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Dolindo Ruotolo

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«Un amanuense dello Spirito Santo, una Sapienza infusa dall'alto, un taumaturgo di non minor presenza di San Pio da Pietrelcina, uno stigmatizzato di Cristo già nel nome, un figlio prediletto della Vergine iniziato alla sapienza delle Scritture, un servo fedele che volle essere il nulla del nulla in Dio e il tutto di Dio negli uomini
(Prof. Luca Sorrentino, biografo del Ruotolo)
Disegno di Padre Dolindo Ruotolo
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Disegno di Padre Dolindo Ruotolo

Dolindo Ruotolo (Napoli6 ottobre 1882 – Napoli19 novembre 1970) è stato un presbitero italiano  della Chiesa cattolica, terziario francescano, proclamato Servo di Dio..

Indice

[modifica] Vita

Nacque a Napoli, quinto degli undici figli di Raffaele Ruotolo, ingegnere e matematico, e Silvia Valle discendente della nobiltà napoletana e spagnola. Il nome Dolindo, datogli dal padre, significa "dolore", e fu dunque sempre visto, in seguito, come presagio della sua intera vita, sia da lui che da coloro che lo conobbero personalmente.

Di famiglia poverissima, Dolindo trascorse la sua infanzia tra stenti, operazioni chirurgiche[1], ristrettezze economiche e dure percosse da parte del padre. Inoltre, considerato nella propria famiglia poco intelligente, non venne nemmeno iscritto alle scuole elementari, e dovette imparare a leggere e scrivere da solo. All'età di dodici anni il padre riusci a farlo entrare con fatica al liceo "Genovesi", dove però il suo studio rimase totalmente infruttuoso.

Nel 1896, i coniugi Ruotolo, troppo diversi nel carattere, si separarono, e Dolindo, con il fratello Elio, venne avviato alla Scuola Apostolica dei Preti della Missione in via Vergini. Nemmeno li, inizialmente, riuscì a trarre un qualche frutto dagli studi. Poi, come egli racconta, un giorno, mentre pregava la Madonna insieme ai suoi compagni, la supplicò con umiltà:

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«Oh, mia dolce Mamma, se mi vuoi Sacerdote, dammi l'intelligenza, perché lo vedi che sono un cretino!»

e improvvisamente si assopì, cadendo in un sonno profondo; si racconta che l'immagine della Vergine che teneva in mano si mosse misteriosamente, toccandogli la fronte, e così come s'era assopito si risvegliò, ma, come dice egli stesso, ora con «la mia povera mente svelta e lucida».

Continuò dunque la Scuola Apostolica con quella rinnovata intelligenza, cominciò a scrivere poesie e poemi, durante le lezioni rispondeva alle domande con termini filosofici mai studiati, divenne in breve, da ultimo della classe, primo in assoluto. Ma questo, afferma, suscitò l'invidia dei suoi compagni, che cominciarono a schernirlo, umiliarlo e a screditarlo agli occhi dei Superiori; quest'ultimi, influenzati dalle voci malevole, cominciarono a vessarlo anch'essi. Ma Dolindo afferma anche di non aver mai reagito ad alcuna provocazione, poiché, come lui stesso dice,

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«avevo una gran sete di patire, e ringraziavo il Signore di quelle contrarietà, confidando solo in Lui.»

Conclusa la scuola, che aveva durata triennale, a fine 1899, fu ammesso al Noviziato degli stessi Preti della Missione; essi lo accolsero dopo altre contrarietà e sei lunghi mesi. Lì si ritrovò come compagno di cammino un precedente compagno di collegio che da sempre l'aveva odiato, e che fece di tutto per umiliarlo e contrastarlo in ogni parola che diceva. Riuscì a superare anche queste incomprensioni e concluse il Noviziato, prendendo i voti religiosi il 1º giugno 1901.

Altre avversità gli fecero ritardare l'entrata nello studentato, che durò fino al 1905. Durante questo periodo si applicò molto, a tutte le discipline di studio, anche se, secondo il suo giudizio, non riusciva più a vivere in perenne penitenza come durante il Noviziato. Inoltre, la morte del padre, giunta proprio in quel periodo, lo turbò molto, e fu anch'essa di ostacolo al suo cammino spirituale.

Nel 1903 chiese di andare in Cina come missionario; il Visitatore dell'Ordine gli rispose: «Dio le dà questo desiderio per prepararla alle sofferenze e all'Apostolato. Sarà martire, ma di cuore, non di sangue. Rimanga qui e non ne parli più».

Dolindo concluse lo studentato con successo, e fu ordinato sacerdote il 24 giugno 1905, nella piena gioia del suo spirito. Celebrò la prima messa il giorno seguente, assistito dal fratello Elio, già sacerdote.

Fu nominato prima di tutto professore dei chierici della Scuola Apostolica, dove s'applicò molto, come egli dice, a dare ai giovani studenti non solo semplici ed inutili nozioni, ma anche una formazione umana e cristiana che li aiutasse a crescere e a vivere.

Fu nominato anche maestro di canto gregoriano. In questo incontrò l'incomprensione dei superiori, che lo sanzionariono senza alcun motivo apparente per aver scritto un inno in onore di martiri; minacciarono di trasferirlo, e questo, narra, proprio nel momento in cui sua madre e suo fratello erano gravemente malati.

Fu mandato a Taranto insieme ad un altro sacerdote, che purtroppo usò con lui atteggiamenti di scarsa carità e considerazione, riprendendolo ed umiliandolo spesso davanti agli alunni di quel collegio, che già aveva tanti problemi di disciplina e di costumi. Tutto ciò portò nel 1907 al suo trasferimento da Taranto a Molfetta come insegnante nel seminario e maestro di canto gregoriano. Trascorse in questo luogo sei mesi, risollevandosi nello spirito, ma rammaricandosi incredibilmente di non avere più ogni giorno quelle mortificazioni che sentiva necessarie per la sua anima, tutta protesa verso il Cristo sofferente. A Molfetta poté lavorare per la riforma del seminario, e racconta che ottenne persino la conversione di un sacerdote peccatore.

Tale padre Volpe, appartenente alla stessa congregazione del Ruotolo, chiese la sua collaborazione per giudicare dei fatti e dei fenomeni straordinari che stavano avvendo per mano di Serafina Gentile, una signora di Catania che manifestava fenomeni mistici; padre Volpe ne aveva già dato un giudizio positivo.

Giunta la donna a Giovinazzo, vicino a Molfetta, padre Dolindo ebbe modo di confessarla ed esaminarla per otto giorni, sentendola parlare anche in estasi. Come padre Volpe, ne diede anch'egli un giudizio finale positivo. Rimase perplesso unicamente dal fatto della «manifestazione dello Spirito Santo in forma di bambino», che tacciò come «confusione» della donna.

La sua relazione fu travisata dal Superiore Generale: quella che era l'«affermazione di una «visione» fu distorta e divenne una «"incarnazione" dello Spirito Santo», e nonostante le spiegazioni di padre Dolindo, il Superiore rimase convinto che lui sostenesse quella che era considerata una vera eresia.

Il 29 ottobre 1907 fu richiamato a Napoli, intimato di non interessarsi più dei fatti straordinari della supposta veggente di Catania, e fu sospeso dalla celebrazione della Messa[2]. Egli racconta che tutti, nella casa di via dei Vergini, lo sfuggivano come uno scomunicato.

Il 4 dicembre 1907, partì per Roma per sottoporsi al giudizio dell'allora Sant'Uffizio, accusato d'essere un «eretico formale e dogmatizzante». Stette in esame circa quattro mesi, ma non ritrattò nulla di quanto aveva relazionato circa la veggente, poiché, come spiega, non voleva rinnegare l'opera di Dio di fronte a Dio, e non fece quindi mancare la sua solidarietà al suo superiore padre Volpe.

Sospeso dai Sacramenti, fu costretto a sottoporsi anche a perizia psichiatrica, dove risultò sano di mente.

Pochi giorni dopo i suoi superiori lo richiamarono a Napoli; era il 13 aprile 1908. La sua stessa congregazione lo minacciò di espulsione, cosa che avvenne il 15 maggio, per costrizione.

Tornò a casa sua, dove, dice, era visto ormai come eretico e scomunicato, disprezzato da amici e parenti; dovette persino accettare di essere esorcizzato, considerato anche come un posseduto dal demonio. I fatti furono riportati negativamente sulla stampa e travisati, per cui sia lui che padre Volpe si trovarono completamente emarginati.

Nella sua solitudine racconta che cominciò ad avere delle comunicazioni soprannaturali, per cui scriveva quanto gli veniva rivelato, specie da santa Gemma Galgani; il 22 dicembre 1909 racconta anche che Gesù gli parlò solennemente dall'Eucaristia.

Si spostò a Rossano, in Calabria, e da lì partì la richiesta di revisione della sua situazione, anche con l'aiuto di amici prelati, certi della sua dottrina e alcuni persino testimoni dei suoi doni soprannaturali. L'8 agosto del 1910 viene riabilitato dopo due anni e mezzo di «sospensione a divinis».

Per la seconda volta, nel dicembre 1911 venne convocato a Roma, dove alloggiò in una specie di carcere sacerdotale del Sant'Uffizio, e rimandato a Napoli nel 1912.

Subì un processo nel 1921, fu condannato ed «esiliato» di nuovo. Vennero messe in giudizio anche le locuzioni con Gesù che egli affermava di ricevere, mentre le critiche alle sue opere letterarie e teologiche furono aspre.

Venne definitivamente riabilitato il 17 luglio 1937.

Pur ricevendo ancora dolori ed incomprensioni, la sua vita di sacerdote ormai diocesano proseguì a Napoli, nella chiesa di San Giuseppe dei Nudi, di cui il fratello don Elio sarebbe stato parroco. Qui padre Ruotolo fu l'ideatore dell'«Opera di Dio», il cui senso era una rinnovata vita eucaristica, cioè il contatto personale e consapevole dell'uomo con Gesù vivo e vero, la disponibilità a lasciarsi trasformare pienamente in Lui, come rimedio ai tanti mali che affliggevano l'individuo e che si riflettevano su scala più ampia sul mondo intero.

Intorno a lui si radunarono tante giovani donne e uomini, tutti di cultura elevata e laureati, che formarono l'Opera "Apostolato Stampa", responsabile tuttora della diffusione in ogni luogo degli scritti di padre Dolindo.

Padre Ruotolo lasciò il monumentale Commento alla Sacra Scrittura in 33 grossi volumi, molte opere di teologia, ascetica e mistica, interi volumi di epistolari, scritti autobiografici e di dottrina cristiana.

Nel 1960 iniziò un altro calvario per padre Dolindo: un ictus gli immobilizzò il lato sinistro. Ancorché impedito, dal suo tavolino continuò a scrivere alle sue «figlie spirituali» sparse un po' dovunque, finché, dopo dieci anni di queste sofferenze fisiche, si spense il 19 novembre 1970.

Considerato un maestro della spiritualità napoletana e della Chiesa cattolica, riposa nella chiesa di San Giuseppe dei Nudi, dove si trova anche la tomba di suo fratello Elio.

Le «figlie spirituali» di don Dolindo tengono vivo il suo ricordo ed i suoi insegnamenti nella Piccola Casa della Scrittura.

Attualmente, dopo esser stato proclamato Servo di Dio, il suo processo di canonizzazione è in corso. Di lui ebbe modo di dire san Pio da Pietrelcina, ai napoletani che facevano pellegrinaggi da lui:

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«Perché venite qui, se avete Don Dolindo a Napoli? Andate da lui, egli è un santo.»

[modifica] Pensiero e devozione

[modifica] L'atto di abbandono a Gesù

La causa prima ed il fine ultimo della vita di don Dolindo è, come lui stesso afferma, la Passione di Gesù: ovvero, egli ha voluto e detto espressamente che la sua vita doveva essere un intero e totale atto di abbandono a Cristo, per prendere su di sé le sue piaghe e, di conseguenza, la sua gloria. Tale per lui non era solo una mera idea, ma era realmente convinto che ogni persona potesse, anche nel proprio quotidiano, fare «immolazione perenne» a Dio, delle proprie gioie e soprattutto delle proprie sofferenze, ricevendone cosí grazia di misericordia. Parlando in prosopopea, cioè per bocca di Cristo, egli scrive, infatti:

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«Perché vi confondete agitandovi? Lasciate a me la cure delle vostre cose e tutto si calmerà. Vi dico in verità che ogni atto di vero, cieco, completo abbandono in me, produce l'effetto che desiderate e risolve le situazioni spinose. Abbandonarsi a me non significa arrovellarsi, sconvolgersi e disperarsi, volgendo poi a me una preghiera agitata perché io segua voi, e cambiare cosí l'agitazione in preghiera. Abbandonarsi significa chiudere placidamente gli occhi dell'anima, stornare il pensiero dalla tribolazione, e rimettersi a me perché io solo operi, dicendo: pensaci tu. [...]»

E continua:

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«[...] Quante cose io opero quando l'anima, tanto nelle sue necessità spirituali quanto in quelle materiali, si volge a me, mi guarda, e dicendomi: pensaci tu, chiude gli occhi e riposa! Avete poche grazie quando vi assillate di produrle, ne avete moltissime quando la preghiera è affidamento pieno a me. Voi nel dolore pregate perché io operi, ma perché io operi come voi credete. Non vi rivolgete a me, ma volete voi che io mi adatti alle vostre idee; [...]»

Per padre Dolindo, dunque, gli uomini sbagliano assai quando, immersi nelle proprie agitazioni, pretendono che Dio li esaudisca a modo loro, invece di lasciare a lui ogni cosa. Quindi, tale è l'atto di abbandono finale che un'anima deve fare, secondo lui, per avere la grazia divina:

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«[...] Chiudi gli occhi e dí con tutta l'anima: Gesù, pensaci tu. Non temere, ci penserò e benedirai il Mio nome umiliandoti. Mille preghiere non valgono un atto solo di abbandono: ricordatelo bene. Non c'è novena più efficace di questa: "O Gesù, m'abbandono in Te, pensaci tu!"»
(Padre Dolindo Ruotolo, Opuscoli, Non voglio agitarmi, mio Dio: confido in Te)

[modifica] La preghiera come onnipotenza partecipata

Di padre Dolindo è propria l'esaltazione della preghiera, che per lui non è una semplice richiesta a Dio, bensí è l'ascesa al cuore dell'onnipotente, dove ogni cosa, appunto, diviene possibile secondo la Sua volontà. Infatti, il Ruotolo scrive, in un'altro suo pensiero:

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«Un'anima che prega compie un'opera più grande di tutte le attività umane, e concorre all'apostolato più di chi opera esternamente; l'aiuto di una sola preghiera vale molto più che l'aiuto di tutte le stesse potenze angeliche di Dio stesso, Uno e Trino. Chi prega è veramente armato, è forte e invincibile, perché la preghiera da sola sconcerta tutti i piani umani e diabolici, e può persino indurre Dio a piani nuovi di amorosa misericordia. La preghiera è una forza multipla, ammirabile, che ha efficacia sullo spirito e sulla materia, sulle creature e sul medesimo Creatore. [...]»

Il Ruotolo dunque antepone e sovrappone la preghiera ad ogni altra attività apostolica o benefica, che di per sé è secondaria, e persino infruttuosa, se non è subordinata all'offerta a Dio (la preghiera, appunto). Poiché infatti, per lui, essa ci fa giungere ad un piano superiore a quello fisico, cioè il piano metafisico della conoscenza e dell'amore per Dio, allora ci permette di «dominare» il piano fisico inferiore. Egli continua cosí:

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«[...] Vale più di tutti i mezzi, anche i più potenti, incatena le stesse leggi della natura, domina le forze più avverse ed è come l'onnipotenza partecipata a noi. Siamo a immagine di Dio: Dio infinito manifesta la Sua onnipotenza attraverso il Verbo Eterno che crea tutto; noi siamo ad immagine Sua anche in questo, poiché la preghiera è la parola arcana che ci rende praticamente potenti su tutte le forze create, e può persino indurre Dio a nuove manifestazioni di potenza. [...]»
(Padre Dolindo Ruotolo, Opuscoli, Onnipotenza partecipata)

[modifica] La devozione alla Vergine Maria

Don Dolindo era chiamato affettuosamente dai suoi concittadini «'O vecchiarello d'a Madonna» (cioè, il «vecchietto di Maria»), proprio in quanto egli ne celebrò sempre delle lodi che vengono considerate dalla Chiesa tra le più belle e profonde. Tra queste ve n'è una in particolare dove Dolindo ne celebra la verginità, intesa non solo sul piano strettamente fisico, ma anche e soprattutto sul piano morale, intellettuale e spirituale (e dunque assoluto). Infatti, egli scrive, ancora in prosopopea, come parlando per bocca di Maria:

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«[...] Mi chiamano Vergine Sacerdote. Il Sacerdozio è verginità dello spirito. L'anima che si apparta dal mondo e si dedica solo a Dio, non fa che sposare l'infinito amore, in luogo del terreno amore, e diventa sublimemente feconda. [...] La verginità non può consistere infatti soltanto in una proprietà fisica, ma è tutta l'attrazione dell'anima verso di Dio, è la consacrazione della propria vita a Dio, è l'amore vivo che trasporta l'anima fuori di sé e la immerge in Dio. [...]»

Dolindo chiama la Madonna con un'attributo non molto comune negli scritti religiosi (cioè «Vergine Sacerdote»), ma che per lui sta a significare l'intera e totale «attrazione» verso Dio, perfettamente manifestata da Maria. E continua cosí, sempre per bocca della Madonna:

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«[...] Ecco quello che fui io: Dio mi elesse per Sé fin dai secoli eterni, ed ordinò ai Suoi fini tutto il mio essere: ecco la più sublime verginità. Io non fui semplicemente appartata dagli uomini sulla terra, in modo da non dare ad essi la mia attività, ma fui appartata dall'universo. Primogenita avanti qualunque creatura, piano dei disegni di Dio, tutto l'universo divenne per me il mezzo per lodare e per amare Dio, e l'essere mio fu veramente e completamente inviolato, integro e casto come canta la Chiesa. [...]»

La visione del Ruotolo della Vergine è assai trascendentale e mistica, quasi misterica, ed egli continua:

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«[...] Fui immacolata proprio perché venni sulla terra e l'anima mia si congiunse al corpo umano quando già era stata ordinata all'universo per la gloria di Dio, al mondo soprannaturale, per la Grazia, della quale dovevo essere depositaria. [...] Io, dunque,sono vergine non solo nel piccolo senso che voi date a questa sublime parola, ma sono vergine inviolata in tutta la mia vita e in tutta la mia attività. [...]»
(Padre Dolindo Ruotolo, Fui chiamato Dolindo, che significa dolore)

[modifica] Opere

  • Chi morrà vedrà (sul Purgatorio e sul Paradiso)
  • Commento alla Sacra Scrittura (in 33 volumi)
  • Così ho visto l'Immacolata
  • Dalla sorgente rivoli di luce
  • Don Dolindo e il Sant'Uffizio (lettere da Roma)
  • Epistolari (lettere in 3 quaderni)
  • Fui chiamato Dolindo, che significa dolore (autobiografia)
  • Fuoco che non riposa
  • I fioretti di Don Dolindo (raccolta di pensieri, aneddoti, parabole)
  • Il piccone che scava brillanti
  • La dottrina cattolica (catechismo)
  • Maria... chi mai sei tu?
  • Nei raggi della grandezza e della vita sacerdotale
  • Opuscoli (raccolta di preghiere, sermoni, pensieri)
  • Slanci di amore a Gesù e a Maria
  • Una profonda riforma del cuore alla scuola di Maria
  • Vieni, o Spirito Santo!

[modifica] Note

  1. A 11 mesi subì una operazione chirurgica sul dorso delle mani, per un osso cariato, poi un altro intervento per un tumore sotto la guancia che interessò anche le ghiandole.
  2. Anche padre Volpe era stato richiamato da Catania e sospeso.

[modifica] Bibliografia

  • Chi era Padre Dolindo? (lettera da Grazia Ruotolo, nipote di don Dolindo)

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

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