Guerra del calcio
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Schieramenti | |||||||
Honduras | El Salvador | ||||||
Comandanti | |||||||
presidente Oswaldo López Arellano | presidente Fidel Sánchez Hernández | ||||||
Perdite | |||||||
circa 2000 morti | 107 morti |
La Guerra del calcio (in spagnolo "Guerra del Fútbol"; nota anche come "Guerra delle cento ore", in spagnolo "Guerra de las Cien Horas") fu un breve conflitto armato scoppiato il 14 luglio 1969 tra El Salvador ed Honduras e terminato appena 6 giorni dopo, il 20 luglio, a seguito del cessate il fuoco imposto dall'Organizzazione degli Stati Americani (OSA).
Indice |
[modifica] Le cause
I tesissimi rapporti tra i due Stati centroamericani che condussero al conflitto bellico trovarono la principale causa nelle contingenze politiche interne e non certo sul confronto calcistico che pose di fronte le rispettive nazionali.
Le relazioni tra Honduras ed El Salvador non erano mai state facili. Entrambi i Paesi, guidati all’epoca del conflitto da dittature appoggiate dagli USA e da grandi latifondisti locali, si erano ripetutamente trovati nel corso degli anni ad attriti di una certa portata.
Già all’indomani dell’indipendenza dalla Spagna (1821), El Salvador lamentava l’esiguità della propria superficie nazionale e la mancanza di uno sbocco all’Oceano Atlantico. Ma anche in merito alla propria fascia costiera sul Pacifico nutriva risentimento verso la sovranità dell’Honduras sul Golfo di Fonseca: tale area, costituita da un ampio golfo riparato dagli uragani che non di rado spazzano l’America centrale, è da sempre un punto nevralgico per le rotte commerciali che, costeggiando il Pacifico, fanno la spola tra il Nord e il Sudamerica.
Dal canto suo l’Honduras non aveva del tutto digerito gli esiti della politica commerciale avviata da alcuni anni dagli Stati Uniti in America centrale. Nel 1960, infatti, gli USA stimolarono la nascita del Mercato comune centroamericano, un’area di libero scambio comprendente Costa Rica, Nicaragua, Guatemala, Honduras ed El Salvador. Finalità del governo statunitense era l’istituzione di un regime commerciale privilegiato con i 5 Paesi, specie per permettere alle proprie multinazionali (in particolare quelle dedite al commercio delle banane) di installarvi grandi piantagioni. Indubbi erano i vantaggi per le multinazionali americane, che venivano così a trovare ampie distese di terre da coltivare e una manodopera a basso costo. Ma innegabili erano anche i benefici per i 5 Stati centroamericani, che vedevano negli investimenti statunitensi un modo per uscire dalla cronica arretratezza in ambito agricolo nella quale versavano da tempo. Il problema fu però che, senza alcun meccanismo di controllo della direzione degli investitori, questi preferirono installare le piantagioni là dove già era presente un certo grado di sviluppo tecnologico. In questo El Salvador era il più avanzato, l’Honduras invece il più arretrato. Per quanto non mancarono grossi interventi americani in Honduras (estese furono le piantagioni installate dalla “United Fruit”), gli investimenti in Salvador furono molto maggiori, permettendo addirittura al Paese un alto tasso di crescita economica negli anni a seguire.
La crescita economica portò in Salvador migliori condizioni di vita e un sensibile calo della mortalità infantile. Conseguenza naturale fu un notevole aumento demografico che, già alla metà degli anni '60, fece del Salvador il Paese più popolato (dopo il Messico) dell’America centrale. Ma data l’esigua superficie nazionale, ciò che si venne a creare fu un notevole eccesso di popolazione e, conseguentemente, una prorompente disoccupazione. Infatti l’economia salvadoregna si poggiava pressoché del tutto sull’agricoltura. Questa era in mano alle multinazionali straniere e ad una ristretta classe latifondista (un migliaio di grandi proprietari terrieri, riuniti sotto l’egida di 14 famiglie) che affidava la coltivazione delle proprie terre a braccianti (campesiños). Per tale motivo i disoccupati non avevano alcuna possibilità di avviare la coltivazione di piccoli appezzamenti di terreno, difettando il Paese quasi completamente di un settore secondario da utilizzare come valvola di sfogo per l’eccedente manodopera agricola. Il governo salvadoregno pertanto, temendo una rivolta contadina che avrebbe seriamente pregiudicato il già precario equilibrio politico-economico interno, decise di rivolgersi al vicino Honduras dove le condizioni erano opposte.
Qui l’arretratezza agricola era dirompente. Per quanto il latifondo facesse da padrone pure in Honduras, numerosi restavano ancora i chilometri quadrati di terre incolte. Al fine di promuoverne uno sfruttamento economico e di far pervenire nel Paese una certa quantità di manodopera, il governo honduregno acconsentì alle richieste del Salvador di permettere l’immigrazione dei campesiños salvadoregni in eccesso. Fu così che nel 1967 i due Stati firmarono la Convenzione bilaterale sull’immigrazione, secondo la quale i cittadini salvadoregni avevano libertà di transito e diritto di residenza e al lavoro qualora avessero deciso di espatriare in Honduras. Oltre 300.000 salvadoregni varcarono in breve il confine, insediandosi in Honduras, dove fondarono pure villaggi e avviarono la coltivazione di terre fino ad allora rimaste inutilizzate.
Il massiccio esodo di salvadoregni in Honduras non era comunque stato ben accolto dal locale ceto agricolo. La miseria in cui versavano i contadini honduregni li aveva portati, sul finire del 1967, a scendere nelle piazze per chiedere a gran voce salari più alti e migliori condizioni di vita. La riforma agraria, avviata nel 1968 dal governo honduregno sotto le pressioni del sindacato contadino FENAGH (Federación Nacional de Agricultores y Ganaderos de Honduras), non sortì alcun buon esito. Complice il fatto che la dittatura di Oswaldo López Arellano era appoggiata da latifondisti e Stati Uniti, l’Instituto Nacional Agrario (INA) non aveva osato operare una redistribuzione delle terre in mano a grandi proprietari terrieri locali e a multinazionali. Fu così che, quando si fece insostenibile la situazione politica interna (che macchiò di sangue e violenze le elezioni municipali del 1968), l’INA assunse la clamorosa decisione di attribuire ai contadini honduregni ciò che i salvadoregni giunti appena 2 anni prima si erano conquistati. Per la precisione, un provvedimento del Ministero dell’Agricoltura dell’Honduras dell’aprile 1969 decretava la confisca delle terre e l’espulsione di tutti coloro che avessero nel Paese proprietà terriere, senza tuttavia possedere la natività in Honduras. Con ciò, oltretutto, l’Honduras compiva un grave illecito internazionale, contravvenendo agli impegni presi 2 anni prima con la Convenzione bilaterale sull’immigrazione.
Gli oltre 300.000 salvadoregni giunti in Honduras furono pertanto privati delle proprie case e dei propri campi e rispediti in Salvador, dove non avevano più nulla. Il governo salvadoregno tentò in ogni modo di convincere il governo honduregno a tornare sulla propria decisione, specie in vista dell’estrema difficoltà di reinserire i profughi nella madrepatria. Quando poi il decreto dell’INA entrò in vigore, i difficili esiti furono inevitabili. L’opinione pubblica salvadoregna scagliò roventi critiche sull’Honduras e le relazioni diplomatiche tra i due Stati si fecero tesissime.
In un clima del genere le due nazionali di calcio stavano per affrontarsi nella semifinale della zona Concacaf per le qualificazioni ai Mondiali di Messico 1970.
[modifica] Il confronto calcistico
I Mondiali del 1970 sarebbero stati organizzati dal Messico, prima volta per un Paese centroamericano. Ciò significava che mentre la Nazionale messicana, di gran lunga la più forte della zona Concacaf, era qualificata d'ufficio alla fase finale, le altre avevano una buona chance per centrare una storica qualificazione.
Al via si presentarono 12 squadre, divise in 4 gironi da 3 ciascuno. L'Honduras dominò (3 vittorie e 1 pareggio) il gruppo 1, con Costa Rica e Giamaica, ma ebbe vita facile anche El Salvador (3 vittorie e 1 sconfitta) nel gruppo 3, con Suriname e Antille Olandesi.
Gli altri gironi videro la vittoria di Haiti (gruppo 2, contro Guatemala e Trinidad e Tobago) e Stati Uniti (gruppo 4, contro Canada e Bermuda).
La formula a questo punto prevedeva che le vincenti si affrontassero nelle semifinali, giocate in un doppio confronto di andata e ritorno. La prima vide Haiti superare agevolmente gli USA (2-0 e 1-0). L'altro match dal canto suo prometteva scintille e non a livello prettamente agonistico: il confronto tra le due nazionali di Honduras ed El Salvador, da sempre divise anche da una rivalità sportiva, non capitava certo nel momento migliore.
L'8 giugno 1969 all'Estadio Morazan di Tegucigalpa era in programma la gara di andata tra Honduras ed El Salvador. La nazionale salvadoregna cercò di limitare il più possibile la permanenza in suolo honduregno, ma quel poco tempo bastò ai tifosi locali per manifestare la propria ostilità. La notte precedente alla partita, centinaia di persone si assieparono sotto l'hotel dove alloggiavano i calciatori salvadoregni, cercando di disturbarne il sonno con clacson, pentole e sassi lanciati contro le finestre. L'indomani il caos fu incrementato da uno sciopero nazionale degli insegnanti: ai manifestanti si aggiunsero molti esagitati che, scovato il pullman che trasportava i calciatori salvadoregni all'Estadio Morazan, tranciarono le gomme al mezzo. Allo stadio i tifosi locali perseverarono nel proprio atteggiamento intimidatorio e, in un clima tesissimo, l'Honduras si impose 1-0 con una rete del difensore Catracho Welsh a pochi istanti dal fischio finale. In Salvador, dove la gara veniva trasmessa in diretta tv, una ragazza di 18 anni, Amelia Bolanos, rimasta provata per la sconfitta patita dai propri beniamini, si sparò un colpo di pistola al cuore. Alla giovane, elevata al rango di martire ed eroina nazionale, furono tributati funerali di Stato. L'opinione pubblica salvadoregna giurò vendetta per la gara di ritorno a San Salvador del 15 giugno.
Anche in tal caso la nazionale in trasferta, l'Honduras, cercò di giungere in Salvador il più tardi possibile. La notte precedente la partita i tifosi salvadoregni presero di mira l'hotel dove riposavano gli honduregni e iniziarono una fitta sassaiola contro le finestre dell'edificio, che in breve finirono frantumate. Nessuno rimase ferito, ma per motivi di sicurezza l'edificio venne evacuato, trasferendo la nazionale honduregna in un altro hotel. La massa inferocita rese l'indomani necessario addirittura l'esercito per scortare i calciatori honduregni all'Estadio Flor Blanca. L'Honduras era palesemente intimorito dal clima locale, la cui ostilità si concretizzò quando l'inno nazionale honduregno fu accolto da bordate di fischi, la bandiera strappata e i "coraggiosi" che dall'Honduras si erano recati a San Salvador per sostenere i propri beniamini aggrediti e malmenati (addirittura 2 morti e decine di feriti, oltre ad un centinaio di automobili bruciate). Com'era prevedibile la partita non ebbe storia: contro gli honduregni che pensavano più che altro a riportare a casa la pelle, i salvadoregni passarono al 27' su rigore con Juan Ramon Martinez, raddoppiarono 3 minuti dopo con Elmer Acevedo e chiusero la partita al 41' ancora con Martinez. Finì 3-0 per El Salvador e, poiché all'epoca il regolamento non contemplava il computo del numero di goal segnati, si rese necessaria una terza gara di spareggio in campo neutro.
Le squadre si affrontarono così il 27 giugno allo Estadio Azteca di Città del Messico. Il grande stadio messicano fu preso d'assalto da migliaia di tifosi di ambedue i Paesi e le autorità locali, al fine di evitare incidenti, disposero che l'impianto venisse presidiato da oltre 5000 agenti di polizia. Nonostante le misure prese, le due tifoserie riuscirono a venire a contatto già dentro lo stadio, specie dopo l'esito della gara. Questa, estremamente combattuta, si concluse 2-2 (doppiette di Martinez per El Salvador e di Gomez per l'Honduras) dopo i tempi regolamentari. All'11' minuto del primo tempo supplementare Mauricio "Pipo" Rodriguez regalò a El Salvador l'accesso in finale contro Haiti. Al fischio finale, di fronte alla logica esultanza dei supporter salvadoregni, i tifosi honduregni si scatenarono, cercando (e riuscendo) di venire a contatto coi "rivali". L'ingente dispiegamento di polizia non riuscì a bloccare quelli che, da semplici tafferugli, si tramutarono in una sorta di guerriglia urbana, durata per ore per le vie circostanti l'Azteca. Mai si era giunti ad una tale degenerazione per motivi calcistici.
Per la cronaca El Salvador avrebbe poi vinto la finale (sconfisse Haiti a Port-au-Prince 2-1, ma venne travolto in casa a San Salvador 0-3; nella "bella" però si impose 1-0 nel neutro di Kingston, in Giamaica), volando verso i mondiali.
In Honduras invece la sconfitta contro gli odiati vicini fu recepita come un'ingiustizia sofferta. La sera stessa della partita di Città del Messico il governo dell'Honduras, dove nei giorni precedenti si erano acutizzate le violenze verso i salvadoregni rimasti (inclusi alcuni diplomatici), ruppe le relazioni diplomatiche con El Salvador. La guerra era ormai alle porte.
[modifica] La guerra
[modifica] Le forze in campo
Gli eserciti dei due Paesi erano piccoli e facevano uso di mezzi alquanto obsoleti: ciò riguardava soprattutto le aviazioni, che utilizzavano aerei Corsair e Mustang, residuati della Seconda Guerra Mondiale.
In ogni caso l'esercito salvadoregno era nettamente superiore. I suoi 8000 soldati erano equipaggiati con fucili tedeschi moderni e divisi in:
- 3 brigate di fanteria;
- 1 brigata di artiglieria (pezzi da 105 mm);
- 1 squadrone di cavalleria motorizzata;
- 1 compagnia di trasmissioni;
- 1 compagnia di genieri;
- 1 compagnia medica;
- 1 battaglione di addestramento reclute.
La forza aerea salvadoregna constava di:
- 25 piloti;
- 14 aerei da combattimento (Corsair e Mustang);
- 5 aerei da trasporto;
- 5 aerei da ricognizione;
- 1 squadra di paracadutisti.
La marina salvadoregna era composta da 4 navi guardacosta munite di mitragliatrici, per un equipaggio totale di circa 400 marinai.
L'esercito honduregno contava invece appena 2600 unità, equipaggiate peraltro con vecchi fucili Mauser (gli stessi usati dalla Germania durante la Seconda Guerra Mondiale) e divise in:
- 3 battaglioni di fanteria;
- 6 battaglioni di zona;
- 1 battaglione di genieri;
- 2 batterie di obici da 75 mm.
L'aviazione honduregna era invece superiore a quella avversaria, constando di:
- un centinaio di piloti;
- 12 aerei da combattimento (Corsair F-4U);
- 8 aerei da trasporto;
- 5 aerei da ricognizione;
- 5 aerei da addestramento.
La marina contava circa 150 marinai e 4 navi di media stazza.
I due eserciti erano personalmente guidati dai due presidenti (che pure erano generali), Fidel Sánchez Hernández del Salvador e Oswaldo López Arellano dell'Honduras.
[modifica] Le fasi del conflitto
Alle 17.50 del 14 luglio 1969 l'esercito salvadoregno avviò a sorpresa, senza alcuna dichiarazione di guerra, le ostilità.
La motivazione ufficiale era quella di difendere i propri cittadini e la sicurezza dei confini nazionali (nel Salvador il conflitto è tutt'oggi conosciuto come "Guerra de Legítima Defensa").
L'aviazione salvadoregna invase i cieli dell'Honduras, bombardando alcuni obiettivi militari nemici specie nelle isole honduregne del Golfo di Fonseca. Una bomba fu pure sganciata sulla capitale Tegucigalpa. Contemporaneamente l'esercito salvadoregno oltrepassò il confine e sottopose il territorio nemico a un'offensiva cui, per la netta inferiorità, gli honduregni non seppero reagire. La sera del 15 luglio i salvadoregni erano già penetrati per oltre 8 chilometri in territorio honduregno, occupando la città di Ocotepeque (capitale del dipartimento di Nueva Ocotepeque). Lo scopo dell'attacco salvadoregno si era ormai palesato: più che ad una vendetta nei confronti dei propri connazionali espulsi, El Salvador intendeva strappare all'Honduras (oltre al Golfo di Fonseca) le regioni settentrionali (vicino al confine col Guatemala), puntando ad uno sbocco sull'Oceano Atlantico. Senz'altro la linea da seguire era quella che proprio da Ocotepeque giunge a Puerto Cortez, principale porto atlantico dell'Honduras settentrionale.
In poche ore la situazione per l'Honduras si era fatta critica, data anche la vicinanza a Ocotepeque di Tegucigalpa: un'eventuale caduta della capitale, infatti, sarebbe stato un colpo mortale per l'Honduras. La controffensiva honduregna pertanto non si fece attendere, specie per mezzo dell'aviazione, che bombardò le stazioni di rifornimento nemiche, ma penetrò pure sui cieli salvadoregni, mettendo a ferro e fuoco i centri industriali dove sorgevano le industrie belliche del Paese. L'avanzata dei salvadoregni, venuti così a mancare di munizioni e carburante, dovette arrestarsi, pur mantenendo ben saldo il controllo delle aree nemiche occupate. Qui si ripeterono i soprusi contro la popolazione civile, anche se stavolta a parti invertite, con massacri e violenze sulle donne.
La situazione non era stata trascurata dall'opinione pubblica internazionale, specie dall'OSA, che lo stesso 15 luglio convocò d'urgenza una sessione per avviare i negoziati con le due parti. In tutta risposta il governo del Salvador annunciò che l'offensiva sarebbe continuata finché l'Honduras non avesse riparato ai torti compiuti verso gli immigrati salvadoregni.
Alle ore 22.00 del 18 luglio l'OSA impose il cessate il fuoco. Il 20, dopo che un'ultima incursione aerea salvadoregna era stata fermata dall'aviazione honduregna (la storia ricorderà tale battaglia aerea come l'ultima combattuta tra aerei della seconda guerra mondiale), l'Alto Comando dell'esercito del Salvador ordinò alle proprie truppe di non proseguire l'offensiva: era la fine della Guerra.
Ma fino al 29 luglio divisioni dell'esercito salvadoregno sarebbero rimaste in territorio honduregno, finché il governo non ne impose il ritiro, sotto le pressioni dell'OSA.
A conflitto finito, dopo soli 6 giorni di ostilità, gli esiti negativi furono avvertiti nelle cifre inerenti alle perdite: 107 soldati salvadoregni erano morti, mentre dell'Honduras erano rimaste uccise ben 2000 persone, per buona parte civili. Oltre 50.000 furono gli sfollati.
[modifica] Le condizioni di pace
L'OSA minacciò El Salvador di pesanti sanzioni economiche qualora avesse ripetuto un attacco contro l'Honduras, intimandogli di ripristinare lo status quo ante del 14 luglio.
Contemporaneamente impose all'Honduras la reintegrazione e il risarcimento dei salvadoregni ingiustamente espulsi e la cessazione della propaganda anti-salvadoregna. Anche l'Honduras fu minacciato di sanzioni economiche, qualora non avesse rispettato le suddette condizioni.
Alcuni salvadoregni espulsi ad aprile fecero ritorno in Honduras, ma altri non ebbero il coraggio di tornare.
I rapporti tra i due Paesi rimasero effettivamente difficili fino alla firma di un trattato di pace avvenuta il 30 ottobre 1980. Ma solo nel 1992 la controversia sui confini nazionali fu definitivamente risolta dalla Corte Internazionale di Giustizia, in seguito al cui intervento i due Stati stipularono un nuovo trattato con il quale El Salvador riconosceva la sovranità honduregna sul Golfo di Fonseca.
[modifica] Bibliografia
- Ryszard Kapuściński; La prima guerra del football e altre guerre di poveri; Feltrinelli; 2002 - ISBN 8807818485.
[modifica] Collegamenti esterni
- (EN) Dettagli della guerra;
- (ES) La guerra de legitima defensa nel sito della Fuerza Armada del Salvador;
- (ES) La Guerra de las Cien Horas;
- (FR) Cause, fasi del conflitto e conseguenze in un sito francese.