Giorgio Ambrosoli
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Giorgio Ambrosoli (Milano, 17 ottobre 1933 - 12 luglio 1979) fu un avvocato civilista milanese, esperto in liquidazioni coatte amministrative. Fu assassinato il 12 luglio 1979 da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona. Ambrosoli morì per aver svolto onestamente il suo lavoro non piegandosi alle pressioni della mafia e dello Stato. Fu definito "un eroe borghese".
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[modifica] Antefatto
Nel 1971, a fronte di un forte sospetto di irregolarità e della crescente equivoca notorietà di Michele Sindona, banchiere siciliano proprietario di fatto della Banca Privata Italiana, la Banca d'Italia investigò sull'istituto di credito. Non si hanno conferme ufficiali, ma da più parti autorevoli si è detto che siano emerse risultanze di gravissime irregolarità e riscontri di esposizioni rischiosissime, ordinariamente da considerare imprudenti e quindi pericolose; si è anche detto che nessuna azione ne sarebbe seguita, probabilmente per un insabbiamento. Negli anni successivi la condotta della banca si volse in direzione di una irrecuperabile pericolosità, sino a non poter ulteriormente essere ignorata (o, secondo taluni, celata).
Nel 1974, la Banca d'Italia (che ha fra i suoi compiti quello di controllare la sana gestione delle banche) decise perciò di intervenire e il suo governatore, Guido Carli, nominò l'avvocato Ambrosoli commissario liquidatore della banca di Sindona.
[modifica] L'incarico
In questo ruolo, Ambrosoli assunse la direzione della banca ed iniziò ad esaminare tutta la trama delle articolatissime operazioni che il finanziere siciliano aveva intessuto, principiando dalla società "Fasco", l'interfaccia fra le attività palesi e quelle occulte del gruppo. Analizzando la Fasco, Ambrosoli non tardò a svelare una gravissima reiterazione di infrazioni alla legge bancaria e di violazioni al codice penale, perpetrate per lo più con numerose falsità nelle scritturazioni contabili, che dal lato pratico si traducevano in una gigantesca truffa ai danni dei risparmiatori.
Sotterraneamente cominciarono a giungergli "amichevoli" proposte di "composizione bonaria", cioè di corruzione, per le quali avrebbe dovuto "solo" avallare con la sua firma una supposta buona fede della gestione, evitando in tal modo le responsabilità penali di Sindona e facendo pagare alla Banca d'Italia (cioè allo Stato) gli ingenti scoperti della Banca Privata; lo avrebbe del resto potuto fare con una relativa facilità, poiché sarebbe stato difficile contestare una sua eventuale parola difensiva, data la scelta squisitamente fiduciaria dell'incarico. Ed è proprio in questo che risiede la fulgida grandezza della sua figura, poiché quanto richiestogli non gli sarebbe davvero costato molto, gli avrebbe potuto rendere grandi vantaggi e nei fatti avrebbe corso un rischio del tutto irrisorio di essere scoperto.
A maggior lode della sua integrità, Ambrosoli non era certo un ingenuo: nel 1975, in una lettera quasi testamentaria alla moglie, Ambrosoli affermava un concetto che non richiede di essere commentato: È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di far qualcosa per il Paese.
Alla fase dell'allettamento, successe la fase della minaccia, mentre intorno alla disastrata Banca Privata si realizzavano numerosi progetti di salvataggio, non giustificati da un'eventuale ripresa futura dell'Istituto e dunque non economicamente ortodossi; questi progetti, presentati da diversi personaggi del sottobosco governativo, tendevano solo - accompagnate dalle minacce - ad interrompere l'indagine, arginare la progressiva scoperta di tutto il sistema finanziario sindoniano e soprattutto evitare che potesse emergere la grana della "Franklin National Bank", un'altra banca di Sindona che operava negli Stati Uniti e che si trovava in possibilmente ancor più gravi condizioni.
Quasi quotidianamente, se non più volte al giorno, Ambrosoli riceveva telefonate anonime che facevano riferimento a quanto in quel dato momento Ambrosoli andava facendo, citando dettagli che potevano essere noti solo a chi lavorava con lui, a stretto contatto di gomito.
Ciò malgrado, Ambrosoli confermò la necessità di liquidare la banca e di riconoscere la responsabilità penale del banchiere; questo espresse anche in una lunghissima deposizione resa agli investigatori statunitensi che, da lui informati della necrosi finanziaria della Franklin National, erano immediatamente corsi in Italia ad incontrarlo. In America, però, si ricevevano dall'Italia anche interventi autorevoli a sostegno di Sindona: il Procuratore Generale della Corte d'Appello di Roma, uno fra i tanti, sosteneva che Sindona era in realtà vittima di una campagna scandalistica comunista.
Alle esplicite minacce, che colpirono anche il maresciallo della Guardia di Finanza Silvio Novembre, braccio destro di Ambrosoli nell'esecuzione dell'incarico, si sovrapponeva un imponente schieramento di potenti e potentini che esibendo solidarietà al chiacchierato Sindona, implicitamente rendevano "anomalo" lo zelo del commissario liquidatore, e ne palesavano il completo isolamento. Non va dimenticato che Giulio Andreotti ebbe a definire Sindona, memorabilmente, "salvatore della lira".
In questo clima, la sola rispettosa attenzione al lavoro di Ambrosoli era venuta dai giudici Americani. Ma anche questi, a conclusione dell'audizione, incontrarono un imprevisto: restarono loro solo i verbali degli interrogatori, perché Ambrosoli avrebbe infine dovuto sottoscrivere una dichiarazione formale il 12 luglio 1979.
[modifica] L'omicidio
La sera fra l'11 ed il 12 luglio 1979, rincasando dopo una serata trascorsa con amici, fu avvicinato sotto il suo portone da uno sconosciuto che, scusandosi, gli esplose contro tre colpi di 357 Magnum. Ad ucciderlo fu un tal William J. Aricò, un sicario fatto appositamente venire dall'America e pagato con 25.000 dollari in contanti ed un bonifico di altri 90.000 dollari su un conto bancario svizzero.
Nessuna autorità pubblica presenziò ai funerali.
Nel 1986 a Milano, Michele Sindona e Roberto Venetucci (un trafficante d'armi che aveva messo in contatto Sindona col killer) furono condannati all'ergastolo per l'uccisione dell'avvocato Ambrosoli.
[modifica] La memoria corta
Giorgio Ambrosoli ebbe il coraggio di fare semplicemente il suo dovere di cittadino e di professionista. È un esempio di senso civico da portare a modello del "recte agendi" del pubblico funzionario.
Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, Giorgio Ambrosoli non è ricordato come merita dalla società. Il suo nome spesso viene usato solo strumentalmente nella competizione politica. Nemmeno da parte della categoria forense, cui Ambrosoli apparteneva, si ha notizia di rimembranze o di iniziative ad memoriam. In più occasioni, invece, si è avuto un velenoso ed ingiustificabile richiamo alla sue sfumate simpatie monarchiche. Per questi motivi, si è parlato di "memoria corta" sul caso; presto il nome dell'eroe borghese scomparve dai giornali e quand'anche in seguito vi fosse riaffiorato, non fu mai per molto.
Il principale omaggio alla figura di Ambrosoli resta il libro di Corrado Stajano, intitolato "Un eroe borghese". Dal libro è stato tratto nel 1995 il film omonimo di Michele Placido.
Nell'anno 2000 il Comune di Milano, durante il I° mandato del Sindaco Gabriele Albertini, ha dedicato una piccola Piazza a Giorgio Ambrosoli in zona Corso Vercelli, e 3 Borse di Studio di 5.100 Euro l'una.
Il Comune di Roma, durante il I° mandato del Sindaco Walter Veltroni gli ha dedicato un Largo, in zona Nomentana. Anche altri Comuni hanno dedicato, vie, piazze e larghi all'Avv. Ambrosoli, tra cui Ravenna, Varese, Rodano, Scanzorosciate, Scandicci, Gallarate, Seveso, Como, Corbetta, Nova Milanese, Arcene ed altri.
A Giorgio Ambrosoli è attualmente intitolata la biblioteca del palazzo di giustizia di Milano, alla quale accedono magistrati, avvocati e studenti di giurisprudenza del foro ambrosiano.