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Pila a combustibile - Wikipedia

Pila a combustibile

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Cella a combustibile per uso spaziale
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Cella a combustibile per uso spaziale

Una pila a combustibile (detta anche cella a combustibile del nome inglese fuel cell) è un dispositivo elettrochimico che permette di ottenere elettricità direttamente da certe sostanze, tipicamente da idrogeno ed ossigeno, senza che avvenga alcun processo di combustione termica.

Pertanto, non essendo il processo soggetto al limite di Carnot, l'efficienza delle pile a combustibile può essere molto alta; alcuni fenomeni però, come la catalisi e la resistenza interna, pongono limiti pratici alla loro efficienza.

Indice

[modifica] Principio di funzionamento

[modifica] I limiti della combustione

Principio di funzionamento
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Principio di funzionamento

Il principio alla base, delle pile a combustibile è quello della generazione diretta, a partire dalle sostanze reagenti (per esempio idrogeno ed ossigeno) di una forza elettromotrice per mezzo di una reazione elettrochimica, in modo analogo alle pile elettriche, anziché attraverso processi di conversione di energia, come si fa invece nei generatori elettrici azionati da macchine a combustione termica. Infatti, il calore generato dalla combustione non può essere completamente convertito in elettricità a causa dei limiti imposti dal teorema di Carnot, che consegue dal secondo principio della termodinamica: in base a esso, la massima efficienza ηmax di una macchina termica che opera tra una temperatura Ta e una temperatura più bassa Tb (per esempio l'ambiente) è:

\eta_{max}=1-\frac{T_b}{T_a}

Anche nelle macchine termiche più efficienti, quali le turbine a gas combinate con turbine a vapore, a causa dei limiti dei materiali di costruzione, raramente l'efficienza può superare il 60%, e questo può avvenire impianti a ciclo combinato di elevata potenza. Nei motori a combustione delle più moderne automobili, l'efficienza è spesso al di sotto del 30%.

[modifica] La conversione elettrochimica

La reazione elettrochimica si basa sull'idea di spezzare le molecole del combustibile o del comburente (di solito ossigeno atmosferico) in ioni positivi ed elettroni; questi ultimi, passando da un circuito esterno, forniscono una corrente elettrica proporzionale alla velocità della reazione chimica, e utilizzabile per qualsiasi scopo.

In pratica, la scelta dei combustibili è molto limitata, perché ionizzare molte molecole è difficile, e la reazione risulta avere una grande energia di attivazione, che a sua volta rallenta la reazione e rende l'uso pratico impossibile. L'idrogeno è un gas in grado di essere ionizzato facilmente, perché la sua molecola è costituita da due atomi legati da un legame relativamente debole (H-H); molto più debole, per esempio, di quello tra atomi di idrogeno e carbonio nella molecola del metano (CH4). Il comburente piu tipicamente usato è l'ossigeno dell'aria: non solo reagisce con l'idrogeno dando un prodotto innocuo come l'acqua, ma è anche disponibile in abbondanza e gratuitamente dall'atmosfera. Tuttavia, il doppio legame (O=O) tra gli atomi nella molecola dell'ossigeno è più forte che nel caso della molecola di idrogeno, e l'ossigeno rappresenta spesso un ostacolo maggiore nella catalisi delle reazioni elettrochimiche; si parla in gergo tecnico di sovratensione catodica, visto che l'ossigeno viene consumato al catodo della cella, e che una parte della tensione generata dalla cella viene assorbita per promuovere la reazione dell'ossigeno.

[modifica] L'efficienza in termini termodinamici

L'efficienza delle pile a combustibile indica il rapporto tra l'energia prodotta dalla pila a combustibile, e l'energia fornita alla pila stessa. Questo rapporto è spesso calcolata come il lavoro W ottenuto diviso l'entalpia di reazione:

\eta_{I} = \frac{W}{\Delta H_{r}^{0}}

L'entalpia è scelta perché rappresenta il calore generato dalla reazione nel caso di combustione. Tale definizione, sebbene permette un confronto diretto con i motori termici, può generare dei problemi di interpretazione. Nel caso di una cella a combistibile ideale, infatti, il lavoro prodotto, coincide con la variazione dell'energia libera di Gibbs. Il rendimento di una cella a combustibile reversibile vale dunque:


\eta_{I,rev} = \frac{\Delta  G_{r}^{0}}{\Delta H_{r}^{0}}

ma essendo:

\Delta G=\Delta H-T\,\Delta S

il rendimento ideale può essere scritto come:

\eta_{I,rev} = 1- T\, \frac{\Delta  S_{r}^{0}}{\Delta H_{r}^{0}}

Nel caso in cui il il gas anodico è rappresentato da idrogeno, tale valore si attesta a circa 0.7. Possibili problemi di interpretazione del significato fisico di tale parametro nascono quando altri combustibili vengono considerati. Esistono dei combustibili per i quali la variazione di entalpia risulta essere negativa e la variazione di entropia positiva, generando valori superiori ad 1, in apparente contraddizione con il primo principio della termodinamica. Nel caso del carbone utilizzato in modo diretto come combustibile (Direct Carbon Fuel Cell, da non confondere con le Direct Carbonate Fuel Cell), la varizione di entropia risutla essere quasi nulla, ottenendo un valore unitario del rendimento ideale. Per risolvere l'apparente contraddizione con il primo principio della termodinamica, basta notare che il denominatore dell'espressione fornita non tiene conto di tutta l'energia fornita alla fuel cell. Se la variazione di entalpia è negativa, infatti, il processo risulta essere endotermico, cioe ha bisogno di calore dall'esterno per poter avvenire. In tal caso il denominatore dell'espressione fornita per il rendimento non rappresenta tutta l'energia fornita alla cella a combustibile, ma soltanto una parte. Ne consegue che una corretta definizione di rendimento dovrebbe integrare anche eventuali fonti di energia aggiuntive.

In ogni modo, questo approccio è però qualitativamente scorretto perché il massimo lavoro ottenibile è sempre dato dall'energia libera di Gibbs della reazione, che ha un valore che diminuisce con la temperatura; una definizione più corretta è pertanto:

\eta_{II} = \frac{W}{- \Delta G_{r}^{*}}

Dove lo stato * indica lo stato in cui i reagenti sono disponibili (idrogeno in pressione nei cilindri, ossigeno atmosferico alla pressione parziale di 20 chilo pascal).

La prima definizione usa l'entalpia, che rappresenta il calore prodotto dalla reazione a pressione costante; l'efficienza ηI rappresenta pertanto la frazione di calore trasformata in elettricità. La seconda definizione usa l'energia libera di Gibbs, la cui definizione implica l'uso dell'entropia S:

G=H-T\,S

Si parla quindi di ηI come l'efficienza secondo il primo principio (della termodinamica), e di ηII come l'efficienza secondo il secondo principio. Sebbene la prima sia usata più spesso nelle pubblicazioni scientifiche, la seconda ha un valore teorico meglio fondato.

Alcune pubblicazioni anche prestigiose, come il libro di Larminie e Dicks "Fuel Cell Systems Explained" (ISBN 0-471-49026-1), sostengono l'uso della prima versione perché "la seconda indicherebbe sempre un valore unitario", e non sarebbe pertanto utile. Al contrario, Adrian Bejan, nel suo libro "Advanced Engineering Thermodynamics" (ISBN 0-471-14880-6) indica che proprio la costanza del valore della massima efficienza ottenibile fornisce un comodo punto di riferimento per confrontare i dati reali con la massima efficienza prevista dalla teoria.

[modifica] Problemi connessi all'uso dell'idrogeno nelle pile a combustibile

I problemi connessi all'uso dell'idrogeno come combustibile sono essenzialmente la sua scarsa densità energetica su base volumetrica (mentre su base massica essa è notevole), che richiede cilindri in pressione, stoccaggio criogenico a 20 kelvin, o uso di tecnologie come gli idruri metallici; nessuna di queste soluzioni è particolarmente pratica. Questo ha portato alcuni ricercatori a sperimentare pile con altri combustibili, soprattutto metanolo e acido formico; in entrambi i casi, la densità di potenza prodotta dalla pila è ridotta, e le applicazioni sono ridotte all'elettronica (in particolare cellulari e laptop); ciò è dovuto essenzialmente all'aumento della sovratensione anodica per promuovere la reazione del combustibile, che nel caso del metanolo ha anche la caratteristica di passare attraverso la membrana che separa catodo e anodo, riducendo l'efficienza ottenibile.

Alternativamente, del metanolo può essere riformato in idrogeno, ma questo processo produce anche monossido di carbonio (CO), un composto che anche in piccole quantità (pochi ppm) può bloccare completamente il funzionamento delle celle a bassa temperatura finora considerate per l'autotrazione. L'ingombrante equipaggiamento di purificazione aumenta la complessità del controllo del sistema e ne riduce le prestazioni dinamiche.

La sicurezza è spesso citata come un grave problema, ma in realtà l'idrogeno è spesso più sicuro della benzina usata oggi. Eventuali fughe di idrogeno non rimangono a terra, ma fuggono rapidamente verso l'alto, data la leggerezza del gas; da qui la necessità di lasciare sempre una via di fuga per l'idrogeno nelle stazioni di rifornimento e nei garage, per evitarne l'accumulo. Tuttavia, l'idrogeno forma facilmente miscele esplosive con l'aria, e per avviare la combustione è spesso sufficiente solo un debole campo elettrostatico, come quelli che si formano nelle giornate ventose.

[modifica] Tipi di pile a combustibile

[modifica] Pile a membrana a scambio protonico

Le pile a combustibile più note sono le pile a membrana a scambio protonico, o "PEM". In esse, l'idrogeno si separa in protoni ed elettroni sull'anodo; i protoni possono passare attraverso la membrana per raggiungere il catodo, dove reagiscono con l'ossigeno dell'aria, mentre gli elettroni sono costretti a passare attraverso un circuito esterno per raggiungere il catodo e ricombinarsi, fornendo potenza elettrica. Il catalizzatore presente sugli elettrodi è quasi sempre il platino, in una forma o in un'altra.

Le PEM sono di vari tipi, ma le più comuni usano il Nafion, prodotto dall'azienda chimica DuPont, come materiale per le proprie membrane. Il Nafion è fondamentalmente un polimero persulfonico, che è in grado di trattenere delle "pozze" d'acqua al suo interno, attraverso le quali i protoni possono passare sotto forma di ioni H3O + . L'uso dell'acqua impone che la pila rimanga sempre al di sotto dei 100°C, o li superi solo se opportunamente pressurizzata; ciò causa problemi per quanto riguarda il raffreddamento della pila, che richiede un circuito di raffreddamento opportuno se la potenza prodotta supera un certo livello. Il fatto che l'acqua possa evaporare e che venga prodotta continuamente dalla reazione porta a due problemi speculari: la disidratazione della membrana, che avviene quando buona parte dell'acqua della membrana evapora riducendo la sua conducibilità protonica (i protoni non possono più passarci attraverso); e il flooding, letteralmente inondazione, che avviene quando l'acqua si accumula negli elettrodi (catodico e/o anodico) impedendo ai reagenti (ossigeno e/o idrogeno) di raggiungere i siti catalitici. In entrambi i casi, il funzionamento della pila è impedito.

Il catalizzatore al platino è molto sensibile all'avvelenamento da monossido di carbonio, e il livello di questo deve essere mantenuto al di sotto di 1 ppm. Con l'uso di catalizzatori al platino e rutenio, si può arrivare a una tolleranza di 10 ppm. Il monossido di carbonio può accompagnare l'idrogeno se esso arriva da una fase di reforming di altri combustibili (principalmente metanolo e metano).

Un nuovo tipo di membrana è il polibenzimidazolo, un materiale relativamente economico (si usa nelle tute antincendio dei pompieri), bagnato nell'acido fosforico. Le pile a membrana di polibenzimidazolo (o PBI) possono lavorare a temperature tra i 125 e i 200°C, riducendo le perdite dovute alla catalisi. Inoltre, non presentano problemi di disidratazione o flooding, e l'alta temperatura permette una tolleranza molto maggiore al monossido di carbonio: è stato dimostrato che delle pile PBI a 200°C possono funzionare, sebbene a potenza ridotta, anche con concentrazioni di CO superiori al 10%, una quantità che ucciderebbe facilmente una persona (la concentrazione letale di CO è 3760 ppm).

Variazioni sul tema delle PEM sono pile dirette a metanolo o ad acido formico, dove si usa un combustibile liquido. Entrambi i tipi di pila hanno basse densità di potenza e sono adatti soprattutto alle applicazioni di bassa potenza e quando sicurezza o praticità impediscono l'uso di gas, come nella microelettronica. Le pile ad acido formico non usano un catalizzatore anodico al platino, ma uno al palladio perché la reazione da promuovere è diversa.

[modifica] Pile a ossido solido

Le pile a ossido solido (SOFC) lavorano ad altissime temperature (da 800 a 1000°C) e sono costituite da materiali ceramici, la cui fragilità di solito ne sconsiglia l'uso in applicazioni mobili; inoltre, il loro avvio è molto lento, e necessita di circa 8 ore. Sono quindi pensate soprattutto per la generazione stazionaria di elettricità. In esse, l'ossigeno passa attraverso un materiale ceramico (zirconia drogata con ossido d'ittrio) per raggiungere il combustibile.

I combustibili nelle pile a ossido solido possono essere diversi: oltre all'idrogeno, anche gli idrocarburi e perfino il monossido di carbonio possono generarvi elettricità. Gli idrocarburi possono effettuare il cosiddetto "reforming interno", grazie alle alte temperature raggiunte. L'alta temperatura può anche essere utilizzata a valle della pila in un ciclo termico, ottenendo un impianto combinato.

[modifica] Altre

Altri tipi di pile a combustibile sono:

  • Le pile ad acido fosforico (PAFC), considerate una tecnologia "matura" e dalla quale non ci si aspettano ulteriori avanzamenti.
  • Le pile alcaline (AFC), che non sono più considerate pratiche perché non tollerano la presenza di CO2, presente nell'atmosfera. Sono state usate nelle missioni Apollo e nello Space Shuttle.
  • Le pile a carbonato fuso (MCFC), ad alta temperatura (circa 600°C) presentano problemi nella gestione di un liquido corrosivo ad alta temperatura.
  • Le pile a metanolo diretto (DMFC), a bassa temperatura, utilizzano un combustibile liquido (metanolo CH3OH) ed aria in ingresso preriscaldata a circa 80°C. La soluzione (ad esempio al 3%) reagisce all'anodo con l'acqua dando luogo a CO2 e ioni H+ (oltre naturalmente ad elettroni): come catalizzatori si usano leghe Platino-Rutenio e si ottengono densità di potenza (all'epoca della fonte: 2003) intorno ai 100 mW/cm2 di superficie di cella.

[modifica] Applicazioni

Cella a combustibile installata in una automobile
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Cella a combustibile installata in una automobile

L'applicazione che tutti ricordano delle pile a combustibile è l'auto a idrogeno. Però le pile a combustibile hanno molte più applicazioni, e spaziano su un ampio intervallo di potenza: dai cellulari alle centrali elettriche. I costi e la competizione di tecnologie mature come il motore a combustione interna, le batterie al litio e le turbine a gas hanno finora impedito la commercializzazione su ampia scala delle pile a combustibile.

[modifica] Produzione industriale e costi

Una grande parte del costo delle pile a combustibile è dovuta al processo di produzione attualmente seguito, fondamentalmente artigianale e su ordinazione. I clienti sono spesso istituti di ricerca, e non automobilisti. È quindi ampiamente fondata la voce secondo cui, il giorno in cui le pile a combustibile fossero adottate su larga scala, i prezzi precipiterebbero, così come è recentemente avvenuto per i computer.

Il costo del platino necessario alle pile a bassa temperatura è in realtà una piccola parte del costo di fabbricazione, grazie alle moderne tecniche di dispersione del catalizzatore. Però, va sottolineato come, anche con queste tecniche che permettono di usare meno catalizzatore, la sostituzione di tutto il parco veicoli mondiale con veicoli a pile a combustibile necessiterebbe una quantità di platino ampiamente superiore (si stima un fattore di circa 4) alle riserve planetarie. Al momento, una ampia parte del costo è assorbita dalle piastre bipolari, che sono contemporaneamente il lato catodico di una cella e quello anodico della successiva, che fanno passare attraverso canali tortuosi (per aumentare la turbolenza e accelerare la diffusione) l'aria da un lato e il combustibile dall'altro, e contengono spesso dei canali per il liquido di raffreddamento. Il materiale non è in sé costoso, ma il processo di lavorazione è lungo e laborioso.

[modifica] Elettronica

Ci si aspetta che l'elettronica, dove la potenza fornita e l'efficienza non sono parametri particolarmente importanti, sarà il primo campo di applicazione delle pile a combustibile nel mondo reale. Oltre a cellulari che funzionano a cartucce di metanolo, sono allo studio computer portatili e gruppi di continuità da usare in caso di black-out. Toshiba ha già sviluppato due prototipi di lettori MP3 alimentati da pila a combustibile a metanolo e si prevede una larga diffusione di questa tecnologia nei dispositivi elettronici di uso comune a partire dal 2007.

[modifica] Propulsione veicolare

Prototipo di automobile basata su celle a combustione
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Prototipo di automobile basata su celle a combustione

L'efficienza e l'affidabilità raggiunta in circa un secolo di sviluppo dai motori a combustione interna non sono facilmente raggiungibili da una tecnologia che solo recentemente è stata adattata all'uso su quattro ruote. Tuttavia, i progressi si succedono in continuazione, e alcuni paesi (soprattutto l'Islanda, ricca di energia ma senza riserve di petrolio) sono particolarmente attivi nello sostegno alla ricerca. Una buona parte dei problemi in questo ambito non riguarda direttamente le pile, ma lo stoccaggio dell'idrogeno a bordo del veicolo. In generale, ci sono cinque modi principali di stoccare idrogeno su un veicolo:

  • Gas compresso: le bombole più recenti possono resistere fino a una pressione nominale di 70 megapascal (700 volte la pressione atmosferica), usando materiali compositi. C'è stato uno sviluppo impressionante negli ultimi anni, nei quali la massima pressione ammissibile in questi contenitori è passata da 20, a 30, a 70 MPa. Sono adatti per mezzi a uso irregolare e di piccole dimensioni (scooter, automobili private).
  • Idrogeno liquido: il contenitore è in pratica un grosso thermos. L'idrogeno liquido deve rimanere a una temperatura di 20 kelvin, o -253°C. L'uso di idrogeno liquido evita il problema di avere una bombola in pressione, e permette di utilizzare contenitori più grandi. Un problema critico è l'isolamento termico che deve essere il più efficiente possibile perché, se lasciata inattiva per un certo periodo di tempo, la riserva di idrogeno inizierà a produrre pressione, che andrà rilasciata nell'atmosfera bruciando l'idrogeno eccedente con un sistema automatico. Per questo motivo l'idrogeno liquido è più adatto a veicoli dall'uso regolare e di grandi dimensioni (camion, bus); inoltre, sarebbe un buon metodo di conservazione dell'idrogeno nelle stazioni di servizio.
  • Metanolo: una soluzione di metanolo (CH3OH) molto diluita si può ben prestare ad alimentare le celle a metanolo diretto (Direct Methanol Fuel Cell, DMFC). L'attuale (2003) densità di potenza è scarsa per le applicazioni veicolari ma interessante per l'alimentazione di dispositivi portatili. Il doppio vantaggio degli auspicabili sviluppi nell'autotrazione è di poter appoggiare questa tecnologia all'attuale infrastruttura di distribuzione del carburante e di non dover disporre di un reformer a bordo per la produzione di idrogeno.
  • Idruri metallici: l'idrogeno reagisce con una serie di metalli (alluminio, boro, magnesio ecc.) e le loro combinazioni per formare idruri in condizioni normali. La reazione genera un po' di calore, e in alcuni casi risulta, sorprendentemente, in una maggiore densità di idrogeno per volume di idruro che nello stesso idrogeno liquido. Tuttavia, per rilasciare l'idrogeno è necessario l'apporto di calore, che non è sempre disponibile all'avvio di un'automobile. Durante l'uso, il calore può essere fornito dalla pila a combustibile stessa. Gli idruri sono una tecnologia nuova che non è altrettanto semplice come le due precedenti, ma offre ampi margini di miglioramento.
  • Nanotubi di carbonio: dopo un periodo di grande entusiasmo iniziale, fomentato da sorprendenti risultati sperimentali indicati da alcuni autori, si è scoperto che i dati iniziali non erano riproducibili (un eufemismo dell'ambiente scientifico per dire "inventati", o peggio). La necessità di temperature bassissime per l'assorbimento dell'idrogeno (60 kelvin) nei tubi, e la scarsa comprensione di come questi potrebbero essere prodotti su scala industriale, ha portato a una rapida diminuzione dell'interesse per questa forma di stoccaggio.

[modifica] Insieme a impianti a energia intermittente

Una delle critiche mosse all'energia solare e all'energia eolica è spesso che, non essendoci sempre sole o vento, e non essendo questi comunque costanti, la quantità di energia disponibile è variabile e non corrispondente al bisogno. L'uso di elettrolizzatori, di unità di stoccaggio dell'idrogeno e di pile a combustibile permette di conservare l'energia in eccesso per i momenti in cui la fonte di energia non è disponibile (notte, inverno, vento debole o troppo forte).

Questi sistemi autonomi a idrogeno consistono spesso di una o più sorgenti primarie (sole, vento, energia idroelettrica), un ciclo a idrogeno (elettrolisi, stoccaggio, consumo) e una batteria per lo stoccaggio di breve periodo. La batteria è giustificata dal fatto che il ciclo a idrogeno ha, tipicamente, delle efficienze da giro completo tra il 30 e il 40%, e andrebbe utilizzato solo per il lungo periodo. Per le variazioni più rapide, una batteria risulta essere più efficiente. Non sarebbe possibile usare solo una batteria perché essa sarebbe di dimensioni inaccettabili (per ingombro, costi, rischi ambientali ecc.). Con questi sistemi combinati è possibile arrivare ad efficienze del 65% o oltre, dove l'efficienza è definita come l'energia consegnata alle utenze diviso quella proveniente dalla fonte.

[modifica] Centrali elettriche

Le pile ad ossido solido sono adatte anche per l'uso industriale in larga scala, e la loro capacità di essere combinate in cicli ad alta efficienza le rende un modo interessante per produrre elettricità. Tuttavia, anche qui, i prezzi sono ancora troppo elevati per essere concorrenziali, e gli impianti attuali sono essenzialmente dimostrativi. Sono comunque state indicate efficienze termiche fino al 70% per questi cicli combinati (pila + turbogas).

[modifica] Storia

I primi esperimenti vennero fatti da Sir William Robert Grove nel 1839 sulla base del lavoro teorico sviluppato da Christian Friedrich Schönbein, con elettrodi porosi di platino ed acido solforico come bagno elettrolita. La miscela di idrogeno ed ossigeno in presenza di un elettrolita produceva elettricità e, come unico scarto d'emissione, acqua. Sfortunatamente non producevano abbastanza elettricità da essere utili all'epoca.

William White Jaques usò invece come bagno elettrolita acido fosforico al posto dell'acido solforico, ma i risultati furono scarsi.

La svolta avviene nel 1932 con il Dr. Francis T. Bacon. Invece di utilizzare elettrodi porosi in platino, molto costoso, ed acido solforico, assai corrosivo, come bagno elettrolita, il Dr. Bacon decise di utilizzare un elettrodo poco costoso, in nickel, ed un elettrolita alcalino meno corrosivo. Perfezionò il suo progetto fino al 1959, dimostrandone l'efficacia con una saldatrice alimentata da una pila da 5 Kilowatt. Francis T. Bacon, un discendente diretto dell'altro famoso Francis Bacon chiamò così la sua famosa pila la "Cella Bacon" (in inglese Bacon Cell).

Già nell'ottobre del 1959, Harry Ihrig, un ingegnere della Allis-Chambers, mostrò un trattore da 20 cavalli alimentato da pile a Combustibile. Questo fu il primo veicolo alimentato con questa fonte energetica.

Pochi anni dopo, nella prima metà degli anni '60, un'industria Statunitense, la General Electric, produsse un sistema che aveva il fine di generare energia elettrica basato sulle celle a combustibile, destinato alle navicelle spaziali Gemini ed Apollo della NASA. I principi della "cella Bacon" furono la base per questo suo progetto.

Oggi l'elettricità per lo Shuttle è fornita da celle a combustibile, ed alcune di queste celle provvedono anche alla creazione d'acqua per l'equipaggio.

Il Dr. Lawrence H. DuBois del Dipartimento di Difesa e dell'Agenzia per Progetti di Ricerca Avanzata (DARPA) ideò una cella a combustibile che poteva essere alimentata da diversi idrocarburi sotto forma liquida (metano, etanolo, ecc.). Chiamò così il Dr. Prakash, un celebre esperto di acidi ed il Dr. Olah, entrambi dell'Istituto di Idrocarburi Loker dell'Università del Sud della California (USC) per sviluppare questa cella a combustibile. La USC, in collaborazione con il Jet Propulsion Laboratory (JPL)/Istituto Tecnologico della California (Cal Tech) inventarono così l'ossidazione diretta di idrocarburi liquidi, seguentemente coniata DMFC o Cella a Combustibile con alimentazione diretta al metanolo.

La DTI ha acquistato in esclusiva mondiale i diritti di licensing per l'Ossidazione Diretta di Idrocarburi Liquidi, la tecnologia DMFC. Il Presidente e CEO della DTI, Todd Marsh prevedendo il futuro impatto di questa nuova e pulita alternativa ai combustibili fossili, si offrì di aiutare a commercializzare questa tecnologia.

Oggi la tecnologia DMFC è largamente considerata come una tecnologia utile e conveniente in molte applicazioni.

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