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Myricae

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Raccolta poetica di Giovanni Pascoli (1855 - 1912), rappresenta l'ultimo esempio di poesia lirica "classica" prima della stagione delle Avanguardie poetiche del Novecento.

Indice

[modifica] La genesi

La storia compositiva di Myricae scorre lungo tutta la vicenda poetica di Pascoli:

  • la prima edizione è del 1891, e comprende 22 componimenti;
  • nel 1892 esce la seconda edizione, con 72 poesie;
  • 1893, terza edizione, con 116 componimenti;
  • 1897, quarta edizione, portata a 152 componimenti; a partire da questa edizione Pascoli organizza definitivamente la raccolta in 15 sezioni;
  • 1900, quinta edizione, con il totale definitivo di 156 componimenti;
  • fino al 1911 seguiranno ancora 4 edizioni dell’opera, frutto di piccole revisioni stilistiche e strutturali.

Contemporaneamente, uscivano le altre maggiori raccolte pascoliane: i Poemetti e i Canti di Castelvecchio (quest’ultima a sua volta in 6 successive edizioni).
L’opera si raffigura così come una serie di contenitori (le 15 sezioni organizzate dal poeta) costantemente aperti per raccogliere le continue revisioni, aggiustamenti e aggiunte prodotte da Pascoli nell’arco di tutta la sua complessa vicenda creativa. In questo senso, la genesi di Myricae coincide strettamente con la sua evoluzione formale, e appare essere un grande laboratorio di sperimentazioni metriche e linguistiche.

[modifica] La struttura

Dal 1891 al 1911 uscirono nove edizioni di Myricae, la raccolta poetica più importante di Pascoli. Come era accaduto per altri grandi raccolte, a cominciare dal Canzoniere di Petrarca, essa si stende per quasi tutto l'arco della produzione poetica dell'autore, così che la storia compositiva di Myricae si può dire coincida con lo sviluppo stesso della coscienza poetica di Pascoli. Per queste ragioni, l'identificazione di una unità strutturale della raccolta non può che essere il risultato di una interpretazione che prenda in considerazione, accanto alla lettura dei testi, degli eventi e delle esperienze psicologiche che segnarono l'esistenza del poeta.

Il più evidente tra i principi organizzativi che formano la struttura di Myricae è quello metrico: la materia poetica è infatti disposta secondo modelli di versificazione omogenei, che presuppongono un continuo intervento del poeta nella riorganizzazione del materiale in senso anti-cronologico. L'ordine non risulta però mai rigidamente schematico: alla sperimentazione di forme metriche nuove si alternano infatti sezioni dedicate ai generi metrici della lirica antica, nell'intento sottinteso di ricercare, per ogni "capitolo" della vicenda poetica, la forma più adeguata ai suoi contenuti.

Le 15 sezioni della raccolta - nell'ordine:

  • Dall'alba al tramonto
  • Ricordi
  • Pensieri
  • Creature
  • Le pene del poeta
  • L'ultima passeggiata
  • Le gioie del poeta
  • Finestra illuminata
  • Elegie
  • In campagna
  • Primavera
  • Dolcezze
  • Tristezze
  • Tramonti
  • Alberi e fiori

- comprendono 156 componimenti; alcune di esse racchiudono forme strettamente omogenee:

- altre sezioni, invece, si aprono a sperimentazioni e confronti formali (come la sezione "In campagna", la più densa e varia tra tutte).

Tra una sezione e l'altra, compaiono liriche isolate che costituiscono il tessuto connettivo della raccolta:

  • Il giorno dei morti
  • Dialogo
  • Nozze
  • Solitudine
  • Campane a sera
  • Ida e Maria
  • Germoglio
  • Il bacio del morto
  • La notte dei morti
  • I due cugini
  • Placido
  • Il cuore del cipresso
  • Colloquio
  • In cammino
  • Ultimo sogno.

[modifica] I temi

La struttura formale coincide nelle sue linee portanti con i grandi temi strutturali della raccolta: innanzitutto, il dialogo tra l'io del poeta - espresso dalle liriche isolate, che raccolgono gli aspetti emotivi più profondi ed oscuri della sua esistenza interiore, gli incubi e i simboli del suo vissuto più inconscio - e la realtà esterna, costituita dal "piccolo mondo" mitizzato delle cose di natura, col loro carico di significati altrettanto simbolici, circoscritto nello schema più formale delle 15 sezioni conchiuse.
A questo suddivisione tra cornice e sezioni, corrispondono due elementi principali: l'evocazione e contemplazione della morte (il punto di vista soggettivo della poetica del dolore e del ricordo), proprio dei componimenti "fuori sezione"; la descrizione della natura agreste (il punto di vista oggettivo della poetica delle cose), sviluppata nelle sezioni.
Se si vuole trovare una traccia dell'evoluzione stilistica del poeta nella complessa opera di strutturazione di Myricae, questa non può che essere data dall'evoluzione della sua lingua poetica; dai primi componimenti, anteriori al 1891, fino a X agosto e Canzone d'aprile, Pascoli sviluppa quella capacità del poeta-fanciullo di scoprire, sotto le maglie sempre più fitte delle convenzioni sociali, la lingua delle cose, lingua che si esprime attraverso la visione di ciò che esse sono in se stesse; una visione che non è interpretazione storica ma l'essenza stessa del loro essere.

[modifica] Introduzione alla lettura

Proponiamo in questa sezione le schede di analisi di tre fra i più celebri componimenti della raccolta: Novembre, Lavandare e Temporale. La scelta, esemplificativa, di questi titoli è dovuta al valore sicuramente emblematico che essi vantano nel panorama stilistico di Myricae: le indicazioni che se ne ricavano possono costituire infatti un criterio-guida per la lettura complessiva dell'opera, con le dovute cautele, necessarie di fronte alla grande ricchezza inventiva che permea tutta la raccolta.

In sintesi. Nei tre componimenti scelti per esemplificare l'atmosfera poetica di Myricae, emergono con evidenza gli elementi costitutivi della poetica pascoliana: la "poesia delle cose", quell'esattezza lessicale nella scelta dei termini (quasi scientifica quando si tratta di elementi naturalistici: prunalbo, croccolare) che esemplifica quel vero e proprio culto del particolare e dell'oggetto che troviamo in tutta la poesia simbolista e decadente. La particolarizzazione lessicale determina la poetica della "visione": le sensazioni indicibili del profondo (malinconia, memoria, erotismo) emergono indefinite ma come illuminate dalle immagini di un mondo reale lucidamente delineate. «Nell'assumere un dato, avvertito come poetico in sé, il poeta opererà sull'oggetto con infinito accorgimento per svelarne l'essenza particolare, per renderlo sempre più poeticamente attivo, più carico» (Anceschi). "A servizio" di questa poetica agisce la tecnica analogica, che attraverso una sintassi abbreviata costruisce un percorso di sensi che accompagna il lettore nell'interpretazione di un'immagine appena accennata, accostandola ad un'altra che già porta in sé un antico e consolidato repertorio di significati (L'aratro, il gabbiano, ecc.).

[modifica] Novembre

Novembre, ma il cielo è limpido e il sole chiaro. Pare di essere in primavera e istintivamente, si cercano con gli occhi "gli albicocchi in fiore", mentre si ha l'impressione di sentire il profumo del biancospino. È un'illusione.

I temi sono il fascino della vita e il senso del mistero e della morte. La prima strofa è in stile impressionistico e il discorso è "alogico", fatto di illuminazioni momentanee e di suggestive allusioni, con frantumazione della sintassi, mentre la nomenclatura botanica si caratterizza per la precisione lessicale. La metrica è costituita da tre strofe, formate ognuna da tre endecasillabi e da un quinario a rima alternata.Novembre è una lirica scritta da Giovanni Pascoli scritta nel 1890 ma pubblicata nel 1891.La struttura è paratattica,presenta diverse figure retoriche: dall'inizio, nelle parole "Gemmea l'aria, il sole così chiaro" ritroviamo un CHIASMO, che trasmette un'idea di ordine, di corrispondenza tra apparenza e realtà. La seconda strofa, invece, è dominata da ALLITTERAZIONI di lettere come S,R,T, che, determinando un'improvviso irrigidimento dei suoni, trasmettono un senso di ansia e sorpresa. Nella terza, infine, sono presenti due ossimori nei versi 9-10 (SILENZIO-ODO) e negli ultimi due (ESTATE - FREDDO).

[modifica] Lavandare

È autunno. La terra sembra essere stata abbandonata dalla mano dell'uomo; l'unico segno di vita viene dal canto delle lavandaie: "è autunno, fa freddo e senza di te mi sento abbandonata".

La forma metrica è quella del madrigale (due terzine più due distici), scelta per la sua vicinanza alla cultura popolare di cui il componimento evoca alcuni elementi: quello onomatopeico, espresso dal verbo "sciabordare"; quello delle cantilene dialettali dei due distici finali. Essi sono la citazione italianizzata dello strambotto «Retorna, Amore miè»[1] che Pascoli trasse da una delle numerose raccolte poetiche di folklore popolare che da Carducci in poi la scuola positivista bolognese andò ordinando, alla luce del suo interesse per le radici storiche della lingua poetica.
La scelta dell'immagine finale evoca un altro dei temi fondamentali della poetica pascoliana: quello dell'erotismo represso. La tecnica poetica è quella dell'analogia, attraverso la quale il significato principale - emotivo ed esistenziale - della donna abbandonata come un oggetto dopo l'esperienza dolce e violenta dell'amore, viene evocato da un'immagine simbolica - la terra ferita dall'aratro e poi abbandonata - collegata al contesto lessicale del discorso dalla congiunzione "come". L'analogia è uno dei mezzi privilegiato della poetica simbolista; essa non serve a "spiegare" ma semplicemente ad alludere, lasciando all'immaginazione del lettore l'opera di approfondimento del senso.

[1] «Retorna, Amore miè, se ci hai speranza, / Per te la vita mia fa penetenza! / Tira lu viente, e nevega li frunna, / De qua ha da rveni' fideli amante» Gianandrea, p. 144, n. 8

[modifica] Temporale

Il temporale non è ancora scoppiato, ma incombe minaccioso all'orizzonte, come la mano nera del destino sulla mia vita.

Si tratta di una piccola ballata di settenari. È una miniatura nella quale troviamo concentrati gli elementi significativi del lavoro poetico pascoliano:

  • l'onomatopea: "bubbolìo" (il rombo lontano del tuono);
  • la sintassi breve: c'è un solo verbo, "rosseggia";
  • le parole del lessico quotidiano: "pece", "stracci";
  • il tema della casa, metonimia della famiglia ma soprattutto della madre, intese come rifugio e fuga dal mondo. È il marchio poetico pascoliano, legato da un lato al trauma infantile della perdita drammatica di entrambi i genitori, e dall'altro al costante tentativo di ricostituire il mondo perduto che ispirò tutta la sua esistenza.
  • l'analogia: "un'ala di gabbiano", qui scelto per la sua qualità di volatile capace di contrastare alla violenza della bufera. È da sottolineare l'efficacia di questa locuzione che si staglia, nella brevità di un singolo verso, a suggellare l'idea della forza protettiva.

Questa poesia è connessa a molte altre, sia di Myricae (Dopo l'acquazzone, Pioggia, Sera d'ottobre, Ultimo canto, Il lampo, Il tuono, Lontana, I ciechi), che dei Canti di Castelvecchio (Temporale, La mia sera). A esemplificazione del procedimento analogico nella scrittura pascoliana, proponiamo l'accostamento di due figure analogiche parallele tratte dai versi finali dei due componimenti contrassegnati dal medesimo titolo di Temporale:

  • Myricae: tra il nero un casolare: / un'ala di gabbiano
  • Canti di Castelvecchio: ...mentre, col suo singulto / trepido, passa sotto / l'acquazzone una chioccia / […] tra il vento e l'acqua, buono, / s'ode quel croccolare[1] / 'co' suoi pigolii dietro.

L'uso dell'analogia è nei due casi molto diverso: l'ala di gabbiano si sovrappone in modo gratuito e soggettivo sul proprio "analogo" - la casa - suscitando, con la sorpresa del suo apparire improvviso, l'idea del contenuto profondo che il poeta vuole evocare. La chioccia è invece una figura perfettamente aderente al contesto descrittivo della poesia: lo scrosciare della pioggia sui campi. Ma tuttavia essa si presta a una lettura simbolica, che Pascoli stesso conferma, se non nella stessa poesia, in numerosi altri momenti della sua produzione.

--- [1] Nota di G. Pascoli alla seconda edizione: «Croccolare: il verso della gallina quando vuol far l'uova o della chioccia quando guida i pulcini. Si dice anche del vino quando si versa dal fiasco senza tromba».

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