Tiberio Sempronio Gracco (figlio di Tiberio)
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Tiberio Sempronio Gracco (Roma, 163 a.C. - ivi 132 a.C.). Figlio maggiore dell'omonimo Tiberio Sempronio Gracco e di Cornelia, figlia di Publio Cornelio Scipione Africano.
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[modifica] Gli esordi
Poco più che fanciullo fece parte dei sacerdoti Auguri grazie anche all'approvazione dell'influente senatore Appio Claudio che poco più tardi gli darà in moglie la figlia Claudia. Nel 146 a.C. all'età di diciassette anni militò in Libia sotto il comando del cognato Scipione Emiliano. Nove anni dopo al suo ritorno a Roma venne eletto questore e dovette partire per la guerra contro i Numantini sotto il comando del console Gaio Mancino.
L'esito della guerra fu disastroso e una volta messi in fuga i Romani i nemici si dichiararono disposti a trattare soltanto con Tiberio Gracco, memori delle gesta del padre che in passato era stato loro alleato.
Accettò di trattare con i Numantini anche per recuperare le il diario e le tavole del suo ufficio di questore che erano state rubate nel saccheggio successivo ala fuga romana. Tornato a Roma fu accusato e biasimato per il suo gesto, ma il popolo e le famiglie dei soldati scampati al massacro lo acclamarono come un salvatore.
[modifica] Il tribunato della plebe
Fu eletto tribuno della plebe nel 133 a.C. e la sua prima vera iniziativa fu quella di compilare una legge, con l'aiuto del pontefice massimo Crasso e del console Muzio Scevola, per la redistribuzione delle terre del suolo italico, usurpate dai ricchi ai più poveri e offerte ai forestieri per la lavorazione. La legge limitava l'occupazione delle terre dello stato a 125 ettari e riassegnava le terre eccedenti ai contadini in rovina. Una famiglia nobile poteva avere 500 iugeri di terreno, più 250 per ogni figlio, ma non più di 1000; I terreni confiscati furono distribuiti in modo che ogni famiglia della plebe contadina avesse 37 iugeri.
Il provvedimento era sostenuta dal popolo anche attraverso scritte sui maggiori monumenti e sulle pareti dei portici di Roma fu ricusata sdegnosamente dai ricchi che tenatrono inutilmente di incitare una rivolta contro Tiberio.
I possidenti si appoggiarono allora ad un altro tribuno della plebe, il giovane Marco Ottavio, che accettò di porre il veto alla legge agraria. Tiberio in risposta al veto scrisse una legge ancora più restrittiva per i possidenti terrieri e iniziò così una sfida tra i due tribuni che quotidianamente si cimentavano in senato in dure sfide oratorie. Con un nuovo editto proibì ai magistrati di intraprendere affari sino alla votazione della legge e questi come risposta si dimisero dalle loro cariche arrivando anche ad assoldare sicari per far uccidere Tiberio.
Il giorno nel quale il popolo fu chiamato a votare i nemici di Tiberio asportarono le urne creando gran tumulto, ma lo scontro fu evitato anche grazie alla mediazione dei consolari Manlio e Fulvio che lo convinsero a rimettersi al senato. La discussione in assemblea fu però infruttuosa e così Tiberio fu costretto a proporre la destituzione di Ottavio che il giorno dopo fu approvata dal concilio della plebe portando così anche all'approvazione della legge; ma il clima era sempre infuocato e nonostante i gesti distensivi di Tiberio nei confronti dell'avversario, Ottavio fu a fatica sottratto dalle grinfie della folla inferocita.
Sorvegliare l'equità della divisione spettò, oltre allo stesso Tiberio, al suocero Appio Claudio e al fratello Gaio Gracco. Intanto l'opposizione dei più ricchi si faceva sempre più estenuante e andava dal rifiuto di costruire un edificio pubblico preposto alla causa della legge agraria fino all'avvelenamento di un amico di Tiberio.
alla sua morte il re di Pergamo Attalo III Filopatore lasciò in eredità le sue terre e le sue ricchezze al popolo romano. Tibeio propose che il suo patrimonio fosse destinato all'acquisto di sementi e attrezzi agricoli per i nuovoi proprietari e che le nuove terre fossero anch'esse divise tra la plebe.
Intanto i suoi amci pensarono di farlo candidare nuovamente al tribunato (andando contro la Lex Villia del 180 a.C.) e perciò doveva in tutti i modi accattivarsi in maniera esponenziale i favori della plebe. Propose leggi sull'abrogazione del servizio militare per lungo tempo, sulla concessione del diritto all'appello contro tutti i magistrati e sull'ingresso in senato di un maggior numero di cavalieri.
Il giorno della votazione non disponeva però della maggioranza ed i suoi alleati fecero ostruzionismo fino al rinvio dell'assemblea al giorno dopo: Tiberio scoppiò a piangere per paura di possibili attentati alla sua persona suscitando commozione nel popolo che si offrì di sorvegliare la sua casa durante la notte.
[modifica] L'assassinio
La mattina seguente al Campidoglio, dove era radunato il popolo per votare, c'era un tale rumore che non si riusciva a parlare. Tiberio fu informato che i suoi nemici avevano un piano per uccidere il console Muzio Scevola e negli sviluppi dell'assemblea cominciò a diffondersi il panico, con i sostenitori di Tiberio che impugnarono le lance come per difendersi.
I nemici di Tiberio corsero al Senato e denunciarono il fatto: il senatore Nasica esortò i suoi a far rispettare la legge e i suoi partigiani marciarono armati fino al Campidoglio. Ne seguì una carneficina nella quale persero la vita oltre trecento cittadini romani e tra loro lo stesso Tiberio. Il suo cadavere fu gettato nel Tevere e i suoi amici condannati a morte o esiliati senza processo.
Il senato non si oppose però alla spartizione delle terre ed elesse come nuovo esecutore il suo parente Publio Crasso. Nasica fu ripetutamente offeso e minacciato ed il senato decise di mandarlo in Asia per precauzione. La sua opera sarà poi continuata dal fratello Gaio.
[modifica] Fonti bibliografiche
- Plutarco - La vita di Tiberio Gracco