'opera tributaria volta tutta al pareggio del bilancio), diventa Ministro del Tesoro del governo di Francesco Crispi e, quindi, Ministro dell'Interno nel governo di Zanardelli, prima di giungere alla nomina di primo ministro nel 1892.
[modifica] I cinque governi di Giolitti
[modifica] Giolitti I
L'inizio dell'avventura giolittiana come primo ministro coincidette sostanzialmente con la prima vera disfatta del governo di Crispi, messo in minoranza nel Febbraio del 1891 su una proposta di legge di inasprimento fiscale. Dopo Crispi, e dopo una breve parentesi (6 febbraio 1891 - 15 maggio 1892) durante la quale il paese fu affidato al governo liberal-conservatore del marchese Di Rudinì, il 15 maggio 1892 fu nominato Primo Ministro Giovanni Giolitti, allora ancora facente parte del gruppo crispino.
Il suo rifiuto di reprimere con la forza le proteste che, nel frattempo, attraversavano lungamente il paese e che, il più delle volte, si riversavano nelle piazze (v. L'ideologia politica) a causa di una generale crisi economica che alzava, fra l'altro, il costo dei beni di prima necessità; le voci che lo indicavano come propositore di una tassa progressiva sul reddito (motivi, entrambi, che gli alienarono il consenso dei ceti dirigenti borghese-imprenditoriale e proprietario terriero, che vedevano in lui una minaccia ai propri interessi economici) e, infine, lo scandalo della Banca Romana che gli valse accuse di aver "coperto" irregolarità fiscali (prima con il suo dicastero delle finanze e poi con una costante riluttanza all'apertura di inchieste parlamentari) lo travolsero in pieno facendogli crollare lo strato di consenso su cui poggiava la sua ancora giovane politica e lo costrinsero a dimettersi poco più di un anno e mezzo dalla nomina, il 15 dicembre 1893.
[modifica] Tra il Giolitti I ed il Giolitti II
Di fronte alle debolezze dell'appena dimessosi Giolitti, la base elettorale - ancora piuttosto ristretta - volle richiamare Crispi, in modo da porre la parola "fine" davanti ai disordini causati dai lavoratori, dei quali non si riusciva ancora a vedere la fine. La sua politica estera, aggressiva e colonialista lo portò in Eritrea, ma una serie di sconfitte culminate con quella di Adua (1 marzo 1896) ne causeranno le dimissioni. Il periodo che va da questo momento sino al 1903, quando Giolitti ritornerà Primo Ministro è comunemente indicato come Crisi di fine secolo: una periodo di recessione economica contribuirà, infatti, all'acuizzarsi della tensione sociale (quindi anche tensione politica) che si tradurrà nell'insediamento di 11 governi in appena 10 anni.
Il 4 febbraio 1901 il suo pronunciamento alla Camera (emblematico della sua ideologia) contribuì alla caduta dell'allora in carica Governo Saracco, responsabile di aver ordinato lo scioglimento della Camera del Lavoro di Genova.
Già dal Governo Zanardelli (15 febbraio 1901 - 3 settembre 1903), poi, Giolitti ebbe una notevole influenza (oltre a quella propria del Ministro degli Interni) per la stanchezza dell'ormai vecchio presidente.
[modifica] Giolitti II
Il 3 settembre 1903 Giolitti ritorna al governo, ma questa volta si risolve per una svolta radicale: si oppone, come prima, alla ventata reazionaria di fine secolo, ma lo fa dalle fila della Sinistra repubblicana e non più del gruppo crispino come fino ad allora aveva fatto.
Questo cambiamento gli consentirà di seguire un po' più agevolmente quella politica che si era proposta già all'epoca del suo primo mandato: conciliare gli interessi della borghesia con quelli dell'emergente proletariato (sia agricolo che industriale); a questo proposito è notevole come Giolitti fu il primo a rivolgersi direttamente ad un "consigliere" socialista, Filippo Turati, che vorrà persino come suo ministro (per quanto quest'ultimo rifiuterà in seguito alle pressioni della corrente massimalista).
In questo contesto furono varate norme a tutela del lavoro (in particolare infantile e femminile), sulla vecchiaia, sull'invalidità e sugli infortuni; i prefetti furono invitati ad una maggiore tolleranza degli scioperi apolitici; nelle gare d'appalto furono ammesse le cooperative cattoliche e socialiste.
L'aperta nei confronti dei socialisti, insomma, è una vera e propria costante di questa fase di governo: Giolitti programmava, infatti, di estendere il consenso nei riguardi del governo presso queste aree sociali, e in particolare presso quelle aristocrazie operaie che, grazie ad una migliore retribuzione salariale e, quindi, a un migliore tenore di vita, avevano il diritto di voto. A questo proposito i critici noteranno come, da ciò, rimanessero esclusi i lavoratori meno qualificati (in particolare quelli meridionali), di fatto spesso e volentieri emarginati dai progetti politici di Giolitti (e che andarono a confluire nei partiti massimalisti).
Altri importanti provvedimenti furono attuati dal monregalese in campo economico: su tutti, la nazionalizzazione delle ferrovie e la promozione dello sviluppo economico attraverso la stabilità monetaria ed i lavori pubblici (es. traforo del Sempione).
[modifica] Tra il Giolitti II ed il Giolitti III
In questo periodo invitò l'amico Alessandro Fortis a creare un governo (come di fatto avvenne).
[modifica] Giolitti III
Alla caduta del secondo Governo Fortis (24 dicembre 1905 - 8 febbraio 1906) Giolitti insedio il suo terzo governo.
Durante questo mandato continuò, essenzialmente, la politica economica già avviata nel suo secondo governo. Aiutato dalla congiuntura economica positiva dei primi anni del Novecento, poté contare su un'affidabile stabilità monetaria garantita da un processo, l'emigrazione, a cui lui stesso non si oppose e che venne sicuramente incentivato dai numerosi dissesti economici causati da grandi disastri naturali (si ricordi l'eruzione del Vesuvio del 1906 ed il terremoto che devastò Messina e Reggio Calabria nel 1908).
In questo periodo, inoltre, favorì l'industria pesante (che risultava ancora arretrata a causa della mancanza, da parte degli industriali, dei grossi capitali che sarebbero stati necessari a svecchiarla) per mezzo di un ingegnoso stratagemma: la conversione della rendita nazionale dal 5% al 3,5%. Questa era, in realtà, un'operazione rischiosa perché, per quanto si potesse prevedere un certo panico tra i creditori dello Stato, le richieste di rimborso non erano facilmente prevedibili. Di fatto, comunque, ebbe successo perché queste furono assai limitate e la possibilità della bancarotta fu ampiamente sventata. Ciò fu possibile perché la conversione della rendita provocò una generale diminuzione del costo del denaro che consentì di ottenere crediti ad un saggio di interesse più favorevole e, quindi, incontro un nutrito consenso. Oltre a ciò, la conversione della rendita centrò il suo scopo primario: far "guadagnare" virtualmente allo stato la differenza sui suoi debiti che, con l'abbassamento del tasso, non era più tenuto a pagare. I proventi di questa manovra poterono, così, essere impiegati nell'industria.
Accanto all'ormai completata nazionalizzazione delle Ferrovie, infine, andò a collocarsi la proposta di nazionalizzazione delle assicurazioni (portata a compimento nel quarto mandato).
Per ciascuna di queste azioni la critica non ha mancato di evidenziare anche i risvolti negativi: non ostacolare l'emigrazione significa anche servirsene, un po' cinicamente, senza tenere in conto il disagio arrecato a interi strati sociali costretti a sradicarsi dalla propria terra (specie dal Sud, dove il cosmopolitismo era certamente ben lontano dal diffondersi); favorire unicamente l'industria pesante a discapito di quella agro-manifatturiera è, poi, una tipica visione industrialista che non tiene in debito conto l'economia del Mezzogiorno, che avrebbe necessitato di trasformazioni più profonde del solo acquedotto pugliese; infine la nazionalizzazione delle assicurazioni consentì abnormi speculazioni da parte di chi ne deteneva le azioni.
Innegabile è, invece, la bontà del miglioramento della legislazione sul lavoro femminile e infantile con nuovi limiti di orario (12h) e di età (12 anni).
[modifica] L'ideologia politica
Come neo-presidente al Consiglio si trovò a dover affrontare, prima di tutto, l'ondata di diffuso malcontento che la politica crispina dell'aumento dei prezzi aveva provocato. Ed è questo primo confronto con le parti sociali che evidenzia la ventata di novità che Giolitti porta nel panorama politico dei cosiddetti "anni roventi": non più repressione autoritaria, bensì accettazione delle proteste e, quindi, degli scioperi purché non violente né politiche (possibilità, fra l'altro, secondo lui ancora piuttosto remota in quanto le agitazioni nascevano tutte la disagi di tipo economico). Questo per un motivo sostanziale: come da lui stesso sottolineato nella pronunciazione parlamentare in merito allo scioglimento, in seguito ad uno sciopero, della Camera del lavoro di Genova, sono da temere massimamente le proteste violente e disorganiche, naturale degenero di pacifiche manifestazioni represse con la forza: «Io poi non temo mai le forze organizzate, temo assai più le forze disorganiche perché se su di quelle l'azione del governo si può esercitare legittimamente e utilmente, contro i moti inorganici non vi può essere che l'uso della forza». Contro questa sua apparente coerenza si scaglieranno critici come Gaetano Salvemini che sottolineeranno come, ciononostante, perlomeno al Sud gli scioperi venissero sistematicamente repressi. L'intellettuale meridionale ha definito Giolitti un "ministro della malavita" proprio per questa sua disattenzione riguardo ai problemi sociali del Sud, che avrebbe provocato una regressione nel clientelismo di tipo mafioso e camorristico.
In ogni caso resta innegabile la tendenza, sfondo di tutta la sua attività politica, alla parlamentarizzazione dei conflitti sociali, parlamentarizzazione che avrebbe sicuramente trovato una concertazione tra le forze sociali per mezzo di una apposita legislazione.
Ciò si traduce nell'idea di Giolitti secondo cui le classi lavoratrici non sono pura opposizione allo stato - come fino ad allora erano state considerate - ma occorre prendere atto della loro legittimazione sul piano giudiziario ed economico ed è compito dello stato ergersi a mediatore neutrale tra le parti, tanto più che lo stato non dovrebbe farsi rappresentate delle minoranze ma anche delle moltitudine di lavoratori vessati fino alla miseria dalla legislazione fiscale e dello strapotere degli imprenditori nell'industria.
Per quanto riguarda il piano economico, per esempio, Giolitti era convinto che non fosse utile a nessuno tenere bassi i salari perché ciò, se da un lato non avrebbe consentito ai lavoratori di condurre una vita dignitosa, dall'altro avrebbe strozzato il mercato tendendo a provocare una sovrapproduzione di cui, dalla grande depressione, si vedevano ancora i fantasmi.
[modifica] Cariche politiche
- Presidente del Consiglio
- 15 maggio 1892 / 27 settembre 1892
- 23 novembre 1892 / 15 dicembre 1893
- 3 novembre 1903 / 12 marzo 1905
- 29 maggio 1906 / 8 febbraio 1909
- 24 marzo 1909 / 11 dicembre 1909
- 30 marzo 1911 / 29 settembre 1913
- 27 novembre 1913 / 21 marzo 1914
- 15 giugno 1920 / 7 aprile 1921
- 11 giugno 1921 / 4 luglio 1921
- Ministro degli Affari Interni
- 15 maggio 1892 / 28 novembre 1893
- 15 febbraio 1901 / 20 giugno 1903
- 3 novembre 1903 / 15 marzo 1905
- 30 maggio 1906 / 10 dicembre 1909
- 30 marzo 1911 / 20 marzo 1914
- 15 giugno 1920 / 4 luglio 1921
- Ministro delle Finanze (Tesoro)
- 9 marzo 1889 / 9 dicembre 1890
- Ministro degli Affari Esteri
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[modifica] Opere
- Giovanni Giolitti "Memorie della mia vita / Giovanni Giolitti" con uno studio di Olindo Malagodi. - Milano : F.lli Treves, 1922. - 2 v. (627 p. compl.)
[modifica] Bibliografia
- Wikiquote contiene citazioni di o su Giovanni Giolitti
- A.W. Salomone, L'età giolittiana, Torino, 1949
- G. Natale, Giolitti e gli italiani, Milano, 1949
- G. Ansaldo, Il ministro della buona vita, Milano, 1950
- P. Togliatti, Discorso su Giolitti, Roma, 1950
- G. De Rosa, Giolitti e il fascismo, Roma, 1957
- A. Frassati, Giolitti, Firenze, 1959
- G. Spadolini, Giolitti e i cattolici, 1960
- G. Carocci, Giolitti e l'età giolittiana, Torino, 1961
- S. F. Romano, L'Italia del Novecento. L'età giolittiana (1900-1914), Roma, 1965
- F. De Felice, Panorami storici. L'età giolittiana, in «Studi storici», fasc. I, 1969
- A. Berselli, L'Italia dall'età giolittiana all'avvento del fascismo, Roma, 1970
- N. Valeri, Giolitti, Torino, 1971
- A. Acquarone, L'Italia giolittiana, Bologna (1896-1915), 1988
- G. Negri (a cura di), Giolitti e la nascita della Banca d'Italia nel 1893, Bari, 1989
- R. Romanelli, L'italia liberale, Bologna, 1990
- E. Gentile, L'Italia giolittiana, Bologna, 1990
- A. A. Mola, Giolitti. Lo statista della nuova Italia, Milano, 2003.
Predecessore: | Presidente del Consiglio del Regno d'Italia | Successore: | |
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Antonio Starrabba | maggio 1892 - dicembre 1893 | Francesco Crispi | I |
Giuseppe Zanardelli | novembre 1903 - marzo 1905 | Tommaso Tittoni | II |
Sidney Sonnino | maggio 1906 - dicembre 1909 | Sidney Sonnino | III |
Luigi Luzzatti | marzo 1911 - marzo 1914 | Antonio Salandra | IV |
Francesco Saverio Nitti | giugno 1920 - luglio 1921 | Ivanoe Bonomi | V |