Castro (ducato)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
«Castro era un gioello artistico e un complesso urbanistico rinascimentale davvero unico al mondo »
|
|
(Visconti)
|
Castro, capitale del Ducato di Castro, antica città nel cuore dell'Etruria meridionale, nell'entroterra della Maremma laziale, fu distrutta nel 1649, dopo il saccheggio, l'assedio e la deportazione dei suoi abitanti.
Indice |
[modifica] La storia
La città sorgeva su di un costone tufaceo compreso tra il fiume fiume Olpeta e il fosso del Filonica (a 12 km dall'odierna Farnese e a 5 km dal fiume Fiora). Le origini risalgono alla Preistoria: tracce del passaggio dell'uomo sono state rinvenute nelle località Chiusa del Vescovo e dell'Infernaccio. Poi fu sede di una non meglio identificata città etrusca, forse Statonia. Nella vicina necropoli sono presenti numerose sepolture, fra cui la famosa Tomba della Biga, rinvenuta da archeologi belgi nel 1967.
Nel Medioevo, il Castello fu dominato da una donna, e questo singolare fatto gli lasciò il nome di “Castrum Felicitatis”, (Castello di Madonna Felicita), nome che conserverà nei secoli successivi. Il villaggio, si accrebbe e divenne una città, che assunse anche qualche autonomia comunale, ma rimase fortemente sotto il controllo del Papa che la difese anche dalle mire dei vicini feudatari toscani e del Lazio. Nel 1527, una forte fazione si impossessa del potere a Castro e per scacciarla un gruppo di cittadini, guidato da Antonio Scaramuccia e Giacomo (Jacopo) Caronio, organizza un colpo di Stato e chiede la protezione di Pier Luigi Farnese, che accetta ed entra pacificamente in città, accolto con gioia dagli abitanti. Intanto, i Lanzichenecchi saccheggiano Roma e costringono Papa Clemente VII a fuggire ad Orvieto. Qui, scopre il fatto e ordina a Pier Luigi d'abbandonare subito Castro. Pier Luigi, lascia la città a novembre e subito dopo, il Papa, chiede a Gian Galeazzo Farnese, cugino di Pier Luigi e signore di Latera, di infliggere ai cittadini di Castro, una punizione esemplare. All’alba del [[28 dicembre] (giorno che, ironia della sorte, è dedicato ai SS. Innocenti), Gian Galeazzo irrompe a Castro e saccheggia la città. Il saccheggio è descritto nel 1575 dal notaio Domenico Angeli, abitante di Castro, nel De Depraedatione Castrensium et suae Patriae Historia (Il Sacco di Castro e la Storia della sua Patria).
L'Angeli fornisce una breve descrizione di Castro: "Situata su un'altura a forma di lira, circondata da rupi scoscese, da una valle profonda e da vigneti dove gli abitanti si recano per procurare canne. Tutto intorno pascolano le greggi. [...] Il centro di Castro è rappresentato da Piazza Maggiore.
Castro prima del saccheggio era una città ricca, munita di più di sette centurie di soldati ed era la più forte tra le citta del Patrimonio di San Pietro."
Secondo Domenico Angeli, Gian Galeazzo è riuscito ad entrare a Castro, tramite la Porta di Santa Maria (che gli abitanti usavano per raggiungere una vicina sorgente, unica fonte d'acqua della città) grazie al tradimento di alcune guardie, mercenari originari di Pitigliano e di Sorano. Infatti i Castrensi erano soliti ripetere con orgoglio che le loro mura si "potevano scalare solo con le ali".
[modifica] Nascita del Ducato di Castro
Nel 1534, è eletto al Soglio Pontificio il cardinale Alessandro Farnese, padre di Pier Luigi, che assume il nome di Paolo III. Il 31 ottobre 1537, Paolo III, istituisce, il Ducato di Castro e Ronciglione, che si estende dal Lago di Bolsena al Tirreno. Castro, situato in posizione strategica, è proclamata capitale. Ma Castro, è ancora scossa dalle devastazioni, causate da Gian Galeazzo qualche anno prima. Molti abitanti sono emigrati e la città è ridotta ad essere un piccolo villaggio povero e silenzioso. Un visitatore anonimo, che vi trascorse la notte, ne ebbe un impressione talmente negativa che la definì una “bicocca di zingari”. La ricostruzione della città, che deve diventare il simbolo della potenza e del prestigio dei Farnese, viene affidata all’architetto toscano, Antonio da Sangallo che si mette subito all’opera.
Vengono ridisegnate le mura difensive, i palazzi pubblici, le strade, le case, praticamente l’intera città diventa un cantiere e a poco a poco si trasforma in una splendida perla rinascimentale. In città, si trasferiscono numerose persone, attratte dalla prospettiva di lavoro che la corte dei Farnese può offrire ma anche numerosi nobili che sperano di entrare così nelle grazie della famiglia e di Papa Paolo III.
[modifica] Declino e fine
Il declino della città, inizia durante il regno di Ranuccio Farnese che riempì di debiti le vuote casse del Ducato. Il figlio Odoardo, non fu migliore ed i debiti, anziché diminuire, aumentarono a dismisura. Per pagare questi debiti, il duca decise di ipotecare il Ducato e ottenne un prestito da Papa Urbano VIII. Ma la famiglia Barberini, bramosa di conquistare il Ducato ne approfittò e cercò di forzare i Farnese al fallimento. Il Duca reagì, nel 1641 attaccando il Papa e occupando la fortezza di Acquapendente mentre le forze pontificie avevano quindi invaso il Ducato e già si appestavano ad assediare la capitale quando la minaccia di un intervento congiunto di Venezia, Firenze e Modena al fianco dei Farnese spinse il Papa a ritirarsi e ad accettare un compromesso (Trattato di Roma; 31 marzo 1644) Il 18 marzo 1649, il nuovo Vescovo di Castro, il barnabita mons. Cristoforo Giarda, mentre era in viaggio da Roma per raggiungere la sua nuova sede episcopale, viene assassinato a Monterosi, da due sicari incapucciati. Il processo che si apre due giorni dopo a Viterbo, accusa del delitto due poveri contadini, che coltivavano miseri poderi sul Lago di Bolsena e individua come mandante dell’omicidio, il duca di Castro. L’eco dei fatti, arriva a Roma, dove Papa Innocenzo X, vecchio e malato, è abilmente manovrato dalla famiglia Barberini e da Olimpia Maidalchini, indiscussa padrona di Roma, nemici giurati della famiglia Farnese. Innocenzo X, dichiara guerra ai Farnese: in estate le truppe ducali sono sconfitte a Tuscania, a settembre, Castro è assediata, a dicembre la città è costretta a cedere.
Il colonnello Sansone Asinelli, a nome del Duca, fuggito nella più sicura Parma, firma la capitolazione della città. Pochi giorni dopo, le milizie pontificie cacciano gli abitanti e distruggono la città. La sede vescovile è spostata ad Acquapendente.
I suoi tesori artistici vengono messi all’asta o ceduti alle nobili famiglie romane. Di alcuni si è conosciuto il destino: le campane della Cattedrale si trovano oggi nel campanile della chiesa di Sant'Agnese a Roma, il simulacro di Maria Immacolata, che si trovava nel Duomo è ospitato in una chiesa di Acquapendente. Sul colle di Castro, fu posta una lapide marmorea con la celebre scritta: “QUI FU CASTRO”.
Oggi su quella collina, un bosco inestricabile ha completamente ricoperto le rovine della città. Le silenziose rovine, vengono animate a giugno, dai canti dei pellegrini che si recano nel vicino Santuario del SS. Crocefisso, una piccola cappella, l’unica costruzione della città, sfuggita ai picconi e alle mine dell’esercito pontificio. Durante il Risorgimento, l’amaro destino di Castro, venne ricordato con forza dai patrioti viterbesi che, proprio sulle rovine di Castro, lanciarono due proclami contro Pio IX e scatenarono insurrezioni popolari, al grido di “VIVA CASTRO!”.
Il ricordo della città, si è conservato nei nomi di diversi Comuni dell’ex Ducato (Montalto di Castro, Ischia di Castro, ecc.) e molti stemmi comunali riportano i tre gigli, il simbolo di Castro.
[modifica] Castro prima della distruzione
Molti dei visitatori di Castro, tra cui il più celebre è senza dubbio, Annibale Caro, storico e letterato sono rimasti fortemente colpiti dalla bellezza della città e hanno lasciato dettagliate descrizioni, grazie alle quali, conosciamo come doveva essere la capitale del Ducato dei Farnese. La città sorgeva una collina circondata per metà dal torrente Olpeta. Infatti per accedere a Castro bisognava percorrere un ponte a due arcate. Il cuore della città, è rappresentato da Piazza Maggiore, al cui centro doveva trovarsi una bellissima fontana, su cui si affacciava la Zecca e l'Hostaria (chiamato dai castensi Palazzo del Duca in Piazza), per accogliere gli ospiti illustri del Duca. Sulla piazza, o nelle sue vicinanze, si trovavano i palazzi dei cittadini più importanti. Non si sa se l'armonioso Palazzo Ducale, fu mai costruito, ma sembra che doveva esistere come residenza del duca e dai disegni del Sangallo, conservati a Firenze, presentano un'elegante reggia cittadina, con un ampio balcone al piano nobile a metà fra i palazzi-fortezza del Quattrocento e le lussose reggie del Seicento. Castro aveva, inoltre, il privilegio di avere strade e piazze mattonate e di essere provvista di regolari forniture, fatto rarissimo nel Cinquecento.
A Castro, erano presenti, numerose chiese, circa tredici secondo alcuni documenti della Curia: la principale era certamente il Duomo, sede della diocesi, dedicato a San Savino, Protettore della città, la cui festa ricadeva il 3 maggio. Gli abitanti erano soliti festeggiare San Savino, con una tradizionale giostra ed un palio con cavalli, tra le contrade della città che si tenevano nella piazza principale. La chiesa era in stile romanico, e venne consacrata il 29 aprile 1286, come riporta una lapide marmorea che si trovava originariamente nella facciata della cattedrale e successivamente trasferita in un paese vicino. La lapide, dichiara che la consacrazione fu effettuata dal vescovo di Castro, San Bernardo da Bagnoregio, insieme ad altri dodici prelati. Vicina alle mura, sorgeva la chiesetta medievale di San Pancrazio, costruita dagli abitanti di Vulci che, dopo che la loro città era stata distrutta dai Saraceni, si erano trasferiti a Castro. Antichissima doveva essere la chiesa della Madonna della Viola, visto che prima della costruzione della Cattedrale, era la residenza del Vescovo. Altre chiese erano quella di San Bernardo Abate, quella di Santa Lucia, San Sebastiano, la Madonna del Carmine, costruita da un militare per sciogliere un voto. Fuori dalle mura, si trovava la chiesa di Santa Maria dei Servi, nei pressi del cimitero. La chiesa di San Giovanni, era collegata all’ospedale, gestito dall’omonima confraternita. Un membro laico della confraternita, un certo Luciano Silvestri, aveva edificato a sue spese, un ospizio per l’assistenza alle vedove e agli orfani. In una località, nota come Prato Cotone, vicina alla confluenza dell’Olpeta nel Flora, era stata edificata, su disegno del Sangallo, la chiesa e il convento di San Francesco, affidato ai Frati Francescani che si erano trasferiti a Castro, su invito del Duca.
Il Sangallo aveva inoltre progettato le mure difensive della città e l'entrata principale, chiamata Porta Lamberta, era stata edificata come un arco di trionfo ceh raffigurava gli episodi più gloriosi della storia della famiglia Farnese.
Gli abitanti di Castro, subirono molto la scarsità d'acqua del territorio. Per molto tempo si servirono di una sorgente nei pressi della Porta di Santa Maria, ma dopo che quest'ultima fu chiusa per motivi di sicurezza (chiamandosi da allora Porta Murata) fu costruito un pozzo, con scale a chiocciola, (simile a quello di San Patrizio a Orvieto) detto "Pozzo di Santa Lucia" per la vicinanza a questa chiesa.
[modifica] Lo stemma
Lo stemma araldico della città di Castro, ricostruito dagli studi pazienti di Romualdo Luzi, uno dei più grandi studiosi di Castro, raffigura: un leone rampante bianco, sormontato da tre gigli gialli su sfondo azzurro. Sotto lo stemma, fu aggiunto nel 1537 la scritta "Castrum Civitas Fidelis" (Castro Città Fedele) in segno di gratitudine alla famiglia Farnese.
[modifica] Il S.S. Crocifisso di Castro
Nel 1649, mentre i soldati pontifici si dedicavano a distuggere Castro due operai raccontarono che nel tentativo di demolire una piccola cappella sul lato ovest della città, le loro braccia erano state paralizzate da una forza misteriosa. In questa cappella vi erano tre dipinti molto semplici che raffiguravano il S.S. Crocifisso, la Madonna del Carmine e S.Antonio. Poiché gli operai non riuscirono a demolirla con i picconi provarono con le mine ma quella forza misteriosa impedì alle mine di far saltare la cappella. Si gridò al miracolo e per mesi gli ex abitanti di Castro si recavano presso la cappella a pregare e a ricordare l'amaro destino della loro città. Il cardinale Spinosa, temendo piani sovversivi ordinò nel 1655 di trasferire il dipinto nella sua casa romana. Ma il dipinto restò solo una notte. La mattina successiva esso era ritornato nella sua cappellina a Castro. Allora la Chiesa Cattolica riconobbe come miracolosi i fatti di Castro e nel 1871 vi fu costruito un santuario, tuttora meta di pellegrinaggi dalle popolazioni dell'ex Ducato.
[modifica] Bibliografia
- R. Luzi Qui fu Castro.
- R. Luzi Storia di Castro e della sua distruzione.
- R. Luzi L'inedito "Giornale" dell'assedio, presa e demolizione di Castro (1649) dopo l'assassinio del Vescovo barnabita Mons. Cristoforo Giarda. Roma 1985
- R. Luzi La produzione della ceramica d'ingobbio nella distrutta città di Castro: un fenomeno d'arte popolare d'intensa diffusione.
- G. Gavelli La città di Castro e l’opera di Antonio da Sangallo, Ed. Ceccarelli Grotte di Castro (VT) 1981
- A. Cavoli, La Cartagine della Maremma, Roma 1990
- Mons. E. Stendardi, Memorie Storiche della Distrutta città di Castro, Ed. Fratelli Quattrini, Viterbo 1955
- Studio della città di Castro - Tesi di laurea in Architettura 2005 [1]