Storia della mastectomia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Per mastectomia si intende la asportazione chirurgica della mammella.
La storia di questo intervento si identifica con quella della lotta al cancro mammario e si intreccia con la Storia della Chirurgia, con le sue grandezze e le sue miserie, il passato glorioso, i secoli bui del medioevo e la lenta ripresa fino alle grandi scoperte dell’anestesia e della antisepsi. Scoperte che significarono per la chirurgia l’affrancamento da quelli che erano stati i maggiori ostacoli al suo sviluppo, il dolore e la infezione.
Indice |
[modifica] Premessa
Nel 1761 il grande anatomico forlivese Giovan Battista Morgagni pubblica: “de sedibus et causis morborum per anatomen indagatis” un’opera fondamentale frutto di studio accurato dei reperti autoptici raccolti in decenni di attività a Bologna, Venezia e soprattutto Padova. Con lui nasce il moderno concetto di malattia.
La malattia considerata come la rottura del normale equilibrio dell’organismo dovuta ad alterazione della struttura o funzione di uno più organi danneggiati da agenti esterni o interni e che si manifesta con segni e sintomi caratteristici era un concetto fino ad allora assolutamente sconosciuto, a parte qualche intuizione geniale ma rimasta tale. Con conseguenze negative soprattutto sotto due aspetti: impossibilità di prevenire malattie infettive e gravi epidemie e impossibilità di prescrivere terapie causali.
In realtà per molte patologie il rapporto causa-effetto risultava comunque evidente, come negli episodi traumatici in cui l’evento vulnerante determinava sintomi e segni immediatamente palesi sulle strutture esterne e quindi visibili del corpo: contusioni, ferite, emorragie, fratture. Ma anche su quelle interne, come era possibile osservare nella traumatologia aperta addominale e toracica da sempre molto frequente per gli eventi bellici che hanno ininterrottamente segnato la storia dell’uomo.
In molti altri casi invece anche se le conseguenze risultavano evidenti: tumefazioni erniarie, gozzi tiroidei, presenza di tumori cutanei, varici e varicoceli, la etiologia rimaneva sconosciuta. In ogni caso sarà stata appunto questa evidenza a sollecitare una risposta terapeutica prima istintiva poi più ragionata che nel corso dei secoli costituirà la base empirica su cui poggia tutta la chirurgia antica.
Scheletri risalenti all’epoca del neolitico mostrano esiti di fratture consolidate e di trapanazioni craniche con segni di rigenerazione ossea, testimonianza di interventi seguiti da guarigione.
Così la storia documentata più antica e risalente a circa tremila anni fa ci tramanda una chirurgia in grado di utilizzare tecniche e strumenti sofisticati e chirurghi dotati di straordinaria abilità manuale. Non a caso il termine chirurgo deriva dal greco classico ed etimologicamente indica ‘colui che lavora con le proprie mani’ un artigiano quindi. La chirurgia quindi arte atavica ed efficace nella sua praticità ma relegata ad un ruolo subalterno rispetto alla medicina. Così in tutte le antiche civiltà mentre la figura professionale del medico (che incapace di spiegarsi la malattia e di curarla deve necessariamente attingere a conoscenze filosofiche, astrologiche, religiose, esoteriche per giustificarla in qualche modo) finiva con l’identificarsi in quelle ‘nobili’ di sacerdote, astrologo, filosofo o ‘esoteriche’ di mago, sciamano, stregone, all’altro estremo si collocava il chirurgo, capace di guarire alcune patologie e di spiegarne molte, che veniva relegato nelle categorie ‘volgari’ quelle che praticavano le arti minori, spesso considerate sconvenienti. Un antagonismo evidente già nel giuramento di Ippocrate, il padre della medicina, che vieterà tassativamente di ‘praticare il taglio della pietra’, la litotomia, considerata atto chirurgico indegno di un medico, o che vedrà la Chiesa medioevale avocare a sé la medicina rifiutando in modo assoluto la pratica chirurgica perché cruenta e spregevole, per arrivare alla fine del XVII secolo quando ancora accadeva che un chirurgo, passando a studiare medicina per emancipare la propria condizione, era obbligato a sottoscrivere un atto notarile con il quale si impegnava a non praticare più atti operatori!
[modifica] Antichità e Mondo Classico
Tra le patologie più evidenti e quindi capaci di attirare l’attenzione e l’impegno del chirurgo certamente ci saranno state quelle a carico della mammella, organo ‘esterno’ per eccellenza ed in particolare il cancro. Malattia a lenta evoluzione che coinvolge progressivamente tutta la ghiandola e quindi i piani muscolari su cui poggia e poi la cute, l’areola, il capezzolo rendendosi sempre più evidente, in forme spesso impressionanti se non ripugnanti.
Riferimenti ad interventi di asportazione del seno, di mastectomia, si ritrovano sia pure con modalità diverse agli albori della nostra civiltà. In Erodoto nel mito delle Amazzoni, le donne guerriero che si amputavano il seno per tendere meglio l’arco o ai tempi di Hammurabi, il re babilonese che visse 2250 anni a.c., nel più antico codice scritto ove l’articolo 198 commina la asportazione della mammella alla nutrice che abbia causato la morte del neonato allattato. La mastectomia, intesa come pena per le adultere era praticata da alcune popolazioni indiane e sarà presente nella martiriologia cristiana come nel caso di S.Agata di Catania diventata poi protettrice della mammella che, per aver resistito alle profferte amorose del proconsole Quinziano, sarà condotta al supplizio con amputazione delle mammelle o come nel caso di S.Barbara sottoposta alla stessa mutilazione prima di essere decapitata dal suo stesso padre.
Nel mondo classico Ippocrate che descrisse con grande chiarezza anche il cancro della pelle, dell’utero e del retto spiegò quello della mammella con la sua teoria umorale. Il cancro era una malattia sistemica causata da un eccesso di bile nera. Si poteva manifestare come una forma aperta o ulcerata per la quale egli raccomandava l’applicazione di paste caustiche o come una forma chiusa che non andava trattata in quanto comunque fatale. Quindi, anche in questo caso, rifiuto netto della chirurgia. Su questa linea teorica si pose anche il grande medico romano Celso che però nella pratica prescriveva la mastectomia ma solo in casi eccezionali consigliando un intervento che asportasse il tumore e le parti circostanti sane. Galeno, vissuto nel primo secolo dell’era cristiana, sarà la più grande autorità medica almeno per 1300 anni. Partendo dalla teoria ippocratica considerò il cancro mammario come una malattia generale aggiungendo però che essa veniva influenzata da un fattore predisponente ‘diatesis scirrosa’ capace di favorire l’eccesso di bile nera. La terapia che prescriveva era coerente con le sue teorie: la malattia dovuta a squilibrio umorale generale andava trattata soprattutto con terapia generale dietetica e igienica mentre al tumore in sede locale veniva riservata la terapia chirurgica da praticare alla prime manifestazioni e con modalità radicale pur riconoscendo nulle le possibilità di guarigione.
Quest’ultimo concetto di intervento precoce, che è quello su cui si basa tutta la chirurgia oncologica moderna, ma nell’esperienza di quegli straordinari chirurghi inefficace nel modificare una prognosi comunque infausta mostra ai nostri occhi una palese incoerenza. Che può essere spiegata dal diverso significato da attribuire al termine precoce. Per loro era la fase in cui il tumore si manifestava chiaramente e che in realtà corrisponde ad una malattia già tanto avanzata da rendersi evidente. Per noi, che possiamo sfruttare sofisticate indagini strumentali, la precocità si identifica con un tumore di pochi millimetri svelato quindi in fase preclinica, ossia prima che si renda manifesto clinicamente alla palpazione o all’ispezione della mammella. La seconda apparente contraddizione è nell’atteggiamento ambiguo nei confronti della mastectomia ritenuta da alcuni necessaria, da altri inutile, da altri addirittura dannosa. Da un lato bisogna ricordare come un tumore mammario avanzato può diventare mostruoso nelle dimensioni o peggio può ulcerarsi e dare luogo ad emorragie ed infezioni maleodoranti. Questi quadri clinici, certamente frequenti nelle epoche antiche dove costituivano la norma, di per sé richiedevano una indicazione chirurgica di necessità. Peraltro un tumore così avanzato di regola ha una prognosi costantemente infausta e ciò spiega perché molti chirurghi ritenevano l’intervento inutile. A quei tempi la mastectomia, di per sé brutale come tutte le amputazioni, veniva praticata senza anestesia e con scarse norme igieniche il che rendeva l’intervento frequentemente mortale anche per l’infezione che fatalmente l’accompagnava tanto da farlo ritenere a molti chirurghi esclusivamente dannoso.
[modifica] Medioevo e Rinascimento
Nel 476 d.c. con la caduta dell’impero romano comincia il medioevo, epoca certamente buia almeno sotto l’aspetto sanitario. La medicina diventa appannaggio quasi esclusivo dei religiosi, soprattutto di alcuni ordini monastici in particolare benedettini. La malattia è considerata una punizione divina e quindi la sua guarigione può essere ottenuta non con le cure ma con le preghiere, impetrate al Santo protettore: S.Biagio per la gola, S. Lucia per gli occhi, S.Agata per la mammella, ecc. Al più si può ricorrere a blande terapie dietetiche e fisiche, secondo la tradizione ippocratica e galenica, o all’erboristeria utilizzando estratti delle piante officinali. I monaci inizialmente praticano anche la piccola chirurgia ma la Chiesa li obbliga ad allontanarsene perché essa è cruenta ed "Ecclesia abhorret a sanguine" come verrà sancito dal Concilio di Reims (1131) e dal Concilio di Roma (1139). La attività del chirurgo viene quasi naturalmente delegata ai barbieri presenti in ogni monastero che si adoperano anche a fare qualche salasso, cavare qualche dente, incidere un ascesso. La grande chirurgia del passato ridotta a pratiche considerate miserabili esercitate da cerusici e norcini ambulanti, che col tempo diventeranno anche molto validi tecnicamente ma resteranno privi di qualsiasi cultura. Nel 1162 il Concilio di Tours proibisce espressamente la pratica ‘barbara’ della mastectomia. Le pratiche autoptiche sono tassativamente vietate in quanto cruente ed irriguardose ma anche perché non necessarie in quanto i testi classici di Galeno vengono ritenuti esaustivi.
Fortunatamente nella stessa epoca fioriscono scuole di pensiero alternative. La Scuola Medica Salernitana che sottrae il sapere medico all’egemonia ecclesiastica e lo riporta in ambito laico e che restituisce dignità alla chirurgia con i suoi grandi maestri tra cui Trotula de Ruggero la prima donna autrice di un trattato medico o Rogerio Frugardi, ‘Mastro Rogerio Salernitano’ che praticheranno la senologia. Sull’altra sponda culturale, nel mondo islamico, troveremo Avicenna e soprattutto Abulcasis che per il cancro mammario prescriverà la amputazione da effettuarsi anche in presenza di un piccolo tumore. Pur condividendo il generale pessimismo in senso prognostico.
La scuola salernitana primo esempio di insegnamento della medicina e come tale insignita del titolo di Accademia di Governo da un decreto di Federico II nel 1231 precorrerà di qualche decennio la nascita delle grandi Università di Bologna, Padova, Parigi ed il ritorno agli studi dell’anatomia. Saranno da questo momento i Maestri di Chirurgia a proporre argomentazioni diverse in tema di cancro mammario. Henri de Mondeville, chirurgo del re di Francia porrà l’accento sul fatto che un cancro limitato ad una zona del corpo quale al seno o alla coscia ove è completamente asportabile deve essere oggetto di un tentativo chirurgico, laddove invece è di vecchia data o grande dimensione non andrebbe aggredito ammettendo comunque di non essere riuscito personalmente a curare in nessun caso un tumore mammario né di avere conoscenza che altri, prima, vi siano riusciti. Lanfranco da Milano considerato il fondatore della chirurgia francese , e Guy de Chauliac, chirurgo personale di alcuni pontefici, ribadiranno tale impossibilità di guarigione. Su posizioni analoghe di grande pessimismo rispetto alla prognosi e di dubbio rispetto ad interventi molto mutilanti si porranno anche grandi anatomisti del XVI secolo come Gabriele Falloppia o Girolamo Fabrici d'Acquapendente. Ambroise Parè originariamente cerusico poi diventato chirurgo di Carlo IX re di Francia individuerà il collegamento tra cancro e stazioni linfatiche e descriverà, come Rogerio e Mondeville, un metodo per legare i vasi sanguigni evitando il ricorso al cauterio e all’olio bollente che veniva versato sulle ferite.
Nei secoli successivi l’atteggiamento diventa più propenso all’intervento e da parte di molti chirurghi si inventano strumenti atti a consentire una mastectomia rapida ed esangue. Si inventano particolari pinze da trazione, uncini e ghigliottine capaci di sezionare la mammella rapidamente. E’ un momento di grande entusiasmo e riscoperta dell’arte chirurgica che fa da volano alle grandi scoperte che stanno per essere fatte.
[modifica] Epoca Moderna
Ancora nel XVIII secolo rimane in auge la teoria galenica di derivazione ippocratica che vuole la malattia cancerosa come legata al ristagno ed alla coagulazione dei fluidi nell’organo (causa locale) o al disordine generale dei fluidi corporei (causa sistemica). Sarà Henri Francois le Dran (1685-1770), chirurgo capo dell’ Hopital de la Charité a Parigi a fare piazza pulita di queste teorie umorali elaborandone una nuova per la quale il cancro mammario è una malattia che si sviluppa localmente e che successivamente diffonde lungo le vie linfatiche ai gangli ascellari che quindi vanno asportati insieme alla mammella. La sua teoria avrà un valido appoggio anche da di Jean Louis Petit grande chirurgo francese suo contemporaneo. Potrebbero essere considerati i padri della mastectomia radicale se non fosse per il fatto che entrambi prescrivano di salvaguardare al massimo la cute ed il capezzolo quando non coinvolti dalla malattia, probabilmente anche per abbreviare i tempi dell’intervento, che a quell’epoca doveva necessariamente essere rapido, (venivano impiegati dai tre ai dieci minuti)!
Ancora una volta alcune intuizioni geniali precorrono i tempi ed evidenti limiti culturali e scientifici, ancor prima che tecnici, ne limitano l'applicazione. Trascorrerà ancora un secolo prima che la scoperta dell’anestesia da parte di Horace Wells e William Green Morton, della antisepsi con gli studi di Ignaz Philipp Semmelweis e Joseph Lister, la individuazione da parte di Rudolf Virchow della cellula come unità fondamentale dell’organismo (e quindi il sostituirsi della ‘teoria cellulare’ della malattia al posto della ‘teoria umorale’ ippocratica), contribuiranno alla nascita della Chirurgia Moderna. Consentiranno di dedicare spazi e tempi idonei agli interventi, che diventeranno sempre più articolati, complessi e sicuri. Anche in campo senologico, ove comunque la prognosi del cancro rimarrà infausta continuando ad alimentare un generale pessimismo.
Uno dei più grandi chirurghi del XIX secolo sir James Paget (1814-1899) professore di Chirurgia al St. Bartholomew’s Hospital di Londra e considerato uno dei massimi esperti di malattie della mammella e scopritore della malattia che prende il suo nome, giungerà all’amara conclusione che non è conveniente far correre il rischio di un intervento alla paziente affetta da cancro. Conclusione basata su una casistica personale di 235 casi gravati dal 10% di mortalità operatoria ma soprattutto dalla totalità di recidiva entro otto anni. Con la ulteriore considerazione che nel caso dei carcinomi particolarmente duri, scirrosi, le pazienti non operate erano sopravvissute più a lungo di quelle trattate, esattamente come aveva sostenuto Ippocrate qualche millennio prima. Peraltro Paget ebbe la brillante intuizione della importanza dei fattori ereditari e costituzionali nella malattia, della relazione tra gravità della stessa ed età della paziente, del coinvolgimento del sistema ematico nella diffusione delle metastasi, ritornando al concetto di malattia sistemica. Un elemento nuovo e di grande interesse viene introdotto da Charles Moore che il 18 maggio del 1867 presenta alla prestigiosa Royal Medical & Chirurgical London Society un lavoro in cui avanza l’ipotesi che il riformarsi del tumore è in realtà legato ad una insufficiente asportazione dello stesso nel corso del primo intervento. Pertanto propone che la mastectomia sia il più possibile estesa e comprenda anche i muscoli pettorali e le strutture linfatiche. Teoria che sarà contestata da un altro chirurgo americano Samuel D. Gross che sosterrà interventi più limitati e tendenti a risparmiare cute muscoli e linfonodi. Ma già suo figlio Samuel W.Gross, altro eminente chirurgo sarà di parere completamente opposto.
[modifica] La chirurgia attuale
Come si può notare esiste una gran confusione ma siamo ormai agli inizi del ‘900 e prossimi alla soluzione. Che arriva con William Stewart Halsted e con la sua proposta di mastectomia radicale. In realtà Halsted e Willie Meyer che contemporaneamente ed autonomamente giungono alle stesse conclusioni ritornano a concetti antichi di radicalità ma li giustificano con le conoscenze correnti della storia naturale della malattia che vorrebbe il cancro della mammella una malattia locale che soltanto in un secondo tempo si diffonde per via linfatica alle linfoghiandole ascellari e quindi a tutto l’organismo. E’ questa ipotesi che dà forza all’idea di eseguire una asportazione completa ed in blocco della mammella, del piano muscolare su cui poggia costituito dai muscoli grande e piccolo pettorale e dalla catena linfatica ascellare. Per i due chirurghi la grave mutilazione si giustifica con la esigenza di eradicare completamente e definitivamente il tumore entità considerata inizialmente a sviluppo locoregionale, prima che esso si propaghi all’organismo. I risultati danno ragione a questa impostazione. Peraltro Halsted Professore di chirurgia alla Johns Hopkins University di Baltimora ottiene risultati brillanti anche per la sua meticolosità nel preparare un ambiente rigorosamente asettico in cui operare (Halsted è l’inventore dei guanti chirurgici commissionati alla Goodyear per evitare alla sua ferrista di venire a contatto con alcuni disinfettanti cui era allergica e poi estesi alla pratica operatoria) e nel curare nei dettagli anche la preparazione del paziente all’intervento.
Nel 1891 Halsted definisce i principi di radicalità oncologica fissando alcuni concetti che si sarebbero estesi dalla mastectomia ad altri interventi per patologie cancerose: asportazione ampia dell’organo malato in blocco unico con le strutture prossime e con le vie linfatiche principali. Nel 1907 Halsted informa di aver operato 232 casi con mortalità operatoria bassissima per l’epoca, pari all’1,7%. Su 64 pazienti senza coinvolgimento metastatico dei linfonodi il 70% era sopravvissuto dopo tre anni. In 110 casi di positività metastatica dei linfonodi ascellari la sopravvivenza calava al 24,5%. Sono risultati straordinari che contribuiscono a diffondere questa sua tecnica in tutto il mondo. L’intervento di Halsted rappresenterà un dogma chirurgico per oltre 50 anni. Inoltre con il progresso delle tecniche anestesiologiche e con la scoperta degli antibiotici si cominceranno a praticare, a partire dagli anni ’50, interventi plastici di correzione della ampia demolizione legata alla sua mastectomia radicale.
Nell’arco della tormentata storia della mastectomia i risultati di Halsted apparvero eccezionali. Ma la stesso Autore ebbe modo di sottolineare la percentuale di prognosi infauste che comunque rimaneva troppo elevata e che ridimensionava la bontà dell’impianto teorico su cui aveva basato il suo intervento. Così questi ultimi decenni sono stati caratterizzati anche da alcune posizioni antitetiche rispetto all’intervento di Halsted.
Nel senso di tecniche ancora più allargate e demolitive come nell’intervento di J.A.Urban che nel 1951 propose di estendere l’asportazione delle catene linfatiche anche a quelle che accompagnano l'arteria mammaria interna posta nella gabbia toracia a ridosso della pleura mentre Dahl-Iverson e Tobiassen nel 1969 proponevano di raggiungere anche i linfonodi della regione sopraclavicolare per arrivare a Prudente che nel 1949 aveva praticato addirittura la amputazione dell’arto superiore omolaterale. Interventi devastanti che furono fortunatamente abbandonati appena si dimostrò come in effetti non dessero alcun vantaggio in termini di sopravvivienza rispetto alla mastectomia di Halsted.
O nel senso di interventi meno demolitivi e quindi più rispettosi dell’aspetto estetico della donna. Nel 1948 Patey e nel 1965 Madden proposero interventi modificati rispetto a quello di Halsted ma capaci di raggiungere le medesime percentuali di successo: il primo risparmiava il muscolo grande pettorale ed il secondo risparmiava entrambi i muscoli pettorali. Per giungere all’intervento di quadrantectomia proposto negli anni ’70 da Umberto Veronesi dell’Istituto dei Tumori di Milano e che si limita ad asportare esclusivamente lo spicchio di mammella contenente il tumore associando all’intervento la exeresi della catena linfatica ascellare e la irradiazione della mammella residua. Al momento lo stesso Autore propone interventi ancora più limitati di asportazione solo del tumore e dei tessuti circostanti e del cosiddetto linfonodo sentinella.
[modifica] Conclusione
L’orientamento attuale di ricorrere ad interventi sempre più limitati è stato reso possibile da alcuni fattori importanti:
- Possibilità di diagnosticare i tumore in fase sempre più precoce e spesso preclinica.
- Possibilità di stadiare adeguatamente la malattia così da scegliere il percorso terapeutico più idoneo.
- Nuove conoscenze nella storia naturale del cancro mammario che ormai viene ritenuto una malattia sistemica capace di dare metastasi fin dagli esordi.
- Possibilità di integrare il momento chirurgico con altre terapie che aiutino l’organismo a combattere le possibili micro metastasi presenti al momento dell’intervento: chemioterapia, ormonoterapia, radioterapia.
Questi fattori hanno indotto ad una revisione critica dell’approccio chirurgico ai tumori maligni della mammella. Non ha senso praticare di principio un intervento molto mutilante anche nei tumori scoperti in fase iniziale in quanto esso potrebbe comunque aver già dato metastasi. Appare più logico invece praticare interventi limitati alla asportazione della neoplasia lasciando integre le strutture vicine, compresi i linfonodi quando non interessati (come riesce ad evidenziare lo studio anatomo patologico estemporaneo del linfonodo sentinella asportato) associando all’intervento una terapia adiuvante. La mastectomia di Halsted e soprattutto quelle modificate da Patey e Madden trovano invece la loro indicazione nei casi di neoplasie più avanzate.